Capitolo XXX
Giochi del Destino
Mac era
delusa per com’era terminato il diario del Conte.
In tutta franchezza aveva sperato in un “e vissero felici e contenti”
perciò
c’era rimasta davvero male, quando, la sera prima, aveva scoperto che
Lady
Sarah aveva abbandonato Andrè.
“Perché poi?” si
stava domandando, mentre attendeva che il
caffè si scaldasse. Qual era l’irrinunciabile missione di Milady? Non
poteva
credere che possedesse così tanta fermezza d’animo; qualunque donna,
anche la
più fredda e glaciale, aveva lo stesso un cuore.
Prese la
tazza e si avviò lemme lemme, sprofondata in
queste riflessioni, verso la sua stanza. Era arrivata molto presto
quella
mattina per sistemare la relazione che lei e Harm avrebbero dovuto
presentare
quel pomeriggio all’Ammiraglio e che conteneva le loro conclusioni sul
caso
Blackbird.
Da un lato
sapere che il Conte D’Harmòn e Lady Sarah erano
realmente esistiti la confortava, era bello avere appreso che le fiabe
potevano
diventare realtà, anche se quella fiaba in particolare non aveva avuto
un lieto
fine. Dopotutto sentiva di aver contratto un debito di riconoscenza con
il
bell’André, se non fosse stato per il suo diario non avrebbe mai fatto
chiarezza nei suoi sentimenti verso Harm.
Si sedette
alla scrivania, posò la tazza e diligentemente
mise mano alla bozza di relazione che il collega le aveva lasciato
sulla
scrivania la sera prima.
Anche Harm
c’era rimasto male per come era finita la
storia fra Lady Sarah e il Conte, ma la sua non era delusione per una
bella
favola senza lieto fine, al contrario ce l’aveva col Conte per non
essere stato
in grado di tenersi stretta la donna che amava.
“Perché tu cosa stai facendo?”
chiese alla sua immagine
riflessa, mentre si stava annodando la cravatta della divisa. Come al
solito
era in ritardo.
“Stai permettendo che Webb torni
a farsi strada nel cuore
di Mac, quando sai perfettamente che la ami e che l’ultima cosa che
vorresti è
che tornasse con lui. Sarah vuole solo ciò che desiderano tutte le
donne
normali: un po’ d’attenzione e sentirsi dire ‘ti amo’.”
Scosse la
testa, non era tipo da cenette romantiche, rose,
violini, anelli e dichiarazioni appassionate. Non lo era e non lo
sarebbe mai
stato, questo lo sapeva con granitica certezza, ma sapeva altresì con
altrettanta granitica certezza che amava Sarah, che la voleva accanto a
sé per
i giorni e gli anni a venire e in più di un’occasione gliel’aveva
dimostrato
con i fatti. Purtroppo ogni volta o lui o lei avevano frainteso le
parole o i
gesti dell’altro e anziché avvicinarsi avevano finito con
l’allontanarsi ancor
di più.
Mac terminò
di correggere la bozza di Harm e andò a
portargliela, visto che l’aveva sentito arrivare nel frattempo,
nonostante la
porta chiusa.
“Ciao Marine”
l’accolse, “ti stavo aspettando.”
Si stupì:
“Per cosa?”
“Ieri sera,
dopo che abbiamo terminato di leggere il
diario te ne sei andata senza dire una parola.”
“Bè abbiamo
chiacchierato per ore, mi hai fatto tornare a
casa che erano quasi le due” celiò lei.
“Però non mi
hai detto le tue impressioni sulla scelta di
Lady Sarah.”
“Che vuoi che
ti dica?” rispose sedendosi. “Ci sono
rimasta male” confessò, “se fossero stati due personaggi di fantasia
avrei
alzato le spalle e mi sarei dedicata ad altro, come faccio quando
termino un
libro che mi ha particolarmente appassionata, ma loro sono realmente
esistiti e
questo cambia le cose. Avrei preferito…”
“Avresti
preferito un happy end” completò lui per lei.
