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Autore: Angy_Valentine    01/07/2012    6 recensioni
Il giardino è di nuovo bianco, l’inverno è tornato e con esso la neve, insieme al silenzio che avvolge tutto quanto, anche quelle parole che ancora non abbiamo il coraggio di dire.
«Com'era l'estate per voi?» gli chiese lei con un sorriso.
«Cos'è il domani senza di te?» rispose lui, silenziosamente.
[Byakuya x Hisana]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Hisana Kuchiki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'When the Snow falls'
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Chi si rivede, eh? Non faccio in tempo a finirne una che parto subito con un’altra – mi son fatta pesantemente male scrivendo con Will of the Heart Suite (Cello&Orchestra) e Here to Stay. Non vogliatemi male, vi prego, colpevolizzate M e g a m i per avermi dato l'idea :’D Come immagino avrete capito dal titolo, questo non è altro che il sequel di “When the Snow falls”, e penso immaginiate bene a cosa si riferisce il Silenzio nel sottotitolo, un silenzio che in casa Kuchiki si sentirà fin troppo. Questo è un capitolo unico, non avrà un seguito come WtSf, per cui no, non aspettatevi anche l’arrivo di Ichigo&Co. Avrei voluto mettercelo, sarò onesta, ma così mi andava ad allegre donnine il fattore del silenzio scritto nel titolo. Comunque sia, la canzone che viene citata man mano nel capitolo è "Love you to Death" dei Kamelot, una band che m'ha fatto conoscere una ragazza tedesca su DeviantArt, anche lei appassionata del ByaSana. C'è poco da dire, è LA canzone ByaSana per eccellenza. E niente, spero possa piacervi almeno un po’ di quanto v’è piaciuta la mini-raccolta precedente. Come sempre, sapete che consigli e pareri sono ben accetti! ;)

 

 

 

When the Snow falls – After the Snow, just the Silence

時雪の落下 - 雪の後、沈黙

 

 

«Quando s'incontrarono lei aveva quindici anni
Come una rosa nera che fiorisce selvatica
E sapeva già che stava morendo
”Cos'è il domani senza di te?
Questo è il nostro ultimo addio?"

Lei s'indebolì di giorno in giorno
Mentre le foglie autunnali cadevano
Finché un giorno lei gli disse
"Oggi morirò."

"Com'era l'estate per te?"
Gli chiese lei con un sorriso
"Cos'è il domani senza di te?"
Rispose lui, silenziosamente

Lei disse,
“Io sarò sempre con te
Sono l'ancora del tuo dolore
Non c'è fine a ciò che farò
Perché ti amo, ti amo da morire.”»



Silenzio.

Totale, pieno, opprimente. In questa stanza non si ode alcun rumore. O forse sono io che non sento più nulla. Sembra quasi che una bolla mi abbia rinchiuso e mi tenga bellamente isolato da tutto il mondo circostante. E invece no, non sono io quello che è stato isolato – è solo che nessuno osa dire neanche una parola, non in mia presenza. Di sottecchi mi guardano tutti, pensano non me ne accorga ma mi sento addosso i loro sguardi, come se fossero aghi che mi pungono da ogni parte – e ogni sguardo è una dose di veleno in più che mi viene iniettata, ma non importa, non importa più nulla, ormai. So cosa cercano con quegli occhi così famelici, queste dannate vipere travestite da parenti falsamente addolorati. Aspettate solo che faccia un passo falso, che pianga, non è vero? Così da potermi criticare ulteriormente, perché ho scelto in sposa una donna povera, per di più malata e che non ha saputo dare al casato un erede prima di morire. Ci abbiamo provato, dannazione a voi. Anche a lei sarebbe tanto piaciuto avere un figlio, era così emozionata quando mi aveva detto di essere incinta. Avevamo deciso di non dirlo, per il momento, volevamo entrambi che quell'emozione unica fosse solo nostra - ma quel male che la tormentava ha distrutto anche quello, di sogno. Sembrava che a lei non fosse concesso di essere felice, non era un suo diritto, e la malattia si era prepotentemente presa anche quel piccolo barlume di serenità, facendole avere un aborto spontaneo - proprio quando il suo ventre era così teneramente arrotondato. Che diavolo ne sanno, loro, delle lacrime e delle scuse che ripeteva senza sosta, disperata, era convinta di avermi deluso, si riteneva ancora più indegna. Ma farlo sapere a queste serpi darebbe loro solo un motivo in più per disprezzarla. Non fosse che sarebbe una cosa insensata, non ci metterei nulla a metterli a tacere definitivamente – non devono nemmeno osare pensare di poter offendere l’unica donna che abbia mai veramente amato, l’unica creatura sincera in quella casa di dorata ipocrisia. A dirla tutta, ora come ora sono talmente distrutto dentro che non me ne importerebbe nulla dell’onore, del casato o altre idiozie del genere. Ma so che lei non lo vorrebbe, non per loro, ma per me. Mia sciocca, amata, adorata moglie, lei che si preoccupava sempre per gli altri e mai per se stessa, è stato forse questo che alla fine l’ha portata via da me, da queste braccia che non riusciranno più a stringere qualcuno senza pensare a lei.

