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Autore: Dreamer91    05/07/2012    11 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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fff
Buongiorno a tutti, anime innocenti appena capitate (forse per sbaglio? ^_^) su questa storia... Bene, credo che le presentazioni in certi casi siano d'obbligo... mi chiamo Fabiana, alias Dreamer91 e lo so, fino a questo momento non ho pubblicato nulla, neanche una misera OS.. mi sono limitata ad essere lettrice silenziosa delle meravigliose storie che circolano nella sezione "Glee" del sito. Il fatto che io sia fan sfegatata della serie (e della Klaine, nello specifico!) è un dettaglio abbastanza scontato, ma spiegare cosa mi abbia spinta a dedicarmi ad una storia tutta mia... beh, è un pò più complicato... diciamo che mi piace sperimentare, mi piace mettermi alla prova, mi piace mettere nero su bianco ciò che mi passa per la testa, e cosa più importante di tutte, mi piace scrivere ^_^ eh già! Se potessi farei solo questo nella vita, ma.. ora non divaghiamo che altrimenti c'è gente che si annoia (tipo me XD)... cosa stavo dicendo? ah sì, la storia... beh, non ho molto da dire... mi è venuta così, mentre osservavo dal balcone di casa il mio vicino traslocare nell'appartamento di fianco al mio e booom... la lampadina dell'ispirazione si è accesa. ^_^ adesso, non starò qui ad assillarvi sul resto, perché voglio che vi godiate serenamente questo primo capitolo e poi sono curiosa di sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare (avrei già scritto parecchi capitoli ed avrei anche in mente l'esatta trama nella mia mente, però a voi l'ultima parola ^_^) quindi, buona lettura e fatemi sapere ;)
p.s. Aggiornerò una volta a settimana, sempre lo stesso giorno (quindi il Giovedì...) ma vi prometto che appena la sessione estiva sarà finita aumenterò la frequenza a due volte a settimana. Scusate... colpa dell'università, io non c'entro -__-'







New York City. 11 Marzo 2012. Ore 10.32 A.M. (Domenica)


Erano quasi quaranta minuti che stavo seduto in quella macchina, a guardare il paesaggio fuori dal finestrino cambiare gradualmente da un quartiere all'altro di New York, in maniera talmente tanto continua, da sembrare quasi un effetto cinematografico, e a chiedermi inevitabilmente quando, il mio accompagnatore non che guida turistica, e - ahimé - mio migliore amico, si sarebbe deciso a fermarsi.
"Durerà ancora molto questa tortura?" domandai dopo l'ennesimo sospiro frustrato.
"Ci siamo quasi!" mormorò lui, procedendo lentamente a causa del traffico. Incredibile come a New York il traffico fosse permanente. A qualsiasi ora del giorno e della notte ci si rimaneva imbottigliati. Inevitabilmente.
"Ascolta Bas... anche se sono qui soltanto da sette anni, conosco New York come le mie tasche... quindi non capisco cosa stiamo..."
"Un pò di fiducia ok? Ti chiedo solo questo Blaine!" mi implorò girandosi un attimo a guardarmi, distogliendo la sua attenzione dalla guida. Sbuffai, tornando a concentrarmi sui marciapiedi - anch'essi trafficati - e le vetrine allestite. Eravamo sulla 14th strada, costeggiando l'East River e non avevo la minima idea di dove stessimo andando.
"C'entra qualcosa con l'appartamento che sto cercando per caso?" domandai qualche istante dopo fissandomi a guardare una vecchietta con un cappello a fiori che attraversava la strada davanti a noi. Lo sentii sorridere
"Forse!" mormorò divertito
"Mi sembrava di averti detto di tirartene fuori... non voglio ritrovarmi ad abitare in una bettola piena di topi, con vicini chiassosi e prostitute che dispensano servigi fuori dalla mia finestra... e per quanto apprezzi il tuo adorabile interessamento alla questione io credo sia meglio..."
