Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |      
Autore: Pendragon of the Elves    03/07/2012    3 recensioni
Era assurdo, era completamente contradittorio, eppure era come se desiderassi che il mondo finisse. E forse era davvero così: volevo che finisse, volevo vederlo terminare sotto i miei nuovi occhi. Oppure -ancora meglio- io volevo distruggerlo.
One-Shot in prima persona, ambientata immediatamente dopo la fine di Final Fantasy VII Advent Children: i pensieri di una bambina con lo stigma che decide di divenire l'eredità vivente di Jenova sul pianeta. 
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kadaj, Loz, Nuovo personaggio, Yazoo
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Advent Children
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


If I could destroy the World

 
 

«Shani!», una madre urlava, scorgendo sua figlia tra la folla, per poi correrle incontro con le lacrime agli occhi e gettarle le braccia al collo, ormai piangendo a dirotto dalla gioia.
«Shani, grazie al cielo, sei salva!».
«Mamma!», singhiozzava la bambina, «mi sei mancata: mi sei mancata tanto!».
«Oh, anche tu, tesoro! Mi sei mancata da morire».
«Ho avuto tanta paura…».
Appoggiata indifferentemente ad un muro, osservai con la coda del occhio la madre e la figlia che si abbracciavano in mezzo alla gente che continuava ad uscire dalle case e aprire la braccia alla pioggia, guardando in alto con lo sguardo estasiato di chi ha ottenuto la salvezza. Non mi sfuggì il brillio che balenò sulle braccia e sulla fronte della bambina. Vidi le sue pupille tornare rotonde, i suoi occhi tornare normalmente marroni ed il suo corpo ritornare, impercettibilmente ma irreversibilmente, umano. Così, come un fantasma verde, il terribile stigma che aveva afflitto e devastato l’intero pianeta, si perse, sconfitto, nella pioggia. Sembrava una presa in giro, eppure era davvero così: l’eredità di Jenova che il mondo intero aveva temuto veniva lavata via dalla pioggia. Sapevo, tuttavia, che non era semplice pioggia ma era comunque disarmante come poche gocce d’acqua potessero vincere quella terribile peste aliena.
Chiusi gli occhi: non riuscivo più a guardare quelli sguardi sollevati e allegri mentre il cielo li privava dello stigma. Mi calai meglio il cappuccio sugli occhi e scomparii dietro l’angolo, al riparo del muro: quella pioggia non mi avrebbe presa. Mai. In fondo, non poteva piovere per sempre. Inconsciamente, mi sfiorai il ciuffo di capelli che mi copriva la fronte. “Anche se… d’ora in poi, io dovrò nascondermi per sempre”.
Scomparii camminando nell’oscurità del vicolo.
 
