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Autore: EvgeniaPsyche Rox    02/07/2012    7 recensioni
«Lei chi?», chiese all'altra voce aspra e servera nel proprio cervello, e poi strillò, dato che non ottenne risposta. «Lei chi?!»
Lei, Roxas.
La tua amica.
Andiamo, non dirmi che non sai di chi sto parlando.

«Vaffanculo, chiudi la bocca. Stai zitto, stai zitto, cazzo! Non c'è nessuna amica del cazzo, stai zitto!», stava gridando, da solo, come un pazzo.
Era pazzo. Pazzo, stava già impazzendo.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Macchie scarlatte nel saturo nero.

 

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Click, click, click.

No, tutto tranne la pioggia.
Con i sacchetti della spesa in mano, alzò lentamente lo sguardo verso l'infinità dell'oscuro e si tuffò nel nero più totale; le nuvole, le quali venivano squarciate da lampi di un blu metallico fosforescente, erano piene di acqua, pronte ad inzuppare i passanti.
Sì, passanti, poi.
Quali passanti?
Roxas scosse la testa, lanciandosi una fugace occhiata attorno; sì, quali passanti?
C'era solo lui, di notte, in una fredda giornata di Novembre.
I suoi genitori dovevano essere pazzi; completamente matti, con qualche rotella fuori posto, si ritrovò a pensare quasi stupidamente. Pazzi perché lo avevano costretto ad andare a fare la spesa a quell'ora di notte.
Però non rise. Si limitò ad accelerare il passo, sibilando qualcosa di incomprensibile a denti stretti contro suo fratello: quel dannato, dannatissimo fratello minore che si era ritrovato.
Quel Martedì, in realtà, sarebbe dovuto andare lui a fare la spesa; e invece se n'era allegramente sbattuto i coglioni, costringendo così il più grande a svolgere l'incarico al posto suo, nel supermercato dall'altra parte della città, l'unico che restava aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
O forse era ventitrè ore su ventiquattro? Beh, aveva poca importanza, in fondo.
Camminò per altri cinque minuti, mentre la pioggia stava continuando ad aumentare, inzuppandolo completamente; era proprio uno stupido, questo doveva ammetterlo.
Viveva in Inghilterra, il paese più piovoso di tutta l'Europa, e non si era preso nemmeno la briga di portarsi dietro un ombrello in autunno inoltrato.
Pazzo. Era completamente pazzo, come i suoi genitori e suo fratello.
Appoggiò un piede -dannazione, nemmeno gli stivali aveva!- su una pozzanghera e scivolò sbadatamente all'indietro, facendo cadere i due sacchetti sul gelido asfalto tinto di nero; i capelli del medesimo colore della sabbia finirono probabilmente su un tombino, perché senti un dolore tremendo percorrergli il cranio.
Rimase immobile per un tempo indefinito; le braccia spalancate, come in attesa di un abbraccio malinconico sotto la pioggia, le palpebre bagnate, così come tutto il resto del volto; la giacca completamente fradicia, il pane ormai incommestibile, immerso nell'acqua.
Non riuscì neanche a capire se era svenuto o meno.
Gli faceva male la testa. Da impazzire.


Tum, Tum, Tum.

Era come se qualcuno gliela stesse martellando con un trapano; temette addirittura di vedere il proprio cranio spaccarsi in due, mettendo in mostra il cervello in un lago di sangue, il quale si sarebbe poi mescolato all'acqua della pioggia.
Disgusto. Ribrezzo.
Schifo, che schifo, schifo, che schifo.
Cercò di alzarsi, ma un dolore atroce gli trapassò nuovamente la testa, costringendolo a sdraiarsi; udì il martellare incessante del proprio cuore, unico rumore a fargli compagnia insieme allo scroscio della pioggia.
Si accorse solo dopo che c'era qualcosa che gli stava bagnando i capelli.

Schifo, che schifo, schifo, che schifo.
Iniziò ad avere paura.
Era troppo denso per essere acqua. Troppo. Fottutamente. Denso.
Sentì un odore tremendo riempirgli le narici e cominciò ad avere perfino una forte nausea; alzò la mano, notando in quel momento che essa stava tremando come se avesse le convulsioni, e se la portò con aria titubante sulla nuca.
Le dita gli solleticarono i capelli dorati, e poi si ritrovò con l'indice immerso in qualcosa di
denso;
Troppo denso per essere acqua

scostò di scatto il palmo, inorridito, terrorizzato, impaurito.
Chiuse gli occhi e cercò di prendere un profondo respiro.


Che cosa fai, adesso?
Cerchi di mantenere la calma?
Andiamo, lo sai meglio di me. E' sangue. E' sangue. E' ovvio che è sangue.
E' così ovvio!
Troppo denso per essere acqua.


