EPILOGO
“Ed ecco che Rukawa mette a segno altri due
punti! Quest’acquisto della squadra più forte di tutti gli Stati
Uniti è davvero un portento!” esultò lo speaker a bordo
campo.
Il pubblico non tratteneva certo gli urli da tifo:
assistere ad una partita dell’NBA era un’emozione di per sé,
ma vedere un vero e proprio campione come Kaede dominare con la classe che
riusciva a mostrare, lo era ancora di più.
“In una partita così importante il
giapponese non si è certo risparmiato. Ed ecco che l’arbitro segna
la fine dell’incontro; ha vinto di nuovo: la squadra più forte non
vuole proprio smentire l’appellativo di invincibile che i tifosi le hanno
dato. Anche quest’oggi si è assistito al grande basket: le azioni
spettacolari si sono susseguite ad un ritmo incessante. Tutti concorderanno
nell’affermare che chi ha avuto la fortuna di procurarsi il biglietto per
assistere a questa partita, non è rimasto certo deluso”
affermò l’uomo alla
fine dell’incontro.
Rukawa, dopo aver esultato con i compagni, si stava
allontanando dal campo, ma fu assalito da un’orda di giornalisti.
“Allora, come ci si sente ad essere l’asso
di questa squadra fantastica, signor Rukawa?” chiese uno di loro.
“Il miglior realizzatore della stagione,
dev’essere un’emozione unica. Che ne pensa?” chiese un altro.
“Finalmente dopo anni di gavetta come riserva,
uno da titolare. Il suo contributo è stato essenziale al punto da
meritare l’appellativo di uomo chiave della squadra migliore di tutta
l’NBA, il suo parere?” chiese il terzo.
Rukawa rimase zitto mentre si asciugava il sudore con
l’asciugamano. Poi, improvvisamente, si voltò e rispose.
“Mi dispiace, ma oggi non posso concedere
interviste. È un giorno importante per me ed un appuntamento che non
può essere rimandato mi attende. Spero che mi scuserete” e senza
dare il tempo di controbattere, si chiuse negli spogliatoi, dove si
cambiò velocemente.
-Oggi proprio non posso far tardi- pensò.
Appena sceso dalla macchina, corse come un forsennato
all’interno dell’aeroporto per non perdere il suo volo.
Salì sull’aereo e si sedette al posto
assegnato, facendo un respiro di sollievo per essere riuscito all’ultimo
secondo a prenderlo.
Il velivolo partì subito ed incominciò
il lungo viaggio.
Dopo alcune ore di volo, in cui dormì per
riposarsi, si risvegliò. Guardò fuori dal finestrino ed
incominciò a scorgere il Giappone. Dall’altoparlante si udì
la voce del comandante che confermò l’avvicinamento alla grande
isola. Tenne gli occhi fissi su quella vista stupenda e sorrise.
-Sono ritornato, caro e vecchio Giappone… Sono
dieci anni che non ritorno più qui… è un’emozione
indescrivibile rivederti- pensò, e si preparò
all’atterraggio.
Fuori dall’aeroporto si fermò un attimo
per respirare di nuovo l’aria del suo paese natale.
“Ah… l’aria del Giappone è
completamente diversa da quella americana; me l’ero completamente
dimenticata. Ma ora non ho tempo per questo: devo raggiungere in fretta quel
luogo” disse, e salì sulla macchina che si era fatto trovare ad
attenderlo; chiese poi all’autista di portarlo in una direzione precisa.
-Ed eccomi di nuovo qui, in questo luogo…-
pensò, mentre entrava nel cimitero della città.
-Da dieci anni non camminavo più su questo
prato…- e si avvicinò a quella lapide.
Riconobbe subito i suoi ex compagni dello Shohoku:
erano tutti lì, in piedi, immobili, in un rispettoso silenzio. Tutti
erano vestiti eleganti come lui: pantaloni e giacca nera, tenuta con un dito
sulla spalla per farla ricadere dietro la schiena visto il caldo che
c’era, camicia bianca, ed una cravatta scura per simboleggiare il lutto.
Gli fece piacere rivedere dopo tanto tempo Mitsui, Miyagi, Eric, Kogure, le ex
matricole e Sakuragi, ma spense subito il suo entusiasmo per il momento solenne.
Scorse poi, in fondo al gruppo, anche Akagi con la divisa militare delle
cerimonie; gli era giunta voce che si fosse arruolato, ma vederlo vestito in
quel modo gli fece uno strano effetto.
Si aggregò alla piccola comitiva ed
incominciò a fissare la tomba in silenzio.
Dopo poco si allontanò senza dire niente a
nessuno, attirando l’attenzione degli amici.
“Se ne va così?” chiese,
sussurrando, Eric a Miyagi.
“Così pare”
Poi si guardarono tutti negli occhi e, senza fiatare,
decisero di seguirlo per parlagli in un luogo più adatto.
Rukawa si fermò a pochi metri dalla sua
macchina nera, quando dall’interno si sentirono delle voci.
“Mamma, ti prego, voglio vedere anche io!
Lasciami andare con papà!” implorò il figlio di Kaede.
“Ti ho detto di no! Su, stai buono. Il cimitero
non è il luogo più adatto ad un bambino di soli sei anni”
disse dolcemente la madre.
Il bambino si voltò rassegnato, e così
vide dal finestrino il padre poco lontano.
“Guarda mamma! Papà sta ritornando! Ora
posso scendere? Posso corrergli incontro? Ti prego…” e le fece gli
occhi dolci.
