La stanza era perfettamente cubica, non abbastanza piccola
per risultare raccolta e non abbastanza grande per sembrare spaziosa. Le
pareti, il pavimento e il soffitto splendevano di un bianco tanto bianco da
risultare abbacinante.
Ma non era il bianco della neve. Non era il bianco delle
nuvole vaporose in un cielo d’estate. Non era il bianco dei denti di un bambino
che sorride.
Era il bianco delle lenzuola vecchie, trattate fino
all’esasperazione con l’ultimo detersivo uscito sul mercato. Era il bianco
della mano d’intonaco passata sui muri scrostati. Era il bianco, risultato di
un trattamento dentistico di igiene, del sorriso ipocrita di un politico di
professione.
Ma la stanza non aveva porte, né finestre, né apertura
alcuna. Nessun condotto dell’aria condizionata. Nessuno spiffero, né pertugio.
Quindi in teoria nessuno avrebbe potuto mai fare considerazioni sulla
particolare sfumatura di bianco che tingeva le pareti.
In realtà, però, un essere che avrebbe potuto immergersi in
queste profonde riflessioni, c’era. Anzi, erano due.
In effetti la stanza non era affatto vuota. Due sorgenti di
calore, di entità oscillante tra i 36 e i 37 gradi centigradi, occupavano una
porzione dello spazio della stanza, stimabile in svariati decimetri cubi. Le
loro posizioni reciproche erano quantomeno curiose. Uno di essi sedeva a gambe
intrecciate sul pavimento. I palmi delle mani poggiavano saldamente sul bianco
color incrostazioni calcaree del pavimento, permettendogli di stare in una
posizione leggermente inclinata. I suoi occhi fissavano un punto imprecisato
del muro, che pareva avere una pennellata di bianco dalle tonalità
particolarmente uguali alle altre. Ad un paio di metri, invece, un altro essere
giaceva supino sul pavimento, che in quel punto era bianco come i campi vuoti
di un modello per la dichiarazione dei redditi. Il suoi occhi, al contrario del
suo coinquilino, non parevano fissati in un punto definito, ma vagavano
freneticamente attraverso le coordinate spaziali della stanza, forse nel vano
tentativo di scorgere qualcosa che sfuggisse alla disperante tranquillità di
quel bianco sempre identico a sé stesso.
Di tempo ne era passato sicuramente molto. Cioè, il tempo da
cui si trovavano lì. Ma in quella stanza perfettamente cubica, e perfettamente
bianca, di quel bianco che se provassi a grattarlo via probabilmente
scopriresti il grigio e poi il nero, in quella stanza lì, non c’erano orologi,
né clessidre, né meridiane e così, nessuno si era mai posto il problema di
quanto tempo in realtà stesse passando.
Bianco. Ho forse mai visto altro? I miei occhi si sono schiusi sul
bianco e da allora Egli è stato il taciturno testimone dei miei pensieri. In
ogni attimo, sempre e comunque, lo steso immutabile bianco. Forse ciò mi è
cagione di tedio? Niente affatto. Giacché Egli è disposto proprio come me.
Ordinato. Ineccepibile. Perfetto. Chi potrebbe mai rinfacciare alcunché a
questa parete, così liscia, levigata, senza la benché minima imperfezione? Chi
potrebbe esimersi da un sentire di ossequiosa deferenza, da un senso di colpa
strisciante, da un tacita professione di vergogna per la propria inadeguatezza,
di fronte ad un tale composto chiamarsi fuori dalle vicissitudini del mondo?
Nessuno. Tranne me, naturalmente. Il mio animo non è affetto da niente di tutto
questo. Perché, nel fissare quel soffitto, vi scorgo il riflesso perfetto,
l’ineffabile simulacro del mio stesso io. Perché, io sono. E dato che non
esiste altro all’infuori di questo, per logica ed inoppugnabile conseguenza, io
sono questo. Sì, non potrebbe essere altrimenti che così. Io ed esso. La stessa
cosa. Una cosa sola.
Eppure…
No, niente.. Ciò è vero, indubbiamente. L’ho pensato io, che sono tutto
ciò che è, dunque vero e falso sono nomi che appongo a mia discrezione.
Però…
No, niente…Non può essere un dubbio. Non si può dubitare di una cosa
incontrovertibilmente vera. Il dubbio mina le fondamenta. Il dubbio incrina la
perfezione. Il dubbio sventa i piani più sublimi. Io non alcun dubbio. Solo
certezze.
Tuttavia…
No, niente…Un inganno? Non può essere. Del resto, inganno presuppone un
ingannato e un ingannatore…Qua non possono coesistere entrambi i soggetti, dato
che è chiaro come lo sono io, che nessuno c’è oltre a me.
Ma in fondo…anche se ne sono certo… potrei ugualmente cercare una
piccola quanto inutile conferma… E dopo potrò annientare questa ridicola idea,
che ha scosso la mia completezza.
Andrò dunque a vedere.
Bianco. Ne ho la nausea. Da quando sono
qui, nient’altro che questo fottutissimo bianco. Su. Giù. A destra. A sinistra.
Giro gli occhi, e solo bianco. Lo odio. Sai cos’è che mi andrebbe di fare? Fare
a pezzi questo bianco, buttare giù la parete, ucciderlo una volta per tutte.
Così la smetterà di prendermi per il culo. E’ da quando sono qui che lo fa.
Beh, MI HAI SENTITO STRONZO? Se volevi farmi incazzare ci sei riuscito. No, non
sono perfetto. Ho tanti difetti e lo so bene. Ma sia chiaro, questo non è un
buon motivo per farmi sentire una merda. Ma chi ti credi di essere? Pensi che
non sappia che sotto quelle due dita di vernice così perfetta non si nascondono
muri anneriti? Polvere a non finire? Scarafaggi, cimici e resti di cibo in
decomposizione? Pensi che creda alla tua maschera? Beh, sei un idiota. Io sono
quello che sono. Non mi incanta il tuo silenzio. No, non è il silenzio di uno
che se ne sbatte perché è superiore. E’ il silenzio di chi tace perché ha
appena sentito gridare il proprio segreto in piazza, davanti a tutti. E allora,
se anche dicessi una sola parola, tradiresti tutto il tuo imbarazzo. Ma tu non
vuoi darmi questa soddisfazione. Dopotutto, non è quello che hai sempre tentato
di fare, di ingannarmi? Ti diverti forse così tanto? E’ così realizzante per te
continuare a far finta che le mie parole non ti scalfiscano, che non stiano
instillando gocce di acido nelle tue microscopiche fessure, che presto o tardi
ti faranno crollare fragorosamente. Non ti faccio paura? Ti faccio vedere io,
adesso. Che dici? No, non ragiono. Non me ne fotte un cazzo se non ho alcun
modo per scalfirti. Non mi importa se non troverò un singolo appiglio su cui
fare leva, neanche cercandolo per l’eternità. Tanto dovrei stare comunque qui
per l’eternità, quindi tanto vale trovare un’occupazione interessante. Mi sono
rotto di stare seduto a guardare in qua e in là.
Ora sta’ a vedere di cosa sono capace.
E nello stesso, medesimo istante, i due si alzarono, e si ritrovarono uno di fronte all’altro, guardandosi negli occhi.