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Autore: Katniss85    02/07/2012    3 recensioni
Eravamo una coppia, formata da due singoli individui che un tempo condividevano tutto, e il tempo dopo, non condividevano nulla.
E può un matrimonio basarsi sul nulla?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ridere, adesso manca il nostro ridere

 

Guardai il plico di fogli davanti a me. Non potevo crederci. Mi dondolai sullo sgabello, reclinando la testa all’indietro.

Ventisette anni e quasi divorziata. Questo era quello che ero. E il plico di fogli davanti a me erano le carte del mio divorzio.

Certo, dovevo firmarle per sancire legalmente la mia separazione da mio marito, a breve ex.

Sospirai e mi alzai. Avevo aperto una bottiglia di vino rosso non appena avevo ricevuto la busta contenente i documenti.

Mi versai un bicchiere di vino e tornai a sedere.

Avrei voluto che il vino cancellasse quella serata, i documenti e perché no, anche tutta la mia vita.

Mi sentivo una fallita. Non ero riuscita a realizzare quello che più volevo: un matrimonio perfetto, fatto di amore, comprensione, stima reciproca e tanti piccoli frugoletti di diversa età attorno a me.

Era il mio sogno fin dall’infanzia. Non aspiravo ad una brillante carriera o a una vita da manager.

Quello che volevo era fare la mamma e la moglie, e per un po’ di tempo avevo davvero creduto che il mio desiderio potesse esaudirsi.

Me lo aveva fatto credere Simone, quello che, fino a poco tempo prima, era mio marito.

Cosa spinge una coppia prima a separarsi e poi a divorziare?

Era una domanda che mi ero fatta spesso nell’ultimo periodo.

Io non avevo trovato Simone a letto con un’altra.

Io stessa non ero andata a letto con nessun altro.

Non ci odiavamo neppure, io e Simone.

Non c’erano state sfuriate, litigi infuocati o altro. Semplicemente, lentamente, avevamo smesso di parlarci, di interessarci l’uno dell’altra.

Vivevamo assieme, ma non stavamo mai assieme.

Eravamo una coppia, formata da due singoli individui che un tempo condividevano tutto, e il tempo dopo, non condividevano nulla.

E può un matrimonio basarsi sul nulla?

Eravamo stati in analisi. La nostra dottoressa si stupì del nostro equilibrio. Avevo provato a scavare a fondo in noi, nel nostro animo, nei nostri ricordi. Per tirare fuori rabbia, rancori, dispiaceri che c’erano ma che non avevamo mai avuto il coraggio di esternare.

Ma nulla.

Simone era il marito ideale.

Premuroso e dolce.

Focoso e passionale.

Attento e disponibile.

Almeno durante il fidanzamento e i primi anni del matrimonio.

Poi si era spento. E io con lui.

 

Quando suonò il cellulare sobbalzai sulla sedia. Guardai il display. Il nome di Simone campeggiava su di esso.

-Pronto- dissi, con voce atona.

-Ciao Giulia-disse lui. Il suo tono di voce non sembrava molto diverso del mio.  -Come stai?-.

-Tutto bene, grazie- mentii.

Come potevo dirgli che, ora che non eravamo più una coppia, adesso che le carte del divorzio erano state fatte, avevo voglia di parlare con ore con lui, per dirgli che no, non andava bene niente e per sentirmi dire che, assieme, avremo messo a posto tutto.

-Senti, ti ho chiamato per le carte…-.

Le carte del divorzio ovviamente.

-Sì, certo. Sono qui davanti a me. Voglio dar loro un’occhiata e al più presto le faccio avere all’avvocato firmate-risposi.

Lo sentii sospirare. -Giulia, non c’è fretta. Prenditi tutto il tempo che vuoi, tutti i giorni che ti servono…-.

Ma firmale, pensai mentalmente io.

Perché mi facevo così tanti castelli in aria, mi ponevo tante domande quando la risposta era semplice?

L’amore di Simone per me era finito e io mi ero adagiata su quella fine. Non avevo fatto nulla per mettere al sicuro il nostro amore e per proteggerlo.

-Le avrai al più presto- annunciai, convinta.

-Ci sarebbe un’altra questione da discutere…-continuò Simone.

Altra questione, quale?

-Dimmi-lo esortai.

-Ecco, vedi, non l’ho ancora detto a mia madre. Sa che ci siamo separati per un po’, che ci siamo presi del tempo, ma non ho avuto cuore di dirle che il nostro tempo è in pratica terminato e che abbiamo optato per il divorzio-.