"Siamo arrivati!" esclamò entusiasta fermando finalmente la macchina accanto ad un lato della carreggiata. Sbigottito, lanciai un'occhiata al palazzo davanti al quale ci eravamo appena fermati e quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Lentamente mi girai verso il mio - ormai ex - migliore amico e gli lanciai un'occhiata di sbieco
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato. Essere il figlio di un noto industriale dell'Ohio, aveva fatto sì che Sebastian non avesse mai avuto problemi di soldi. Chiedi e ti sarà dato, questo era il motto in casa Smythe. In un certo senso i suoi genitori compensavano l'affetto che non riuscivano a dargli con un sostanzioso conto in banca a sei cifre. Soltanto che io di cognome non facevo Smythe ed il mio conto in banca era come il film di Dario Argento... Profondo Rosso. Chiedere i soldi ai miei era fuori discussione. Per quanto non navigassimo nell'oro, possedevamo comunque una buona risorsa, eppure non mi ero mai permesso di chiedere loro di attingervi. Perché per me sarebbe stata un'atroce sconfitta... dopo tutte le battaglie con mio padre, per ottenere un pò di libertà, lasciare l'Ohio e approdare a New York, non era proprio il caso di tornare all'ovile soltanto per chiedergli di firmarmi qualche assegno. Probabilmente mia madre lo avrebbe fatto, ma per il quieto vivere avrebbe scosso la testa anche lei. Era per questo motivo che, da quando avevo messo piede a New York, ormai sette anni prima, avevo iniziato a lavorare per tirare avanti. Non interessava la natura dell'occupazione... l'importante era avere a fine mese il portafoglio quanto meno in uno stato soddisfacente.
Per l'alloggio, fino a quel momento avevo vissuto con Sebastian, mio migliore amico, ed eterno punto di riferimento. Forse l'unico in realtà. Eravamo andati a scuola assieme e avevamo perfino condiviso la stanza. Lo conoscevo meglio di quanto potessi conoscere me stesso ed era stato quasi automatico andare a vivere assieme una volta trasferiti nella grande mela. Le premesse erano buone: tu non rompi le scatole a me, io non le rompo a te, facciamo a metà con le spese, e ognuno cucina per l'altro a giorni alternati. Ed era andata bene per i primi tempi, giusto fino a che i soldi che mia madre mi aveva infilato di nascosto in una valigia prima di partire, non erano finiti. Dopodiché dal dividere le spese al cinquanta e cinquanta, eravamo passati a farlo al trenta e settanta, al dieci e novanta fino a che l'affitto per me non era rimasto che un lontano ricordo e Sebastian non aveva iniziato a pagarmi perfino la spesa. Era stato allora che avevo iniziato a lavorare sodo, anche per diciotto ore al giorno, a dormire veramente poco e male, a sbalzare da una parte all'altra di New York, a stare a casa sempre meno, a dimagrire. E a Sebastian quella situazione non piaceva. Si era perfino offerto di prestarmi dei soldi
"Me li ridarai appena portai, B... non sono di certo un regalo!" mi aveva detto quel giorno, ma io, un pò per orgoglio, un pò per la stanchezza che avevo addosso - erano ventisette ore che non dormivo - avevo rifiutato. Dovevo farcela da solo, dovevo dimostrarlo a mio padre, a mia madre, ma soprattutto a me stesso. Diciamo che nell'ultimo periodo le cose stavano iniziando a funzionare. Avevo tre lavori - la mattina presto davo una mano in un forno a legna a fare il pane e le focacce, subito dopo, scappavo in un supermercato di TriBeCa, dove lavoravo come magazziniere, dopodiché, ormai distrutto fisicamente e mentalmente, correvo a casa per una doccia e per togliermi i vestiti che avevo indossato la mattina alle cinque per poi correre verso l'unico lavoro che davvero mi dava soddisfazioni: cantavo e suonavo in un pub sulla riva occidentale di Manatthan. Certo, era stancante, a volte mi veniva da piangere per la mole di lavoro che ero costretto a sostenere e per la voglia di dormire che incombeva minacciosa sulla mia testa, ma avevo imparato che se volevo ottenere qualcosa, dovevo combattere, stringere i denti e andare avanti. E magari intanto accordare la chitarra e suonare qualcosa. Quello sicuramente avrebbe aiutato.