Schifo, che schifo, schifo, che schifo.
Soffocò con estrema fatica un urlo di puro terrore e tentò nuovamente di alzarsi, questa volta riuscendo nell'intento; il liquido gli pizzicò il collo e si accorse che alcune gocce si stavano già posando sulla sua giacca.
Poi spostò lo sguardo tremante verso la mano sinistra e sbarrò immediatamente gli occhi di fronte all'enorme macchia scarlatta che penzolava in maniera oscena dalle sue dita, provocandogli un violento brivido per tutto il corpo.
Passa, passerà, passerà tutto, stai tranquillo, mantieni la calma, si continuò a ripetere in un miscuglio di frasi malate.
Probabilmente si era tagliato. Un piccolo taglio, niente di grave, tentò di convincersi, chinandosi faticosamente per afferrare i sacchetti dai quali erano scivolati via parecchi prodotti; non vi fece caso e riprese a camminare con lo sguardo spento e perso nel vuoto.
Niente di grave, passerà. Passerà, certo che passerà. E' solo un po' di sangue, solo un po' di sangue.
L'ospedale, maledetto. Maledetto ospedale che si trovava in una città che distava praticamente dodici chilometri da dove si trovava.
E accidenti a lui che si era fatto sequestrare il cellulare per una fottutissima punizione.


Chiedi aiuto, stupido.
Urla. Grida, cazzo, grida!
Hai bisogno di aiuto, chiama qualcuno!



«E' solo un po' di sangue.», sussurrò a quella gelida vocina maledetta nella propria mente; traballò un poco e appoggiò sbadatadamente la gamba su un'altra pozzanghera, riuscendo però immediatamente a riprendere l'equilibrio, ripetendo come un pazzo: «E' solo un po' di sangue, hai capito? E' una ferita superficiale, non è niente di grave.»
Accelerò il passo, proprio nel momento in cui il suo cuore prese a battere più furiosamente di prima.


Bum, bum, bum.

«E' solo un po' di sangue, solo un po'-», ma non continuò a parlare; il fiato in quel momento gli servì per camminare ancora più veloce, sempre più veloce.

Non aveva paura.
Non doveva aver paura.
Era agile. L'agilità era dalla sua parte.

Non ti servirà comunque.
Lei è più forte.


«Lei chi?», chiese all'altra voce aspra e servera nel proprio cervello, e poi strillò, dato che non ottenne risposta. «Lei chi?!»

Lei, Roxas.

La tua amica.
Andiamo, non dirmi che non sai di chi sto parlando.


«Vaffanculo, chiudi la bocca. Stai zitto, stai zitto, cazzo! Non c'è nessuna amica del cazzo, stai zitto!», stava gridando, da solo, come un pazzo.
Era pazzo. Pazzo, stava già impazzendo.
Solo per un po' di sangue
Troppo denso per essere acqua.
Silenzio.
Finalmente. Era riuscito a far tacere quella dannata vocina. Zitto, zitto, sssh.
Doveva mantenere la calma: era arrivato primo alla staffetta della scuola, superando anche quelli più grandi di lui.
Era veloce, velocissimo. Gli bastava mettere in moto le gambe e sarebbe sfrecciato dritto a casa.
Giù, giù, più veloce, sempre dritto a casa.


Lei è più forte, Roxas.
La forza batte la velocità, non lo sapevi?


«Stronzate», ringhiò a denti stretti, «e non ho ancora capito di chi stai parlando.»

Come? Davvero?
Sei proprio stupido.


«Sono il migliore della classe.», affermò con aria fiera, tranquillizzandosi in qualche modo; in quella gelida notte, in mezzo alla pioggia, forse gli faceva anche bene sentire la propria voce galleggiare nel nulla.
Lo aiutava a sentirsi un po' meno solo. Almeno un po'.
Soltanto un po'.


Non serve avere buoni voti nella vita.
La vita ha molti coltelli.
Non lo sapevi, Roxas?


Questa volta fu lui a non rispondere.
Aveva davvero una parte così cinica dentro di sé? C'era davvero qualcosa di così viscido e lurido dentro il suo cervello, mescolato alla sua anima? Quell'orribile nero che macchiava il bianco della sua vita? C'era, c'era davvero?
Sì, certo. Ce l'hanno tutti. Tutti possiedono questa parte, solo che viene fuori nei momenti in cui capisci che devi
sopravvivere.
Ma sopravvivere da cosa?
Lui era agile, e questo lo avrebbe salvato.
Forse.
«Arriverò a casa e farò vedere la ferita a mia madre», continuò a parlare, «poi lei la fascerà e tornerà tutto normale. Al massimo, se sarà così grave, chiameranno il pronto soccorso.»
La voce rise.


Sei così sicuro di riuscire ad arrivare a casa?

