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Autore: TooLateForU    02/07/2012    7 recensioni
“Sapevi che schiessenhausen vuol dire gabinetto?” chiesi divertita, sfogliando il dizionario tascabile di inglese-tedesco.
“Sì Julie, lo sapevo. Perché sai, io sono tedesco.”
“Ti immagini? Scusi, devo fare un salto al SCHIESSENHAUSEN!!” scoppiai a ridere, perché era una parola sinceramente esilarante, ma Mister Trecce Selvagge si limitò ad alzare un sopracciglio.
Nessuno comprendeva il mio spiccato humor inglese.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zalve. E' la prima volta che mi cimento in una storia sui Tokio Hotel (scoperti da poco) ma spero che possa piacere a qualcuno *balle di fieno*
comunque, sappiate che il mio stile di scrittura è moolto influenzato da ciò che leggo, ma le cose narrate qua sotto sono solo frutto della mia testa perversa e malata #yeep
adios!




“Salve, è il pilota che vi parla. Stiamo per decollare dall’aeroporto di Heathrow con destinazione Berlino. Le condizioni atmosferiche sono buone, con una temperatura di quattordici gradi e poche nuvole. Il volo durerà all’incirca due ore e un quarto, vi preghiamo di allacciare le cinture. Buon viaggio.”
La voce metallica del pilota si estinse, finalmente, mentre una hostess tutta miele e sorrisi prendeva a fare dei gesti da psicolabile di fronte a tutto l’aereo.
Oh certo, perché mettere la testa sotto al sedile sarebbe la PRIMA cosa che farei se l’aereo andasse a fuoco, ovvio.  
Ma magari l’aereo andasse a fuoco. Certo, possibilmente senza che mi prendano fuoco i capelli, come quella volta che papà aveva provato a cucinare le omelette.
Gott in Himmel, che cavolo ci faccio su questo aereo?!
“Guarda, dopo esserci sistemate nella casa potremmo andare a visitare la Porta di Brandeburgo! E’ alta ventisei metri, e larga..”
“Carol, Carol ecco il piano. Tu trotti per la città, io no. Fine.” Tagliai corto, tornando a fissare il panorama fuori dal finestrino. Ovvero l’aeroporto, dato che non eravamo ancora partiti.
Carol sbuffò, sbattendo il depliant sulle sue gambe “Mi spieghi perché sei venuta se odi la Germania e il tedesco?”
“Perché il Capo Nazista, ovvero la prof. di tedesco, mi odia e ha voluto mandare me a fare questa cavolata dello ‘scambio culturale’ di sei mesi in StrudelLandia, e i miei non vedevano l’ora di sbarazzarsi di me e darsi alla pazza gioia. Ecco perché!” Sbottai, e mi accorsi che detta ad alta voce la mia situazione sembrava ancora più tragica.
“E dire che non sei neanche brava in tedesco..” commentò Carol.
“Sì, lo so.”
“Voglio dire, il tuo ultimo compito a detta della prof era ‘incredibilmente vergognoso’..”
“Sì Carol, me lo ricordo.”
“Per non parlare delle interrogazioni, e quella volta che hai detto..”
“Carol, CHIUDI IL BECCO!”
 
 
Quattrocento anni dopo sentii qualcosa premere insistentemente sulla mia spalla, intromettendosi nel mio fantastico sogno.
Stavo sognando di essere da Mark&Spencer a fare spese folli: rossetti, ombretti, piegaciglia..
“Julie, svegliati.” Mi intimò una voce in lontananza.
“Ridammi il mascara ciglia feline..” bofonchiai.
“Julie, siamo rimaste solo noi sull’aereo!”
“Julie!”
Continuai a fingere di non sentirla, ma non riuscii a fingere di non sentire il suo calcio negli stinchi, e mugolai di dolore.
“Ahia, Carol!” mi lamentai, aprendo gli occhi e lanciandole uno sguardo si fuoco “Stavo sognando.”
“E le hostess stanno per chiamare la sicurezza, se non scendiamo immediatamente. Muoviti!” mi sgridò, prima di afferrare il suo bagaglio a mano di Hello Kitty (sì, hello kitty) ed allontanarsi a passo spedito.
Io sbuffai, slacciandomi distrattamente la cintura di sicurezza. Poi mi accorsi che non me l’ero proprio allacciata, e mi decisi ad alzarmi e a seguire la schiena di Carol verso l’uscita.
“Io odio la Germania.” Borbottai, a nessuno di preciso.
 