Mac sorrise
ironica del proprio stato d’animo e si prese
in giro da sola: “Che stupida vero?”
Harm la
guardò intensamente: “Per me non sei stupida” le
disse serio, “dopotutto è stata una lettura appassionante e il Conte è
un
ottimo narratore.”
“Soprattutto
è stata una lettura illuminante, non trovi?”
disse lei riprendendosi dalla momentanea debacle mentre uno
strano brillio le accendeva
gli occhi. Tuttavia non gli lasciò il tempo di replicare: “Ti ho
portato la
bozza corretta della relazione. Dimmi cosa ne pensi.” Si alzò, posò il
fascicolo sulla scrivania e uscì dalla stanza.
Harm lo aprì
e cominciò a leggere. Forse c’era una speranza,
dopotutto.
Il tempo
scorse veloce e l’ora di pranzo giunse in men che
non si dica. Harm alzò lo sguardo dalle carte e si accorse che gli
uffici erano
semideserti. Senza accorgersene era rimasto immerso nel lavoro per
buona parte
della mattinata e non aveva più visto Mac. Ma ora ne sentiva la
mancanza, e
pertanto decise di pranzare con lei, così avrebbe goduto della sua
compagnia e
nel frattempo avrebbero potuto discutere di alcune cose prima di
mettere
definitivamente in bella la relazione sul caso Blackbird.
La riunione
con l’Ammiraglio era fissata per le 16.00,
quindi dovevano sbrigarsi.
La trovò con
un piede sulla porta dell’ufficio.
“Pranziamo?”
le chiese indicandole anche il fascicolo.
“Volentieri”
gli rispose con un sorriso radioso
prendendolo sottobraccio.
Dall’uscio
della stanza di Coates, l’Ammiraglio aveva
seguito la scena. Se mai avesse avuto dei dubbi ora erano
definitivamente
fugati. Non gli era mai capitato di vedere il Colonnello prendere
sottobraccio
il Comandante con un’aria da scolara in gita. Il reef di una
vecchia canzone
gli tornò alla mente “Love
is in the air, everywhere you look around”.
Soddisfatto si ritirò nello studio, non voleva rovinare l’atmosfera
creatasi
fra i due ufficiali facendo la parte del terzo incomodo, ancorché
involontario.
Avrebbe atteso che abbandonassero la palazzina e poi sarebbe uscito a
pranzo a
sua volta.
Harm e Mac si
sedettero ad uno dei tavolini esterni di
McMurphy’s. La primavera era solo all’inizio, ma l’aria si era fatta
più
tiepida, anche il sole era divenuto più caldo e all’ora di pranzo era
piacevole
stare all’aperto.
“Presto indosserà la divisa bianca”
pensò Mac
apparentemente immersa nella lettura del menù, “e allora potrò bearmi dei suoi
bicipiti… e di altro” terminò il pensiero maliziosamente.
Ormai aveva
intrapreso la strada dell’illuminazione perciò tanto valeva ammetterlo
fino in
fondo: Harm le piaceva da impazzire fisicamente, non si stancava mai di
guardarlo e di immaginare il suo corpo sotto l’austerità della divisa o
sotto i
più comodi abiti borghesi. Era indubbio: era proprio un bell’uomo, il
classico
tipo che, quando lo incontri per strada, ti fermi e ti volti a
guardarlo fino a
quando non scompare alla tua vista invidiando a morte la fortunata
donna che
l’ha come compagno o come marito…
Spesso si era
sorpresa a chiedersi come sarebbe stata una
vita con lui, come sarebbe stato dividerne la quotidianità, se fosse un
tipo
che lasciava in giro i calzini sporchi o il tubetto del dentifricio
aperto sul
lavandino… l’arrivo del cameriere la distolse da questi pensieri.