Quando la donna vide quel visetto d’angelo, non
seppe dire di no.
“E va bene, ma non fare baccano!”
Il bambino scese e corse verso Rukawa; lui lo prese in
braccio e lo baciò sulla guancia.
“Ecco il mio angioletto! Allora, ti è
piaciuto il viaggio fin qui? Ti piace il Giappone?”
“Veramente non ho ancora visto niente…
Dall’aeroporto siamo venuti subito qui, e la mamma non mi ha fatto
nemmeno scendere dalla macchina…”
“Hai ragione. Scusami: è colpa mia se
abbiamo fatto tutto di fretta; stavamo per perdere l’aereo, ma dovevo
giocare una partita davvero importante”
“Lo so, e hai vinto! Il mio papà è
il giocatore più bravo del mondo!” ed alzò il braccio in
segno di vittoria.
Rukawa lo fece sedere sulla sua spalla sinistra; il
bimbo si sorresse stringendogli i capelli, spettinandolo un po’, e
ripresero ad esultare insieme.
“Papà…” riprese.
“Dimmi” ed alzò gli occhi per
incontrare lo sguardo del piccolo.
“Perché siamo venuti qui?”
“Perché il tuo papà doveva venire
a salutare una persona molto importante” e lo riprese tra le braccia.
“Davvero?” chiese, portandosi il dito alla
bocca.
“Già”
“Ora però possiamo andare a vedere il
campo dove ti allenavi quando eri giovane? Me l’avevi promesso!”
“Ehi! Guarda che non sono mica vecchio: sono
ancora giovane!” e sorrise.
“Allora, mi ci porti?” insistette.
“Sì; ora andiamo. Su, raggiungi la
mamma” e lo rimise a terra.
Seguì con lo sguardo la corsa del bimbo, fino a
quando non raggiunse quella donna con cui divideva la sua vita. Incontrò
quel bellissimo viso che tanto gli piaceva, e ritornò con la mente a
quel lontano giorno di dieci anni prima.
“Kate…” sussurrò Kaede a quel
corpo immobile.
“Kate, perché non ti svegli? Non
può essere vero! Non può essere tutto finito!” disse,
mentre continuava ad accarezzarla.
Poi le prese la mano e notò che,
all’interno della stessa, tratteneva il sasso che gli aveva regalato
prima di entrare nella sala operatoria.
Gli fece richiudere le dita attorno all’oggetto,
stringendole poi tra le sue mani; guidò il braccio di lei fino a fargli
accarezzare la sua guancia con un movimento innaturale.
-Kate… La mia paura più grande si
è dunque realizzata?- pensò, osservando con sguardo rassegnato la
ragazza.
“Dottore, è davvero tutto finito? Kate
non ce l’ha fatta?” chiese, timorosa della risposta, Aruko, fuori
dalla stanza.
Il dottore rimase zitto per un attimo, mentre si
sistemava gli occhiali con un dito, poi rispose.
“La ragazza…” cominciò.
“La ragazza?!” interruppe Eric.
“Lascialo parlare!” intervenne Mitsui.
“La ragazza, in realtà, si
riprenderà presto: l’operazione è perfettamente
riuscita!”
Tutti esultarono, attirando l’attenzione di
Rukawa che distolse per un attimo lo sguardo da Kate.
“Quindi ce l’ha fatta?! Sono felicissima
per Kaede!” esultò Aruko, voltandosi verso Hanamichi che le fece
un sorriso.
“Già, ce l’ha proprio fatta, non so
neanche io come: la malattia era davvero ad uno stadio preoccupante e
francamente non credevo che sarebbe sopravvissuta. Ma evidentemente aveva un
motivo per vivere, o qualcuno da cui tornare” affermò il dottore,
voltandosi verso la stanza sorridendo.
Tutti così rivolsero lo sguardo
all’interno per vedere che cosa stesse succedendo.
“Cos’è questo chiasso?”
chiese Rukawa.
Subito dopo si rivoltò e rincominciò ad
osservare quel viso dai lineamenti perfetti.
Subito dopo notò che le palpebre cominciarono a
tremare: Kate si stava risvegliando.
“Kate!” urlò, spinto dalla gioia
che provava in quel momento.
Lei aprì definitivamente gli occhi, ma non
poteva ancora vedere niente; riusciva solo a distinguere alcune ombre attorno a
sé. Una in particolare era molto vicina; quindi si concentrò su
quella, e pian piano cominciò a distinguere il volto del suo amato
Rukawa.
“Kaede…” sussurrò, ancora
debole.
“Kate! Ti sei ripresa! Come ti senti?”
chiese piano.
“Ora che ti rivedo, sto molto meglio” e
gli accarezzò la guancia.
Quel gesto era molto diverso da quello innaturale di
poco prima, ed il ragazzo si fece trasportare dalla dolcezza e delicatezza del
tocco di lei, chiudendo gli occhi.
“Già… credo proprio che avesse
qualcuno da cui tornare” disse Hanamichi, osservandogli e conducendo poi
l’intera comitiva fuori da quella stanza.
“Su, ora uscite tutti: lasciamoli un po’
soli” concluse, chiudendo la porta dietro di sé.
“Kaede” rincominciò Kate.
“Dimmi” disse curioso Rukawa, prendendogli
la mano.
“Sono felice perché sono riuscita a far
sparire la tua paura più grande: sono riuscita a ritornare da te”
“Ti sbagli: non hai sconfitto solo la mia paura,
ma anche la tua verso la morte. Sei stata davvero bravissima; sono molto
orgoglioso di te” rispose dolcemente.
