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Autore: Purrrkwood    02/07/2012    2 recensioni
Stupidi vermi.
Sapete che vi dico?
Per adesso mi cerco un corpo.
Poi penserò a voi.

Una strega assetata di vendetta. Una collana troppo bella per non essere comprata. E un intero universo completamente sconosciuto ai comuni mortali.
Mitsuki Kurosaki è in grossi guai. Non è questa la doppia vita che aveva immaginato.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Malefica, Nuovo personaggio, Organizzazione XIII
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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*MALEFICA*
*Epilogo*

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"Perchè indossi quello stupido costume da coniglio?"
"Perchè indossi quello stupido costume da uomo?"
Donnie Darko.

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“I fiori! I fiori non vanno bene! E quella lampada è storta!”
Quella mattina mio zio aveva chiamato da Tokyo per congratularsi con me. Alla fine del discorso, con tono solenne, aveva aggiunto una frase molto semplice: L’ ultimo anno di liceo viene solo una volta nella vita.
E meno male! Pensai di sfuggita, mentre osservavo mia madre, immersa nei preparativi per la festa con i parenti, dare di matto per dettagli completamente impossibili da notare. Non dissi nulla, non sarebbe servito a smuoverla dalle sue convinzioni.
“E qualcuno si decida a spolverare quei soprammobili, che si fa se qualcuno è allergico alla polvere?!”
Ecco, alcune di quelle convinzioni forse potevano risultare lievemente malate a volte. Forse però avrei potuto fare un’ eccezione per quel giorno, per la tanto attesa festa del diploma; la svolta della mia vita, insomma, un’ occasione che valeva la fatica di trasportare dalla cantina gli scatoloni con le decorazioni più belle. L’ intera mia famiglia, quel giorno, sembrava percorsa da una scarica di eccitazione inestinguibile: correvano a destra, a sinistra, spostavano vasi e foto, appendevano lanterne, le toglievano, le sostituivano con altre. Sembravamo una famiglia di americani nel Columbus Day. E in tutto quello…
In tutto quello c’ ero io. Io, sul divano, che tracciavo con lo sguardo i percorsi dei miei parenti tra un punto e l’altro del salotto, senza dire una parola. Avrei dato non so che cosa per alzarmi e unirmi all’ isteria generale, ma dentro di me avevo una strana sensazione, come una voce che ripeteva costantemente quanto tutto quello fosse… sbagliato. Qualcosa non andava in quella situazione, qualcosa era fuori posto e io non riuscivo a capire che cosa fosse. Un oggetto in una posizione errata? No, non avrebbe potuto fregarmene di meno. Avevo dimenticato ricorrenze importanti? Ma non c’ erano compleanni in quei giorni, l’ anniversario di Ayame e Nobuo era stato a febbraio e l’ appuntamento con Chiyo per fare shopping  era tra due giorni. Il mio calendario era a posto. Non c’ era un solo dettaglio della mia vita, in quel momento, che fosse fuori dagli schemi. E allora perché mi sentivo così male? A cosa si riferiva quella voce distante?
“Mitsuki? Ci aiuti di tua spontanea volontà o devo venire io a prenderti?” mia madre fece una pausa momentanea dalle sue faccende per squadrarmi corrucciata.
“Lascia perdere, ma’!” esclamò Haruko districando un filo di lucine “Tanto non viene!”
Tanto non viene…
Lascia perdere…
Lascia…

“Lascia perdere” la sua voce giunse nuovamente alle mie spalle “Te lo dico per l’ ultima volta: non verranno.”
La luna nel cielo continuava a brillare, come se non fosse passato un solo minuto da quando l’ avevo contemplata la prima volta. Io stessa non avrei saputo dire quanto tempo fosse trascorso, i minuti e le ore sembravano avere un modo tutto loro di esistere. Il vento soffiava dolcemente, le onde del mare si infrangevano timide sulla spiaggia, bagnandomi  i piedi nudi, ma era come essere tornati nel Mondo che Non Esiste: una notte buia e continua, ma con le sole nude rocce come contorno.
“Non ho chiesto un parere” dissi semplicemente, continuando a tenere lo sguardo fisso sul mare.
“Non verranno a prenderti e lo sai anche tu. E’ tardi ormai.”
“Zitto.”
“Sono morti tutti.”
“HO DETTO ZITTO!”