Abbasso lentamente il viso finché i miei occhi si riempiono solo dei lineamenti distesi e rilassati di Hisana. Sembra una principessa addormentata, è veramente bella, e l’espressione è così serena che, come nella fiaba, forse basterebbe un semplice bacio per rivedere nuovamente le sue belle iridi bluastre – ma è una bugia, tutta una bugia. Lo so, perché ero con lei in quel momento. Il momento in cui, stringendo la mia mano più forte che poteva, con le poche energie che le restavano, ha sussurrato il mio nome e ha chiuso gli occhi per sempre, mentre il cuscino si macchiava delle lacrime che lente erano colate lungo le sue tempie. Non è morta serena, forse ancora si colpevolizzava per non essere riuscita a trovare la sorella. Spero solo che l’essermi preso carico di quel compito le abbia tolto un po’ di quel peso velenoso che sentiva sul cuore. Mia amata, amata Hisana, non è giusto. Tutti mi vedono come il freddo capofamiglia, quello che non si volta indietro quando deve andare a sterminare Hollow, che è conscio della propria forza, del proprio titolo, che non si fa avvicinare da un’anima. Ma tu no, Hisana, tu mi conoscevi meglio di come mi conoscessi io stesso, quegli occhi blu sembravano scrutarmi dentro, mettevano a nudo un cuore appesantito da doveri e regole e che pian piano si stava incrostando di ghiaccio – ma tu non l’hai mai permesso, non avresti mai permesso al mio cuore di rinchiudersi in quella gabbia d’ipocrisia, non con te. Il tuo cuore e i tuoi occhi erano troppo sinceri, così come la tua bontà – non era subdolo arrivismo, il tuo, consideravi già troppo quel che di più umile avevi.

Quante volte, Hisana, dovevo insistere perché permettessi ai sarti di confezionarti un nuovo kimono? “Ma no, Byakuya-sama, quelli che ho sono meravigliosi e ancora perfetti, non ne ho bisogno, davvero, non c’è bisogno di disturbare i signori sarti.”, ecco come mi rispondevi. Cedevi solo se subdolamente ti dicevo che serviva un kimono nuovo per una qualche cerimonia o evento – o per la danza del nuovo anno, con quel kimono rosso e la decorazione dorata sui capelli eri la creatura più bella che avessi mai visto, danzavi con un’eleganza tale che sembrava non avessi mai fatto altro nella vita. Quanto ti eri esercitata per quell’occasione, amore mio, non volevi che facessi brutta figura, volevi mostrarti degna di essere la mia sposa.