Lei gli sorrise.
“Grazie Kaede”
“E di che?”
“Di avermi fatto apprezzare di nuovo la
vita”
“Al contrario dovrei essere io a ringraziarti:
prima di te, nessuna ragazza era riuscita a coinvolgermi al punto da farmi
dimenticare per un po’ la mia vendetta verso mio padre. Mi hai fatto
riaprire gli occhi, mostrandomi un mondo nuovo. Ti ringrazio”
“Riesci sempre a passare a me tutti i meriti. Mi
piace quando mi parli così dolcemente”
Lui le sorrise.
“Vorrei che continuassi a parlarmi così
per sempre…” ammise la ragazza, arrossendo.
Lui rimase per un attimo sorpreso per quella frase,
poi si riprese e la baciò con passione.
“Non potrei desiderare nient’altro per il
mio futuro” le sussurrò, sottraendosi per un attimo alle sue
labbra.
La ragazza si specchiò negli occhi bellissimi,
seri e decisi, di lui.
Subito dopo lo baciò con passione a sua volta,
trasportata dal grande sentimento d’amore che provava. Mettendosi a
sedere sul letto, gli passò le braccia attorno al collo, stringendolo a
sé; gli passò una mano tra i capelli, dietro la nuca,
spettinandolo.
Lui, a sua volta, si sedette sul letto accanto alle
gambe stese di lei, continuando ad assaporarsi le morbide labbra della ragazza;
poi la strinse a sé, abbracciandola all’altezza dell’addome.
Fu un bacio lungo ed intenso che confermò ad
entrambi i reciproci sentimenti, unendoli indissolubilmente.
Ora rivedeva quella stessa ragazza, più matura,
davanti a lui, con il loro figlio tra le braccia.
Da sei anni rivedeva la stessa scena, ed ogni volta
gli faceva provare una serenità che non sarebbe possibile descrivere a
parole.
Dopo la guarigione di Kate si trasferirono subito in
America per terminare il progetto del padre di lei, e dopo soli quattro anni
scoprirono che qualcun altro sarebbe entrato nelle loro vite. Si sposarono di
lì a poco e presero una casa più grande. La gioia che poi
provarono quando seppero che il bimbo non aveva ereditato la malattia della
madre, era davvero immensa; il medico gli spiegò che i geni dominanti di
Kaede avevano sovrastato quegli, indeboliti dalla cura, della madre, e che quindi
il piccolo Takeru era sano come un pesce. Lo videro poi crescere, fino a
diventare il bellissimo bambino che animava le loro giornate.
Lo osservava tra le braccia della madre; era
bellissimo. Gli occhi espressivi di Kate, i capelli scuri di Kaede, il sorriso
coinvolgente della madre ed i lineamenti del viso perfetti e proporzionati del
padre.
Ripensò a quando decisero il suo nome.
Erano in ospedale; Kate aveva partorito da appena una
settimana, ed il bimbo era stato sistemato in una culla trasparente in una
stanza, assieme ad altri numerosi pargoletti.
Stava dormendo beatamente; a Kate e Kaede sembrava il
bambino più bello di tutti ed erano orgogliosi di essere i suoi
genitori.
“Allora, hai deciso come chiamarlo?”
chiese la donna.
Lui la guardò, poi abbassò subito lo
sguardo rassegnato.
“Tanto lo so che ci hai già pensato tu, e
che niente ti farà cambiare idea”
“Esatto!”
“E quindi, quale sarà il suo nome?”
“Takeru”
“Takeru?!”
“Non ti piace?”
“No, è bello, ma perché gli vuoi
dare un nome giapponese, visto che ormai viviamo qui in America?”
“Beh… innanzi tutto sta bene con il tuo
cognome giapponese, e poi intendo ritornare nel tuo paese natale prima o
poi”
“Vuoi ritornare in Giappone?!”
“Sì. È una terra bellissima e
tranquilla, molto più della mia. Mi piacerebbe che nostro figlio
apprezzi al massimo la terra amata dal padre; guarda che lo so che lo desideri
anche tu: vedo come ti s’illumina lo sguardo quando parli di quel
luogo”
Lui le sorrise.
“E va bene. Vuol dire che prima o poi
ritorneremo in Giappone, così che il piccolo Takeru impari ad amare quel
paese bellissimo” disse.
Lei lo abbracciò.
“E per questo che ti amo: riesci sempre a
trovare le parole giuste e a dirle con quel tuo modo dolcissimo”
“Sto solo esaudendo il tuo desiderio, te lo
ricordi? Ti parlerò dolcemente per sempre” e la baciò.
“Allora, hai finito qui? Possiamo andare adesso?
Credo che Takeru sia impaziente di visitare la città” chiese Kate,
strofinando dolcemente il naso con quello del figlio.
“Sì, ora possiamo andare” rispose
l’uomo, avvicinandosi ai due.
“Eh no, Tu non vai proprio da nessuna parte!
Come puoi andartene senza salutarci?!” affermò Hanamichi,
sopraggiungendo da dietro insieme a tutti gli altri.
“Già… Credevi forse di svignartela
così?” chiese ironicamente Miyagi.
“Ragazzi, mi avete seguito?” disse Rukawa.
“Per forza: ti rivediamo dopo dieci anni e tu
non ci parli neanche!” intervenne Eric.