Ordinarono e,
nell’attesa, discussero sulle modifiche apportate da ciascuno e su
quelle,
eventualmente, ancora da apportare. Ora che ebbero terminato il pranzo
si erano
accordati sulla versione definitiva da stendere.
“Non appena
torniamo in ufficio la metto in bella” disse
Mac. Poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: “Perchè non lavoriamo
in
tandem? Tu detti e io scrivo così se dobbiamo apportare ancora delle
variazioni
possiamo discuterne direttamente senza fare la spola fra i due uffici.”
Harm era
sinceramente stupito: “Sei sicura di volerlo
fare?” chiese, memore delle volte precedenti quando avevano finito con
l’accapigliarsi persino sulla disposizione delle virgole.
“Perché no?
Sono disposta a correre il rischio” rispose
lei terminando l’acqua tonica. Sapeva cosa stava pensando lui, ma non
gliene
importava nulla, lo voleva accanto a sé il più a lungo possibile.
Si alzarono e
pagarono, dopodiché tornarono alla palazzina
di mattoni rossi. Entrambi sentivano molto la presenza dell’altro
accanto e
nell’aria sembrava corresse una strana elettricità.
Mac prese
Harm sottobraccio e, chiacchierando tranquilli
del più e del meno, arrivarono a destinazione.
Durante il
tragitto incontrarono i Roberts che stavano
andando al Bethesda per il controllo mensile di Harriett, ormai in
avanzato
stato di gravidanza.
“La calma che
precede la tempesta” osservò Bud. La moglie
lo guardò con aria interrogativa.
“Di solito
quando si comportano a questa maniera manca
tanto così ad una delle loro epiche litigate” rispose alla muta domanda
il
Tenente Roberts.
Harriett salì
in macchina scrollando la testa e
sorridendo: “Conosci pochissimo i tuoi amici, caro” rispose, “se non
hai notato
lo sguardo del Colonnello e l’aria beata del Comandante.”
Bud si voltò
e sgranò gli occhi: “Vuoi dire che...” Ma non
terminò la frase. Neanche nei suoi sogni più arditi avrebbe mai osato
sperare
che quella storia decennale fosse alla fine giunta al termine.
“Non ancora,
ma sono sulla buona strada.”
Mise in moto
e partirono alla volta del Bethesda.
Nel frattempo
Harm e Mac erano arrivati, si installarono
nell’ufficio e cominciarono a lavorare.
Quando il
personale del JAG, per lo meno chi li conosceva,
li vide sparire nell’ufficio del Colonnello con la chiara intenzione di
lavorare assieme pensarono quello che aveva pensato Bud poc’anzi: di lì
a poco
il Comandante sarebbe uscito sbattendo la porta e inveendo
all’indirizzo del
Colonnello che era meglio che i rapporti se li scrivesse da sola. Per
cui tutti
rimasero ancora più stupiti, quando non solo non udirono alcunché né
videro
Rabb abbandonare l’ufficio della collega, ma addirittura, più tardi, li
videro
dirigersi tranquilli e rilassati in direzione dello studio
dell’Ammiraglio.
Ne uscirono
un’ora dopo con una pila di fascicoli tra le
braccia, entusiasti per l’inizio di un nuovo incarico ma al tempo
stesso delusi
per la fine di un’avventura tanto appassionante e avvincente.
Mentre Harm
tornava nel suo ufficio all’improvviso, senza
un perché, ricordò il bacio che Mac gli aveva dato ormai settimane
addietro e
le sensazioni che aveva provato in quegli istanti. Si rese conto che
avrebbe
voluto riprovarle, che avrebbe voluto impossessarsi delle sue labbra
per
assaporarle di nuovo. Desiderava sentirla abbandonarsi contro il
proprio corpo,
arresa alle sensazioni che sperava il suo bacio le avrebbe provocato.
Si sedette
alla scrivania, per iniziare a studiare il
nuovo caso, ma l’istinto prese il sopravvento: si alzò e uscì.