Proprio perché ultimamente gli affari andavano notevolmente meglio, avevo deciso di lasciare l'appartamento di Sebastian - perché era inutile girarci intorno... anche se ormai potevo permettermi l'affitto di quel trilocale, il mio amico mi avrebbe lapidato piuttosto che accettare i miei soldi - e trovare qualcosa per me, a misura di Blaine Anderson, magari più vicino ai tre luoghi dove lavoravo. Quando lo avevo detto a Sebastian per la prima volta, lui aveva alzato la testa dal libro di diritto privato - sì, Sebastian Smythe stava seguendo il praticantato dopo essersi laureato brillantemente in legge, l'unica facoltà adatta ad uno come lui - e mi aveva guardato malissimo.
"Cosa c'è che non va in questo appartamento?" mi aveva chiesto. Io ero stranamente arrossito. Mi sentivo un mostro ingrato
"Non c'è niente che non va, lo sai... anzi... non smetterò mai di ringraziarti per quello che fai ogni giorno per me, soprattutto quando arrivano le bollette e l'avviso per l'affitto, però, ecco... ho soltanto bisogno di qualcosa di... mio.." avevo risposto con estrema difficoltà. Lui aveva spalancato gli occhi in maniera quasi indecente
"Ma questa é casa tua Blaine!" mi aveva fatto notare
"No Sebastian... io sono soltanto un parassita che vive alle tue spalle, in una delle tre camere da letto di questo appartamento, che fa la spesa al supermercato con i tuoi soldi, che ti cucina italiano ogni giovedì sera e che passa l'aspirapolvere al posto tuo quando tu devi andare in studio... questa casa non è mia!" avevo sbottato iniziando a camminare nervosamente per la cucina, sotto il suo sguardo preoccupato. Lui si era sfilato gli occhiali che usava per leggere e li aveva poggiati sul libro con un sospiro
"Credevo ne avessimo già parlato, B!" iniziò con un tono particolarmente stanco, non seppi se a causa della mole di lavoro che gli avevano assegnato o se per colpa del discorso che stavamo nuovamente affrontando "Io i tuoi soldi non li voglio... non voglio niente da te. Mi basta saperti da qualche parte in giro per casa, anche se soltanto per un paio d'ore al giorno, trovare le tue magliette colorate nella lavatrice assieme alle mie camicie bianche e soprattutto dover apparecchiare la tavola per due persone. Del resto non mi interessa!" e mi si era stretto il cuore.
"Bastian..."
"Davvero Blaine... prima o poi troverai il modo per sdebitarti con me di tutta questa gentilezza, perché lo sai che non faccio mai niente per niente... ma ora non è il momento. Limitati a goderti New York e prendi la vita come ti viene... imparando ad evitare le mie lavatrici magari!" e mi aveva sorriso. Sbuffai. Era successo una volta... e che cavolo, non c'era bisogno di puntualizzarlo continuamente. Il discorso era morto lì, anche perché avrei dovuto attaccare il turno al pub e quindi ero scappato via, come al solito. Ma per i mesi successivi non avevo fatto altro che pensarci, senza riuscire a togliermi dalla testa che, andare a vivere da solo, sarebbe stata la scelta migliore, per entrambi. E difatti, ero stato ascoltato.