“Non mi sembrava il momento adatto per parlare:
qui, in questo luogo…”
“Però… sono già passati
dieci anni dalla morte del vecchio Anzai; come vola il tempo” disse serio
Mitsui.
“Mi stupisce che dopo tutti questi anni, vi
siate ricordati tutti della promessa che ci facemmo all’aeroporto, quando
partì per l’America” disse malinconico Rukawa.
“Era ovvio che ce lo ricordassimo tutti:
giurammo di rincontrarci per onorare la memoria del caro vecchio Anzai nel
giorno del decimo anniversario della sua morte; non potevamo dimenticarcene:
è stato un uomo fantastico, che ha significato molto, per ognuno di
noi” affermò deciso Hanamichi.
“Che pensiero profondo, Pel di carota; pensavo
che tu fossi il primo a dimenticartene, con la testa che ti
ritrovi…” disse ironico Rukawa.
“Che cosa vorresti insinuare?! Vuoi litigare
subito?!” urlò furioso, mentre Eric e Miyagi lo trattenevano.
Kaede rise di gusto.
“Ehi, ehi, stavo solo scherzando; sei sempre il
solito” affermò.
“Oh… avete visto; quella era una vera
risata: allora anche Rukawa è un essere umano” intervenne
ironicamente Mitsui.
“Come ti permetti di dirmi una cosa del
genere?!” e gli diede un pugno in testa.
“Sempre i soliti; quand’è che
crescerete?” chiese un po’ rassegnato Akagi.
Subito dopo, l’intero gruppo d’amici si
guardò negli occhi e scoppiò a ridere.
“Mamma, ma cosa sta facendo papà?”
chiese Takeru, che osservava da lontano senza capire cosa stesse succedendo.
Kate fece un sorriso isterico.
“Beh… ecco vedi… papà ha rincontrato
i suoi ex compagni dello Shohoku…” rispose.
“E perché gli picchia, poi si mette a
ridere?”
“E’ un po’ difficile da
spiegare…” non sapeva cosa dire.
“In ogni caso, a parte gli scherzi, Hanamichi
aveva ragione: Anzai è stato un grande uomo ed ha fatto molto per ognuno
di noi, specialmente per me…” ricominciò Rukawa.
E con la mente ritornò a suo padre.
Ripensò a pochi giorni prima della sua
partenza, quando denunciò quell’uomo spregevole per le violenze
subite e lo fece sbattere in carcere; non riuscì però a farlo
incarcerare per la morte della madre, e questo gli rimase sullo stomaco.
“Anzai è stato come un secondo padre per
me. Purtroppo però, dopo pochi giorni di esultanza per essermi liberato
di quello vero, persi anche lui per quel suo cuore debole: quell’infarto
che lo uccise, mi ha portato via una delle persone che più hanno segnato
la mia vita. Con i suoi insegnamenti mi ha aiutato a diventare l’uomo che
sono ora, e lo ringrazio per questo” aggiunse.
“Anche per me è stato lo stesso: dopo
aver perso mio padre, mi ero legato al signor Anzai, e perderlo nello stesso
modo è stato un duro colpo per me” intervenne Hanamichi.
“Già, quell’uomo rimarrà
sempre vivo nei nostri ricordi, ed è bello rincontrarci oggi proprio per
lui” concluse Kogure.
E tutti osservarono il cielo, con una pace ed una
serenità nel cuore che solo ognuno di loro saprebbe descrivere.
“Ehi là! Kate… Ehi, siamo
qui” urlò Aruko da lontano.
“Aruko! E c’è anche Aiako. Che
bello rivedervi dopo tanto tempo! Come state?” chiese, avvicinandosi alle
amiche di corsa, con Takeru in braccio.
Quando le raggiunse, mise a terra il figlio e le
abbracciò con gioia.
“Oh Kate, è bellissimo rivederti! Ti
trovo in forma” disse Aiako.
“Grazie; anche voi non siete da meno. Ma dove
eravate? Non vi ho visto fino ad ora: c’erano solo i ragazzi alla tomba”
“Eravamo in macchina. Ogni anno il gruppo si
riunisce per venire in questo luogo, e noi li lasciamo soli, aspettando in
disparte; noi andiamo dopo, sole, quando si allontanano per chiacchierare.
È una specie di rito: ogni anno si ripete e noi lo rispettiamo. Non so
perché, ma ci sembra giusto così: infondo era il loro
allenatore…” rispose Aruko.
“Capisco. Invece per Kaede è la prima
volta dopo dieci anni; non vedeva l’ora di arrivare: per lui è un
momento molto importante”
“Oh… Ma chi è questo bambino?
Dev’essere Takeru” cambiò argomento Aiako.
“Sì, è proprio lui” e la
donna prese per mano il bimbo, che cercava in ogni modo di nascondersi dietro
la gonna scura della madre, per farlo vedere alle amiche.
“Ricordo che mi avevi parlato di lui al telefono,
tempo fa. È molto somigliante a Rukawa” osservò Aruko.
“Già, è un vero angioletto, bello
come il padre” e lo spettinò, muovendo velocemente la mano che
teneva tra i capelli corvini.
“E dove sono Daisuke e Shiory?” chiese
curiosa Kate, riferendosi ai figli delle donne.
“Sono laggiù: stanno giocando in quel
parco che si trova dall’altro lato della strada” rispose Aiako,
indicando la direzione con il dito.
“E li lasciate lì da soli?!” si
stupì.