“Posso?”
bussò alla porta di Mac.
“Prima fammi
solo prendere un caffè. Sono molto stanca.”
“Te lo porto
io” e sparì in direzione della kitchenette.
Mac si stupì
e non poco per quell’insolito gesto di
galanteria. In nove anni si poteva contare sulla punta delle dita di
una mano
quante volte Harm le aveva portato il caffè in ufficio. Non lo faceva
per
egoismo o perché mancasse di sensibilità, semplicemente era… era Harm e
lei lo
amava così, non l’avrebbe cambiato di una virgola. Battute al vetriolo
comprese. Anzi, forse quello era il suo lato che la stimolava di più.
Arrivò dopo
pochi minuti con una tazza di caffè fumante.
“Appena
fatto” disse porgendogliela. “Italiano”
puntualizzò. “Ti serviranno energie supplementari Colonnello, la
giornata non è
finita.”
“Cosa è
successo di nuovo?” chiese sorseggiando con gusto
la bevanda scura.
“Quello che
sto per fare.”
Le si
avvicinò e percepì un fremito in lei, mentre il suo
sguardo s’incupiva e la sfumatura nocciola dei suoi occhi diventava
quasi nera.
Le tolse la tazza dalle mani e la posò sulla scrivania, sfiorandole il
volto
con una carezza invisibile. Le labbra di Mac parevano una calamita che
l’attraevano sempre di più. L’attirò a sé e le mise una mano sulla nuca
portando il suo capo verso di lui e posò le proprie labbra su quelle
morbide di
Sarah. La baciò a lungo e molto dolcemente, assaporandone la morbidezza
e il
profumo leggermente zuccherato. Era inebriante e paradisiaco.
Mac non
credeva veramente che tutto quello stesse davvero
accadendo, l’unico pensiero coerente che riusciva a formulare era che
la porta
dell’ufficio era semiaperta e che qualcuno li avrebbe potuti vedere.
Alla fine
rinunciò persino a quell’unico barlume di razionalità e si abbandonò
completamente fra le braccia di Harm, rispondendo con ardore al suo
bacio e
stringendosi a lui.
Sembrava che
il tempo si fosse fermato e che tutto intorno
a loro fosse scomparso, lasciandoli soli a godere di quella magia…
All’improvviso
lui la lasciò andare, ma non resistette
alla tentazione: “Avevo voglia di assaggiarti nuovamente, Colonnello”
le disse
e uscì dall’ufficio.
Una
lama di luce colpì gli occhi chiusi di
André che subito si svegliò di soprassalto, con una sensazione di vuoto
accanto
a sé. Si levò a sedere e vide che la parte destra del letto era vuota.
“Sarah?”
chiamò, pensando che fosse nelle
vicinanze, ma nessuno rispose.
“Sarà sul ponte di coperta.”
Si alzò ed entrò
nell’angusto bagno della cabina dell’Ammiraglio Blackbird, messa
generosamente
a loro disposizione dallo stesso, e si stupì di trovarvi le proprie
cose, ma
non quelle di lei.
Un
orribile sospetto gli s’insinuò nella mente,
ma non ci volle credere. Si lavò e si vestì. Era certo che l’avrebbe
trovata,
con la lunga chioma sciolta e finalmente libera dalle forcine e dalle
complicate acconciature di Corte, sulla tolda, abbigliata in tenuta
maschile e
immersa in una fitta conversazione con l’Ammiraglio Blackbird o con
qualcuno
dei suoi ufficiali.
Salì
sul ponte e la brezza tesa e fredda
dell’Atlantico lo accolse. Onde alte almeno tre metri si scontravano
con il
robusto scafo della “Medea”,
che fendeva la superficie di piombo liquido del
mare con sicurezza ed agilità. Intorno a lui ferveva l’attività dei
marinai,
mentre un giovane sottufficiale gridava loro gli ordini che a sua volta
riceveva dal secondo in comando, in piedi sul cassero di poppa accanto
all’Ammiraglio
che era al timone del veliero.