Spero di dimostrarmi all’altezza, Byakuya-sama, i vostri nobili parenti ne sarebbero felici.”, così sussurrasti la prima sera dopo le prove, avevi lavorato tanto per il tuo fisico affaticato dalla malattia, eppure avevi retto senza mai lamentarti. Erano quelle sere in cui pretendevo di tenerti vicina, ti passavo un braccio sulle spalle e ti facevo posare la testa sul petto – mi piaceva tanto guardare i riflessi che la luce dell’andon vicino al futon rifletteva sui tuoi bei capelli neri. Sì, Hisana, quello era uno dei miei capricci, peggio dei bambini, pretendevo che tu stessi lì, premuta contro il mio fianco, in quella posizione forse un po’ scomoda per te – ma sentire il tuo calore e il tuo leggero respiro mi faceva stare bene. Assecondavi con un sorriso quei miei sfizi, come le volte in cui reclamavo le tue labbra, magari anche all’improvviso, mentre controllavo dei documenti di casa e tu ti esercitavi in calligrafia. Le corteggiavo con lo sguardo, erano così fini e rosate, erano una tentazione troppo forte a cui talvolta non sapevo proprio resistere. Così come gli abbracci, o le notti passate ad amarti – sempre dolcemente, senza fretta, prendendocela con comodo. Amavo stare a fissare le tue guance arrossate e i tuoi occhi lucidi d’eccitazione, tu ti coprivi sempre il viso con le mani, mi chiedevi di non guardarti, che t’imbarazzavi, ma Hisana, forse non ti sei mai resa conto di quanto fossi bella e pura in quei momenti. Le tue mani cercavano il mio viso, mi scostavi i capelli, mi accarezzavi le guance, quelle dita piccole scivolavano leggere sulle mie spalle, a cui ti aggrappavi di quando in quando, la tua voce era così bella, Hisana, distorta dal piacere eppure mai volgare – e poi, alla fine di tutto, dopo aver ribadito con il corpo e con le parole quanto ti amavo, dormivamo stretti per scaldarci.

E tu sorridevi e mi accontentavi, Hisana, non mi hai mai detto di no. Mi piace pensare tu mi vedessi come un pilastro sicuro in quella casa forse troppo grande per te. Eppure… non sono stato abbastanza forte per impedire che tu continuassi a farti così del male, amata moglie. Non sono stato abbastanza forte neppure per fermare le lacrime che presero a scorrere sul mio viso senza che riuscissi a controllarle, perché sebbene avessi davanti il tuo corpo senza vita, stringessi ancora la tua mano esile, mi rifiutavo di concretizzare l’idea che di lì in avanti avrei trascorso l’eternità da solo.

Ricordo solo che piansi, lasciandomi scappare un solo gemito. Non ce la facevo, era troppo anche per me. Perché il fato era stato così ingiusto? Non solo mi aveva portato via mio padre quand’ero ancora un bambino… ora si era portato via anche l’unica donna che avessi mai amato con tutto il cuore. Che male avevo mai commesso? Quello di essere stato per una volta capriccioso e averti scelta come moglie, Hisana? Capriccioso ed egoista, ti ho voluta per me, solo per me, costringendoti così ad un ruolo assai scomodo se non si hanno le giuste conoscenze. E per compiacermi hai fatto di tutto, hai studiato duramente perché non rimproverassero me di aver scelto un’inetta come sposa, una poveraccia senza arte né parte. Ma sai che me ne sono sempre fregato delle loro opinioni, Hisana. Tu per me eri più importante di qualsiasi altra cosa.

Ed ora giaci lì, in quel letto di rose bianche, con il kimono color lavanda che ti piaceva tanto, quello che ti regalai per il nostro primo anniversario. È vero, è forse uno dei più vecchi che hai, ma mi piacerebbe pensare tu sia felice di averlo anche per quest’ultimo viaggio. Mi sistemo in ginocchio accanto al tuo feretro, mia amata moglie, e cerco tra le rose la tua mano. È fredda, fredda come il ghiaccio, il sentore degli oli utilizzati per la tua acconciatura e il tuo trucco mi colpiscono come un pugno in faccia – questo non è un odore che ti si addice, Hisana. Non è qui che dovresti essere distesa, amore mio, dovresti essere nel nostro futon, con le guance arrossate e quel timido sorriso che ti piegava le labbra ogni volta che arrivavo, il lenzuolo tirato su fin sotto il naso, e indosso il kimono che usavi per dormire. Non dovresti essere in questa bara, immersa tra i fiori, addormentata con quell’aria serena e dolorosamente falsa. Perché non sei morta con la serenità nel cuore, ma con lo strazio più grande che tu potessi provare – stavi morendo, e non avevi ancora fatto in tempo a rivedere la tua amata sorellina.