Si fermò, smise di parlare e io cominciai ad agitarmi.

-Sì…-dissi solamente, sperando che bastasse a farlo continuare.

-Ecco…domenica è il suo compleanno e mi chiedevo se ti andava di accompagnarmi. So che non è giusto che io le tenga nascosto la fine del nostro matrimonio, ma non sta bene e io non me la sento…-.

Le sue parole si interruppero.

Non sapevo cosa dire. Mi sembrava una situazione assurda.

Certo, non avrei mai voluto che il nostro matrimonio finisse, ma capita a tante coppie, non è la fine del mondo.

O forse sì? Sicuramente era la fine del mio mondo immaginario, quello che avevo sognato da bambina.

Sospirai.

-Magari possiamo parlarne. Stasera, a cena?-mi chiese Simone.

Che controsenso! Erano secoli che non cenavamo fuori e ora mi chiedeva di uscire.

-Ok-balbettai.- Come vuoi-.

Non sapevo cos’altro dire.

-Perfetto. Sei un angelo. Passo a prenderti alle otto-.

 

Riattaccai confusa. Lanciai uno sguardo interrogativo alle carte appoggiate sulla scrivania. Sbaglio o avevo appena accettato un appuntamento con il mio quasi ex-marito?

Mi sentivo smarrita, e impacciata. Non sapevo cosa fare e da che parte voltarmi.

Guardai l’orologio al mio polso. Le quattro. Cercai di organizzare quello che dovevo fare.

Avrei dovuto lavorare perché avevo un lavoro con scadenza quasi a termine, farmi una doccia e…oddio! Mi guardai allo specchio. Non mi ero resa conto che i miei capelli fossero in certe condizioni orribili.

Da quando era che non andavo a farmi il colore? La ricrescita diceva parecchio.

Non ci pensai due volte. Afferrai il telefono e cercai nella rubrica il numero di Mara, la mia parrucchiera.

Rispose dopo pochi squilli.

-Ehi, ciao-le dissi.- Sono Giulia e ho un disperato bisogno di te-.

-Dolcezza, ma dove sei finita? E’ da una vita che non ti sento. Ma ho sentito delle voci in giro…è vero che tu e Simone vi siete lasciati?Mi dispiace tantissimo, eravate una coppia stupenda-.

Difficile intromettersi in uno dei suoi monologhi quando cominciava a parlare.

Nel frattempo avevo ricordato perché non avevo più messo bene nel suo salone: chiacchere.

Le clienti e le parrucchiere erano capaci di dare vita ad un chiacchiericcio fitto fitto sulla vita degli altri, molto spesso condito da racconti immaginari e convinzioni fasulle.

-Sì- dissi.- Ho bisogno del tuo aiuto urgente. Mi servirebbe un appuntamento, vediamo…-continuai.- Adesso?-buttai lì. Incrociai le dita della mano libera dietro la schiena.

-Adesso? No,non ce la faccio-mi rispose, con tono severo.

-Ti prego, è urgente. E’ per un appuntamento-mentii.

A dire la verità neppure molto. Un appuntamento ce l’avevo sul serio. Con Simone, il che forse non contava.

Simone mi aveva visto in situazioni e con un aspetto molto peggiore di quello che avevo adesso.

-No,  mi dispiace, mi chiedi una cosa impossibile-.

Rassegnata, ringraziai Mara e riagganciai.

No, non era di certo una buona giornata, ma in parte era colpa mia.

Quando avevo iniziato a lasciarmi andare in questo modo? Perché non vivevo la vita ma lasciavo che ogni cosa mi scivolasse addosso?

I miei pensieri mi sovrastavano e mi inquietavano e allo stesso tempo mi sentivo impotente, incapace di prendere in mano la situazione.

Dovevo scrollarmi di dosso quel senso di tristezza perenne e di insoddisfazione.

 

Come poco prima, un rumore mi distolse dalle mie insane elucubrazioni mentali.

Avevano suonato la porta e andai ad aprire.

Un giovanotto niente male, altro circa venti centimetri più di me, stava sulla soglia del mio appartamento.

Mi sporsi verso di lui, lo abbracciai e gli strofinai il viso sulla sua guancia.

-Mi sei mancato-dissi.

Il ragazzo mi sorrise e mi baciò la guancia.