“Ma no, cosa credi?! Li stanno tenendo
d’occhio i nonni di Daisuke: i miei genitori sono sempre molto
disponibili a fargli da baby-sitter” rispose Aruko.
“Ah ecco…”
“Mamma, cos’è un nonno?”
chiese timidamente Takeru.
“Beh… come te lo posso spigare…
ecco, vedi… i miei genitori e quelli di tuo padre sono i tuoi
nonni”
“E perché io non gli ho mai
incontrati?” insistette.
Aruko ed Aiako si guardarono negli occhi: sapevano
bene la risposta a quella domanda…
“Questa è una risposta che richiede molto
tempo… perché ora non vai a giocare con i figli di queste due mie
amiche?”
“Posso davvero mamma?!”
“Ma certo, sta attento però!” e gli
sorrise.
“Andiamo tutti al parco” propose
Hanamichi, raggiungendo le donne.
“Buona idea!” concluse Mitsui.
E tutta la comitiva si allontanò da quel luogo.
“Complimenti per poco fa: sei riuscita ad
interrompere una conversazione spiacevole” sussurrò
all’orecchio di Kate, Aruko.
“Ci sono abituata: ogni volta che Takeru fa
domande di quel genere sul passato mio o di Kaede, di cui non vogliamo fargli
sapere la risposta, distolgo la sua attenzione; credo che sia ancora presto per
lui: è troppo piccolo per certi aspetti della nostra vita
passata…” rispose sottovoce.
“Comprendo benissimo. Sei davvero un portento!”
“Ti ringrazio”
“Che cosa confabulate voi due?” chiese
curioso Hanamichi.
“No, niente, niente!” rispose
frettolosamente Aruko.
“Uhm… Voi non me la raccontate
giusta” affermò lui con aria investigativa.
“E smettila di fare l’idiota!”
concluse Eric, colpendolo in testa, amichevolmente.
Tutto il gruppo si mise a ridere, a parte Sakuragi
ovviamente.
Kate osservò con la coda dell’occhio
Rukawa: era felice e spensierato. Subito dopo il marito voltò lo
sguardo, incontrando i suoi occhi, e le sorrise dolcemente.
-Lo sapevo… Sapevo che, per te, tornare era
importante: rivedere i tuoi vecchi amici, la tua terra, la tua
città… Tutto ciò ti rende davvero felice. Sono molto
contenta per te- pensò Kate.
“Lo sai, Rukawa mi
sembra molto diverso; la tua vicinanza gli ha fatto bene: non è
più il ragazzo scontroso ed irascibile che era un tempo”
osservò Aruko.
“Oh, ma non è merito mio. Da quando
riuscì a chiudere definitivamente il brutto capitolo della sua infanzia,
facendo incarcerare suo padre, non aveva più motivo per crucciarsi per
compiere la sua vendetta; era finalmente libero e poteva dedicarsi solo a
sé stesso, ritrovando la sua serenità. Standogli accanto posso
scoprire ogni giorno nuovi aspetti della sua personalità: riesce sempre
a sorprendermi; è una persona davvero stupenda e mi sento davvero
fortunata ad essere sua moglie” rispose la donna.
“E’ bellissimo sentirti parlare di lui:
sei davvero innamorata” constatò Aiako.
“Beh, suppongo che anche voi pensiate la stessa
cosa dei vostri mariti” e guardò i due tra il gruppo di uomini
davanti a loro.
“Hai ragione: siamo davvero fortunate; tutte e
tre” dissero in coro.
Poi le amiche risero insieme.
“Ma che hanno quelle tre?” chiese
Hanamichi, osservandole con la coda dell’occhio.
“Beh, mi sembra normale che dopo tanto tempo
passato lontano, si mettano a spettegolare tra loro: è una cosa normale
per le donne” disse Kaede.
“Già, è vero” concluse
l’amico, con il sorriso sulle labbra.
Arrivati al parco, tutti si sedettero attorno ad un
tavolone da esterno in legno, salutando prima gli anziani baby-sitter ed
affidandogli Takeru.
“Allora, che ci raccontate di bello? Sono dieci
anni che non ci vediamo; cosa vi è successo nel frattempo?”
cominciò Kate, passando il suo braccio attorno a quello di Rukawa, che
le si era seduto accanto, prendendogli poi la mano.
“Che ne dite se parlo io per tutti?”
chiese alla comitiva, Aruko.
Tutti diedero il proprio consenso.
“Beh… da dove posso cominciare…
Dunque, mio fratello si è arruolato nell’esercito circa un anno
dopo la vostra partenza, e non si è mai sposato; Kogure, dopo aver
frequentato l’università, è diventato l’architetto
più stimato del Giappone, e si è sposato da poco con una collega
che ha conosciuto durante un progetto importante; Mitsui ha continuato a fare
l’allenatore di basket nell’istituto Shohoku, prendendo il posto
del buon signor Anzai, e non ha ancora trovato la donna giusta per lui…”
“Grazie per averlo fatto notare…”
bofonchiò l’interessato.
“Mi dispiace dirlo, ma è vero: finché
non metterai la testa a posto, nessuna donna ti prenderà sul
serio” e si misero tutti a ridere.
“Uffa!” brontolò Mitsui.
