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Autore: ViolaNera    01/07/2012    4 recensioni
Non è la luna, lui. Non è una bella creatura da guardare, senza sentimenti, senza pensieri profondi, senza amore.
Sa ascoltare, capire, consolare, dare consigli. Sa abbracciare ed accarezzare, gli piace farlo.
Allora perché...
Perché la sua famiglia sembra non capire?
[Partecipa all'esperimento "Otto Autori Per Un Prompt"]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'esperimento "Otto autori per un prompt" ed è ispirata, per l'appunto, al seguente prompt:


Nessuno ha mai pensato a Norvegia come una persona affettuosa, inclusi i suoi fratelli.
Ma Islanda faceva molti incubi quando era piccolo. Invece di andare da Norvegia nel pieno della notte, preferiva strisciare nel letto di Danimarca, che era sempre pronto a coccolare Islanda per farlo sentire al sicuro dopo un incubo.
Norvegia non l'ha mai saputo, perché gli altri due non ne hanno mai realmente parlato. Ma un giorno, in epoca recente, lo scopre ed è probabilmente geloso, forse anche arrabbiato e pieno di risentimento -ma per la maggior parte ferito, perché non avrebbe mai negato l'affetto di Islanda. (Chi scrive su questo prompt è libero di giocare con la reazione di Norvegia, anche se preferirei rimanesse sul negativo).
Bonus: Islanda va ancora, ogni tanto, da Danimarca per farsi rassicurare.
Bonus2: Il bonus di cui sopra è il modo in cui Norvegia viene a sapere di tutte le altre volte.

A questa iniziativa hanno partecipato anche:


adrienne riordan

AmyLerajie

happylight

Milla Chan

OrochiMary

Rota

s_theinsanequeen









«Norge...»
«Stai zitto.»
«Dai, non puoi-»
«Stai. Zitto.»
«Ma...!»
Lo schiaffo è talmente improvviso che Danimarca non ha il tempo di evitarlo.
Lo prende in piena guancia ed è così forte, secco e carico di livore da lasciargli la testa completamente girata, mento parallelo alla spalla come stessero recitando in una commedia. Ma c'è davvero poco umorismo in quel momento.
Gli occhi di Danimarca diventano lucidi dal dolore inatteso e si volta piano, molto piano, la mano che sale a portare un minimo di sollievo al bruciore quasi istantaneo, sospeso tra incredulità e rammarico. Muove le labbra formulando il suo nome ancora una volta, ma non ne esce più un suono.
Lo sguardo di Norvegia è vuoto, il braccio di nuovo abbandonato lungo il fianco quasi come se non gli appartenesse, come se non avesse appena alzato la mano su di lui.
«Una buona volta imparerai a tacere», è il commento del norvegese. Nessuna scusa, nessun segno di pentimento, il solito sguardo vitreo e distante.
Danimarca sente gli angoli della bocca piegarsi verso il basso, un principio di furore in corpo, ma soprattutto tristezza. Di quella ne ha tanta.
«Stai... esagerando.»
Glielo dice a costo di farsi picchiare ancora, perché gli si stringe la gola e di lì a poco non riuscirà a dire altro. Glielo dice perché è la verità, è ciò che pensa e sa di non meritarsi quel trattamento. È ingiusto ed è estremo, così poco lui.
La reazione di Norvegia a quell'accusa non si manifesta ed il suo bel viso resta calmo, eccezion fatta per un piccolo movimento delle sopracciglia che paiono fremere di irritazione.
È l'ultima volta che Danimarca incontra il suo gelido sguardo indaco, prima che questi gli dia le spalle ed esca dalla sua casa, sparendo nel cuore della notte senza un'altra parola.