Di
Sarah non v’era traccia. Dove poteva essere?
Rise
divertito per non averci pensato prima.
Avrebbe dovuto ormai essere abituato al suo anticonformismo, ma ancora
faticava
a starle dietro.
“La cambusa!” pensò
e subito si tranquillizzò.
Salì sul castelletto di poppa e raggiunse l’Ammiraglio Blackbird.
“Buongiorno
Conte” lo salutò il lupo di mare.
“Buongiorno
Ammiraglio. Un po’ agitato stamani
il mare, vero?”
“Non
più del normale, Conte. Questa non è la
stagione più adatta per affrontare una traversata, ma data l’urgenza…”
Gli
rispose Blackbird lasciando il timone al suo secondo e scendendo con
lui i tre
gradini che dividevano il castelletto di poppa dal ponte vero e
proprio.
“Stamani sul far del mattino abbiamo incontrato del vento teso
proveniente
dall’Irlanda, la nave ha ballato un po’. Spero che questo non vi abbia
disturbati.”
André
lo guardò senza capire: “Non mi sono
accorto di nulla. L’ultimo ricordo che ho è di ieri verso sera: ho
bevuto un tè
con Milady e poi sono crollato sul letto addormentato.”
Il
sospetto di poco prima tornò più forte, ma
anche questa volta D’Harmòn non volle dargli ascolto.
“A
proposito di Milady” chiese, “l’avete vista?
Al mio risveglio non l’ho trovata in cabina e ho pensato fosse salita
sul
ponte, ma non la vedo neanche qui.”
L’Ammiraglio
Blackbird scosse il capo:
“Desolato Conte. Sono sveglio da quando abbiamo lasciato il porto di
Southampton e non ho visto nessuno.”
“Il porto di Southampton?”
pensò.
Si
congedò rapidamente dall’Ammiraglio e scese
di corsa in cabina. Entrò e cominciò a guardarsi attorno, cercando gli
effetti
personali di Sarah… non trovò nulla, ma vide il suo diario aperto sul
tavolino
dove ricordava d’averlo lasciato la sera precedente, sotto il libro che
stava
leggendo.
Si
avvicinò, lo prese in mano e divorò con
ansia le parole che vi trovò scritte.
Lei
se n’era andata…
Lentamente
risalì in coperta, si avvicinò al
parapetto di poppa, sperando di scorgere ancora la costa inglese.
“Perché Sarah?” si
chiese, appoggiando le mani
alla balaustra di legno finemente intarsiata con il cuore gonfio di
dolore e
tristezza.
Fissò
l’orizzonte dove la scia della “Medea”
si
confondeva con il cielo plumbeo, mentre il vento freddo del Nord
Atlantico si
portava via le sue lacrime.
Fine
Dedica
Questa
fanfic è dedicata a Mr.Smith.
E’
un grazie personalissimo per averci regalato dieci anni
di sogni, per averci fatto scoprire una vena creativa che non sapevamo
di possedere,
per averci fatto venir voglia di innamorarci di nuovo e per aver reso
possibile
conoscere tante persone che non avremmo mai incontrato se non avessimo
visto
JAG e non ci fossimo “innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.
Dedicata
a David: il classico tipo d’uomo che, quando lo
incontri per la strada, ti fa voltare e rimanere ferma ad osservarlo
fino a
quando non scompare dalla tua vista.
Questa
fanfic è dedicata anche al personaggio di Harmon
Rabb jr., eroe gentile ed affascinante,
dal cuore nobile e dal sorriso splendido.
Di
te, Harm, non ne abbiamo mai abbastanza e, pur di far
brillare la tua stella all’infinito, siamo riuscite a farti rivivere
persino
attraverso i secoli.
Grazie
per avercelo permesso, ispirandoci
con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi
dubbi e le tue esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre
lasciato
immaginare, sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.
Disclaimers :
Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.