“Dov’ero arrivata? Ah, sì…
Eric e gli altri giocano insieme in una squadra di basket della serie cadetta,
e se la cavano bene; Miyagi ed Aiako sono rimasti insieme per molto, lei
finì i suoi studi universitari, diventando pediatra, lui gioca insieme
ad Hanamichi nella massima serie di basket, infine, in seguito alla nascita
della piccola Shiory, si sposarono cinque anni fa; e per ultimi, io e Sakuragi
ci sposammo tre anni dopo la vostra partenza, e dopo un anno arrivò a
farci compagnia il nostro diavoletto Daisuke. Francamente non so come faccio
ancora a sopportarti, maritino mio…” concluse ironicamente, voltando
lo sguardo verso l’uomo.
“Ehi!” disse Hanamichi.
Aruko gli fece una linguaccia spiritosa e amorevole.
“Stavo scherzando, tranquillo” ammise.
“Ma certo: lo sapevo…” cercò
di salvarsi all’ultimo momento, incurvando le sopraciglia ed incrociando
le braccia indispettito.
“Bugiardo” ed Aruko sorrise.
“Ti ha proprio fregato, amico” lo prese
per il collo Eric.
“Non è vero!” replicò.
E tutti risero di gusto.
Rukawa e Kate si guardarono negli occhi e, dopo un
momento, cominciarono a ridere a loro volta.
“Piantatala! Non ridete di me!” insistette
Hanamichi.
Aruko quindi si voltò e lo baciò,
zittendolo.
“Sei felice ora?” chiese poi.
“Uffa! Mi hai proprio incastrato…”
ammise.
“Vedi, è per questo che ti ho sposato: ti
amo perché ammetti sempre i tuoi errori ed i tuoi limiti. Adoro gli
uomini sinceri!” e lo baciò di nuovo.
Lui le sorrise.
“E voi due, invece? Cosa ci raccontate?”
intervenne Aiako.
“Beh… non c’è molto da
dire… Dunque, Kaede si è iscritto come, d’accordo, nella
scuola voluta da mio padre; ha studiato per alcuni anni, giocando
contemporaneamente come riserva nella squadra più forte dell’NBA,
infine è riuscito, quest’anno, a guadagnarsi la maglia da
titolare, realizzando il suo più grande desiderio. Mi ha reso la moglie
più orgogliosa del mondo!” e gli sorrise.
“Caspita!” urlarono in coro tutti.
“Smettila di dire queste cose: mi fai apparire
un grand’uomo così” disse, un po’ imbarazzato, Rukawa.
“E per concludere, ci siamo sposati l’anno
che ha seguito quello dalla nascita di Takeru. È una bella storia,
vero?” finì il discorso Kate.
“Perché non esiste una donna che parla di
me nello stesso modo con cui, Aruko e Kate, descrivono i loro mariti?!”
si chiese disperato Mitsui.
“Perché non l’hai ancora trovata,
bello” gli rispose Eric.
“Bravo! Infila pure il dito nella piaga! Senti
da che pulpito viene la predica: mi risulta che non l’hai trovata neanche
tu, bello!” rispose a tono.
“E piantatela di comportarvi come dei bambini!
Alla vostra età…” intervenne Akagi.
“E tu che t’intrometti, Gorilla?!”
dissero i due in coro.
“Come mi avete chiamato?!” chiese furioso
l’enorme uomo, alzandosi in piedi ed intimorendo gli amici.
Mitsui ed Eric si zittirono subito, un po’
impauriti.
“Lascia perdere quello che abbiamo detto: non
è successo niente. Ora calmati, siediti e rilassati, ok?”
cercarono di salvarsi.
“Molto bene” concluse, ritornando
improvvisamente calmo e tranquillo come se non fosse successo niente; il cambio
improvviso d’umore era davvero molto buffo.
“Sono sempre i soliti” affermò, con
il sorriso sulle labbra, Rukawa.
“Ehi, mamma…” intervenne
improvvisamente Shiory.
La bambina bellissima, con i cappelli scuri e ricci
della madre e la pelle olivastra del padre, sopraggiunse tutta d’un
tratto, interrompendo i discorsi degli adulti.
Per attirare l’attenzione strattonò con
la manina una manica del vestito scuro ed elegante che Aiako indossava.
“Dimmi, piccola. Che c’è?” e
la prese in braccio.
La fece sedere sulla sua gamba sinistra, sostenendola
con le braccia: una mano le proteggeva la schiena, l’altra le accarezzava
il pancino, facendole il solletico.
La bimba fece un sorriso tenerissimo, illuminando tutto
il viso con un’espressione felice.
“Mamma, basta con il solletico” e
continuava a ridere.
“Allora che c’è? Vuoi
giocare?” chiese dolcemente.
“Daisuke e quell’altro
bambino…” cominciò.
“Che è successo?!” chiese
preoccupatissima Kate.
“Loro stanno litigando” rispose.
“Che cosa?!” urlò Aruko, correndo
verso i bambini, seguita da tutti.
Quando raggiunsero i genitori di Aruko, intenti a
cercare di fermare gli irrequieti ragazzini, trovarono i due occupati ad
azzuffarsi.
“Daisuke! Smettila immediatamente!”
urlò minacciosa Aruko, prendendo per un braccio il figlio.
“Takeru! Si può sapere cosa ti è
preso?!” chiese indispettita Kate, compiendo lo stesso gesto
dell’amica.
I due bambini si guardarono per un attimo, poi,
voltando lo sguardo per rifiutare la visione del viso dell’altro, e risposero
in coro.
“Ha cominciato lui” indicandosi a vicenda.
Le due mamme, con lo sguardo poco rassicurante,
squadrarono i rispettivi figli; quest’ultimi abbassarono gli occhi, con
espressione pentita, per non guardare le donne arrabbiate.
