Chi
si rivede, eh? Non faccio in tempo a finirne
una che parto subito con un’altra – mi son fatta
pesantemente male scrivendo
con Will of the Heart Suite
(Cello&Orchestra) e Here to
Stay.
Non vogliatemi male, vi prego, colpevolizzate M e g a m i per avermi dato l'idea :’D Come immagino avrete capito
dal titolo, questo
non è altro che il sequel di “When the Snow
falls”, e penso immaginiate bene a
cosa si riferisce il Silenzio nel sottotitolo, un silenzio che in casa
Kuchiki
si sentirà fin troppo. Questo è un capitolo
unico, non avrà un seguito come WtSf,
per cui no, non aspettatevi anche
l’arrivo di Ichigo&Co. Avrei voluto mettercelo,
sarò onesta, ma così mi
andava ad allegre donnine il fattore del silenzio scritto nel titolo. Comunque sia, la canzone che viene citata man mano nel capitolo è "Love you to Death" dei Kamelot, una band che m'ha fatto conoscere una ragazza tedesca su DeviantArt, anche lei appassionata del ByaSana. C'è poco da dire, è LA canzone ByaSana per eccellenza. E
niente,
spero possa piacervi almeno un po’ di quanto
v’è piaciuta la mini-raccolta precedente.
Come sempre, sapete che consigli e pareri sono ben accetti! ;)
When the
Snow falls
– After the Snow, just the Silence
時雪の落下 - 雪の後、沈黙
«Quando s'incontrarono lei aveva quindici anni
Come una rosa nera che fiorisce selvatica
E sapeva già che stava morendo
”Cos'è il domani senza di te?
Questo è il nostro ultimo addio?"
Lei s'indebolì di giorno in giorno
Mentre le foglie autunnali cadevano
Finché un giorno lei gli disse
"Oggi morirò."
"Com'era l'estate per te?"
Gli chiese lei con un sorriso
"Cos'è il domani senza di te?"
Rispose lui, silenziosamente
Lei disse,
“Io sarò sempre con te
Sono l'ancora del tuo dolore
Non c'è fine a ciò che farò
Perché ti amo, ti amo da morire.”»
Silenzio.
Totale,
pieno,
opprimente. In questa stanza non si ode alcun rumore. O forse sono io
che non
sento più nulla. Sembra quasi che una bolla mi abbia
rinchiuso e mi tenga bellamente
isolato da tutto il mondo circostante. E invece no, non sono io quello
che è
stato isolato – è solo che nessuno osa dire
neanche una parola, non in mia
presenza. Di sottecchi mi guardano tutti, pensano non me ne accorga ma
mi sento
addosso i loro sguardi, come se fossero aghi che mi pungono da ogni
parte – e
ogni sguardo è una dose di veleno in più che mi
viene iniettata, ma non
importa, non importa più nulla, ormai. So cosa cercano con
quegli occhi così famelici,
queste dannate vipere travestite da parenti falsamente addolorati.
Aspettate
solo che faccia un passo falso, che pianga, non è vero?
Così da potermi
criticare ulteriormente, perché ho scelto in sposa una donna
povera, per di più
malata e che non ha saputo dare al casato un erede prima di morire. Ci abbiamo provato, dannazione a voi. Anche a lei sarebbe tanto piaciuto avere un figlio, era così emozionata quando mi aveva detto di essere incinta. Avevamo deciso di non dirlo, per il momento, volevamo entrambi che quell'emozione unica fosse solo nostra - ma quel male che la tormentava ha distrutto anche quello, di sogno. Sembrava che a lei non fosse concesso di essere felice, non era un suo diritto, e la malattia si era prepotentemente presa anche quel piccolo barlume di serenità, facendole avere un aborto spontaneo - proprio quando il suo ventre era così teneramente arrotondato. Che diavolo ne sanno, loro, delle lacrime e delle scuse che ripeteva senza sosta, disperata, era convinta di avermi deluso, si riteneva ancora più indegna. Ma farlo sapere a queste serpi darebbe loro solo un motivo in più per disprezzarla. Non
fosse che
sarebbe una cosa insensata, non ci metterei nulla a metterli a tacere
definitivamente – non devono nemmeno osare pensare di poter
offendere l’unica
donna che abbia mai veramente amato, l’unica creatura sincera
in quella casa di
dorata ipocrisia. A dirla tutta, ora come ora sono talmente distrutto
dentro che
non me ne importerebbe nulla dell’onore, del casato o altre
idiozie del genere.