Porto la sua mano alle labbra, baciandone le dita, il dorso, lentamente.

«Buon riposo, amore mio.».

 

 

«Ma il dolore andò troppo a fondo
Troppo ripido il declivio della montagna
E le ferite non sarebbero mai guarite
Perché il dolore della perdita era più grande di quanto lui potesse sopportare.»

Lui disse,
“Io sarò sempre con te
Accanto all'ancora del mio dolore
Tutto ciò che so, o che abbia mai saputo,
E' che ti amo, ti amo da morire”»



I giorni, i mesi si sono susseguiti uno dietro l’altro sotto la pesante coltre dell’indifferenza e dell’apatia più completa. Ho visto la primavera fiorire rigogliosa, le gemme dei ciliegi colorare il viale che amavi percorrere con me, e poi l'estate, con la sua esplosione di colore nei fiori del giardino, la calura, i pomeriggi pigri con il frinire delle cicale e le serate fresche senza nubi in cielo. Poi è arrivato l’autunno a succhiare via quella linfa vitale, quei colori così vivi, le foglie han cominciato a creare un morbido tappeto sui vialetti di casa. A te piaceva tanto l’autunno, lo ricordo bene – dicevi che, anche se le piante stavano morendo, i paesaggi tinti di giallo, arancione e rosso avevano un che di poetico e pittoresco. Non volevi vederci il presagio di morte in quella stagione, sebbene sapessi che di lì a poco sarebbe arrivato anche l’inverno a far morire tutto. Avevi visto poche volte la neve, ne restavi sempre affascinata. Anche quel giorno eri uscita, sebbene non volessi lasciarti affrontare da sola delle temperature così rigide. Ma mi avevi promesso che saresti stata attenta, che saresti tornata indietro se avessi cominciato a star male – e avevo corso come un disperato per trovarti e riportarti a casa. Non me l’ero sentita di rimproverarti, non dopo aver visto la delusione e le lacrime nei tuoi occhi, ancora, l’avevo già vista, e l’avrei rivista ancora e ancora – anche il giorno in cui ti sei spenta davanti a me, ti sei scusata per non esser riuscita a ricambiare tutto il mio amore per te, ti sei scusata perché fino all’ultimo eri stata un peso, secondo te. Hisana, mia adorata, amata moglie, avrei continuato volentieri a prendermi cura di te anche per tutta la vita, senza problemi, pur di averti accanto mi andava bene anche così.

Ho sempre saputo che nel tuo cuore non sono mai stato l’unico: quella sorella scomparsa chissà dove era sempre presente nei tuoi pensieri, piccola, silenziosa, si faceva sentire quasi ogni giorno – e ogni giorno tu ti affannavi a cercarla, per scusarti, per rimediare al tuo errore di averla abbandonata. Non sapevi farti bastare il mio amore per te, Hisana, non hai mai voluto adagiarti sugli allori della ricchezza che la tua posizione ti garantiva. Non te ne faccio una colpa, non oserei mai – quella era solo un’ulteriore dimostrazione di quanto puro e buono fosse il tuo cuore. Cuore che, in quegli ultimi istanti di vita, ti ha spinta a chiedermi di cercare quella bambina sperduta, di proteggerla al posto tuo, di permetterle di chiamarmi “Fratello”, perché tu ti consideravi indegna di essere chiamata “sorella”, dopo averla abbandonata. La tua ingenua speranza di farle avere condizioni migliori ti aveva spinta a lasciarla in un vicolo, sapevi di non poterle garantire nulla quando tu per prima faticavi a trascinarti avanti. Ma dopo la speranza e la disillusione – il Rukongai non avrebbe mai permesso ad una bambina così piccina di sopravvivere – era arrivato il pentimento, e tu ti eri prodigata come non mai alla sua ricerca. Oh, non mi hai usato come garanzia, lo so, Hisana, speravi solo accogliessi quella tua umile richiesta di poterla aiutare portandole abiti e viveri, se proprio non poteva essere adottata in famiglia. Per te avrei fatto questo e altro, lo sai. Ecco il motivo per cui ho accettato di esaudire il tuo ultimo desiderio – ma non solo per questo, lo ammetto. Ti amo, Hisana, ti ho amata e ti amerò per sempre, e sarebbe un insulto alla tua memoria, alla vita che hai consumato troppo in fretta rifiutare questo tuo desiderio. Troverò tua sorella, amore mio, è una promessa.

