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Autore: Marthyisdead    03/07/2012    8 recensioni
"Los Angeles non gli era mai mancata così tanto come in quel momento.
Aveva così tante cose da dire e fare, così tante cose da cantare.
Uscito dall’aeroporto arrivò subito allo studio di registrazione, dove trovò Slash impegnato a suonare la sua chitarra. Stava facendo un assolo, e Myles sentì subito che quello era l’assolo adatto. Era l’assolo perfetto per 'Anastasia'."
Song-fic su "Anastasia".
Sì, qui c'è Myles e Slash è solo una comparsa, ma alla fine ho pensato di pubblicarla nella sezione dei Guns, con gli Alter Bridge non c'azzecca proprio niente.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’ll never love another how I’ve loved you so, Anastasia.

 
Una pausa, sì, ne era convinto. Un po’ di pausa era quello che ci voleva per rilassarsi.
Decise di portare con sé la chitarra, quella non l’avrebbe di certo lasciata.
Sarebbe stata la sua “compagna di fuga”, se così poteva esser definita.
Sarebbe stato da solo qualche settimana, un po’ in giro per il mondo.
Metà del tempo era già passato, e lui avrebbe voluto visitare il Messico.
Proprio qui successe qualcosa che gli rifece prendere la penna in mano, ricominciando a scrivere, uscendo da quel periodo di blocco.
 
 
 
Il cielo era strano, particolare, rosso, così bello. Era il tramonto.
Myles si guardava intorno, con quella sua solita timidezza da bambino addosso.
Sembrava così meravigliato, era arrivato lì, in quel posto che voleva tanto vedere.
Non ci sarebbe rimasto a lungo, avrebbe passato tre o quattro giorni in un albergo di un piccolo paesino sperduto vicino ad una spiaggia deserta.
Decise di fare una passeggiata proprio su quella spiaggia, in modo da poter respirare un po’ di quell’aria messicana che lo attirava.
Cominciò a camminare, quel posto era il luogo adatto per lui: non c’era nessuno, era tutto così deserto e calmo, c’erano solo lui e il sapore del mare, lui e il piacevole rumore delle onde, rilassante.
Un posto dove poter riflettere, dove poter stare soli con sé stessi.
Ma Myles si sbagliava.
Non era solo, lì.
Non era solo lui che cercava di scappare da qualcosa che la realtà gli metteva davanti agli occhi, non era l’unico a scappare per stare bene, non era l’unico a volere solo la propria tranquillità per ritrovare il giusto equilibrio, per essere di nuovo in forma psicologicamente.
Sentì dei singhiozzi, poi un pianto. Un pianto che sapeva davvero di dolore, uno sfogo che non poteva davvero essere fermato.
Myles continuò a camminare. Era curioso di vedere chi piangeva così tanto, era curioso di sapere il motivo di quello sfogo così grande.
A pochi passi da lui, una ragazza. Aveva le ginocchia al petto, era tutta rannicchiata e continuava a piangere. Aveva dei capelli bellissimi, color rame, che andavano a formare una treccia. In testa aveva una bandana verde, il colore della speranza, quella speranza che, molto probabilmente, le mancava.
Era vestita di scuro, ed il suo dolore era percepibile anche dai suoi vestiti.
 
Non era da Myles andare lì e chiedere il perché di quel pianto, ad una sconosciuta poi… No, non era decisamente il tipo. Ma non poteva sopportare quel pianto in tutta quella tranquillità, e non voleva percepire il dolore, ancora una volta, anche se non era il suo.
 
«Hey, che succede?»
 
La ragazza cessò di piangere, per un attimo. Guardò negli occhi l’uomo che le stava parlando, fissò quelle iridi azzurre, per poi scoppiare a piangere di nuovo.
 
«Sai, non è da me, ma… Io sono qui, per… Aiutarti. Mi chiamo Myles, ti ho sentito piangere mentre camminavo e non voglio percepire altro dolore, ne ho abbastanza» disse con un fare schietto e deciso.
 