-Sei uno straccio, sorellina-disse il ragazzo, prendendomi per le spalle e allontanandomi da lui in modo da potermi vedere meglio.

-Luca, cosa pretendi da me? Sono una donna quasi divorziata-piagnucolai.

Mio fratello Luca sorrise ed entrò in casa.

-Tesoro-esordì, quando mi chiusi la porta alle spalle.- Sei ancora una ragazza e sei bellissima. Hai solo ventisette anni, e una vita davanti. Sii positiva. Ti sei liberata del marito per avere nuovissimi fidanzati-disse, sventolando la mano in aria.

Ci voleva. Mio fratello sapeva fermi sorridere anche quando non ne avevo alcuna voglia.

Lui e il suo compagno, Tommaso, erano i miei migliori amici. E i miei compagni di sbronza nell’ultimo periodo.

-Come sta Tommy?-chiesi.

-Impegnato, come al solito. Quell’uomo mi farà morire con i suoi capricci-mi rispose.

Luca e Tommaso erano coetanei. Due trentenni che sembravano due ragazzini. E si amavano, molto. Non avevo mai conosciuto una coppia affiatata come la loro. Semplicemente si adoravano.

Erano stati loro due a raccogliere i pezzi di me quando il mio matrimonio, e io con lui, era andato in frantumi.

Gli raccontai delle carte del divorzio e della strana proposta che avevo ricevuto da Simone.

-E tu ci vai? Vuoi davvero uscire con lui?-mi chiese Luca.- E vuoi fingerti sposata per compiacere sua madre. Lasciamelo dire, passami il termine, ma la trovo una grande cazzata-.

Come dargli torto?

Sospirai e misi il broncio.- Oh, su tesoro, non fare quel faccino. Non tutti i mali vengono per nuocere. Puoi approfittare della situazione e dire a Simone quello che hai detto a me domenica, quando eri sbronza e senza alcuna remore. Sei innamorata di lui, tesoro, e la fine del vostro matrimonio, beh, è uno sbaglio colossale. Ci sono matrimoni dove c’ è molto meno amore di quello che provate tu e Simone l’uno per l’altro…-.Mi accarezzò i capelli.- Quindi, muovi la tua lingua che quando vuole sa essere biforcuta, e lasciati andare. Magari bevi un po’, per essere meno intimidita e dì a Simone quello che provi. E’ un bravo ragazzo. Capirà…-.

Sbuffai, o meglio lasciai uscire l’aria che avevo incamerato mentre mio fratello parlava.

Aveva ragione. Le sue parole erano sagge, ma il difficile sarebbe stato metterle in pratica.

-Dunque, stasera esci-esultò, alzandosi dalla sedia. -Devi andare a prepararti, tesoro-.

-Mancano ancora un paio d’ore-obiettai.

-Su,su- mi esortò.- Sei sempre fortunella. Ho il resto del pomeriggio libero. Ho liquidato l’ultimo cliente della giornata poco fa e ora posso occuparmi di te-.

E lo fece.

Mi preparò un bel bagno caldo e profumato e mi impose di rimanere immersa in quel paradiso almeno per una ventina di minuti.

-Io esco una decina di minuti, tu non ti muovere. E non fare la furba. Se esci da quella vasca me ne accorgerò-disse, con il suo solito fare parecchio esuberante.

Sorrisi e lo sentii chiudere la porta alle sue spalle. Non avevo idea di dove fosse andato, ma la cosa importante era che tornasse. Non volevo rimanere a lungo sola con i miei pensieri.

 

Dopo una decina di minuti, come promesso, Luca riapparve alla porta del mio bagno.

-Dove sei stato?-chiesi.

-A munirmi di strumenti utili al tuo restyling.  I tuoi capelli sono osceni, per non parlare delle tue mani e dei tuoi piedi. Sei un disastro tesoro, un disastro-brontolò.

Luca era un mito. Fin da piccolo aveva avuto tendenze tipicamente femminili. E mi adorava. Ero la sua bambolina.

Ricordo interminabili sessioni in cui si prendeva cura dei miei capelli, o del mio viso. Per non parlare dello shopping, era il mio accompagnatore per eccellenza.

La sorella che non avevo mai avuto. Io avevo lui, Luca.

Luca era un designer. Creava oggetti particolari di arredamento che riscuotevano parecchio successo. Ma nel cuore era uno stylist nato. Adorava prendersi cura dell’esteriorità delle persone.