 

 

Rabbia.

È forse questo il sentimento che, istintivamente, sento crescermi dentro. Non è passato neppure un anno da quando sei morta, Hisana, e nemmeno farlo apposta, mi sono ritrovata davanti quella che sembra la tua copia sputata. Se non sapessi che ora riposi avvolta dagli aromi degli incensi nel cimitero di famiglia, direi che quella che ho davanti sei tu, avvolta in un kimono bianco e rosso che infagotta la figura minuta così simile alla tua. E invece no, altri non è che la sorella che hai così tanto cercato, Hisana, e che per un vile scherzo del destino ho ritrovato solo ora. Tua sorella Rukia. Ha lo sguardo smarrito, non capisce cosa stia succedendo, non ha idea di chi io sia – non può saperlo, del resto. Kami-sama, è così simile a te che mi fa male il cuore, dannazione, fa malissimo. Mi rendo conto di quel che sto per fare, la mia parte istintiva mi dice di congedarla e far in modo di non vederla più, ma non posso, non potrei mai infrangere una promessa che ti ho fatto, Hisana – sto per accettare in famiglia questa sorella che mi ricorderà per sempre il viso della donna che ho amato, e che ora non c’è più. Non ha nemmeno aperto bocca e già sto provando un insano astio nei suoi confronti, anche se bado bene dal renderlo noto. Non faccio minimamente caso al ragazzo che l’accompagna, non è lui che m’interessa, ora come ora.

Fisso questa ragazzina dall’aria sperduta, ha capito che quello che ha davanti è un nobile e, forse a causa dei suoi trascorsi nel Rukongai, si sente particolarmente a disagio. Fattene una ragione, piccola, non pensare che io mi senta tanto meglio a guardarti in faccia – mi ricordi troppo lei, dannazione. Hisana, perdonami per questi miei vergognosi pensieri, ma la ferita della tua perdita è ancora aperta, sta andando in putrefazione sotto la facciata da capofamiglia che devo indossare, ma fa male, fa ancora tanto male, e probabilmente non smetterà mai di dolermi, non finché continuerò a dormire in un futon matrimoniale con le lenzuola fredde, mi sveglierò stringendo tra le mani solo le coperte e nient’altro, non sentirò più le tue risate, non vedrò più il tuo sorriso, se non nella foto al centro dell’altare commemorativo. È una cosa distruttiva, lo so. Eppure non ho veramente la forza né la voglia di pensare a rifarmi una vita – perché ogni donna non sarebbe altro che un tuo rimpiazzo, Hisana. Ma del resto Rukia non può capire, non sa, non è nemmeno colpa sua. Da una parte me ne rendo anche conto, non posso prendermela con lei... col tempo, forse, imparerò a farmene una ragione.

Lascio che siano i servi a spiegare a Rukia la situazione, senza ovviamente riferirle le vere motivazioni. Non voglio che sappia una cosa così delicata e personale, non ancora, non è ancora giunto il momento. Mi riferiscono che è tra le migliori nella classe di Kido, un po’ meno in quella di Zanjutsu, ma più che altro è la sua stazza a metterla in netto svantaggio in confronto agli altri. Ma avrà tempo per imparare, specie ora che è formalmente una Kuchiki. Immagino sia consapevole del fatto che dovrà sputare sangue per dimostrarsi degna del nome che ora porta, e del fatto che entrerà praticamente in automatico nel Gotei 13. Un seggio senza particolare posizione, un posto dove avrà modo di capire la vita militare delle Brigate. Ukitake saprà prendersi cura di lei. Mi obbligo a pensare che Hisana la vorrebbe sapere al sicuro, ecco perché ho scelto proprio quella caserma, per lei, è tranquilla e per lo più dedita alla sorveglianza di particolari luoghi nel mondo umano. È senza dubbio l’ideale.