“Sto aspettando una risposta: perché ti
stavi azzuffando con Takeru? E poi guarda come ti sei conciato!”
affermò Aruko, riferendosi al fatto che era tutto sporco d’erba a
di terra.
“Io lo so! Io lo so!” si intromise Shiory.
“Shiory… Ti ci metti anche tu
adesso?” chiese Aiako.
“E quale sarebbe il motivo?” chiese
curioso Hanamichi.
La bambina fece un’espressione spavalda, di chi
sa sempre tutto, e, chiudendo gli occhi e prendendosi il mento tra due dita
come un vero detective, svelò il mistero.
“Stavano litigando per giocare con me: Daisuke
non voleva che quel bambino prendesse il suo posto”
Tutti i presenti rimasero allibiti.
“Caspita… la piccola fa già
infiammare i cuori…” intervenne Mitsui.
“Davvero stavano litigando per te…?
Neanche la tua mamma era così precoce.” ed Aiako fece un sorriso
isterico.
“Ehi! Non è andata così!”
protestò Takeru.
“Ah no?” chiese Rukawa.
“No! Non mi interessa affatto giocare con quella
mocciosa! Io non gioco con le femmine!” ed incrociò le braccia in
segno di rifiuto.
“Come non t’interessa giocare con me?!”
chiese arrabbiata la bambina.
“Non m’interessa! Io gioco solo con mio
padre, quando m’insegna i trucchi del basket”
La bambina cominciò a piangere per capriccio.
“Come ti sei permesso! Come hai osato! Non ti
hanno insegnato che non si devono far piangere le bambine?!” urlò
con rabbia Daisuke, mettendosi nella posizione tipica del combattimento.
“Già non te l’ha insegnato
nessuno?” chiese sarcastica Kate, facendo capire al figlio che doveva
scusarsi.
“Uffa; ma perché devo scusarmi con
lei?” chiese scocciato.
“Takeru…” intimò la madre.
“Oh, e va bene…” e si
avvicinò alla bimba in lacrime.
Il ragazzino si mise un braccio dietro la nuca e,
guardando a terra con il viso arrossito per l’imbarazzo, accontentò
Kate.
“Mi… dispiace…” disse
pianissimo, quasi per non farsi sentire.
Shiory smise subito di piangere ed, asciugandosi le
guance, porse al bambino il mignolo.
“Pace fatta!” affermò sorridente.
“Ehi! Io non faccio queste cose da femmina!
Accontentati delle scuse” si rifiutò Takeru.
Rukawa si schiarì la voce per far capire al
figlio che doveva farlo.
“No, mi rifiuto! È imbarazzante”
“Takeru…” insistette Kaede.
Il figlio, con poca convinzione, alzò la mano,
chiudendola a pugno ed isolando il mignolo. Shiory strinse con decisione il
dito del nuovo amico con il suo.
“Ora siamo amici per la pelle”
affermò.
Takeru si arrese alla bambina.
“Non è giusto! A me non ha mai strinto il
mignolo!” disse disperato, Daisuke.
“Non abbatterti figliolo: arriverà anche
per te il momento giusto. Vedrai che lei, prima o poi cadrà ai tuoi
piedi” affermò determinato Hanamichi.
L’uomo spettinò i capelli rossicci del
figlio; poi, inginocchiandosi al suo fianco, lo strinse a sé,
prendendogli la spalla.
Si specchiò negli occhi scuri e spaesati di
Daisuke, poi indico con il dito un punto imprecisato del cielo.
“La vedi la meta, figliolo? Quello è il
tuo obiettivo! Impegnati e lo raggiungerai”
“Ma io non vedo niente…” affermò
Daisuke, ancora più confuso.
“Ce la farai, lo so: infondo sei mio
figlio” continuava imperterrito Hanamichi.
“Ma che sta dicendo Sakuragi? È
impazzito” disse piano Eric a Miyagi.
“La situazione sta diventando un tantino
assurda” si limitò a rispondere l’amico.
“Questa è una banda di pazzi” disse
tra sé e sé Akagi.
Kogure continuava a ridere istericamente per la strana
situazione.
“Che strano; tutto ciò mi ricorda
qualcosa… dove ho già visto una situazione simile?” si
chiese Aiako.
Subito dopo, il passato gli mostrò vecchie
immagini dei suoi ricordi.
Poi si strinse la fronte con la mano, per quello che
aveva intuito.
“Oh no… si sta ripetendo la storia!”
affermò, attirando l’attenzione di tutti gli adulti.
“Che intendi dire?” chiese Mitsui.
“Pensateci… I figli di Rukawa e Sakuragi
che non si sopportano; Daisuke ha una simpatia per mia figlia, e Shiory sembra
interessata a Takeru… Non capite? Questi due bambini si stanno
comportando nello stesso identico modo dei loro padri quando litigavano in
passato: uno per l’amore di Aruko,
l’altro perché voleva dimostrare di essere superiore!”
spiegò la donna.
Tutti si arresero all’evidenza.
“Già, è vero…” disse
Aruko.
“Ora che me lo fai notare, in effetti… Fa
uno strano effetto rivedersi nel proprio figlio” affermò
Hanamichi.
“Fa provare anche a me una strana
sensazione” dichiarò Rukawa.
“A me fa piacere!” intervenne Kate,
attirando su di sé gli sguardi degli amici.
“Che avete da guardare? L’idea del veder
ripetersi la stessa storia, non mi dispiace affatto” si
giustificò.