-Allora-disse.- Ho preso una tinta per capelli da quattro soldi al supermercato, una crema riparatrice per capelli, uno smalto rosso e un illuminante per il viso. Vediamo di farci bastare quello per sistemarti. Su esci adesso-continuò a farneticare porgendomi un asciugamano. -Asciugati, nel frattempo io cerco qualcosa di indossabile nel tuo armadio-.

Feci come mi era stato detto. Mi asciugai con cura e mi riempii di crema idratante profumata.

Mi spazzolai i capelli bagnati con cura, cercando di sciogliere i nodi, e andai in cerca di Luca.

Lo trovai in camera mia. Aveva svuotato il mio armadio sul letto.

Sospirai. Da quanto non mi compravo un abito nuovo? Avevo perso ogni stimolo, ogni voglia di curarmi e di prendermi cura di me.

Avevo perso la voglia di farmi e sentirmi bella. Avevo sempre voluto essere bella per Simone, vestirmi come piaceva a lui, essere ammirata dai suoi occhi e adesso che i suoi occhi non erano più per me,avevo perso ogni stimolo.

Lasciai che mio fratello mi sistemasse, senza alcun entusiasmo.

Io e Simone eravamo separati da quasi un anno ormai, ma solo nell’ultimo periodo sembravo essere diventata consapevole della cosa.

Prima, beh prima c’era stata una fase quasi di sollievo. Allontanarmi da lui mi aveva liberato da un peso che mi portavo sullo stomaco. Era difficile vivere con Simone, con qualcuno con cui fino a pochi anni prima avevi condiviso tutto, ogni cosa e poi…

Cosa accade? Perché si smette di condividere?

Le mie domande andavano in loop nella mia mente e non trovavano alcuna risposta. O forse di risposte ne trovavo molte, e tutte plausibili e giuste. Perché in fondo, non sempre una sola risposta è sufficiente.

Però nell’ultimo periodo Simone mi mancava.

Di Simone mi mancava il suo sorriso e il mio ridere assieme a lui.

Ridevamo spesso, io e Simone. Di qualsiasi cosa.

Poi abbiamo smesso. Lui ha smesso di sorridere, ha smesso di farmi ridere. E io non gli ho mai chiesto il perché.

Forse aveva semplicemente smesso di desiderare il mio di sorriso?

Mi venne un groppo in gola al pensiero. Potevo accettare che avesse smesso di desiderarmi dal punto di vista fisico, ma mi faceva più male credere che avesse smesso di desiderare il mio sorriso, il mio ridere con lui.

-Tutto bene?-.

Mi ero estraniata completamente, avevo dimenticato che Luca era lì con me.

Si inginocchiò davanti a me, le sue mani appoggiate sulle mie ginocchia.

Appoggiò l’indice sulla mia guancia e spazzò via una lacrima. Non mi ero resa conto di piangere.

-Sorellina, che c’è?-mi chiese.

-E se non volesse più vedere il mio sorriso?-chiesi.

Luca sorrise dolce. -Simone, dici?-.

Annuii.

-Impossibile tesoro. Il tuo è il sorriso più bello del mondo. E se lui non lo volesse più, non sprecarlo. Dallo a chi lo merita-.

 

Rimane solo un quieto vivere, sterile

 

Mancava solo una firma e poi avrei finito, prima del solito, ma quella sera avevo un appuntamento e non volevo fare tardi. Sapevo che Giulia non amava aspettare.

Mi alzai, diedi un’occhiata al mio ufficio, scorrendo veloce il pacco di fogli sulla scrivania e facendo mente locale. I lavori più urgenti li avevo svolti, il resto potevo farlo domani.

Raccolsi la giacca dalla sedia senza indossarla.

-Te ne vai?-.

Una voce femminile mi fece voltare.

-Per stasera sì-risposi, laconico. Lei si avvicinò e appoggiò la sua mano sul mio fianco.

-Senti, pensavo che stasera avremo potuto cenare assieme-.

Feci un sorriso forzato.

-Stasera non posso, Elisa-le dissi.

Uscivo con Elisa da qualche mese. Lavorava come centralinista nell’azienda di  mio padre, la stessa azienda dove lavoravo io come responsabile di vendita. Era una stagista, appena ventenne.

-Perché?-mi chiese, con tono petulante.

-Perché ho un impegno-le riferii, senza dilungarmi oltre.