Il karma aveva voluto che Sebastian conoscesse un ragazzo, Daniel, due anni più piccolo di lui, che lavorava presso lo stesso studio legale, con una grande voglia di imparare e una infinita vitalità. Era stato come un ciclone entrato nella sua vita. Da semplici colleghi erano diventati pian piano grandi amici, amanti e poi fidanzati ufficiali. E stavano insieme ormai seriamente da quasi due anni. Per me che lo conoscevo, immaginare Sebastian fidanzato era davvero strano. Lui, il più libertino e promiscuo dell'intera costa occidentale, aveva messo la testa a posto e aveva deciso di diventare monogamo. E a conti fatti ci stava riuscendo alla perfezione. Daniel era un ragazzo straordinario, e non ci avevamo messo molto a diventare grandi amici. Con in comune la passione per la musica e per Katy Perry, avevo stretto un bel rapporto d'amicizia ed era nata una sorta di convivenza a tre. Ormai Daniel passava più tempo da noi che a casa sua, dove viveva con i suoi genitori, tanto che un giorno Sebastian, non seppi se scherzando o seriamente, gli buttò lì la frase
"Non capisco cosa ci torni a fare a casa dei tuoi... faresti prima a invaligiare una manciata di vestiti e venire a stare direttamente qui. Lo spazio nel mio letto per te ci sarà sempre!" Daniel era quasi scoppiato a piangere dalla gioia saltandogli in braccio ed io mi ero limitato a trattenere un sorriso intenerito e a sgattaiolare via dalla stanza, perché immaginavo che dopo una richiesta del genere... beh, volessero stare quantomeno da soli. Quindi ormai erano cinque mesi che io Sebastian e Daniel vivevamo sotto lo stesso tetto - sempre a spese del secondo che si era rifiutato categoricamente di far pagare le spese al suo ragazzo nonostante quest'ultimo lo avesse minacciato più volte con tanto di lama affilata tra le mani - e ormai la situazione iniziava a diventare insostenibile. Durante quelle poche ore che mi trovavo a casa mi sentivo terribilmente di intralcio, anche se tornando li trovavo innocentemente accoccolati sul divano a guardare un film, o li sorprendevo in bagno insieme - uno intendo a farsi la barba, l'altro ad asciugarsi i capelli. Ed era per questo che per la seconda volta mi ero ritrovato a sospirare e ad esordire a gran voce entrando in cucina, dove, neanche a dirlo, Sebastian stava studiando
"Da domani inizio a cercarmi un appartamento!" avevo esclamato risoluto. Lui per la seconda volta aveva alzato la testa ma quella volta non si era tolto gli occhiali, né aveva sospirato. Buon segno? Dopo quelli che erano sembrati secoli, era scoppiato a ridere, lasciandomi interdetto ed aveva risposto
"Ed io sarò lieto di darti una mano!" dopodiché ci eravamo trovati a sorriderci a vicenda come due idioti e a ridere assieme subito dopo.
Ed era iniziata così la mia caccia. Trovare un appartamento accettabile a New York, non esageratamente costoso, possibilmente in un quartiere tranquillo, in una posizione ottimale tra il pub, il panificio e il supermercato. Era chiedere troppo? Sebastian si era dato davvero da fare, forse iniziando a sentire davvero la fretta di liberarsi di me, solo che i suoi canoni di ricerca erano estremamente discordanti dai miei. Fino ad allora mi aveva fatto vedere ben cinque appartamenti il migliore dei quali aveva una vista incredibilmente caratteristica su un vicoletto pieno di negozi a luci rosse e locali notturni alquanto equivoci. Era per questo che avevo sentitamente pregato il mio amico di tirarsene fuori e di limitarsi a darmi una mano nella preparazione delle valigie con la semplice promessa che, dopo aver trovato l'appartamento giusto, mi avrebbe aiutato con il trasloco.
Ma in quel momento, in quella macchina, davanti a quel palazzo, in quella Lower East Side, mi sembrava di aver parlato al vento per giorni interi. Eppure lui continuava a sorridermi incoraggiante, orgoglioso di chissà che cosa.
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi. Sebastian scoppiò a ridere cacciando un mazzo di chiavi dalla giacca e aprendo il portoncino di metallo
"Ok, ammetto che quella forse non è stata una grande idea..."
