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Autore: Yaeko Nishiara    30/06/2012    2 recensioni
"Dopo aver pensato a lungo decisi che era arrivato il momento per me di scovarlo. Non ero d'accordo nell'essere la preda in questo gioco. Dovevo riuscire a studiarlo anche io, e per farlo dovevo prima trovarlo."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci posso credere.

-Stai scherzando vero Sushi...
La ragazza dalla voce cristallina dall'altro capo del telefono rise, anche se non la vedevo potevo immaginarmi le sue lentiggini color carota che si facevano da parte lasciando spazio al suo spensierato sorriso.
-Te lo giuro sul mio gatto!  I Super Junior se ne sono tornati in Corea dopo essere stati a Venezia solo due giorni fa!

Mi vien da piangere.

Ero disperata, i Super Junior non erano tra i miei gruppi preferiti, ma erano pur sempre un gruppo coreano. Spensi la chiamata e mi buttai sconsolata sul letto. Era il mio primo giorno a Venezia dopo un anno, e l'unica notizia con cui venivo accolta era che il giorno prima del mio ritorno i Super Junior se ne erano andati.
Le stesse strade che alcune ore prima loro avevano percorso erano le stesse che nei prossimi giorni mi avrebbero deriso, ricordandomi del mio sbaglio nel rientrare così tardi a Venezia.

Avrei potuto incontrarli...

Affondai il viso nel mio amato cuscino rosa, il cuscino che ne aveva passate di tutti i colori a causa mia, il cuscino che mi aveva accompagnato nella mia crescita, che mi aveva consolato assorbendo le mie lacrime e che aveva soffocato le mie grida, talvolta di gioia talvolta di dolore, e aveva raccolto le mie risate come solo un vero amico avrebbe fatto.
Decisi che non valeva la pena disperarsi e piangere per una cosa del genere - d'altronde il detto dice "Non piangere sul latte versato", giusto? - e rimasi li, inerme, trasmettendo e provando solo vuoto, niente di più, niente di meno.
In realtà ero ancora una novella in fatto di "Korean POPular music" , alias K-POP, ma una cosa era certa, adoravo gli SHINee. Ascoltavo per giornate intere le loro canzoni e quello mi bastava per sentirmi felice. Non conoscevo molto di K-POP perchè in realtà al di fuori degli SHINee non mi interessava altro. Mi bastavano loro.
Presi un bel respiro e, tirato fuori il mio inseparabile mp3 cromato dal primo cassetto del comodino, feci partire "Love like Oxygen" e sprofondai nel mio mondo privato, dove tutto era possibile, anche incontrare gli SHINee.

 
La mattina seguente era un nuovo giorno di una nuova vita per me, ero tornata nella città che più amavo al mondo e la vecchia me era solo un ricordo che con il tempo si sarebbe sbiadito fino a scomparire. L'unica cosa che avrei portato con me - oltre alla maturità derivata dal mio bagaglio di esperienze - sarebbe stato quel mp3 vecchio e malandato che conteneva l'unica cosa capace di farmi sorridere: la libertà, la musica.
Mi alzai presto quella mattina, mi infilai dei calzoncini di jeans e una maglietta senza maniche abbastanza lunga da nascondermi la vita ed i fianchi, uscii di soppiatto senza fare rumore e lasciai sul frigo una nota scritta per i miei zii in cui li avvertivo che non sarei tornata prima di sera. Non si sarebbero preoccupati, era abbastanza normale che io uscissi presto e tornassi tardi, l'importante era non sparire.
L'aria fredda mi colpì in viso. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.

Questo è il primo respiro della mia libertà.

Riaprii gli occhi e osservai il panorama, la laguna era distante, ma abbastanza vicina per essere distinta nei minimi particolari, era come vedere Venezia in una cartolina. Trattenni il respiro il più possibile, come impaurita di rompere quel magico mattino.

Bello.
 

La prima cosa da fare era la colazione, e la cosa che più amavo mangiare a Venezia era il tramezzino con tonno e cipolline. Solo l'idea mi faceva venire l'acquolina in bocca.
 Affrettai il passo tra le stradine e i ponti di quella incantevole città piena di misteri e fascino, il mio sguardo insaziabile di particolari cercava di scrutare ogni piccolo anfratto e vicolo del percorso che stavo percorrendo, purtroppo il mio stomaco stava avendo la meglio e i miei piedi si erano lanciati in una fuga selvaggia verso il bar con i migliori tramezzini di tutta Venezia.
Arrivai pochi istanti dopo. Il bar era deserto fatta esclusione per il ragazzo che asciugava i bicchieri dietro al bancone. Entrai timidamente ed il ragazzo alzò lo sguardo.
Aveva gli occhi azzurri, chiari, così chiari da sembrare un mare cristallino poco profondo, i capelli castani erano corti e irti, probabilmente arricchiti di gel, i suoi tratti duri lo facevano sembrare più vecchio di quello che i suoi occhi dimostravano. Nonostante tutto mi accolse con un sorriso dolce che mi trasmise fiducia e calore, come aveva fatto poco prima il sole della laguna.
Sorrisi anche io e mi sedetti ad uno dei tavolini vicino alla vetrata che affacciava su un piccolo incrocio di tre canali.
Ordinai il mio tramezzino accompagnato da una bottiglietta d'acqua leggermente frizzante. Non ero una tipa da latte e biscotti, avevo bisogno di consistenza la mattina, o la giornata sarebbe iniziata nel peggiore dei modi.
 