Esagerando?
Norvegia cammina con le mani affondate nelle tasche, rimaneggiando mentalmente quel verbo e rivedendo Islanda, il fratello che ha sempre amato in modo quasi maniacale, bussare timidamente alla porta del danese e infilarglisi in camera.
Se soltanto non si fosse alzato per un'improvvisa voglia di akevitt, staccandosi dal libro che lo stava tenendo alzato a quelle ore piccole della notte, non l'avrebbe scoperto. Nessuno si è mai disturbato ad informarlo.
Il palmo destro gli brucia ancora, ma non per il dolore dello schiaffo in termini fisici; è sicuro che abbia fatto più male al danese che a lui, abituato ai suoi scappellotti superficiali vicino alla spalla o dietro la nuca, ai leggeri pizzicotti scorbutici, ai colpetti col piede sotto al tavolo per fargli smettere di innervosire Svezia, ma non ad uno schiaffo di tale portata.
A Norvegia brucia perché ha perso il controllo, perché in quel momento la sua rabbia ha raggiunto livelli talmente tanto alti da aver bisogno di uno sfogo immediato che per lui, a parole, sarebbe stato impossibile.
Si ferma di botto sollevando il mento e fissa la Luna in lontananza, remota, perfettamente tonda ed eterea, immutata nei secoli.
Molte persone si sono fermate spesso ad ammirarla, incantate, deliziate, usando strumenti di precisione per studiarne meglio i particolari. Ci sono stati uomini che hanno sognato di andare lassù, passeggiare tra i suoi crateri perlacei, esplorarla e conoscerla, attratti dal mistero della lontananza di migliaia di chilometri. In letteratura, teatro e poesia, innumerevoli innamorati hanno rivolto a lei preghiere, canzoni e fatto giuramenti.
Luminosa, solitaria... e fredda. Insensibile alle richieste terrene come qualsiasi dio, non compie magie, miracoli, non si cura degli affanni umani.
La sua bellezza affascina, ma non dà nulla in cambio. È un grazioso e luminoso soprammobile del cielo.
È così che lo vedono, tutti quanti loro?
Una lacrima solca lentamente la sua guancia mentre cerca di tenere fermo il mento, scoprendo che non deve fare nessuno sforzo. Il viso resta come vuole lui, immobile e pacato. Non riesce neppure a soffrire come dovrebbe, tanto è abituato a non mostrarlo. C'è solo quella lacrima; una singola, preziosa scia che per una volta vorrebbe gli altri fratelli potessero vedere e comprendere.
Sale con l'indice a toccarla, inumidendosi il polpastrello e portandola via dalla pelle.
Non è la Luna, lui. Non è una bella creatura da guardare, senza sentimenti, senza pensieri profondi, senza amore. Sa ascoltare, capire, consolare, dare consigli. Sa abbracciare ed accarezzare, gli piace farlo.
Allora perché...
Perché la sua famiglia sembra non capire?
Non è facile, Norvegia. Ha un carattere chiuso, introverso, è timido e non parla volentieri, ma questo basta a farlo etichettare come anaffettivo?
La sua natura lo fa essere così schivo, ma dentro di sé ama.
È tanto arrabbiato che per un momento pensa di tornare indietro nella casa di Danimarca e colpirlo ancora. Dirgli che non ce l'ha con Islanda, anche se l'ha ferito (ma questo no, non lo direbbe); ce l'ha con quel maledetto bastardo che ha coccolato il suo fratellino e l'ha rassicurato per anni, senza disturbarsi a coinvolgerlo, renderlo partecipe di quegli incubi per trovare insieme un modo per farli passare.
È geloso? È gelosia quella belva che lo lacera dentro?
Avrebbe adorato sentire le coperte scostarsi, fargli posto accanto a sé e posare piccoli baci tra i suoi capelli sottili. Avrebbe amato sentire il suo corpicino tremante farsi a poco a poco più fermo, rilassato, fino a prendere sonno soltanto per il potere della sua presenza rassicurante.
Avrebbe voluto essere un buon fratello, se soltanto gliene avesse dato l'occasione e l'avesse fatto sentire importante.
Cosa gli ha fatto pensare che gli avrebbe negato conforto e calore?
A quanto pare ce l'ha anche con Islanda. Non con il bambino, ma con il giovane adulto che continua a cercare la mano tesa di Danimarca in caso di bisogno, quello che si infila di nascosto in camera sua e si fa abbracciare.
I suoi gesti sono sempre stati meno eclatanti di quelli del danese. Non ha mai esclamato a gran voce che aveva preparato i dolci preferiti di Islanda, ma ha sempre messo un fiore nel suo vassoio quando stava male e gli portavano la colazione a letto.
Era quello che gli sfilava il libro dalle dita abbandonate e lo ricopriva sul divano spegnendo poi la luce, non quello forte che se lo caricava tra le braccia e lo portava direttamente a letto. D'accordo, ma...
È da un paio di minuti che Norvegia si sta fissando le braccia, aperte come per accogliere un corpo fatto d'aria.
I suoi gesti sono minimi, dettagli forse difficili da notare, ma ci sono sempre stati.
Si stringe le braccia attorno alle spalle, chiudendo gli occhi dall'angolo della strada solitaria in cui si è quasi nascosto. Ha freddo e mal di testa, non ricorda di essersi mai sentito tanto solo e non ha mai avuto meno voglia in vita sua di vedere qualcuno.
Vorrebbe soltanto sparire. Per un po'.
Esagerando.
Se Danimarca o Islanda capissero la profondità del suo risentimento, il senso di inutilità, il sentirsi messo in disparte, quando avrebbe voluto dimostrare almeno a lui, almeno ad Islanda che...
Ma non lo possono capire, perché non ha alcuna intenzione di spiegarlo.
Si sente tradito e non gliene importa niente se tutti penseranno che stia esagerando quando non lo vedranno più.