«E tu che vuoi, mocciosa?».
Tre, terrificanti paia di occhi mi fissavano intensamente. Fissi, freddi, penetranti, alieni: terribili occhi dalla pupilla ferina, sembravano penetrarmi fin dentro l’anima tanto erano taglienti. Inquietavano, ma io non avevo paura.
Mi sedetti per terra, tranquillamente, anche se sempre sotto i raggi di quegli occhi.
«Perché non te ne stai con i tuoi amichetti, laggiù?», l’individuo alto coi capelli corti scoprì i denti in un sorriso sgradevole, «Non hai paura?».
Io rimasi immobile, guardandolo, senza voltare il capo, ruotando solo gli occhi: «Non sono come quegli idioti». La voce mi uscì gelida dalla bocca: trovai quasi strano il fatto che non mi si fossero congelate le labbra.
L’uomo ghignò ancora più di prima:«Senti un po’ come canta il fringuellino… Non hai paura a venire dritta dritta nella tana del lupo?».
In effetti, la sua espressione e la pupilla verticale dei suoi occhi, vagamente cerchiati da un’ombra grigia, come se avesse appena pianto, avevano molto più di animale che umano anche se, ancora di più, di qualcosa di ultraterreno. Ed era proprio questo che li rendeva così agghiaccianti.
Lo ignorai e tornai a rivolgermi a tutti e tre. Anche se la loro semplice presenza su questo suolo terrestre era la risposta a quella che, più di una domanda, proprio per questo motivo era un’affermazione.
«Allora… presto finirà il mondo», mormorai.
«Non metterti a piangere, eh!», mi schernì, sempre lo stesso: la sua espressione ancora più ferocemente derisoria.
«Allora, Jenova… tornerà sulla terra».
«Hmf».
Mi voltai: quello che sembrava il capo aveva sogghignato amaramente. «Forse no».
Sentii un debole e gutturale singhiozzo e una terza voce atona che forse intendeva essere consolatoria.
«Non piangere, Loz…».
«Vorreste farmi credere che riuscirete a distruggere questo mondo da soli?», ero scettica, ma forse la verità è che lo speravo, perchè avevo paura di sapere come stavano davvero le cose.
«No, non da soli», il sorriso sul suo volto si fece sprezzante ma l’espressione sul suo volto si fece in qualche modo timorosa, «La fine di questo mondo sarà opera di nostro fratello maggiore».
«Fratello maggiore…», ripetei semplicemente io. Non seppi perché, ma il tono referenziale con cui loro stessi si rivolgevano a questo fantomatico “fratello maggiore” mi metteva addosso una paura e una soggezione che non provavo nemmeno di fronte a dei distruttori in carne ed ossa che avevo davanti.
L’uomo si voltò verso di me, il ciuffo di capelli che gli cadeva sul viso gli nascondeva metà del volto ma forse era meglio così: se anche quella nascosta aveva la stessa espressione crudele della parte del volto che vedevo, sarei rabbrividita come una foglia sotto un crudele vento invernale.
«Hai mai sentito parlare dell’Incubo?».
Il mio cuore perse un battito mentre una gelida consapevolezza mi ghermiva l’animo:«L’Incubo… è… è lui che tornerà?».
Loro si limitarono a fissarmi in silenzio, non tanto come se quello che avevo appena detto fosse scontato, ma cose fosse ormai inevitabile. Nonostante il buio, brillò come una stella la scintilla di vittoria che lessi nei loro occhi.
Il viso di Kadaj si illuminò di una luce talmente gelida e maligna che mi gelò il sangue nella vene:«Sì, l’Incubo causerà la fine di questo immondo pianeta».
 
Dopo parecchi, interminabili minuti, gli scrosci cessarono e cominciai a sentire solo gocciolii più o meno distanti. Cautamente, sbirciai oltre il riparo della lamiera di metallo sotto la quale mi ero rifugiata: aveva smesso. Mi concessi un sospiro: finalmente. Mi guardai le mani e gli avambracci: la macchia incriminata era ancora lì. Avevo perso la mia occasione di lavarmela via una volta per tutte. Beh, se mai avessi cambiato idea, avrei sempre potuto rotolarmi in una pozzanghera. Ma come avrei potuto, sapendo che viveva in me l’ultima parte di Jenova sulla faccia del pianeta.
Mi strinsi le ginocchia al petto e fremetti: non avrei mai creduto che avrei mai avuto il fegato necessario per farlo, eppure era stato così. Avevo scelto di tenermi lo stigma e mantenere in vita una possibilità, anche se minima, che il mondo venisse distrutto. Probabilmente, se avessi dovuto compiere questa scelta anni fa, non avrei mai considerato questa eventualità, non avrei neanche pensato di farlo, e mi sarei buttata sotto la pioggia a bocca aperta, se necessario: mi sarei rotolata a terra nella pozzanghere e avrei succhiato l’acqua dalla strada. Ma questo, sarebbe stato molti anni fa, quando io ero ancora una bambina felice, quando ero figlia di qualcuno e non della strada, quando non vedevo ancora il mondo per quello che era veramente: un’autentica schifezza, una cosa che meritava di essere spazzata via dalla faccia dell’Universo. Quello era un pianeta maledetto e lo avevamo rovinato noi, con le nostre mani.
Ghignai mestamente: come potevamo noi umani convivere con questa realtà ed essere ancora così ciechi da non vedere male che avevamo causato ma riuscire a ritenere ingiusto il destino che ci meritavamo?
Che razza spregevole quella umana.
 