Lo sguardo perso nell'acqua torbida del canale, non sapevo più neanche io cosa stesse pensando il mio cervello, ero come ipnotizzata dalle piccole increspature che si creavano nell'acqua e regolarmente scomparivano. Mi riportò alla realtà il campanello della porta del bar. Qualcuno era entrato. Alzai lo sguardo e trovai qualcosa che, a differenza delle mie aspettative, era più interessante del canale.
Il ragazzo che era entrato era asiatico, una di quelle bellezze asiatiche un po' particolari che se non presti attenzione non puoi capire. L'attenzione era l'ultima cosa che mi mancava. Ero così curiosa del mondo che mi circondava che il mio sguardo non potè staccarsi da quel viso finchè i suoi occhi non incontrarono i miei e io, per evitare l'imbarazzo di essere pescata a fissare uno scnosciuto, distolsi lo sguardo tornando a fissare un punto indefinito nel vetro.
Le mie guance bruciavano. Anche se per poco, il contatto con i suoi occhi mi aveva segnato.
Non erano piatti e senza "animo proprio" come quelli del ragazzo al bancone, o come quelli di quasi tutte le persone che avessi mai incontrato. Erano vivi, posseduti da una luce propria. Guardare direttamente in quel mare che erano i suoi occhi - scuri perchè non se ne poteva vedere il fondo - avrebbe significato abbandonarsi a qualcosa di troppo..

Pericoloso.

Mi infilai in bocca l'ultimo pezzo di tramezzino e senza neanche ingoiarlo pagai e uscii velocemente dal bar per riavventurarmi in quei vicoli d'altri tempi.

 
Mi sono persa.

Esalai un sospiro di sollievo. Finalmente ero riuscita a perdermi.
Con il senso d'orientamento che mi ritrovavo era impossibile perdermi. Avrebbero potuto bendarmi e lasciarmi nel bel mezzo di una foresta e in qualche modo ne sarei uscita, trovando una via per tornare a casa.
Ma come già ho detto Venezia è una città misteriosa e affascinante che ti inebria come il più dolce dei profumi. L'aggettivo "magica" le calza a pennello, come fosse stato creato per lei, poichè è qui, a Venezia, che tutto può accadere.

 
Il sole stava calando, i gabbiani erano segmenti neri  alti nel cielo che piano piano si tingeva di rosa e d'arancio. Ero seduta sulla banchina che affacciava sul Canale della Giudecca, nella zona delle Zattere, gustandomi un gelato. Il cucchiaio di plastica in bocca e gli occhi persi nel cielo seguendo i moti irregolari degli uccelli.
Avevo passato la giornata così, vagando e perdendo la mente nello spazio che mi circondava, memorizzando i piccoli dettagli, quelli che contano ma nessuno nota.
A momenti sarebbe passato l'ultimo vaporetto per il Lido, poi sarebbe calata la notte, come un velo scuro avrebbe coperto le isole ed il mare, portando Venezia ad essere una città luminosa, piena di gioia, ma allo stesso tempo solitaria e macabra.
Sapevo che mi sarei dovuta alzare e dirigermi alla fermata delle Zattere per prendere il vaporetto che da li a minuti sarebbe passato, ma qualcosa mi teneva incollata li sul posto, come se un chiodo invisibile mi avesse bloccato a terra.
Mi voltai a guardare le centinaia di persone sedute ai tavolini del lungo canale delle Zattere. Le scrutai per bene una ad una leggendo le emozioni che prendevano piede sui loro volti. Mi bloccai.
La sensazione di essere osservata era strana. Solitamente ero io a osservare gli altri, passare inosservata e studiare la gente era un mio passatempo, ma rimanevo invisibile a loro. E invece ero li, a fissare i passanti, fissata a mia volta da uno sguardo curioso e irrisorio.
Rabbrividii. Era un brivido strano, non era per il freddo, né per la paura o il disgusto, era una sensazione nuova, quasi di...

Eccitazione.

Mi illuminai come un bambino che riceve un nuovo giocattolo. Quello era un brivido di eccitazione, una nuova sfida si poneva sul mio cammino. Il ragazzo che mi fissava - lo stesso del bar, e che non sembrava aver intenzione di smettere di guardarmi - era interessante, maledettamente interessante. Mi alzai e lui fece lo stesso.
Senza guardarlo mi diressi alla fermata, passai il biglietto elettronico per convalidarlo ed entrai.
Sentivo ancora il suo sguardo come un peso che non ero abituata a portare e sorrisi divertita dalla situazione.
Mi voltai e lo vidi allontanarsi sulla banchina, dal lato opposto al mio, una smorfia divertita dipinta sul suo volto e le mani in tasca, ostentando un portamento elegante.

Sarà una bella sfida.
  
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