“Vedi, che ti dicevo? Nemmeno ascolta. Scema!”
“Ho avuto un flashback, credo.” mormorai, corrugando la fronte, accorgendomi a mala pena del fatto che mia sorella mi aveva appena insultata senza troppi giri di parole.
“Tipo Willy Wonka?”
“Tipo…”
Dovevo sembrare decisamente messa male, perché mia madre interruppe il suo lavoro e mi squadrò con un’ aria molto più preoccupata di prima:
“Tesoro” si sedette accanto a me “Va tutto bene?” mi posò una mano sulla spalla e quel gesto riuscì a riscuotermi quel che bastava per riuscire a guardarla. Cosa avrei dovuto rispondere?
“Si” annuii con decisione “Credo di essere solo stanca, non ho dormito praticamente per niente durante gli esami”. Reggeva, come scusa; mia madre alzò un sopracciglio, probabilmente intuendo che c’ era qualcos’ altro sotto, ma non disse nulla e si limitò a sorridermi.
“Vado a riposarmi un po’” affermai, alzandomi dal divano e dirigendomi al piano di sopra. In realtà non avevo mentito sul fatto che negli ultimi tempi il mio sonno era diventato irregolare, ma non perché non dormissi. Certo, la sessione degli esami finali aveva dato il suo degno contributo alla quantità di stress accumulata, ma la ragione vera era un’ altra: erano i sogni, sogni ricorrenti e confusi, immagini e suoni che sembravano avere un significato profondissimo per una parte di me, ma che per l’ altra erano soltanto ammassi di roba completamente priva di senso logico. Mi svegliavo la mattina con quell’ orribile sensazione di dimenticanza, e per l’ intera giornata rimanevo preda di un’ incredibile nostalgia. Era quello a farmi impazzire: rimpiangevo qualcosa e non sapevo cosa.
Avrei venduto mia sorella su ebay per capirlo.

“Che cosa fai quando non hai la minima idea di cosa tu abbia fatto negli ultimi tre mesi della tua vita?” La mia espressione vuota non era cambiata di molto; era cambiato soltanto l’ ambiente, che da casa mia si era trasformato nella gelateria preferita da me e Ayame, ed era cambiata la compagnia che ora consisteva nella mia amica, intenta ad impedire al proprio gelato di finirle sui pantaloncini bianchi nuovi di zecca. Mescolai distrattamente il mio milkshake, mentre Ayame passava a fissarmi con uno sguardo simile a quello di mia madre.
“Cosa?” chiese con una punta di perplessità nella voce.
“Quello che ho detto. Insomma, cioè, non è che non mi ricordo, direi piuttosto… mi sembra di avere vissuto un sogno. E’ successo qualcosa di importante?”
“Ultimamente? Proprio no. Abbiamo studiato, siamo andate al mare, abbiamo studiato, fatto shopping e… ah si: abbiamo studiato. Una noia mortale con un’ ansia terribile alla fine. Basta, se è successo qualcosa di bello oltre al mio compleanno me lo sono persa”.
“Credo ci sia anche il tuo compleanno in mezzo a tutta la lista di eventi che mi confondono.” La rossa inarcò un sopracciglio “Io… sento che mi manca qualcosa. Ti è mai capitato di sentirti vuota, come se all’ improvviso non ci fosse più niente di interessante nella tua vita?”
Ayame annuì: “Si, dopo il concerto dei Nightmare dell’ anno scorso, quello in cui ho quasi cavato un occhio a quella tipa per farmi notare da Sakito, ti ricordi? In quel momento mi sono sentita talmente eccitata, che quando siamo tornate a casa niente aveva più senso. Oddio, Sakito, cosa non era con quei pantaloni bianchi!” il suo tono di voce passò dall’ incerto al sognante con la rapidità di un fulmine e, seppur involontariamente, riuscì a farmi sorridere.
“Ho come l’ impressione di aver fatto qualcosa di terribilmente figo e importante” continuai poco dopo “Ma non so cosa”
La mia amica mi guardò, poi semplicemente si strinse nelle spalle:
“Se lo hai fatto non me lo hai detto” disse sorridendomi un po’ tristemente.
“Doveva essere decisamente personale, suppongo…”