Ma so che lei non lo vorrebbe, non per loro, ma per me. Mia sciocca,
amata,
adorata moglie, lei che si preoccupava sempre per gli altri e mai per
se
stessa, è stato forse questo che alla fine l’ha
portata via da me, da queste
braccia che non riusciranno più a stringere qualcuno senza
pensare a lei.
Abbasso
lentamente il
viso finché i miei occhi si riempiono solo dei lineamenti
distesi e rilassati
di Hisana. Sembra una principessa addormentata, è veramente
bella, e l’espressione
è così serena che, come nella fiaba, forse
basterebbe un semplice bacio per
rivedere nuovamente le sue belle iridi bluastre – ma
è una bugia, tutta una bugia.
Lo so, perché ero con lei in quel
momento. Il momento in cui, stringendo la mia mano più forte
che poteva, con le
poche energie che le restavano, ha sussurrato il mio nome e ha chiuso
gli occhi
per sempre, mentre il cuscino si macchiava delle lacrime che lente
erano colate
lungo le sue tempie. Non è morta serena, forse ancora si
colpevolizzava per non
essere riuscita a trovare la sorella. Spero solo che
l’essermi preso carico di
quel compito le abbia tolto un po’ di quel peso velenoso che
sentiva sul cuore.
Mia amata, amata Hisana, non è giusto. Tutti mi vedono come
il freddo capofamiglia,
quello che non si volta indietro quando deve andare a sterminare
Hollow, che è
conscio della propria forza, del proprio titolo, che non si fa
avvicinare da
un’anima. Ma tu no, Hisana, tu mi conoscevi meglio di come mi
conoscessi io
stesso, quegli occhi blu sembravano scrutarmi dentro, mettevano a nudo
un cuore
appesantito da doveri e regole e che pian piano si stava incrostando di
ghiaccio – ma tu non l’hai mai permesso, non
avresti mai permesso al mio cuore
di rinchiudersi in quella gabbia d’ipocrisia, non con te. Il
tuo cuore e i tuoi
occhi erano troppo sinceri, così come la tua
bontà – non era subdolo arrivismo,
il tuo, consideravi già troppo quel che di più
umile avevi.
Quante
volte, Hisana,
dovevo insistere perché permettessi ai sarti di
confezionarti un nuovo kimono?
“Ma no, Byakuya-sama, quelli che ho
sono
meravigliosi e ancora perfetti, non ne ho bisogno, davvero, non
c’è bisogno di
disturbare i signori sarti.”, ecco come mi
rispondevi. Cedevi solo se
subdolamente ti dicevo che serviva un kimono nuovo per una qualche
cerimonia o
evento – o per la danza del nuovo anno, con quel kimono rosso
e la decorazione
dorata sui capelli eri la creatura più bella che avessi mai
visto, danzavi con
un’eleganza tale che sembrava non avessi mai fatto altro
nella vita. Quanto ti
eri esercitata per quell’occasione, amore mio, non volevi che
facessi brutta
figura, volevi mostrarti degna di essere la mia sposa.