-E posso sapere con chi? Quasi certamente non hai un appuntamento di lavoro…-osservò.

-Infatti, ho un impegno personale. Ed è meglio che vada, altrimenti farò tardi-dissi ad Elisa, cercando di liquidarla in fretta.

Mi avviai verso la porta.- Con la tua ex moglie? Puoi anche dirmelo, senza fare tanto il misterioso-.

Non è ancora ex, pensai.

-Sì, mi devo vedere con Giulia-le risposi.

Non mi piaceva che la chiamassero moglie o ex-moglie. Lei era Giulia. E sapevo che ad Elisa dava fastidio quando la chiamavo per nome, era come se le dessi più importanza di quella che aveva, secondo lei.

Ma Giulia era importante, era ancora la donna più importante della mia vita. Avevo tentato di spiegarlo a Elisa. Le avevo detto che ero in buonissimi rapporti con lei e non l’avrei mai allontanata dalla mia vita, ma Elisa e la convinzione dei suoi vent’anni le facevano supporre che lei sarebbe riuscita a farmi dimenticare Giulia e tutto quello che c’era stato tra noi.

-Ti chiamo più tardi, magari-e sgattaiolai in fretta fuori dall’ufficio.

 

Da quando io e Giulia ci eravamo separati io avevo un nuovo appartamento. Era piccolo, essenziale, ma mi bastava. Non c’era il calore di una casa, un nido accogliente dove tornare. Era più che altro un rifugio funzionale, dove avrei trovato una doccia per lavarmi, un letto per dormire e un forno a microonde nel quale riscaldare il cibo in busta che riempiva il mio freezer.

Nessun calore famigliare ad accogliermi. Nessun abbraccio e nessun bentornato.

Ma in fondo non era molto diverso da quello che era diventata la casa mia e di Giulia negli ultimi tempi.

 

Utilizzai casa mia. Mi feci la doccia. Non mi feci la barba perché sapevo che a Giulia piaceva una leggera peluria incolta sul viso. Indossai un paio di jeans e una t-shirt sportiva. Indossavo abiti eleganti tutto il giorno e non sopportavo di vedermi vestito allo stesso modo anche alla sera e nei week-end.

Afferrai le chiavi della macchina, il portafoglio e andai a prendere Giulia.

 

Fu Luca a venirmi ad aprire.

-Ciao Simone, come va?-mi chiese, affabile e gentile come sempre.

-Tutto bene, grazie-gli dissi, dandogli una pacca sulla spalla.

-Giulia arriva subito, è andata a prendere la borsetta-mi comunicò.

Luca, il fratello di Giulia, era un ragazzo molto buono. E voleva un bene infinito alla sorella. Avevo sempre invidiato il loro rapporto, ma solo un pochino. Anch’io avevo una sorella, Marta, ma non ero mai riuscito a creare un legame intenso come quello tra Giulia e Luca.

Ed ero contento di sapere che Giulia avesse lui al suo fianco.

-Ciao Simone-mi salutò Giulia, presentandosi dopo pochi minuti alla mia vista.

Le sorrisi. -Ciao Giulia-le risposi e mi accostai a lei per lasciarle un bacio sulla guancia. Lei si sporse verso di me e mi porse il suo viso. Il suo profumo era così famigliare…

-Andiamo?-le chiesi.

Lei annuii e Luca ci augurò buona serata.

Era strano andare a prendere mia moglie, Giulia, in quella che era stata casa nostra.

Le diedi un’occhiata mentre andavamo alla macchina.

Giulia mi era sempre piaciuta. Era bella. O meglio era una bellezza che piaceva a me.

La prima cosa che avevo notato in lei, ancora quando eravamo ragazzini, era il suo sorriso: ampio e sincero.  E dolce.

Giulia era di una bellezza semplice, non imponete. Era una bellezza discreta e dolce.

E questa sua bellezza si rispecchiava nel suo modo di fare, calmo, sensibile ma che sapeva accendersi nei momenti giusti.

Quella sera indossava un vestitino leggero, a fiori, che le lasciava scoperte le spalle e che le stava molto bene.

-Allora, come stai?-mi chiese, una volta in macchina.

-Non c’è male. Abbastanza oberato dal lavoro, ma meglio così-le dissi, voltandomi verso di lei per sorriderle.

Giulia chinò gli occhi sulle sue mani appoggiate al grembo.

-A te, invece, come va?-le chiesi.