Uno sciabordio impercettibile d’acqua e, in un istante, sentii un sussurro da rettile nel mio orecchio.
«Che c’è? Non vuoi bere anche tu?».
La voce di Kadaj mi riempì le orecchie, bassa ed impercettibile eppure tanto potente da sovrastare tutti gli altri rumori: una voce tale che avrebbe potuto convincermi a buttarmi da un ponte se me lo avesse anche solo chiesto. Tuttavia rimasi ancora immobile, incapace quasi di muovermi, gli occhi vuoti persi nel fissare il turbinare oscuro dell’acqua che mi lambiva i fianchi: era tiepida, eppure lasciava addosso un senso di gelo indescrivibile, quasi alieno. C’era motivo di dubitare che fosse, poi, davvero dell’acqua. Era come essere immersi in un pozzo di tenebra: ero convinta che se avessi continuato a guardarla ci sarei sprofondata per sempre. E avevo una voglia pazzesca di assaggiare quell’oscurità.
Le parole di Kadaj mi risuonavano ancora nella mente, potenti come non si può immaginare. Non c’era da stupirsi che quel branco di bambini avesse ubbidito all’istante ai suoi ordini, ma io ero ancora inchiodata al mio posto per assaporare tutta la loro sublime magnificenza e a sperare con tutto il cuore che il terribile significato che custodivano fosse vero. E per quanto utopiche, avevano il gusto freddo ed inalienabile di una catastrofe imminente: per quello erano così gustose, per quello ero completamente estasiata.
Alzai gli occhi su Kadaj, sul suo volto crudele, talmente freddo e spietato da avvelenare di terrore la realtà.
«Noi… siamo fratelli e sorelle», mormorai atona, «Torneremo assieme alla madre?».
La sua risposta fu un sibilo di compiacimento che mi fece fermare il cuore:«Sì».
Quelle parole erano così terribili, eppure tremendamente, incredibilmente confortanti: non avrei mai trovato nulla di simile sulla terra, mai. Per questo non potei fare a meno di cedere a quella loro agrodolce promessa.
Schiusi le labbra, il labbro mi tremolò leggermente per l’emozione. E mentre Kadaj mi versava quell’acqua in bocca, io sentii come se del metallo freddo e liquido mi stesse scendendo in gola, come se quel gelido tocco spegnesse il mio calore umano e risvegliasse in me qualche cosa di nuovo ed alieno. Sentivo che richiamava la madre: Jenova si risvegliava dentro di me ed io cominciavo a farne parte a mia volta.
Riuscii a vedere riflessi negli occhi di Kadaj i miei che mutavano fino a diventare in tutto e per tutto identici ai suoi.
 