Camminò più velocemente e il cuore riprese il suo bum-bum incontrollato.
Gli venne in mente una stupida canzoncina che la maestra delle elementari insegnava a tutti i suoi alunni:

 

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''In questo piccolo mar,
noi siamo solo piccoli avventurieri,
in questo piccolo mar,
vi sono tanti pericoli ignoti,

in questo piccolo mar,
noi siamo solo piccoli bambini sperduti.''

 

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«Lei è la morte, vero?», domandò sommessamente, timoroso di sentire la risposta, nonostante già la conoscesse.

Sì.

«Cosa faccio?», continuò a chiedere insistentemente con le gambe incollate all'asfalto, senza avere più il coraggio di muovere un muscolo.
E questa volta la voce gli parve meno acida, come se anch'essa avesse in qualche modo paura.


Scappa.
Corri.
Fuggi.
Salvati.
Battila sul tempo.


E Roxas corse.
Corse più veloce che mai; corse, corse come il vento. Abbandonò i sacchetti per terra e le sue gambe scattarono, udendo un invisibile 'start' da parte dell'arbitro.
In lontananza sentì il rintocco di un orologio che suonava la mezzanotte in punto.


Din, don, din, don.

La sua coscienza taque, e lui pensò solo a fuggire.
Anzi, immaginò.
Immaginò di trovarsi nuovamente in quella soleggiata mattina a scuola, pronto a partire, a superare tutti, a stupire gli studenti con la sua velocità.
Ma adesso non doveva stupire nessuno. Adesso doveva solo salvarsi.
Sarebbe arrivato a casa e avrebbe raccontato, magari anche ridendo, ai suoi genitori dell'assurda situazione che aveva vissuto.
Li avrebbe detto che leggeva troppi libri dell'orrore e che doveva smetterla di guardare i film sui fantasmi a mezzanotte.
Forse avrebbe anche pianto, tanto per cacciare via quelle terribili sensazioni.
E poi sarebbe tornato tutto alla normalità.
Certo.
Era così.
Doveva essere così.
Cominciò a piovere così forte che iniziarono a fargli male i timpani;
cominciò a correre così velocemente che iniziarono a fargli male le gambe;
cominciò a respirare così affannosamente che iniziò a fargli male il petto.
Perché le strade erano deserte? Perché non c'era nessuno?


Perché Perché Perché Perché.
Io non ti ho fatto nulla per favore io voglio solo vivere per piacere non ti ho fatto niente io non ho fatto niente io non lo merito io sto impazzendo devo correre correre correre e arrivare a casa ma non farmi niente ti prego sono buono.
Giuro.

Giuro che saremo amici per sempre,
giuro che sarò sempre buono,
giuro, giuro, giuro, giuro.
Giuro.
Giurami che non mi farai del male.

 

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''In questo piccolo mar,
noi siamo solo piccoli marinai,

in questo piccolo mar,
noi siamo solo piccoli esploratori.'' 

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Ti prego Dio dimmi che l'agilità supera la forza ti prego Dio dimmi che è così ti prego ti prego.
Poi tutto si spense.
Finalmente.
Mani che lo strattonarono con violenza all'indietro, facendogli sbattere la testa contro la nuca con tale forza da provocargli un'emorragia interna.
Ma lui non sentì nulla. Non si accorse neanche del lago di sangue che gli stava macchiando i vestiti.
E' solo un po' di sangue. Arriverò a casa e farò vedere la ferita a mia madre.
Non udì più il battito del proprio cuore, nè l'orologio, nè lo scroscio della pioggia, nè il dolore.
Alzò lentamente lo sguardò e si tuffò in uno smeraldo che aveva una nota intensa di follia riflessa negli occhi; poi vide la pelle che aveva il medesimo colore di un cadavere, vide due segni viola sugli zigomi, vide dei canini sporgenti e scintillanti e vide i capelli insanguinati.

Che schifo, schifo, che schifo, schifo.
E poi anche la vista si spense.
Cos'è che gli aveva detto sua madre, prima di uscire?
Non se lo ricordava proprio, accidenti.

 

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''In questo piccolo mar,
noi siamo solo piccoli bambini sperduti.
In questo piccolo mar,
noi siamo solo un miscuglio di ossa, carne e sangue immersi in un mondo di paura e orrori.'' 

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Non sentì nulla.
Non sentì i denti che gli penetrarono la carne con una precisione impressionante, nè sentì il sangue pizzicargli la pelle del niveo collo.
Stava scivolando via.
Aveva sempre detto ai suoi amici che un giorno avrebbe lasciato la città e si sarebbe recato altrove: non sapeva però che qualcuno lo avrebbe preso così alla lettera.
Gli venne da ridere, ma non rise.
Carne, altra carne che si rompeva sotto le zanne, prede alla ricerca di rosso.
Inclinò il volto all'indietro e non riuscì più a muoversi, sotto la fioca luce del lampione.
Però vide la luna, nonostante fosse ad occhi chiusi.
Era pallida e bellissima, come sempre.
Tanto a casa sua madre gli avrebbe curato tutto.
Gli avrebbe fasciato anche la ferita al collo.
Sarebbe guarita e poi sarebbe andato tutto bene. 