-Anche a me bene. La casa editrice mi ha contatto per tradurre due nuovi libri e poi lavoro sempre alla mia rubrica-mi spiegò.

Giulia era laureata in scienze della comunicazione. Gestiva una rubrica giornaliera su un giornale regionale, una sorta di blog cartaceo nel quale scriveva di ciò che le pareva e rispondeva a delle lettere. Inoltre, saltuariamente, lavorava come traduttrice, anche se il suo sogno era sempre stato quello di scrivere un libro.

-Complimenti Giulia. Due nuovi libri da tradurre, è un bel riconoscimento-.

Non rispose. Spostai velocemente lo sguardo verso di lei e visi che sorrise. Era sempre stata molto modesta.

-Dove andiamo a mangiare?-mi chiese.

-Pensavo “Alla Pace”- le risposi.

“Alla Pace” era il nostro ristorante. Il ristorante delle nostre decisioni importanti.

-Mmm-rispose solo.

Da quando era diventato così difficile capirla, entrare in lei? Una volta le si leggeva in faccia tutto quello che pensava, una volta era tutto semplice, facile, spontaneo con lei.

 

Ero stato io il primo a vedere Giulia. Avevo quindici anni e stavo giocando a calcio in un campetto vicino a casa. Era un pomeriggio d’estate e Giulia stava passeggiando con il suo cane.

Non so spiegare cosa fosse scattato in quel momento ma Giulia mi era sembrata una visione. Portava i capelli lunghi, colore del grano maturo e aveva una pelle talmente chiara che sembrava brillasse al sole.

Tornai ogni pomeriggio, al campetto, con la speranza di vederla e lei non deluse le mie aspettative. Ogni giorno, alla stessa ora, usciva con il cane e io potevo vederla. Feci solo quello per parecchi giorni. Ero troppo timido per avvicinarmi.

Ma Mia, la sua cagnetta, mi venne in aiuto.  Un giorno, non so come, riuscì a liberarsi dal collare e iniziò a correre verso la strada.

Giulia iniziò a chiamarla disperata e io mi precipitai dietro alla cagnetta. Avevo le gambe lunghe, sicuramente più di Mia, e riuscii ad acciuffarla prima che attraversasse la strada correndo tutti i pericoli del caso.

-Oh dio, grazie-mi disse Giulia raggiungendomi.

Era senza fiato. E io potevo parlare con lei.

-Di niente-le risposi.

L’aiutai e rimettere il collare a Mia, e lo stringemmo di più, in modo che non riuscisse più a sfilarlo.

Dopo il primo momento concitato, quando la situazione si calmò, ci guardammo imbarazzati per un periodo di tempo che mi parve eterno, anche se in realtà si trattò di pochi secondi.

-Io sono Simone-le dissi ad un certo punto, tenendo le mani in tasca e dondolandomi sui talloni.

Lei sorrise e mi porse la mano.

 -Io Giulia-si presentò.

Allungai la mano e afferrai la sua, senza smettere di sorridere.

Giulia era luminosa e ancora accaldata.

-Ti offro qualcosa da bere?-le chiesi.

Annui. -Volentieri- disse.

La portai al bar del centro sportivo. Io ordinai una coca, lei una fanta. Ci sedemmo su un muretto, all’ombra di un pioppo.

-Allora, che scuola fai?-le chiesi. Era talmente difficile trovare qualcosa da chiederle, anche se avrei voluto sapere tutto di lei.

-La prima liceo scientifico. In realtà l’ho appena finita, il prossimo settembre inizio la seconda. Tu?-.

-Il linguistico-le risposi.- Ho appena finito la seconda al linguistico, il prossimo anno inizio la terza. -precisai.

Lei sorrise e prese un altro sorso di fanta.

-Quindi hai quindici anni?-mi chiese.

Scossi la testa. -Sedici, compiuti il 18 Maggio. Tu, quando sei nata?-.

-23 dicembre. Ho ancora quattordici anni-mi spiegò.

Quel giorno, il giorno in cui ci conoscemmo, ci scambiammo poche parole.

Giulia mi ringraziò della bibita, di aver salvato Mia e tornò a casa. Io ero convinto di non esserle piaciuto.

Il giorno dopo, però, Giulia venne al campetto e mi chiese se poteva guardarmi giocare.

Ovviamente le risposi di sì. Passammo l’estate assieme. Come amici. Giulia faceva il tifo per me e per la mia squadra e poi mi accompagnava a prendere da bere.