La ragazza alzò gli occhi e guardò Myles, sorpresa da quella sua sincerità.
Le sembrava una brava persona, una persona che l’avrebbe ascoltata senza interromperla e che le avrebbe prestato tutta la sua attenzione, glielo dicevano quegli occhioni azzurri.
Si fidava di lui, sentiva che poteva fidarsi. E poi aveva bisogno di parlare, di sfogarsi, era stanca di piangere, lo si capiva dai suoi occhi.
 
«E’ una storia lunga… Potrei annoiarti»
«No, non mi annoieresti. Avanti, sfogati, parlane, io sono qui per questo».
 
Sì, ora ne era sicura. Poteva fidarsi di lui. Sarebbe rimasto lì ad ascoltare la sua storia e il suo dolore, non se ne sarebbe andato.
 
«Io… Mi chiamo Anastasia. E non ho mai amato nessun altro come amo Lui».
 
La ragazza fece vedere a Myles una foto, che raffigurava lei insieme a questo ragazzo, era bellissimo anche lui. Capelli corvini, piercing al labbro inferiore, bellezza iugoslava, occhi smeraldo, brillanti, sorriso splendente.
Myles prese in mano la foto, la osservò per qualche istante che parve un’eternità. E per un attimo la foto gli sembrava ingiallita e vecchia, come se richiamasse alla mente i ricordi di un passato bello e pericoloso allo stesso tempo.
 
«Lui è Sebastian. Lui… Era Sebastian…»
 
Sul viso della ragazza si presentarono altre lacrime, altro dolore che le esplodeva dentro.
Sì asciugò gli occhi, tirando su col naso, continuando a raccontare, combattendo contro sé stessa per non esplodere ancora.
 
«Lui era il mio fidanzato… La nostra relazione era molto complicata a causa del suo comportamento… Non ha mai avuto una famiglia, ed è cresciuto così, in mezzo ad una strada, è cresciuto rubando, era un delinquente…  I poliziotti lo cercavano in eterno, ma lui era così veloce che non riusciva a farsi beccare, anche se riuscivano sempre a trovarlo, lui riusciva sempre a scappare… Ma per una volta era stato un ladro gentile, me lo raccontò lui. Ci conoscemmo così»
 
La ragazza sorrise, poi continuò la sua storia.
 
«Ci conoscemmo perché un giorno lui rubò una collana d’oro preziosissima a mia nonna. E un candelabro, sì, anche un candelabro d’argento. Quel giorno nonna ci chiamò tutti, chiamò tutta la famiglia, ma proprio tutta. Era affezionata a quei due oggetti e non si dava pace, doveva ritrovarli al suo posto, a tutti i costi. Quella notte rimasi da nonna, a farle compagnia e a consolarla, andai a buttare la spazzatura, quando vidi lui con la collana e il candelabro. Era così dolce… Mi disse: “Sono stato io a rubarli… Ecco gli oggetti di tua nonna, faglieli trovare al loro posto…” e non mi arrabbiai. Aveva una faccia così dolce, come potevo arrabbiarmi con lui? Era dolce come un bambino. Ricordo che mi prese per il braccio e mi sussurrò all’orecchio: “Dovrò continuare a rubare oggetti nella casa di tua nonna per rivedere una ragazza così bella?”. Mi fece ridere. Era così bello, anche lui, gli dissi che potevamo incontrarci ogni notte. Non sapevo a cosa stavo andando incontro, non ci avevo mai pensato, e non mi interessava. Volevo solo rivedere quegli occhi smeraldo lucente. Erano così splendenti…»
 
Myles sorrise. Era una fortuna incontrare una ragazza così, che amava davvero e con l’anima, in quell’universo dove ormai solo l’amore fisico era padrone.
 
«E poi? Cosa successe dopo?»
 