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''In questo piccolo mar,
tu ormai non esisti più.'' 

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Gli sembrò di vedere una luce, e, improvvisamente, ricordò.
«Copriti bene: fuori fa molto freddo.»
Roxas pensò che probabilmente non si era coperto abbastanza, mentre tutto taque definitivamente e la pioggia si allontanava finalmente altrove.
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*Note di Ev'* -Piuttosto importanti.
Oh my God! Ho pubblicato la mia prima storia horror, che emozione -w-
Allooora... Da dove potrei cominciare?
Il titolo è una merda, lo so. Ma non sapevo che cosa tirare fuori.
Sì, facciamo poi un'accurata analisi della storia; abbiamo un Roxas -Forse un po' fifone, uhm. Anche se, andiamo, chi non avrebbe avuto paura al suo posto?- tutto solo soletto nelle piovose strade inglesi, in una nottata di Novembre per colpa di quel babbeo di suo fratello Sora; lui, fin dall'inizio, sente un presagio dentro di sé, il quale è simboleggiato appunto dall'inizio della pioggia.
A causa dell'ansia e di tutti i pensieri che gli martellano il cervello, inciampa e sbatte violentemente la testa su un tombino, provocandosi una ferita che inizia, ovviamente, a sanguinare -Il che, forse, ha poi 'chiamato' il nostro caro e vecchio (?) vampiro-; inizia a farsi prendere dal panico e scopre di avere una voce bastarda dentro di sé -Oddio, ditemi che ce l'avete anche voi e che non sono l'unica ad avercela- che gli dice la cruda realtà dei fatti -Nota importante; questa piccola 'idea' della voce cinica è in realtà presa dai libri horror del mio amato Stephen King, il quale, in due libri che ho letto, scrive appunto una voce più profonda del protagonista, che crea maggiore ansia al lettore-
Nonostante lui sia veloce, agile, e continui a scappare, alla fine il vampiro lo prende; ovviamente è Axel, ma non l'ho scritto tra i personaggi perché... Boh, preferivo che non si sapesse fin dall'inizio, uhm.
Sì, il nostro caVo Axel gli succhia il sangue e ovviamente lo ammazza.
Allegria!
Okey, ehm. Alla fine, invece, dopo aver ricordato le ultime parole di sua madre, smette di piovere e in un certo senso simboleggia che l'angoscia per il protagonista è finalmente finita.
Ahm, vorrei poi sottolineare che la canzone di 'In questo piccolo mar' me la sono inventata sul momento °-° Non ho la più pallida idea di come sia uscita, boh. Roxas ha ricordi un po' vaghi di codesta canzone, la quale alla fine diventa una sorta di ninna nanna dell'orrore perché si mescola alle sue sensazioni di terrore puro.
Vi sono poi frasi -Come ''
Ti prego Dio dimmi che l'agilità supera la forza ti prego Dio dimmi che è così ti prego ti prego.'' che mancano di punteggiatura; mi auguro che voi capiate che sia volontario e che simboleggia semplicemente la velocità con cui Roxas pensa. E' una tecnica molto utilizzata e volevo provarla un po' anch'io, per alzare la tensione (?).
Ehm... Poi non ho messo l'avvertimento ''Non per stomaci delicati'' perché non mi pare così violenta; ma se qualcuno ha qualcosa in contrario, me lo faccia sapere, e metterò subito l'avvertimento!
Mmmh... Che dire... Non saprei se la storia sia originale o meno; è la prima storia horror che scrivo, nonostante in testa ne abbia già altre.
Non sono andata avanti con nessun'altra long, ahimè ;_; Ma ci tenevo molto a postare questa, e spero di potermi dedicare a tutte le altre.
Io sono ancora viva. Il computer è ancora qua. Non ho avuto ancora il coraggio di mandarlo ad aggiustare, sono troppo terrorizzata dal fatto di perdere i miei documenti, uhm.
Che dire... No, basta.
Spero che la storia sia stata di vostro gradimento e VI PREGO DI COMMENTARE PERCHE' CI TENGO TANTISSIMO AD UN PARERE. DIAMINE, LEGGETE E COMMENTATE PER L'AMORE DEL CIELO, COSA VI COSTA?! SE NO MI INCAZZO, GIURO.
Basta, adesso me ne posso andare.
Alla prossima, people.
E.P.R.

 

   
 
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