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Autore: HystericalFirework    29/06/2012    1 recensioni
Passa davanti al municipio e l’orologio inizia a rintoccare la mezzanotte.
Vieni. Si copre le orecchie con le mani. Ha paura.
Come può aver sentito quella voce? E’ impossibile. Deve essere impossibile.
Vieni, scappa con me.
Eppure… no, non può essere.
Mezzanotte. Mezzanotte all’albero degli impiccati.
Questa fanfiction partecipa all'Hunger Games Contest di DarkAeris
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima Strofa

 
 
 
 
Verrai, verrai,
all’albero verrai,
cui hanno appeso un uomo che tre ne uccise, o pare?
Strani eventi qui si son verificati,
e nessuno mai verrebbe a curiosare
se a mezzanotte ci incontrassimo
all’albero degli impiccati.
 
 
 
 
Leyla apre gli occhi sul cielo nero di un ancor più nero Distretto 12. E’ ancora notte.
Li vorrebbe richiudere, vorrebbe scappare lontano da quel luogo così spaventosamente reale, crudele evocazione di ricordi che si conficcano nel cuore come schegge di ghiaccio.
Ma è tempo di alzarsi. E’ tempo di andare.
Il tempo che le rimane è limitato dal ticchettio di un orologio.
Mai prima d’allora Leyla era stata tanto sicura della sua morte imminente, se non in quella notte, che sembrava lontana anni luce eppure vicina in maniera dolorosa.
 
- Vuoi uccidermi?
- Dio, Leyla, no che non ti voglio uccidere!
- Perché? Perché non mi tagli la gola come hai fatto con tutte le altre ragazze ricche e felici? Perché non mi consegni ai ribelli del 13 su un piatto d’argento?- la voce inizia a morirle in gola.
- Leyla, io…
- Io cosa?- urla lei in un impeto di rabbia e paura.
- Tu non capiresti.
- Cosa? Cosa non capirei?- una lacrima solitaria le solca il viso scavato e pallido, si insinua sulle sue labbra e continua la sua lenta discesa senza che nessuno la fermi.
- Sei malvagio- la ragazza si porta le mani al viso, cercando di nascondere il pianto frenetico, intervallato da singhiozzi che la stanno sconquassando il petto.
- Leyla…- le prende il viso tra le mani con fare stranamente affettuoso.
Non si era mai accorta prima d’ora della profondità del suo sguardo blu scuro, un colore che non apparteneva alle miniere del 12. Un colore che, a pensarci bene, non aveva mai visto in vita sua: è il colore, le raccontavano, del mare, del cielo limpido all’imbrunire.
Ma quello che le sta rivolgendo l’uomo è uno sguardo provato, degli occhi cerchiati da pesanti solchi neri, sintomo di notti insonni.
Non era così vecchio come lei pensava: deve avere solo un paio d’anni in più di lei, aggravati però da una vita così tremenda da valere forse mille degli anni della ragazza.
- Leyla, non mi resta molto tempo e…
- … mi ucciderai seduta stante?
- No.
- Mi lascerai morire di fame?
- Neanche- un sorriso stanco si fa strada sulle sue labbra, di solito di un’incorruttibile serietà.
- Allora cosa?- domanda Leyla con le lacrime che scendono copiose sulle sue guance.
Non riesce a spiegarsi il motivo del suo pianto, ma dentro al cuore, nel profondo di se stessa, ha già compreso ciò che le parole non riescono a spiegare.
- Tutto quello che ho fatto- gli omicidi, il rapimento, questi giorni rinchiusa in un posto che non conosci- l’ho fatto per la causa. Una causa disperata, una battaglia contro Capitol City che, me ne rendo conto solo ora, non finirà per il meglio.
- Cosa significa?
- Morirò, Leyla. Moriranno tutti sul fare dell’alba- qualcosa nel cuore della ragazza va in frantumi, qualcosa di una grandezza abissale, qualcosa di terrificante e inspiegabile.
- Perché?- riesce a dire con il fiato mozzato.
- Capitol City ha vinto. E io voglio restituirti la libertà prima che essa venga sottratta a me.
- Perché?- ripete lei incredula.
Adam, il giovane uomo dagli impenetrabili occhi blu notte, rimane in silenzio per un tempo che sembra indefinibile, mentre la scruta, come per assaporarla un’ultima volta.
- Credo di essermi innamorato di te, Leyla.
I loro sguardi si intrecciano, ancor prima che le labbra si sfiorino, distruggendo e creando, facendo volteggiare la polvere di vite distrutte in un nuovo intrico di arcane sensazioni.
Rimangono abbracciati per molto tempo, finché lui non le dice di andar via, di scappare prima che decidano di prendere anche lei.
Mentre varca la soglia della catapecchia di legno, vorrebbe voltarsi per un’ultima volta.
Ma non ne ha la forza.
Non sarebbe giusto.
 
 
Con passo lento e rassegnato, Leyla cammina verso la stazione, dove gli uomini chiamati Pacificatori e l’altro ragazzo la stanno aspettando.
Sente i suoi passi scricchiolare sulla ghiaia, mentre percorre quelle stradine per l’ultima volta, ne assapora il gusto aspro di carbone, il sapore di casa.
Pensa che, nonostante la sua promessa, non riuscirà mai a vedere il mare, il mare di Adam, il mare del Distretto 4. Una fitta le perfora il cuore e altri ricordi scendono come petrolio nella sua mente già offuscata.
 
 
Non vuole guardare, non ne ha la forza.
Ma in quello stesso momento prova l’impulso disperato di girarsi, di incrociare ancora una volta lo sguardo che tanto le aveva fatto battere il cuore.
Dal suo nascondiglio sicuro, dietro ai cespugli, protetta dalle fronde degli alberi e dalle loro radici che affondano nel terreno come membra di giganti addormentati, sporge la testa per dargli l’ultimo saluto.
Troppo tardi.
Uno schiocco sordo, poi silenzio. Il corpo di un giovane uomo, inerme, penzola dall’alto di un solido ramo, attaccato ad una collana di corda, il suo collo assume una posizione innaturale.
Non un urlo, non un sospiro da parte degli uomini che lo avevano giustiziato.
L’uomo se n’è andato nel vuoto assordante del silenzio.
L’uomo è morto.
Adam è quell’uomo. 
  
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