Imparammo a conoscerci con calma, finché ad un certo punto, dimenticai tutto l’imbarazzo iniziale e mi sembrò di conoscerla da sempre, come se non ci fosse stato un inizio.

Quel giorno in cui Mia tentò la fuga, fu l’inizio di tutto.

 

La baciai il giorno del suo quindicesimo compleanno.

Era il primo giorno della vacanza di Natale. Avevo promesso a Giulia un compleanno speciale.

Il pomeriggio del ventitré dicembre la andai a prendere a casa. Era una giornata freddissima e lei si presentò completamente imbacuccata. Potevo a mala pena vedere i suoi occhi scuri.

Era stato difficile trovare il suo regalo di compleanno, mi ero scervellato per settimane.

Alla fine però avevo trovato un regalo che, a mio parere, era perfetto per lei.

-Dove mi porti?-mi chiese allegra.

-Non te lo dico-scherzai.

-E cos’hai in quella borsa?-mi chiese ancora.

-Giulia, smetti di fare la curiosa e vieni con me-la esortai.

E Giulia mi prese per mano.

Per la prima volta.

Prese la mia mano libera e coperta dal guanto. Anche la sua era coperta e non potevo sentire la sua pelle, anche se volevo tanto.

Mi fermai. Le tolsi il guanto e tolsi il mio. Poi la presi per mano di nuovo e infilai le nostre mani intrecciate nella tasca del mio giubbotto.

-Hai freddo?-le chiesi.

Giulia scosse la testa.

-Per niente-disse.

Quello fu il primo vero contatto tra noi. Le nostra mani intrecciate dentro il mio giubbotto. Muovevo il mio pollice contro il suo palmo, e lei stringeva più forte la sua mano alla mia.

 

La portai al campetto. Era gelato.

Tirai fuori una coperta e la stesi su una panchina.

-Ci sediamo qui?-mi chiese.

Annuii. -Ti va?-

-Certo-mi rispose, sorridendomi.

Mi osservò mentre estraevo dalla borsa un termos e due tazze di ceramica.

Ne porsi una a lei, l’altra la tenni io.

Poi versai il contenuto del termos dentro la sua tazza.

-Mmm…cioccolata calda-mormorò Giulia, stringendo entrambe le mani per scaldarle attorno alla tazza.

-So che la adori-osservai.

-Eh già- disse, portandosi la tazza alle labbra.

Bevve il primo sorso e quando riportò le braccia in grembo risi.

-Che c’è?-mi chiese Giulia, imbronciata.

-Non sapevo che bevessi la cioccolata con il naso-le dissi. La punta del suo nasino gelato era marrone.

Mi avvicinai e senza pensarci su, appoggiai le mie  labbra sulla punta del naso per pulirla.

La sentii respirare affannosamente, e solo allora mi resi conto di quanto ardito e inopportuno potesse essere stato il mio gesto.

Ancora vicini, con i nostri respiri freddi che si confondevano, i suoi occhi inchiodati a me, portai la mia mano sulla mia guancia e la baciai.

Appoggiai le mie labbra fredde sulle sue calde e che sapevano di cioccolata e le schiusi, assaporando le sue.

Quello fu il nostro primo bacio.

 

Giulia guardava fuori dal finestrino. Era imperscrutabile, invalicabile.

Non parlammo per quasi tutta la durata del tragitto fino al ristorante.

Ci eravamo ridotti a niente, a poche parole cortesi e nient’altro.

Eppure c’era stato un tempo in cui avevamo avuto bisogno di raccontarci l’uno all’altra.

C’era stato un tempo in cui solo il nostro imbarazzo impediva di parlarci.

Quello che c’era tra noi, in quella macchina, più di dieci anni dopo,non era imbarazzo.

Non avevamo più niente da dirci. Non avevamo più niente da raccontarci.

O forse qualcosa c’era. Cose banali, ma c’erano.

Solo che non avevamo più voglia di confidarle, io a lei, lei a me.

Non eravamo camere sterili, era il nostro rapporto ad esserlo diventato.

In me e in lei c’era da raccontare, c’era tanto da dirsi. Ma sembravamo essere tornati indietro, nell’epoca precedente a quando mi sembrava di conoscerla da sempre.

Quindi prima di sempre, io e Giulia non eravamo nulla.

Pensare questo mi faceva stare male.

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

   
 
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