“Io odfio la Germafia!” esclamai a voce più alta, mentre addentavo un hot dog e mi sedevo sulla mia valigia.
Ma Carol era troppo euforica per darmi retta. Non faceva altro che saltellarmi intorno e puntare entusiasta qualsiasi cosa. ‘Guarda, un cartellone in tedesco!’ ‘Guarda, dei veri strudel tradizionali!’ ‘Guarda, un vero sputo di cuculo tedesco per terra!!’
“Perché nessuno è ancora venuto a prenderci? Forse è un segno.”
“Segno di cosa?”
“Segno che dobbiamo tornare in patria, tra i nostri connazionali, per proteggere la regina!” gridai, alzando un pugno all’aria patriotticamente.
“Eccola, è arrivata!” esclamò Carol, indicando una signora bionda ed alta come un abete a pochi metri da noi.
“E come fai a sapere che è lei?” domandai, scettica.
“Perché porta un foglio in mano con scritto ‘Armstrong e Cartwright, scambio culturale’.”
Gott in Himmel, mi ha fregata. Pensavo di essere ancora in tempo per scappare su un altro volo, e invece la tipa doveva aver notato i segnali di Carol (muovere entrambe le braccia in aria come se qualcosa stesse per andare a fuoco) e si avvicinava.
“Da ora per i prossimi sei mesi fingerò di aver perso la voce. Dille che le mie corde vocali sono, ehm, esplose, e svolazzate per tutto l’aereo come falene..” mormorai a Carol.
“Zalve zignorine, zono la vostttttra akkompagnatttttrice. Zeguitemi, preko.” Si presentò la biondona, con un sorriso per niente rassicurante. Mi sembrava che alcuni denti fossero finti, o forse ne aveva un’altra fila come gli squali..?
Poi prese praticamente a correre verso l’uscita dell’aeroporto, mentre noi arrancavamo con le nostre sessanta valigie dietro di lei. Ma non si preoccupi signora, stiamo bene.
La biondona, che scoprì chiamarsi Gretel Ajnxjksbiwoueu o qualcosa del genere, ci condusse fino ad un mini van nero e lucido, e ci intimò a salire.  
“vielen Dank, mein Freund und ich wir sind sehr glücklich, hier zu sein*” le disse Carol, chiaramente pavoneggiandosi perchè sapeva due parole di tedesco.
Bhè, anche io se mi fossi impegnata avrei saputo dire qualcosa! Come, ehm, laderhosen! Seitz! Mutter, Vater!
E..

Ora non mi vengono in mente, ma ce ne sono di cose che so dire!
Comunque, la biondona sembrava tutta entusiasta per quello che aveva detto Carol, e cominciò a congratularsi in tedesco. Io mi limitai a sorridere ed annuire seria ogni tanto, perchè dovevo mantenere il mio profilo da senza-voce.
“Ha detto che sembriamo due brave ragazze e che adesso ci porta dalla famiglia che ci ospiterà, che è tra le più benestanti di Berlino.” Mi tradusse Carol, con quell’aria da saputella che mi faceva venir voglia di darle un pugno.
Mimai che l’avevo capito, e lei alzò gli occhi al cielo, prima di entrare nel mini van.
Oh, com’era permalosa!
Salii anch’io, e non avevo neanche finito di chiudere lo sportello che il tedesco pazzoide alla guida ingranò l’ottava e partì a duecentoquaranta all’ora.
Carol e tutta la sua ingombrante mole mi caddero addosso, e Gretel si girò dal sedile anteriore “Infilate vostre cinttture, rakazze.” Ci intimò.
Sfrecciavamo per le cupe strade berlinesi come se fossimo sulla frecciarossa, e davvero mi sfuggiva il perché. Però ci fermavamo ad ogni santissimo stop, e le delicate frenate del pazzoide mi fecero sbattere sei volte la fronte sul sedile davanti.
“Ahia cazzo!” gridai, massaggiandomi la testa. La biondona si girò di nuovo, entusiasta “Ti è tornatttttta la foce!”
Immaginai che ‘foce’ stesse per ‘voce’, e mi morsi la lingua. Dannazione, dannazione, dannazione!
“Ehm, sì, il famoso miracolo a Sant’Anna..” bofonchiai, abbozzando un sorriso di circostanza. Lei non sembrò capire, e tornò a guardare la strada.
Ma tanto non capivo nemmeno io quello che dicevo.
Dio mio, il pazzoide si fermava anche quando il semaforo era giallo!! Non aveva capito che giallo non voleva dire altro che ‘accelera e passa finchè sei in tempo’?
Dopo vari conati di vomito finalmente l’auto fece la Brusca Frenata Finale davanti ad una villetta immersa in un bosco sperduto nel nulla. Un minuto fa eravamo a Berlino, ed ora siamo nella foresta di Hilander.
“Ma non dovevamo andare a Berlino?” mormorai a Carol.
“Noi siamo a Berlino. Nel quartiere residenziale.” Precisò, senza togliersi quel sorriso entusiasta dalla faccia.
“E’ stato un piaccccere rakazze, ciao ciao!” ci salutò la biondona, prima di aprire la nostra portiera e tirarci fuori quasi a forza. Il pazzoide lanciò in modo davvero maleducato le nostre valigie fuori dal bagagliaio, poi rientrarono entrambi e schizzarono via lasciandoci come due barbone al ciglio della strada.
Intorno a noi, il silenzio più assoluto. Neanche le allodolen cantavano, ammesso e concesso che le allodole cantassero.
Almeno il cielo somigliava a quello di Bristol. Cupo, molto cupo.
“Forse dovremmo bussare.” Ipotizzò Carol, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
“Oppure potremmo fare l’autostop e tornarcene nel mondo civile. Lo vedi il camino? Sta fumando. Potrebbe essere una persona quella..”
Mi diede uno schiaffo sul braccio, cosa che avrebbe davvero potuto ferirmi nel profondo se solo durante tutti i nostri anni di conoscenza non gliele avessi suonate di santa ragione.
“Io suono il campanello.” Annunciò, prima di avvicinarsi alla porta con fare deciso e suonare. Io restai a controllare che lo smalto blu non si fosse scrostato da nessun dito..
La porta si spalancò, e un tizio molto biondo, molto cinquantenne, e molto rotondo si presentò “Ah, siete le ragazze dello scambio! Benvenute!” esclamò gioviale, ed incredibilmente parlava bene l’inglese.
Dio sia lodato!
“Entrate, mia moglie ha appena preparato i crauti!”
Oh, grandioso.


*ho usato google traduttore, non fidatevi AHAH
   
 
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