 

 

La sera del suo ingresso nel Gotei, Rukia viene a farmi visita nello studio. Sto rivedendo alcuni fogli, so benissimo che è lei ad aprire lo shoji con delicatezza, quasi tema di disturbarmi. Mi riferisce che l’esame è andato bene e, alla mia domanda riguardante la posizione occupata, mi risponde titubante e piena di vergogna che non ha abbastanza forza da poter pensare di diventare subito un seggio in grado. La congedo senza aggiungere nient’altro, riesco quasi a vedermi davanti il suo viso dispiaciuto. È così simile a te anche in questo, Hisana, avete entrambe un’umiltà disarmante. Ma Rukia, non hai fallito quell’esame, non sono state le tue capacità a non essere all’altezza… semplicemente, ho impedito in consiglio di farti avere una posizione importante, non per non farti sembrare una raccomandata che entra in gran carriera solo per il nome che ha alle spalle, ma perché ho fatto una promessa a mia moglie e farò di tutto per mantenerla. Sì, Rukia, le ho promesso di proteggerti, di vegliare su di te e, se questo dovesse significare impedirti una meritata e florida carriera, che ben venga. Mi spiace solo che tu ti senta così in colpa nei miei confronti. Ma anche questo, è una cosa che non posso assolutamente dirti. Sono egoista, lo so. Proprio come un bambino.

 

 

E gli anni si trascinano avanti così, in stralci di dialoghi accennati, occhiate timorose e indifferenza. Ti rivolgo poco la parola, Rukia, e leggo nei tuoi occhi quanto questa cosa ti faccia male. Almeno, agli inizi era così, ora ti sei abituata alla rigidità dei rapporti che vige in questa casa. In questi cinquant’anni la tua umiltà non è venuta meno neanche una volta, provi sempre vergogna quando mi parli, hai sempre paura di disturbarmi o di essere indiscreta. Il fatto è che, ancor’oggi, non so bene come comportarmi con te. Sto facendo del mio meglio per proteggerti, hai saputo sviluppare le tue capacità anche grazie agli insegnamenti di quell’indisponente di Kaien Shiba, eri così timidamente entusiasta quando mi hai mostrato per la prima volta lo Shikai della tua Zanpakuto, a ragione ritenuta la più bella di tutta la Soul Society – di quel bianco così puro che ti accomuna a tua sorella Hisana. Eppure le gelide barriere che ci separano, che volontariamente o meno abbiamo eretto l’uno contro l’altra, ci tengono ancora lontani. Probabilmente ho fallito nell’essere un fratello. Nessuno mi ha mai insegnato ad esserlo, non so come si faccia. Cos’altro devo fare, Rukia? Non ti faccio mancare nulla, ti proteggo come desiderava la mia amata moglie, non ti parlo per il semplice motivo che non abbiamo argomenti in comune che non siano di lavoro – e tu sei sempre restia a parlarmene, ti vergogni ancora di non avere una carica degna nella tua Brigata. Forse Hisana non avrebbe voluto che le cose andassero così. Eppure non riesco a venirne ancora fuori, Rukia, non ora che l’inverno è tornato a bussare alle porte dell’autunno, non ora che la Seireitei è di nuovo coperta di neve. Come quel giorno, lontano ormai più di cinquant’anni, in cui lei rischiò nuovamente la vita per cercarti.

Il giardino è di nuovo bianco, l’inverno è tornato e con esso la neve, insieme al silenzio che avvolge tutto quanto, anche quelle parole che ancora non abbiamo il coraggio di dire.

 

 

«“Cos'è il domani senza di te?
Questo è il nostro ultimo addio?”

“Io sarò sempre con te
Sono l'ancora del tuo dolore
Non c'è fine a ciò che farò
Perché ti amo...”»

Love you to Death - Kamelot

   
 
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