“Infondo neanche a me dispiace” ammise
sorridendo Aruko.
E tutto il gruppo riprese a guardare, con sguardo
sereno, quei tre bambini che giocavano insieme felici.
Kate decise di allontanarsi per un po’ dal
gruppo.
Si diresse da sola verso la tomba del vecchio amico
Anzai. Quando la raggiunse piegò le gambe fino a sedersi sui talloni,
tirando un po’ il tessuto dalla gonna del vestito scuro che indossava.
Allungò un braccio in avanti ed
accarezzò le lettere incise sulla lapide, facendo un sorriso tenue.
“Ehi là! Come mai ti sei allontanata
improvvisamente da noi? Hai deciso di venire a salutarlo?” chiese Kaede,
sopraggiungendo da dietro.
“Già” si limitò a
rispondergli.
Lui si fermò alla sua sinistra, rimanendo in
piedi, mettendole la mano sulla spalla destra.
Lei si rialzò in piedi ed appoggiò la
sua mano sinistra su quella di lui, stringendola; chinò leggermente la
testa in direzione dell’uomo, quasi a cercare il suo conforto. Subito
dopo, trattenendo le lacrime, riprese a fissare quella lapide silenziosa, con
un po’ d’amarezza nel cuore. Una leggera brezza, il tipico venticello
giapponese che si alza al tramonto, spostò leggermente la chioma bionda
di Kate, nascondendo timidamente il suo sguardo triste.
“Ehi, tutto a posto?” chiese dolcemente
Kaede.
“Sì, sì, tranquillo. Stavo solo
ripensando alla mia infanzia. Sai, il signor Anzai era un grande amico di mio
padre e quindi spesso veniva a trovarci; era bellissimo passare il tempo con
lui: era un uomo straordinario, di una bontà immensa… Mi manca, lo
sai?”
“Manca a tutti noi. Anzai era davvero un uomo
insostituibile”
“Già” e gli sorrise.
Si guardarono intensamente negli occhi, e lei
trovò il conforto che prima cercava.
Infine, lei si rivoltò di nuovo; staccò
il giglio bianco che teneva attaccato al vestito come decorazione, annusandolo
delicatamente; si chinò e lo appoggiò con grazia ai piedi di
quella lapide di pietra, cupa e priva di vita, donandogli un po’ di
colore.
“Questo era il fiore che preferiva: il giglio
bianco. Spero che gli piaccia come regalo” disse malinconica.
“Gli piacerà sicuramente” fu
l’unica cosa che disse di Kaede.
Poi si allontanarono insieme per raggiungere gli
amici.
“Allora ti è piaciuto ritornare nella tua
città?” cominciò Kate, mentre si avvicinavano al gruppo.
“Certo che mi è piaciuto!” rispose
Kaede.
“E’ un vero peccato che ce n’andremo
così presto: dopodomani ripartiremo per l’America…”
affermò quasi sconsolata.
“Ti sbagli” disse lui, sorridendo.
Lei alzò lo sguardo per incontrare quello del
marito, che invece guardava avanti.
“Che vorrebbe dire che mi sbaglio? Hai
intenzione di rimanere? E dove vivremo? E come la metti con l’NBA?
Rinunci così al tuo sogno?” chiese sorpresa lei.
“Ehi, ehi! Quante domande! Per la casa non
c’è problema: possiedo ancora la villa di mio padre; per quanto
riguarda l’NBA, il mio sogno l’ho già realizzato… e
poi, se non ritornassi a giocare con Hanamichi e Miyagi, quegli idioti non
saprebbero resistere un giorno nella serie maggiore! In più
c’è un altro motivo… Quando decidemmo il nome di Takeru, tu
affermasti che saresti ritornata qui prima o poi; beh, quel tempo è arrivato:
ritornare in questa città e rincontrare i miei amici, mi ha fatto capire
quanto mi mancasse tutto questo. Quindi ti chiedo ufficialmente di acconsentire
a rimanere qui” rispose lui.
“Acconsento con enorme piacere” e gli
sorrise.
“Dai su, ora raggiungiamo gli altri. Lo sai, mi
hanno proposto un amichevole tra noi, in memoria dei vecchi tempi, mentre tu
non c’eri. Ho proprio voglia di mostrargli di che pasta è fatto il
miglior giocatore del mondo!” disse deciso.
“Eccovi finalmente! Dove eravate finiti? Dai,
ora andiamo al campetto di fianco all’istituto Shohoku”
guidò il gruppo Hanamichi.
“Finalmente vedrò il tuo campo preferito,
papà!” disse contentissimo Takeru, raggiungendo i genitori.
Kaede lo prese in braccio e gli pizzicò
dolcemente una guancia.
“Già, campione, ora vedrai dove è
nato il talento di tuo padre”
E la comitiva si allontanò da quel luogo di
ritrovo che aveva riacceso in ognuno di loro ricordi bellissimi e
significativi.
Il venticello dolce della sera, s’intensificò
leggermente.
Il giglio bianco venne sollevato ed incontrò la
fredda lapide; i suoi petali sfiorarono dolcemente le lettere incise, poi
volò via perdendosi nell’infinità del cielo.
Trasportò con sé le parole dedicate al signor Anzai.
ANZAI
In onore dell’uomo che ha condiviso con me gli
anni migliori della sua vita.
(moglie)
In onore dell’uomo che, con i suoi insegnamenti,
ci ha guidati verso il nostro futuro.
(noi tutti,
giocatori dello Shohoku)