Respirai a fondo, perché arrabbiarmi non mi sarebbe servito, in quella situazione.
“Quindi non mi dirai niente?”
“Cosa dovrei dirti?” si rivolgeva di nuovo a me con quel tono saccente e distaccato che mi faceva impazzire. Eppure sapevo che, in quella desolazione nera, tutto era meglio dell’ essere soli. Perfino la compagnia di Diz, se era quello il suo nome.
“Capito” comunicai alzando le braccia al cielo, in posizione di resa “Non mi dici chi sei, non mi mostri il tuo volto, ma sai tutto di me e io devo pensare che sia la cosa più naturale del mondo. Voglio solo fare conversazione, da dove vieni tu non si usa? Non puoi permetterti di sparare qualche frase a caso per spaventarmi e poi non spiegarti.”
“Non c’è nulla di ciò che ho detto che necessiti di una spiegazione.”
“Balle. Come sai che sono morti, li hai visti? Sono stati qui? CHI li ha uccisi?”
Diz rimase in silenzio e per un attimo pensai che non mi avrebbe degnato di una risposta, come al solito.
“La loro pazzia gli si è rivoltata contro, potremmo dire.”
“Sibillino, tanto valeva stessi zitto.” Raccolsi una pietra e la lanciai sulla superficie del mare, increspando per qualche secondo quello specchio perfetto. Ne lancia un’ altra e un altra ancora.
“Sora.”
La mia mano, che stava per lanciare un altro sasso, si fermò di colpo.
“Cosa?”
“Ha fatto ciò che doveva. Ora tutto è più in ordine, ora loro non sono più un pericolo.”

“Mi sento… sdoppiata.”
Il mio milkshake era diventato caldo. Rigirai il bicchiere tra le mani, prima di gettarlo nel bidone vicino con un lancio perfetto.
“Suppongo che verrà fuori tutto quanto da sé” ipotizzai poco convinta “Non che sia poi così importante, alla fine”.
Un’ altra balla.

L’ intero mio corpo fu scosso da un brivido. O era un singhiozzo?
“Non lo sono mai stati” affermai, cercando di mantenere la mia voce il più naturale possibile, un’ impresa non da poco.
“La tua mente piegata dagli eventi ti impedisce di capire le cose nel modo giusto. Non te ne faccio una colpa, se avessi potuto agire liberamente-”
“Sarei rimasta lì. Non me ne frega niente di ciò che pensi tu, per il resto la mia mente piegata dagli eventi si è stancata di questo posto, perciò fammi uscire”.
“Uscire è impossibile”.

Fu solo nel tardo pomeriggio che tutto quanto ebbe fine. Fu quando i miei piedi, mossi da una forza sconosciuta mi condussero in quel posto. Quel luogo che sembrava avere un significato importantissimo,per un motivo sconosciuto. Non capivo, non riuscivo a incastrare i pezzi di quel complicato puzzle, ma la sensazione di completezza che mi pervadeva mentre con le dita sfioravo le foglie verdi dei cespugli era qualcosa di unico. Sulle mie labbra si fece strada un sorriso. Era lì, la chiave di tutto era lì.