"Forse?" feci io ironico
"Ma ti assicuro che questa volta sarà diverso. Questa volta ho fatto centro!" ed entrammo nel portone, elegantemente decorato, seppure abbastanza sobrio. Prendemmo l'ascensore, mentre il mio amico non la smetteva di sorridere e di rigirarsi le chiavi tra le mani ed io, ansioso e impaurito, lo guardavo con sospetto. Ci fermammo al quarto piano, l'ultimo, e Sebastian si diresse spedito verso la porta alla nostra sinistra ed inserì la seconda chiave nella toppa.
"Ehm... Sebastian?" lo chiamai incerto, mentre apriva la porta ed entrava tranquillamente dentro l'appartamento
"Sì?" finalmente si voltò verso di me e mi guardò curioso, ancora immobile sullo zerbino
"Questa cosa non dovrebbe farla, che so... un agente immobiliare in giacca e cravatta, magari in maniera ufficiale e soprattutto in un altro giorno che non sia la domenica?" gli domandai allora. Lui scoppiò a ridere addentrandosi di più nei meandri a me ancora sconosciuti dell'appartamento
"Coraggio B, non essere timido... in via del tutto ufficiosa, oggi sarò il tuo personalissimo agente immobiliare, senza cravatta né la pretesa di un extra bonus vista l'eccezionalità della giornata!" e mi fece l'occhiolino invitandomi ad entrare con la mano. Deglutii dopodiché feci come mi aveva detto chiudendomi la porta alle spalle.
Subito mi guardai intorno. Mi trovavo in un piccolo ingresso, relativamente spoglio, fatta eccezione per un paio di ganci per i cappotti, sulla destra ed un porta-ombrelli dal discutibile gusto alla sinistra. Davanti a me si apriva un enorme, forse esagerato, soggiorno, con un grande divano ad angolo, coperto da un lenzuolo, un tavolo rettangolare, una libreria a muro vuota e piena di polvere ed un paio di quadri poggiati per terra, che probabilmente un tempo erano stati appesi alle pareti. Sulla sinistra la porta della cucina, che da lì non riuscivo a vedere, mentre sulla destra la porta-finestra che si affacciava su quello che sembrava un balcone. Di fronte alla porta di ingresso, in linea d'aria, un altro piccolo corridoio, nel quale riuscivo a scorgere altre tre porte, probabilmente due delle quali erano il bagno e la camera da letto.
"Puoi anche staccarti dalla porta, Blaine... il parquet non ti mangia!" mi ammonì Sebastian diretto in cucina. Sbalordito, mi riscossi dal momento di trance e lo seguii. La cucina in questione era piccola, ma carina, sviluppata ad angolo retto su due pareti continue, e perfino con un bel tavolo di legno poggiato sulla parete opposta.
"Bene, questa è la cucina... direi abbastanza decente, quasi abitabile... finestra con vista sulla strada da cui siamo saliti, fuochi perfettamente funzionanti, e frigo nella norma... diciamo che è su misura di un single distratto e affamato come te!" spiegò fingendosi davvero un esperto, mostrandomi meglio la stanza con un gesto plateale. Sbattei più volte le palpebre senza riuscire a parlare. Dopodiché mi spinse di nuovo nel salone, che sembrava ancora più grande visto da quella angolazione, e entusiasta mi fece notare che i mobili erano quasi nuovi e che quella libreria appesa al muro era perfetta per tutti i miei libri e i miei spartiti. Senza neanche chiedermi niente, mi spinse verso il corridoio, ed aprì la prima delle tre porte che si rivelò uno stupendo bagno, con tanto di doccia, vasca, sanitari e finestra discreta che dava sulla facciata orientale del palazzo. La porta di fianco era la camera da letto, anch'essa particolarmente grande, dominata perlopiù da un letto matrimoniale, coperto da un altro lenzuolo bianco, un armadio nero a tutta altezza e un settimino dello stesso colore, poggiato sotto una finestra che rimandava la stessa immagine di quella della cucina. Lì Sebastian mi aveva sorriso complice facendomi notare che il letto matrimoniale era