«Ci incontrammo ogni notte. Era simpatico, così romantico e gentiluomo, non sembrava ciò che realmente era. E io non avevo paura, mi fidavo di lui, mi fidavo ciecamente di lui. Ci innamorammo l’uno dell’altra, da subito.
Nessuno sapeva di noi, c’eravamo solo io e lui in quei momenti. La notte era solo nostra, e tutto questo ci bastava. Tante volte mi ero chiesta cosa stavo facendo, perché stavo amando un pazzo che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa a chiunque, tante volte mi ero promessa di allontanarmi da lui, ma tra il dire e il fare…»
 
«C’è di mezzo il mare» continuò Myles, sorridendo leggermente, fissando le onde lontane che si infrangevano sugli scogli.
 
«No, c’è di mezzo il coraggio, il coraggio di ammettere certe cose al tuo cuore. Il coraggio di ammettere che lui non era giusto e che era un pericolo per me. C’è di mezzo l’onore, quanta gente ti parlerebbe alle spalle e direbbe le peggio cose di te, quando sa che sei innamorata di un criminale? C’è di mezzo il voler dimenticare pensieri, sentimenti e parole che non riuscirai a dimenticare. Io non ho avuto il coraggio di ammettere che lui era pericoloso per me e i miei cari, non mi interessava quello che avrebbe detto la gente e non riuscivo a dimenticare certe cose. Mi diceva che tutto quello di cui aveva bisogno era un miracolo, per non rubare più, per non uccidere più, per non scappare più dai poliziotti, mi diceva che quel miracolo ero io, che avrei potuto cambiarlo, che con me sarebbe cambiato. Non l’avrei mai lasciato solo… Ma i miei genitori scoprirono la relazione con Sebastian e il nostro mondo diventò l’Inferno. La nostra era diventata una relazione complicata, mi impedirono di uscire di casa e di frequentare chiunque, per un periodo. Continuavano a ripetermi che era un delinquente e che dovevo stare assolutamente lontana da lui, continuavano a dirmi che non avevo rispetto per loro che avevano cercato di educarmi in un certo modo, ma non capivano che non riuscivo a comandare al cuore, nonostante ci avessi provato fin troppe volte».
 
Myles rimase colpito dalla profondità della ragazza. Si ricordò che un giorno qualcuno gli aveva detto che per essere così profondi si doveva aver sofferto davvero e tanto. E si vedeva che Anastasia aveva sofferto tanto.
 
«E ora che Sebastian, insomma… Ora che non c’è più, cosa dicono i tuoi?»
 
La ragazza sorrise. Il suo era probabilmente un sorriso dovuto al nervosismo.
 
«Non dicono nulla, non ci sono più nemmeno loro.»
 
Myles rimase a bocca aperta. Cos’ era successo?
 
«Spiega.»
 
«Sebastian non ne poteva più… Ero l’unica speranza per lui, e non sopportava il fatto che non poteva vedermi, che non poteva abbracciarmi e dirmi che mi amava, non sopportava non avere vicino a sé il suo unico appiglio. Così, proprio nella notte in cui fuggii per arrivare qui in Messico, lui uccise i miei genitori. Mi dissero questo. Ma non è finita qui… Sebastian sapeva quanto amavo i miei genitori nonostante tutto quello che mi stavano facendo passare nell’ultimo periodo. Sapeva quanto gli ero affezionata e quanto apprezzavo tutto ciò che riuscivano a darmi. Capii che dovevo apprezzare di più tutto quello che avevo proprio quando lo conobbi. Lui non aveva mai avuto nemmeno una famiglia, mentre io avevo questo e molto, molto di più.
Sebastian mi amava tanto, e sapeva che con quel gesto mi avrebbe ferito ancora di più, perché erano pur sempre i miei genitori, erano pur sempre quelle due persone che mi avevano messa al mondo. Mi scrisse una lettera, poche righe, le sue ultime che avrei letto.»
 
La ragazza tirò fuori un foglietto colorato. Spiegò a Myles che il verde era il suo colore preferito, e anche quello del suo Sebastian.
Cominciò nuovamente a singhiozzare, non riusciva a non piangere.
Cercò di tranquillizzarsi, e di leggere la lettera con la calma più assoluta.
 