“No” sbottai “Questo non te lo permetterò, te lo puoi scordare!”
Eccole lì, le lacrime. Alla fine avevano abbandonato i miei occhi per rigarmi le guance. Ma Diz sembrò non essere toccato dalla mia reazione:
“Volevi uscire? Puoi, il prezzo da pagare è quello”.
“PERCHE’?” il mio urlo squarciò il silenzio tombale che ci circondava. Nascosi il volto tra le mani, cercando di asciugare via quelle lacrime. Non ricevetti risposta, ma dopo forse un minuto o due, sentii un rumore, un fruscio; e quando alzai il volto, l’ uomo era in piedi davanti a me. Con un sospiro portò le mani al cappuccio e, infine, vidi davanti il volto di un uomo segnato dalla fatica e dal dolore. Vidi due occhi azzurri e penetranti che raccontavano molto più di ciò che avrebbero potuto fare le sue parole.
Vidi il volto di Ansem il saggio, un volto indecifrabile che non appariva né buono né malvagio.
“Perché è così che deve andare” la sua voce era sempre bassa e lenta, ma senza il cappuccio sembrava acquistare automaticamente una punta di umanità in più. Poggiò le mani sulle mie spalle, stringendo leggermente la presa: “Perché sei giovane e nonostante tutto sei riuscita a non farti corrompere dall’ oscurità che ti circondava. Tu hai visto il buono in creature che per ciò che hanno fatto avevano ormai perso ogni possibilità di redenzione. Sei forte, più di quanto credessi all’ inizio, quando il tuo nome mi è giunto da lontano, e ciò che meriti non è la guerra, ma a possibilità di ricominciare da capo, come se tutto non fosse successo. Dimentica tutto, Mitsuki, dimentica ciò che hai fatto, con chi sei stata in questo tempo e ricomincia a vivere nel modo che più ti si addice.
Tirai su con il naso: “Io non… non voglio… loro…”
“Lo so” Ansem mi offrì un lieve sorriso “Ma credimi, ci sono eventi che è meglio dimenticare. Non sempre il tempo migliora le cose, io ne sono la prova vivente. Io non merito la dolcezza dell’ oblio, è giusto che sconti le mie colpe; ma tu sei estranea a tutto questo e desidero che rimanga tale. Non ti dirò che un giorno mi ringrazierai, perché scomparirò dalla tua memoria assieme al resto di ciò che è stato parte di te. Ma saprò di essere stato utile almeno ad una persona. Lascia qui i tuoi ricordi, ragazza mia, lascia che queste onde li inghiottano e torna alla vita.”
A quel punto avevo smesso di piangere. Il mio volto era una maschera impassibile.
“Va bene”.
Forse era davvero giusto così.