“Ed ora è tutto finito”, pensai amareggiata.
Era assurdo, era completamente contradittorio, eppure era come se desiderassi che il mondo finisse. E forse era davvero così: volevo che finisse, volevo vederlo terminare sotto i miei nuovi occhi. Oppure -ancora meglio- io volevo distruggerlo. E lo avrei fatto, se solo non fosse finito tutto.
Quel mondo mi ripugnava, da tempo ormai mi ero rassegnata a quella realtà, alla tirannia della Shinra, al superpotere del denaro, alla dominanza dei pochi sui molti, senza vedere alcuna speranza che tutto questo potesse cambiare. Credevo di aver visto le tenebre in tutto quello mentre non sapevo quanto profonde e terribili essere potessero essere. Con Kadaj e la sua banda le avevo viste, le tenebre: fatte di vendetta, crudeltà, gelo e assolutamente nessuna pietà. E, con mia grande sorpresa, mi ero resa conto che quella era la mia oscura speranza. Di solito la speranza è associata ad una luce nell’oscurità, eppure quella era la tenebra assoluta in un mondo di ombre. Ed io mi sentivo attratta terribilmente da quella tenebra.
Il mio intero essere fremeva al solo pensiero: quanto c’era di umano in me lo rifiutava, tentava di negarlo in quanto negazione di se stesso. Per quello io stessa avevo provato a negarlo: avevo cancellato la mia umanità per donarmi alla realtà che anelavo di più in assoluto col mio spirito. Se solo avessi potuto, avrei distrutto quel pianeta con le mie stesse mani: mi aveva ferito troppo perché avessi potuto perdonarlo. C’era ancora una parte di me che si sentiva a disagio a quel pensiero e che, probabilmente, mi avrebbe frenata ad un certo punto. Ma non mi avrebbe mai impedito di provocare tanto male da provare rimorso in seguito. Perché non si rimane impassibili di fronte alla propria casa che viene distrutta, anche se è luogo di ricordi dolorosi, specie se quel luogo è il tuo intero pianeta. E poi… mi sentivo sciocca ad ammetterlo, ma vedevo ancora del bene in quel mondo. C’era ancora della luce negli occhi dei bambini, negli abbracci, nei sorrisi sinceri: c’era ancora del bene in quel mondo -poco, ma c’era- ed era completamente soppresso da tutto il male che regnava come sovrano su quel pianeta. Se solo fosse stato possibile eliminare quel male… Non sarebbe stato necessario distruggere l’intero pianeta se ciò fosse stato possibile. Ma eliminare la radice del male…
 
«Gli esseri umani sono la fonte del male che dilaga e distrugge questo pianeta», due occhi verdi-azzurri ormai ridotte a fessure assaporavano la verità terribile delle sue stesse parole, «per questo, questo pianeta deve essere distrutto».
 
“Gli esseri umani sono la fonte del male…”.
Già, Kadaj l’aveva detto e, come sempre, aveva dannatamente ragione: in qualunque caso, l’umanità era destinata a perire. Perché sarebbe stato giusto così.
La mia indecisione era un pensiero inutile, il mio conflitto interiore era del tutto ininfluente: in cuore mio sapevo che l’Incubo sarebbe risorto di nuovo. Il fremito gelato che avevo provato quando era finalmente tornato si era estinto quando egli era tornato a svanire ma, quel sentore di gelo e pericolo, continuava ad esistere, così come Egli continuava ad esistere. E, quando sarebbe tornato, nessuna legge, umana o divina, sarebbe valsa contro di lui. Non sarebbe più stato un problema di “giusto” o “sbagliato”, di “bene” o “male”, di “buono” o “cattivo”. Non sarebbe stato o “bianco” o nero”: ci sarebbe stato solo il suo volere.
Prima o poi sarebbe successo ed io avrei semplicemente assecondato gli eventi, perché ero l’ultima eredità vivente di Jenova sulla faccia della terra.

Mi calai il cappuccio sul volto e mi incamminai fino a venire inghiottita dai vicoli della città. Quel mondo corrotto mi avrebbe avvolto nelle sue tenebre come prima, incurante del fatto di celare in grembo e nutrire di rancore il seme della distruzione che avrebbe condotto alla sua fine.



 

The End



______________________________________________________________________________________________________________________


Salve a tutti! Questa è la mia prima Fan fiction su Final Fantasy: solo ieri non era nulla più che un esperimento ma già oggi mi sento molto ispirata da questo personaggio. Magari in futuro scriverò qualcosa di più completo su di lei. Mi raccomando: commentate numerosi perchè, sapete, le recensioni -siano esse buone o critiche- sono sempre ben accette. ^ ^
Ringrazio Hamber of the Elves per avermi fatto conoscere questa straordinaria storia e ringrazio in anticipo tutti coloro che vorranno leggerla.
Alla prossima! ^ ^

Pendragon of the Elves

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Pendragon of the Elves