un input perfetto per rimettere in riga la mia vita sentimentale. Oppure mi sarei potuto prendere un cane, su quello mi lasciò carta bianca. Mi spinse poi verso la terza porta, lo sgabuzzino - perfetto per riporre il mio caos creativo e la ciotola del cane. Ed infine, proprio quando credevo di aver visto tutto, entusiasta come solo un bambino di cinque anni può esserlo dopo aver ricevuto i complimenti dalla maestra, mi guidò fino al balcone che aprì. Quello che vidi mi lasciò senza fiato: quello che erroneamente avevo creduto un semplice balcone, era in realtà un terrazzo, circondato su due lati da un cespuglietto ben curato che si affacciava su una stupenda vista dell'East River e la costa meridionale della città. C'era un piccolo dondolo bianco poggiato alla parete, e il pezzo di muretto che non era decorato con le piante, comunicava armoniosamente con il terrazzo di fianco. La vista era a dir poco fenomenale e non potei fare a meno di immaginarmi seduto su quel dondolo, la sera, magari con la chitarra in grembo, la matita in bocca e gli spartiti sparsi sul pavimento. Quella zona di New York illuminata solo dai fari delle auto e dai lampioni della strada, sarebbe stato tanto suggestiva quanto d'ispirazione per il sottoscritto.
"Allora... che te ne pare?" mi domandò finalmente, guardandomi con un sorriso speranzoso
"Sebastian... io..."
"Lo so, lo so... stai cercando il modo migliore per ringraziarmi e non sai da dove iniziare. Ti do una mano io... Sebastian, luce della mia vita, ti sono debitore.. mi hai appena regalato la gioia più grande con questo appartamento, ed hai ragione, è proprio adatto per me... e sai cosa facciamo ora per festeggiare... chiamiamo anche Daniel e andiamo tutti insieme a pranzo dal thailandese sulla 7th strada, ah è chiaro... offro io!" e mi sorrise entusiasta
"Sebastian!" lo chiamai lentamente, distogliendo finalmente lo sguardo dal dondolo e puntandolo su di lui
"Cosa c'è?"
"Ribadisco... spero tu stia scherzando..." biascicai incerto. Fargli capire che neanche tra mille anni mi sarei potuto permettere un appartamento del genere, doveva essere un'impresa titanica a quanto pareva.
"Non capisco, B... ma l'appartamento ti piace oppure..." tentò lui incerto
"Sì, Sebastian, mi piace... e anche tanto..." risposi esasperato alzando gli occhi al cielo
"Bene! E allora qual'è il problema?" domandò con un sorriso
"Il problema..." iniziai perdendomi in un sospiro, dopo essermi accorto di aver alzato inconsapevolmente il tono della voce. Adesso il vicino rumoroso ero diventato io, senza neanche abitarci in quel palazzo. Abbassai la voce e continuai "Lower East Side, Sebastian..."
"Cazzo, Blaine, se ripeti ancora una volta il nome di questo quartiere giuro che ti lancio giù dal balcone!" sbottò lui passandosi una mano tra i capelli, perfettamente sistemati all'insù. Si prese qualche secondo per calmarsi, mentre io incrociavo le braccia al petto e lo guardavo malissimo. Ci sarebbe arrivato da solo prima o poi alla soluzione del mistero
"D'accordo siamo a Lower East Side... e allora?" mi domandò finalmente sbuffando appena
"Non posso permettermelo... e lo sai!" risposi stizzito. Era atrocemente crudele mostrarmi cosa esattamente volevo, e contemporaneamente farmi capire che tanto non avrei mai potuto averlo, perché non avrei trovato i soldi necessari per pagarlo. Neanche tra mille anni, appunto!
Lui alzò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso
"Se solo mi avessi lasciato finire di parlare, ti avrei spiegato il perché mi sono permesso di mostrarti un appartamento tanto bello, in un quartiere tanto prestigioso, nonostante tu non abbia grandi risorse da parte!" mi fece  allora, affondando le mani nelle tasche dei jeans
"Sarebbe?" domandai scettico. Cosa diavolo si era inventato quell'idiota?