Sorrisi di nuovo. Ma stavolta ne conoscevo il motivo.
“Ti ho aspettata, sai?” dissi al nulla “Avevo l’ impressione che fossi da qualche parte dentro di me, ma non sapevo che fossi davvero tu.”
Anche lei sorrise, ovunque si trovasse in quel momento “Ci sono stati alcuni problemi. Ma sono felice di essere riuscita nel mio intento; spero solo che non sia stato un errore.”
“No, non lo è stato.” Affermai “Grazie” aggiunsi poi, in un sussurro.
“Io non ho avuto nessuno a proteggermi” spiegò “Il destino ha voluto che diventassi uno strumento del nemico, ma con te è stato diverso. Non so dire esattamente perché, avresti dovuto fare la mia stessa fine, ma qualcosa è andato storto e tu ti sei salvata. Sono contenta che almeno a qualcuno sia andata bene, per questo mi sembrava quasi crudele che tu dimenticassi. Mi sono unita a te in quell’ istante in cui l’ anima di Malefica è scomparsa del tutto, prima che tu cadessi nel mondo dell’ oscurità. Il patto che hai fatto non mi ha inclusa, perciò ho potuto fare in modo che rimanesse comunque un ricordo di tutto quanto dentro di te.”
Il silenzio calò sul boschetto. Mi guardai intorno, riuscendo finalmente a collegare quel luogo a ciò che mi aveva tanto tormentata in quei giorni. I miei occhi si posarono sui cespugli di fronte a me, aspettandosi quasi di veder spuntare tra il fogliame una chioma rosso fuoco e una bionda. Anche con il senno di poi, forse avrei ripetuto quell’ esperienza, in linea con il mio masochismo.
L’ altra me sorrise: “E’ come un deja-vù, non ti pare?” ma il suo tono tradì una certa malinconia. E a quel punto la domanda che prima era stata solo un puntino nella mia mente sorse spontanea:
“E tu? Tu che farai ora?”
Sospirò, ma non sembrava davvero triste: “Io sono già morta da tempo Mikki, questa ormai è solo una flebile traccia della mia ombra. Non ho paura, non temo ciò che è passato; anzi, aiutarti mi ha dato la possibilità di fare qualcosa di buono e di non sentirmi inutile. Va bene così, ad un certo punto bisogna anche accettare la realtà.”
Annuii. Sapevo che era così, aveva ragione. Forse anche io avrei dovuto accettare le cose come andavano, senza cercare sempre una scappatoia, forse così avrei avuto meno problemi; o forse ne avrei avuti di più, chi poteva saperlo? Ogni minimo dettaglio, se cambiato di posto, avrebbe potuto avere effetti devastanti.
“Mi mancherai” dissi semplicemente, perché non c’ era bisogno di altro a quel punto. Tutto ciò che c’ era da dire era stato detto, tutto ciò che si doveva fare era stato compiuto. Ogni cosa, anche il più lungo e tortuoso dei viaggi, prima o poi giungeva alla fine.
“Come potrei? Senti mai la mancanza di te stessa?” rise limpidamente e il secondo dopo già non c’ era più.
E’ fatta.
Le mie dita sfiorarono i bottoni della mia camicetta, si infilarono leggermente all’ interno per tastare quell’ oggetto che era contemporaneamente bellissimo e terribile. Lo sfilai dal collo, lasciando che i raggi del sole si infrangessero sulla pietra verde al centro.
Avevo finito, ero libera. Mi staccai dall’ albero a cui mi ero appoggiata e lentamente percorsi il sentiero a ritroso.  Mi chiamavo Mitsuki Kurosaki, diciannove anni e mezzo, appena iscritta all’ università e in procinto di trasferirsi a Tokyo.
Da alcuni conosciuta come la reincarnazione di Malefica la strega.
Ma questo era solo un dettaglio.

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E siamo alla fine. Mamma mia, come è brutto dirlo! Due anni ci sono voluti per questa fanfiction, due anni, non esattamente pochi. Malefica è stata la prima fanfiction che io abbia scritto con la voglia di scrivere davvero qualcosa, di far conoscere al mondo le mie idee. Ed essendo andata avanti per così tanto tempo è passata attraverso un sacco di cose: periodo belli, orribili, così così; mi ha vista assalita dal blocco dello scrittore per un numero infinito di volte, ha visto il mio stile evolversi e lo avete sicuramente visto anche voi che dal primo capitolo mi aveve seguita fino a questo epilogo. Lo stesso personaggio di Mitsuki è cambiato nel corso del tempo, mi piace pensare che sia maturata assieme a me.

Ecco, vi voglio ringraziare, tutti voi. Voi che avete letto questa storia, che l' avete recensita, che mi avete rassicurata dicendo che vi piaceva nonostante io non ne fossi convinta, che avete riso dei momenti idioti che a me sembravano fuori luogo. Grazie a chi l' ha messa tra le preferite, seguite e ricordate, grazie perchè 79 recensioni manco me le sognavo quando ho iniziato a scrivere!
Voglio ringraziare _Arthur_ e Arthemisian che scleravano con me anche dal vivo e chi si è fatto sentire su facebook.
Insomma, ringrazio tutti, potrei rimanere fino a domani a ringraziare.

Questo epilogo non è nessuno dei due finali che vi avevo accennato, come è giusto che sia. E' qualcosa a metà.
E' indefinito. Vabbuò xD

E siccome ho sempre voglia di scrivere ma no so mai su cosa, vi lascio la mia pagina autore fresca fresca di creazione così potete bersagliarmi di prompt. E anche insultarmi quando è un mese che non aggiorno. Fatelo. Che magari così mi do una mossa. Altrimenti Sunset la finisco a cinquant' anni e non va bene ù___ù
http://www.facebook.com/TikalSorenance

O anche solo per sapere il vostro nome XD

Per cui ciao gente!

Tikal <3
Ps: qualcuno c'è al Rimini Comix?





   
 
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