“Spero di dimostrarmi all’altezza,
Byakuya-sama, i vostri nobili parenti
ne sarebbero felici.”, così sussurrasti
la prima sera dopo le prove, avevi
lavorato tanto per il tuo fisico affaticato dalla malattia, eppure
avevi retto
senza mai lamentarti. Erano quelle sere in cui pretendevo di tenerti
vicina, ti
passavo un braccio sulle spalle e ti facevo posare la testa sul petto
– mi
piaceva tanto guardare i riflessi che la luce dell’andon
vicino al futon rifletteva
sui tuoi bei capelli neri. Sì, Hisana, quello era uno dei
miei capricci, peggio
dei bambini, pretendevo che tu
stessi
lì, premuta contro il mio fianco, in quella posizione forse
un po’ scomoda per
te – ma sentire il tuo calore e il tuo leggero respiro mi
faceva stare bene. Assecondavi
con un sorriso quei miei sfizi, come le volte in cui reclamavo le tue
labbra,
magari anche all’improvviso, mentre controllavo dei documenti
di casa e tu ti esercitavi
in calligrafia. Le corteggiavo con lo sguardo, erano così
fini e rosate, erano
una tentazione troppo forte a cui talvolta non sapevo proprio
resistere. Così
come gli abbracci, o le notti passate ad amarti – sempre
dolcemente, senza
fretta, prendendocela con comodo. Amavo stare a fissare le tue guance
arrossate
e i tuoi occhi lucidi d’eccitazione, tu ti coprivi sempre il
viso con le mani,
mi chiedevi di non guardarti, che t’imbarazzavi, ma Hisana,
forse non ti sei
mai resa conto di quanto fossi bella e pura in quei momenti. Le tue
mani cercavano
il mio viso, mi scostavi i capelli, mi accarezzavi le guance, quelle
dita
piccole scivolavano leggere sulle mie spalle, a cui ti aggrappavi di
quando in
quando, la tua voce era così bella, Hisana, distorta dal
piacere eppure mai volgare
– e poi, alla fine di tutto, dopo aver ribadito con il corpo
e con le parole
quanto ti amavo, dormivamo stretti per scaldarci.
E
tu sorridevi e mi
accontentavi, Hisana, non mi hai mai detto di no. Mi piace pensare tu
mi
vedessi come un pilastro sicuro in quella casa forse troppo grande per
te. Eppure…
non sono stato abbastanza forte per impedire che tu continuassi a farti
così
del male, amata moglie. Non sono stato abbastanza forte neppure per
fermare le
lacrime che presero a scorrere sul mio viso senza che riuscissi a
controllarle,
perché sebbene avessi davanti il tuo corpo senza vita,
stringessi ancora la tua
mano esile, mi rifiutavo di concretizzare l’idea che di
lì in avanti avrei trascorso
l’eternità da solo.
Ricordo
solo che
piansi, lasciandomi scappare un solo gemito. Non ce la facevo, era
troppo anche
per me. Perché il fato era stato così ingiusto?
Non solo mi aveva portato via
mio padre quand’ero ancora un bambino… ora si era
portato via anche l’unica
donna che avessi mai amato con tutto il cuore. Che male avevo mai
commesso?
Quello di essere stato per una volta capriccioso e averti scelta come
moglie, Hisana?
Capriccioso ed egoista, ti ho voluta per me, solo per me,
costringendoti così
ad un ruolo assai scomodo se non si hanno le giuste conoscenze. E per
compiacermi hai fatto di tutto, hai studiato duramente
perché non
rimproverassero me di aver scelto
un’inetta come sposa, una poveraccia senza arte né
parte. Ma sai che me ne sono
sempre fregato delle loro opinioni, Hisana. Tu per me eri
più importante di qualsiasi
altra cosa.
Ed
ora giaci lì, in
quel letto di rose bianche, con il kimono color lavanda che ti piaceva
tanto,
quello che ti regalai per il nostro primo anniversario. È
vero, è forse uno dei
più vecchi che hai, ma mi piacerebbe pensare tu sia felice
di averlo anche per
quest’ultimo viaggio. Mi sistemo in ginocchio accanto al tuo
feretro, mia amata
moglie, e cerco tra le rose la tua mano. È fredda, fredda
come il ghiaccio, il
sentore degli oli utilizzati per la tua acconciatura e il tuo trucco mi
colpiscono
come un pugno in faccia – questo non è un odore
che ti si addice, Hisana. Non è
qui che dovresti essere distesa, amore mio, dovresti essere nel nostro
futon,
con le guance arrossate e quel timido sorriso che ti piegava le labbra
ogni
volta che arrivavo, il lenzuolo tirato su fin sotto il naso, e indosso
il
kimono che usavi per dormire. Non dovresti essere in questa bara,
immersa tra i
fiori, addormentata con quell’aria serena e dolorosamente
falsa. Perché non sei
morta con la serenità nel cuore, ma con lo strazio
più grande che tu potessi
provare – stavi morendo, e non avevi ancora fatto in tempo a
rivedere la tua
amata sorellina.