«Non risponde al telefono», sussurra, chinando il capo sul tavolo della cucina di Danimarca. «Che cosa facciamo?»
Il danese gli mette davanti una fetta di dolce e gli si siede accanto, il viso tirato e così serio da non sembrare nemmeno lui. Resta in silenzio per un po', pensando a cosa rispondere ad Islanda, poi si risolve in un sospiro stanco e si passa la mano tra i capelli spettinati. «Non lo so.»
La nazione minore stacca un pezzetto di torta con la forchetta e se la avvicina alle labbra, ma non va oltre e riporta la posata dentro il piatto dopo un breve attimo di esitazione. Ha lo stomaco chiuso, anche per i buonissimi dolci danesi.
Non è abituato a scontrarsi con un muro così tangibile da parte del fratello. Con lui parla bene, anche se poco. Non sa come comportarsi davanti a quel silenzio ostinato. Due settimane senza notizie sono troppe.
Sente gli angoli degli occhi bruciare al solo pensiero che non voglia vederlo.
«Credo che gli abbiamo fatto del male, Is», sussurra il danese, rubandogli il piatto e cominciando a giocherellare con la torta come un bambino capriccioso. «Non lo dirà, ma è così ed io non so come chiedergli scusa. Non vuole parlarmi, come dovrei fare?»
Si accascia in avanti, posando il mento sopra le braccia incrociate.
«Devo obbligarlo ad ascoltarmi. Forse mi tirerà un altro schiaffo, ma-»
«Che cosa?», sussulta l'isola.
Danimarca si mordicchia il braccio, infittendo lo sguardo. Qualcosa di molto vicino ad un ops.
«Noregur non avrebbe mai...!», comincia, tentennante, per poi sincerarsi dal silenzio del danese che è successo davvero. Il malessere lo ingloba ulteriormente.
«Vado da lui.»
L'islandese si alza in piedi, risoluto e pensieroso.
«E se non ti aprisse?»
Si guardano negli occhi, entrambi sulle spine.
«Butterò giù la porta.»
Danimarca ridacchia, si alza a sua volta e gli mette una mano sulla spalla.
«Se vuoi ci andiamo insieme. Nor mi... ecco... mi manca», ammette candidamente.
Il minore gli mostra un debole sorriso, sfiorandogli la mano con tenerezza. Poi si schiarisce la voce con fare adulto e la ritrae.
«No, ho delle cose da dirgli in privato. Preferisco fare questa visita da solo.»