"Vedi, uno dei soci dello studio legale presso il quale lavoro, è il proprietario di questo grazioso appartamento, e cerca affittuari da quando la sua adorata e viziatissima figliola ha pensato bene di rifiutare questo modesto regalino che suo padre le aveva concesso per i suoi ventun anni... un quartiere troppo sputtanato, parole sue!" mi spiegò divertito
"Aspetta... il tuo capo ha regalato questo appartamento... a sua figlia per il suo compleanno?" domandai sbigottito
"Esatto!"
"E lei lo ha.. rifiutato?"
"Già... più si ha e più si pretende di avere!" fece lui alzando le spalle
"D'accordo... e cosa c'entro io con questo tizio?" domandai allora sempre più confuso
"Beh, te l'ho detto.. lui cerca qualcuno a cui affittare l'appartamento, dato che ormai rivenderlo sul mercato sarebbe un pessimo affare, e guarda caso l'altro giorno mi ha chiesto se conoscessi qualcuno interessato!" e mi fece l'occhiolino in maniera complice. Incredibile come certe cose capitassero davvero a fagiolo. Peccato che continuassimo a parlare di un appartamento di chissà quante migliaia di dollari in pieno centro. Eravamo a meno di venti minuti da Broadway, ce ne rendevamo conto?
"E quanto ti avrebbe chiesto di affitto?" chiesi sull'attenti, dato che ormai mi aspettavo che la batosta arrivasse da un momento all'altro. E fu lì che il suo sorriso si allargò notevolmente
"A tua discrezione!" esclamò soltanto
"P-prego?"
"Ma sì... lui non ha problemi di soldi, e di certo non gli cambierebbe la vita ottenere degli introiti straordinari nell'affittare questo posto... vuole semplicemente una cifra simbolica per non sentirsi ancora di più in colpa per aver sprecato all'incirca mezzo milione di dollari per fare un regalo non gradito! Lui ha detto che andrebbero bene anche cento dollari al mese, bollette e condominio esclusi, l'importante è che gli assicuro di mettergli in casa una persona tranquilla e fidata! E tu fai al caso suo!" mi spiegò soddisfatto. Non ci potevo credere, non poteva essere vero. Avevo trovato davvero l'appartamento perfetto a... cento dollari al mese? Ed era davvero stato Sebastian a trovarmelo? Era uno scherzo? C'era una telecamera nascosta dietro uno di quei perfettissimi cespugli?
"Allora... che ne dici? Sono o non sono il migliore?" mi domandò con un sorriso contagioso che non riuscii a non ricambiare con trasporto. Pochi istanti dopo mi ritrovai con le braccia attorno al suo collo, in uno strepitio di gioia
"Non ci posso credere, Bas... non ci posso credere!" urlai infischiandomene dei vicini - i miei futuri vicini - ma non riuscivo a contenere la contentezza e l'emozione. Lui ridacchiò ricambiando la stretta
"Quindi che faccio?... dico al proprietario di bloccare l'appartamento?" mi domandò retorico scostandomi un pò per guardarmi negli occhi. Io, che probabilmente ero talmente tanto scioccato da avere perfino gli occhi lucidi, gli sorrisi
"E me lo chiedi... fallo immediatamente!" risposi scoppiando in una sonora risata liberatoria contagiando anche lui. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e compose un numero
"Signor Fabrey? Salve sono Sebastian Smythe.. la chiamavo per via di quell'appartamento..." qualche secondo di pausa in cui mi ritrovai inconsapevolmente a sudare freddo. E se avesse cambiato idea? E se avesse deciso di aumentare l'affitto? E se mi avesse ritenuto non idoneo per abitarci? Il sorriso di Sebastian ebbe il potere di farmi calmare all'istante
"Esatto.... avrei appena trovato il suo futuro inquilino!"



  
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