Porto
la sua mano alle
labbra, baciandone le dita, il dorso, lentamente.
«Buon
riposo, amore
mio.».
«Ma il dolore andò troppo a fondo
Troppo ripido il declivio della montagna
E le ferite non sarebbero mai guarite
Perché il dolore della perdita era più grande di quanto lui potesse sopportare.»
Lui disse,
“Io sarò sempre con te
Accanto all'ancora del mio dolore
Tutto ciò che so, o che abbia mai saputo,
E' che ti amo, ti amo da morire”»
I
giorni, i mesi si
sono susseguiti uno dietro l’altro sotto la pesante coltre
dell’indifferenza e
dell’apatia più completa. Ho visto la primavera
fiorire rigogliosa, le gemme
dei ciliegi colorare il viale che amavi percorrere con me,
e poi l'estate, con la sua esplosione di
colore nei fiori del giardino, la calura, i pomeriggi pigri con il
frinire
delle cicale e le serate fresche senza nubi in cielo. Poi è
arrivato l’autunno a
succhiare via quella linfa vitale, quei colori così vivi, le
foglie han
cominciato a creare un morbido tappeto sui vialetti di casa. A te
piaceva tanto
l’autunno, lo ricordo bene – dicevi che, anche se
le piante stavano morendo, i
paesaggi tinti di giallo, arancione e rosso avevano un che di poetico e
pittoresco. Non volevi vederci il presagio di morte in quella stagione,
sebbene
sapessi che di lì a poco sarebbe arrivato anche
l’inverno a far morire tutto.
Avevi visto poche volte la neve, ne restavi sempre affascinata. Anche
quel
giorno eri uscita, sebbene non volessi lasciarti affrontare da sola
delle
temperature così rigide. Ma mi avevi promesso che saresti
stata attenta, che
saresti tornata indietro se avessi cominciato a star male – e
avevo corso come
un disperato per trovarti e riportarti a casa. Non me l’ero
sentita di
rimproverarti, non dopo aver visto la delusione e le lacrime nei tuoi
occhi,
ancora, l’avevo già vista, e l’avrei
rivista ancora e ancora – anche il giorno
in cui ti sei spenta davanti a me, ti sei scusata per non esser
riuscita a ricambiare
tutto il mio amore per te, ti sei scusata perché fino
all’ultimo eri stata un
peso, secondo te. Hisana, mia adorata, amata moglie, avrei continuato
volentieri
a prendermi cura di te anche per tutta la vita, senza problemi, pur di
averti
accanto mi andava bene anche così.
Ho sempre saputo che nel
tuo cuore non sono mai stato l’unico: quella sorella
scomparsa chissà dove era
sempre presente nei tuoi pensieri, piccola, silenziosa, si faceva
sentire quasi
ogni giorno – e ogni giorno tu ti affannavi a cercarla, per
scusarti, per rimediare
al tuo errore di averla abbandonata. Non sapevi farti bastare il mio
amore per
te, Hisana, non hai mai voluto adagiarti sugli allori della ricchezza
che la
tua posizione ti garantiva. Non te ne faccio una colpa, non oserei mai
– quella
era solo un’ulteriore dimostrazione di quanto puro e buono
fosse il tuo cuore. Cuore
che, in quegli ultimi istanti di vita, ti ha spinta a chiedermi di
cercare
quella bambina sperduta, di proteggerla al posto tuo, di permetterle di
chiamarmi “Fratello”, perché tu ti
consideravi indegna di essere chiamata “sorella”,
dopo averla abbandonata. La tua ingenua speranza di farle avere
condizioni migliori
ti aveva spinta a lasciarla in un vicolo, sapevi di non poterle
garantire nulla
quando tu per prima faticavi a trascinarti avanti. Ma dopo la speranza
e la
disillusione – il Rukongai non avrebbe mai permesso ad una
bambina così piccina
di sopravvivere – era arrivato il pentimento, e tu ti eri
prodigata come non
mai alla sua ricerca. Oh, non mi hai usato come garanzia, lo so,
Hisana,
speravi solo accogliessi quella tua umile richiesta di poterla aiutare
portandole
abiti e viveri, se proprio non poteva essere adottata in famiglia. Per
te avrei
fatto questo e altro, lo sai. Ecco il motivo per cui ho accettato di
esaudire
il tuo ultimo desiderio – ma non solo per questo, lo ammetto.