Con il dito piantato sul campanello di Norvegia, Islanda assume una faccia di pietra. Sta iniziando a pensare alla seria eventualità che dopotutto non gli apra, così come si rifiuta di rispondere alle telefonate.
Ovviamente non butterebbe giù la porta, ma se ne andrebbe a spalle basse, incazzato nero e gli farebbe trovare decine di sms adirati.
Ha ancora quella faccia terribile addosso quando la porta si schiude lentamente e gli occhi fissi del fratello maggiore incrociano i suoi.
«Noregur», sbotta, un po' sorpreso.
«Che cosa c'è.»
Che cosa... che cosa c'è? Bell'inizio, molto norvegese!
«Lo sai, questo tuo modo di essere è una delle ragioni per cui preferisco andare da Danmörk!»
Le palpebre di Norvegia si abbassano leggermente, poi dallo spiraglio si vedono soltanto le sue labbra che formulano una frase soffiata. «Fai come preferisci.»
La porta si richiude senza rumore, lasciando Islanda basito e ancora più furente, ma riesce a far sfumare la rabbia, perché comprende di aver detto una cattiveria.
Appoggia la fronte e i palmi delle mani a quella barriera di legno bianco. Sa che il fratello è ancora lì dietro, riesce quasi a sentirne la presenza, il debole respiro.
«Sc-scusami.»
È una faticaccia buttare fuori quella semplice parola, ma sente di dovergliela. «Danmörk è... lo sai com'è. Non puoi reagire così solo perché qualche volta mi è capitato di essere spaventato e sono andato da lui. Noregur...»
«Sono freddo», sussurra l'altro, dallo spiraglio della porta di nuovo socchiusa.
«Non ho detto che sei freddo.»
«Credi che non sappia abbracciare un bambino che ha paura.»
«Non ho detto nemmeno questo!»
«Allora spiegami perché non sei mai venuto da me.»
La porta si apre completamente e sulla soglia c'è un norvegese così pallido e abbattuto che stenta quasi a riconoscerlo.
È sempre stato magro, quasi minuto, se paragonato all'imponenza di Svezia e Danimarca, ma la sofferenza è così tangibile, così evidente, anche nel suo aspetto esteriore, da fare male.
Perché? È una stupidaggine! Perché prendersela tanto?
«Stai esagerando, Nore», sussurra, studiando il suo viso e ripetendo inconsapevolmente la stessa accusa mossagli dal danese.
«Esagerando», ripete l'altro, sempre con quel tono incolore e lento come se stesse assaggiando il termine.
E se non stesse esagerando? Se non fosse semplice stizza? Se fosse ipersensibile e la scoperta lo avesse oltremodo offeso?
Danimarca ha detto che l'hanno ferito. È possibile?
Islanda resta impietrito da quella considerazione.
Non Norvegia, non quell'uomo sicuro di sé al limite dell'apatia, controllato e forte, non la nazione che ha sempre ammirato con una punta di inadeguatezza.
«Credi che sia esagerato risentirsi perché non sei la prima scelta quando il tuo fratellino fa un incubo. Credi che sia troppo prendersela perché una persona alla quale non negheresti mai conforto, parole gentili ed un abbraccio non viene da te nemmeno quando è ormai un adulto.»
Islanda lo ascolta, il respiro ridotto a poche boccate casuali.
«Ti conforta bene, Is? Fa scomparire le tue paure? È un valido appoggio per te?»
L'isola fa un piccolo cenno affermativo, china il capo e stringe le labbra in una linea sottile, gli occhi che lottano per non farsi velare da lacrime amare.
«Questa è la cosa più importante.»
Norvegia tenta nuovamente di chiudere la porta, ma la mano di Islanda si abbatte su di essa, picchiando forte e fermandolo.
