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Autore: Impossible Prince    04/07/2012    1 recensioni
Dalla redenzione alla sacralità della vendetta, quando Dio ti volta le spalle sei tu a dover essere la giustizia divina in Terra.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correvo sotto la pioggia battente. I miei tacchi affondavano nelle pozzanghere creando quell’effetto sonoro che tutti i bambini adorano, “cic ciac”.
I colpi di pistola, le inchiodate, l’incendio e il rumore della lamiera avevano sicuramente allarmato e incuriosito gli abitanti della zona che presto si sarebbero precipitati per vedere quanto successo. Non avevo tempo quindi di prendere l’ombrello dalla “mia” macchina perciò mi rimaneva solo di correre, correre il più lontano possibile.
Correvo, correvo sotto quel diluvio con la pioggia che si infrangeva con violenza sul mio viso, spazzando e nascondendo le lacrime ma impedendomi, contemporaneamente, di ridere e godermi quanto era successo.
Non so perché piangevo, mi è venuto naturale. Forse era perché sapevo che l’epilogo della vicenda sarebbe giunto tra poco.
Arrivai davanti alla porta della chiesa. Un grande portone in legno con incise scritte latine che notavo solo in questo momento, quando furono illuminate da un lampo.
Eppure ero venuta decine e decine di volte qui, se non centinaia, quando ero bambina; prima di decidere di lasciarmi dietro il mondo in cui ero nata.
Mi tolsi il fermaglio e lo infilai delicatamente nella serratura, lo avevo fatto milioni di volte e neanche il mio ciuffo biondo davanti agli occhi poteva fermarmi, neanche il vento impetuoso. Sentii il “click” e in quel momento, grazie ad un altro lampo riuscii a leggere la prima riga di ciò che era inciso sul grande portone di legno:
“Rèquiem aetèrnam”
Il resto è storia. Sottovoce, mentre aprivo la porta sussurrai tra me e me:

“Rèquiem aetèrnam
dona eis, Domine,
et lux perpètua lùceat eis.
Requiéscant in pace.
Amen.”

Non so se fu pura coincidenza che alla fine dell’”Amen” il portone fece un gran tonfo dietro di me, ma sono anni che non credo più alle coincidenze, c’è sempre un disegno più o meno malato alla nostra vita.
La chiesa era umida e fredda, un posto tutt’altro che accogliente come vorrebbe invece apparire. Mi guardai attorno, i volti degli affreschi ai muri sembravano minacciosi quando venivano illuminati dalle saette all’esterno che si facevano sempre più frequenti, e fu così che Gesù crocefisso assumeva i connotati di Satana e la Madonna addolorata sembrava ridere della sorte del proprio figlio.
Camminai lentamente nel corridoio centrale della chiesa, toccando e tastando il legno delle panche con la mano sinistra, impregnandomi di ricordi e ascoltando il ruscello che d’acqua che ricopriva i tetti di Roma.
Il silenzio era interrotto dai tuoni che, echeggiando nelle sale della sagrestia, producevano suoni simili a urli di demoni infernali.
Mi inchinai davanti all’altare e proprio quando il mio ginocchio destro toccò il pavimento un lampo con il relativo tuono illuminarono la vetrata che raffigurava la Croce di Cristo.
Chiusi gli occhi, respirai pronfodamente e poi iniziai a proferire, con il cuore che batteva forte e la voce che tremava:

“Mio Dio,
mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i tuoi castighi,
e molto più perché ho offeso te,
infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più
e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonami."

Ma non sembrava volermi perdonare, perché mentre mi facevo il Segno della croce l’albero di mele piantato nel giardino ruppe la grande vetrata e un frammento di vetro rosso si infilò nel dorso della mia mano destra.
Tolsi il vetro dalla mano soffocando l’urlo di dolore morendomi la spalla sinistra, presi una delle mele che caddero su una delle sedie dove eran soliti sedersi i chierichetti e la morsicai avviandomi verso l’uscita.

Stavo per girare la maniglie e uscire quando una voce di un uomo anziano interruppe il mio viaggio mentale:
“Allora hai finalmente trovato la pace nella tua anima, Maria.”
Erano anni che nessuno mi chiamava così. Chiusi gli occhi e sorrisi d’istinto: “Don Davide, non pensavo di trovarla…”
“…In vita?”
“…qui.”. Mi girai di scatto, e con la stessa rapidità mandai indietro il ciuffo e rimisi il fermaglio al suo posto.
L’uomo cominciò ad avvicinarsi lentamente, incurante di camminare sui frammenti di vetro: “Non eri al funerale.”
  • Esatto, Padre
  • Hai chiesto perdono per questo al Signore?
  • No, Padre
  • E per cosa?
  • Ho chiesto perdono per aver agito non comandando l’istinto animalesco. Per quello che ho fatto e per quello che farò.
  • Dev’essere qualcosa di molto grave per averti indotto a intrufolarti qui dentro.
  • E lei dev’essere molto furbo per essersi fatto trovare qui, oggi.
  • A dire il vero sono giorni che ti aspetto, un pastore conosce le sue pecore, quando ho visto in lontanza del fumo mi sono precipitato qui, ad aspettarti.
Mi girai. Il mio revolver era scarico, non avrei potuto crivellare il suo corpo così pretenzioso di proiettili, provvidenza divina?
Mi girai e aprii la porta: “Mi dica Padre, è ancora ossessionato dalle bambine?”
   
 
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