 “Anastasia, amore mio, dovrei fare la mia strada e raggiungerti in Messico, ma questo potrebbe essere il nostro ultimo addio. Ho paura di lasciarti, di lasciare alle spalle tutto il tempo che ho passato con te e tutta la felicità che mi hai dato, mastanotte il sangue è sulle mie mani, e tu non puoi salvarmi ancora. So che quello che ho fatto è sbagliato. Ho rovinato e perso tutto, stanotte. Vivrai questa vita senza di me, e sarà migliore, per il tuo onore. Non amerò mai qualcun’altra come ho amato te così tanto, ciò che vive dentro il mio cuore non morirà mai. Per sempre tuo, Sebastian.”
 
Myles restò in silenzio, e capì che il ragazzo si era suicidato. Capì che l’aveva fatto perché aveva capito di aver sbagliato, aveva tolto la vita a due persone fondamentali per la sua giovane donna, facendola soffrire di più. Si era sentito colpevole, e probabilmente non sarebbe mai riuscito a scusarsi o a sentirsi del tutto perdonato.
 
 
«Ogni notte mi diceva che quello poteva essere il nostro ultimo addio, ma se l’era sempre cavata in tutto e con tutti… E invece questo era davvero l’ultimo dei nostri addii… E questo cielo rosso sangue non fa che ricordarmi tutto questo ancora di più…»
 
 
Myles si sentì così impotente. Non poteva fare nulla per aiutarla, nulla che la potesse far rivivere.
La abbracciò istintivamente, era solamente quello ciò che poteva fare.
La ragazza si strinse sul suo petto piangendo, ancora e ancora, cercando di liberarsi da quel dolore che la uccideva e che le lacerava l’anima. Poi lo fissò nei suoi occhioni di ghiaccio, come per ringraziarlo, per averla ascoltata e per averla fatta sfogare.
 
Se la portò all’albergo, affittò una stanza anche per lei, in modo da poter avere vitto e alloggio.
 
Nei giorni seguenti Myles non uscì dalla sua camera, scriveva e scriveva continuamente, faceva solo quello, giorno e notte. Anastasia l’aveva aiutato, l’ispirazione ora era finalmente con lui, di nuovo.
 
Quando il cantante uscì dalla stanza, una mattina avvolta dal calore del sole, era arrivata l’ora di partire, di ritornare a Los Angeles. No, non si sarebbe fermato a Spokane dalla sua famiglia, aveva una cosa troppo urgente da fare.
Chiese di Anastasia, ma nessuno sapeva nulla di lei. Se n’era semplicemente andata dall’hotel, lasciando un foglietto con su scritto: “Grazie, Myles”. Non c’era nient’altro di lei.
Immaginava ciò che avrebbe potuto fare la ragazza. “Che peccato”, pensò Myles.
Avrebbe potuto ascoltare ciò che aveva composto grazie a lei, avrebbe potuto ascoltare le parole del suo amato Sebastian unite da una melodia. Ma in fondo era meglio così, aveva raggiunto il suo Sebastian, e sarebbero rimasti uniti per sempre ora.
Uscì, guardando il cielo alto e splendente. Le loro anime si sarebbero trovate e amate, ancora.
 

*

Los Angeles non gli era mai mancata così tanto come in quel momento.
Aveva così tante cose da dire e fare, così tante cose da cantare.
Uscito dall’aeroporto arrivò subito allo studio di registrazione, dove trovò Slash impegnato a suonare la sua chitarra. Stava facendo un assolo, e Myles sentì subito che quello era l’assolo adatto. Era l’assolo perfetto per “Anastasia”.
Il riccio finì di suonare, lo vide e gli andò incontro, ma non riuscì ad aprire bocca, che Myles subito lo precedette.
 
«Sai, Slash, ho una nuova canzone per il nuovo album…»
 
  
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