Guarda per terra, gli angoli della bocca tremolanti, lo sguardo fisso e lucido.
«Hai sempre voluto che fossi indipendente e forte. Coraggioso. Mi avresti disprezzato se ti avessi cercato perché vedevo forme nel buio, perché sognavo di essere separato da voi, perché avevo il terrore di restare solo», confessa, la voce ridotta ad un sussurro spezzato e roco al semplice ricordo di tutto il dolore. «E indovina, Nore. È successo. Mi avete abbandonato davvero ed io sono rimasto solo come l'isola che rappresento. Quindi sì, Danmörk mi conforta e ancora oggi ho degli incubi tremendi, ma non posso permettere che tu veda quanto questo mi debiliti o... ti deluderei...»
Norvegia allunga timidamente una mano e con lentezza eccessiva comincia a sfiorargli i capelli sulla fronte. «Non ti disprezzerei mai, Is. Tutti abbiamo paura di qualcosa.»
«Non tu!», grida, stringendo i pugni e non muovendosi di un millimetro. «Tu sei sempre perfetto, niente ti scuote o ti ferisce. P-per questo ho sempre cercato di assomigliarti!»
Norvegia non mostra emozioni, ma le sue parole lo colpiscono immensamente. Islanda che cerca di assomigliargli è...
È così sorpreso, commosso, in un certo senso, che non trova le parole adatte per dirgli che anche lui, in realtà, spesso si sente ferito e soffre come tutti. Non è perfetto, non è la Luna, come può anche solo pensarlo?
«Mi vedi come un punto di riferimento?», gli chiede invece, muovendosi appena in avanti.
L'isola annuisce, combattiva e altera, come pure paonazza di vergogna.
La mano destra del maggiore torna a sfiorargli la fronte, delicata, scostando le ciocche senza spettinarlo.
Un punto di riferimento, una figura da imitare, qualcuno da non deludere mai, qualcuno al quale non si possono mostrare i lati deboli del proprio cuore.
Quello lo rende importante come Danimarca? O di più?
Quella confessione lo rende speciale per Islanda?
«Quando eri piccolo ti accarezzavo sempre in questo modo.»
«M-mh.»
«Ma le sue mani sono sempre state più grandi delle mie», commenta, come parlando a se stesso, ritirandola e fissandosi il palmo con una certa amarezza. «Le sue carezze restano migliori.»
Stringe la mano a pugno per un momento e poi la distende, portandosela alla guancia. La ritrae dal proprio viso quasi immediatamente ed abbandona il braccio lungo il fianco. «Danimarca ha le mani calde.»
«Noregur», pigola Islanda, riprendendo la mano e mettendosela sul viso ad occhi chiusi.
Non si metterà a discutere su quanto siano piacevoli le coccole protratte di Danimarca, dal momento che realmente è da lui che andava a cercare affetto, ma la mano fresca di Nor -non fredda- gli è sempre piaciuta da morire, così come le sue carezze metodiche, instancabili.
Norvegia fa un piccolo passo avanti e sposta la mano dietro la nuca del fratellino, avvicinandoselo fino al petto per tenerlo più vicino. Immediatamente, Islanda si appoggia a lui e lo circonda, timidamente, agganciandosi alla sua schiena con le dita artigliate.
Vieni anche da me, gli sembra che Norvegia stia dicendo con quelle tenui carezze. Vieni da me, io ci sarò, combattiamo insieme la paura.
«Siamo fratelli, anche se non vuoi dirlo. Ricordalo sempre.»
Islanda apre gli occhi con lentezza, sentendoli bruciare ancora, e prende tra i denti, in modo infantile, un piccolo lembo della sua camicia a righe.
Sì, padre.
   
 
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