Ti amo, Hisana,
ti ho amata e ti amerò per sempre, e sarebbe un insulto alla
tua memoria, alla
vita che hai consumato troppo in fretta rifiutare questo tuo desiderio.
Troverò
tua sorella, amore mio, è una promessa.
Rabbia.
È
forse questo il sentimento
che, istintivamente, sento crescermi dentro. Non è passato
neppure un anno da
quando sei morta, Hisana, e nemmeno farlo apposta, mi sono ritrovata
davanti
quella che sembra la tua copia sputata. Se non sapessi che ora riposi
avvolta
dagli aromi degli incensi nel cimitero di famiglia, direi che quella
che ho
davanti sei tu, avvolta in un kimono bianco e rosso che infagotta la
figura
minuta così simile alla tua. E invece no, altri non
è che la sorella che hai
così tanto cercato, Hisana, e che per un vile scherzo del
destino ho ritrovato
solo ora. Tua sorella Rukia. Ha lo sguardo smarrito, non capisce cosa
stia succedendo,
non ha idea di chi io sia – non può saperlo, del
resto. Kami-sama, è così simile
a te che mi fa male il cuore, dannazione, fa malissimo. Mi rendo conto
di quel
che sto per fare, la mia parte istintiva mi dice di congedarla e far in
modo di
non vederla più, ma non posso, non potrei mai infrangere una
promessa che ti ho
fatto, Hisana – sto per accettare in famiglia questa sorella
che mi ricorderà
per sempre il viso della donna che ho amato, e che ora non
c’è più. Non ha nemmeno
aperto bocca e già sto provando un insano astio nei suoi
confronti, anche se
bado bene dal renderlo noto. Non faccio minimamente caso al ragazzo che
l’accompagna,
non è lui che m’interessa, ora come ora.
Fisso
questa ragazzina
dall’aria sperduta, ha capito che quello che ha davanti
è un nobile e, forse a
causa dei suoi trascorsi nel Rukongai, si sente particolarmente a
disagio. Fattene
una ragione, piccola, non pensare che io mi senta tanto meglio a
guardarti in
faccia – mi ricordi troppo lei, dannazione. Hisana, perdonami
per questi miei
vergognosi pensieri, ma la ferita della tua perdita è ancora
aperta, sta
andando in putrefazione sotto la facciata da capofamiglia che devo
indossare, ma
fa male, fa ancora tanto male, e probabilmente non smetterà
mai di dolermi, non
finché continuerò a dormire in un futon
matrimoniale con le lenzuola fredde, mi
sveglierò stringendo tra le mani solo le coperte e
nient’altro, non sentirò più
le tue risate, non vedrò più il tuo sorriso, se
non nella foto al centro dell’altare
commemorativo. È una cosa distruttiva, lo so. Eppure non ho
veramente la forza
né la voglia di pensare a rifarmi una vita –
perché ogni donna non sarebbe altro
che un tuo rimpiazzo, Hisana. Ma del resto Rukia non può capire, non sa, non è nemmeno colpa sua. Da una parte me ne rendo anche conto, non posso prendermela con lei... col tempo, forse, imparerò a farmene una ragione.
Lascio
che siano i
servi a spiegare a Rukia la situazione, senza ovviamente riferirle le
vere
motivazioni. Non voglio che sappia una cosa così delicata e
personale, non
ancora, non è ancora giunto il momento. Mi riferiscono che
è tra le migliori
nella classe di Kido, un po’ meno in quella di Zanjutsu, ma
più che altro è la
sua stazza a metterla in netto svantaggio in confronto agli altri. Ma
avrà
tempo per imparare, specie ora che è formalmente una
Kuchiki. Immagino sia
consapevole del fatto che dovrà sputare sangue per
dimostrarsi degna del nome
che ora porta, e del fatto che entrerà praticamente in
automatico nel Gotei 13.
Un seggio senza particolare posizione, un posto dove avrà
modo di capire la
vita militare delle Brigate. Ukitake saprà prendersi cura di
lei. Mi obbligo a
pensare che Hisana la vorrebbe sapere al sicuro, ecco perché
ho scelto proprio
quella caserma, per lei, è tranquilla e per lo
più dedita alla sorveglianza di
particolari luoghi nel mondo umano. È senza dubbio
l’ideale.
La
sera del suo
ingresso nel Gotei, Rukia viene a farmi visita nello studio. Sto
rivedendo
alcuni fogli, so benissimo che è lei ad aprire lo shoji con
delicatezza, quasi
tema di disturbarmi. Mi riferisce che l’esame è
andato bene e, alla mia domanda
riguardante la posizione occupata, mi risponde titubante e piena di
vergogna
che non ha abbastanza forza da poter pensare di diventare subito un
seggio in
grado. La congedo senza aggiungere nient’altro, riesco quasi
a vedermi davanti
il suo viso dispiaciuto. È così simile a te anche
in questo, Hisana, avete
entrambe un’umiltà disarmante. Ma Rukia, non hai
fallito quell’esame, non sono
state le tue capacità a non essere
all’altezza… semplicemente, ho impedito in
consiglio di farti avere una posizione importante, non per non farti
sembrare
una raccomandata che entra in gran carriera solo per il nome che ha
alle
spalle, ma perché ho fatto una promessa a mia moglie e
farò di tutto per mantenerla.
Sì, Rukia, le ho promesso di proteggerti, di vegliare su di
te e, se questo
dovesse significare impedirti una meritata e florida carriera, che ben
venga.
Mi spiace solo che tu ti senta così in colpa nei miei
confronti. Ma anche
questo, è una cosa che non posso assolutamente dirti. Sono
egoista, lo so. Proprio
come un bambino.
E
gli anni si
trascinano avanti così, in stralci di dialoghi accennati,
occhiate timorose e
indifferenza. Ti rivolgo poco la parola, Rukia, e leggo nei tuoi occhi
quanto
questa cosa ti faccia male. Almeno, agli inizi era così, ora
ti sei abituata
alla rigidità dei rapporti che vige in questa casa. In
questi cinquant’anni la
tua umiltà non è venuta meno neanche una volta,
provi sempre vergogna quando mi
parli, hai sempre paura di disturbarmi o di essere indiscreta. Il fatto
è che,
ancor’oggi, non so bene come comportarmi con te. Sto facendo
del mio meglio per
proteggerti, hai saputo sviluppare le tue capacità anche
grazie agli insegnamenti
di quell’indisponente di Kaien Shiba, eri così
timidamente entusiasta quando mi
hai mostrato per la prima volta lo Shikai della tua Zanpakuto, a
ragione ritenuta
la più bella di tutta
Il
giardino è di nuovo
bianco, l’inverno è tornato e con esso la neve,
insieme al silenzio che avvolge
tutto quanto, anche quelle parole che ancora non abbiamo il coraggio di
dire.
«“Cos'è il domani senza di te?
Questo è il nostro ultimo addio?”
“Io sarò sempre con te
Sono l'ancora del tuo dolore
Non c'è fine a ciò che farò
Perché ti amo...”»
Love you to Death - Kamelot