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Autore: My Pride    05/07/2012    14 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Like Davy Jones_1
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]

Titolo: Like Davy Jones’ Locker (Where the men find the eternal sleep)
Autore: My Pride
Fandom: One Piece
Tipologia: Long fiction

Rating: Arancione
Personaggi: Mugiwara [ Accenni ZoSan, FRobin e RuNami ]
Genere: Generale, Avventura, Sentimentale, A tratti introspettivo, Vagamente Angst
Avvertimenti: Lieve Shounen ai, Linguaggio colorito, New World Arc, What if?, Probabilmente non per stomaci delicati, Spoiler dai capitoli 668 in poi (Solo accenni microscopici di essi)
Traccia: Numero venticinque › I’m going slightly mad.
Traccia: Numero nove › Lui è così stupido che si scorderebbe di morire anche se lo ammazzassero.
Note dell’autore: Note presenti alla fine della fanfiction

ONE PIECE © 1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.


FIRST SEASON › I’M GOING SLIGHTLY MAD
LAND OF THOUGHTS, #01
 
    Sanji trasse una lunga boccata dalla sua sigaretta e poi sbuffò, osservando distrattamente il fil di fumo che saliva con lentezza esasperante verso il cielo azzurro.
    Doveva essere accaduto dopo gli avvenimenti vissuti a Kamabakka, si disse per la trecentesima volta, cercando invano di dare una spiegazione logica ai bizzarri pensieri che, da un po’ di tempo a quella parte, avevano cominciato ad affollare la sua mente, rendendolo più nervoso ed intrattabile del solito.
    Lui amava le donne, dannazione. Negli ultimi due anni non aveva fatto altro che ripeterlo a se stesso e a tutti quei dannati travestiti che popolavano l’isola su cui era stato spedito da quel bastardo di Kuma, tentando in seguito di proteggere con le unghie e con i denti la sua virilità e il suo animo di uomo. Due lunghi anni in quell’inferno rosa confetto, due lunghi anni trascorsi a scappare come un pazzo da quei cosi e dai vestiti da donna che provavano ad infilargli in ogni modo... e dopo tutto quell’orrore e le novantanove ricette ottenute, lui che faceva? Si ritrovava con le braccia incrociate sul parapetto della Sunny a sospirare come una ragazzina alla prima cotta. E se pensava che la causa di quel suo comportamento era una persona che avrebbe volentieri preso a calci dalla mattina alla sera, beh... la cosa lo mandava in bestia il doppio, maledizione.
    A quelle sue stesse riflessioni, Sanji si strofinò vigorosamente una mano fra i capelli e gettò l’ormai mozzicone di sigaretta oltre la balaustra, vedendolo inghiottito fra le onde che sbattevano contro la chiglia della nave. Dannazione, aveva bisogno di un’altra stecca. Quante ne aveva fumate in meno di un’ora e mezza? Sei? Sette? Forse otto? Aveva perso anche il conto, perfetto. Come se fumare come una ciminiera dalla mattina alla sera potesse risolvere in qualche modo il problema, poi. Era fottuto. Letteralmente fottuto. E se non l’avesse piantata di fare costatazioni incoerenti e di continuare a cercare di raccapezzarsi in qualche modo, alla fine sarebbe del tutto impazzito e quella situazione in cui si era ritrovato sarebbe stata davvero l’ultima dei suoi pensieri.
    «Sanji-kun, potresti prepararci un the?» La voce di Nami parve essere per lui la panacea di cui aveva bisogno, giacché si riprese in un lampo e, stornando lo sguardo nella direzione da cui essa proveniva, volteggiò in direzione del castello di prua, sul quale le due ragazze avevano sistemato i lettini per prendere il sole.
    «Tutto ciò che desideri, mia dolce Nami-swan~♥!» cinguettò poi, rischiando di sanguinare quando i suoi occhi si posarono sulle forme prosperose che le sue compagne di ciurma stavano mostrando grazie agli splendidi costumi colorati che indossavano. Sanji dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per tenere a freno quella stupida emorragia, per quanto un piccolo rivoletto di sangue fosse comunque riuscito ad avere la meglio e fosse fastidiosamente scivolato giù per la sua narice sinistra. Se lo ripulì alla bell’e meglio con il dorso di una mano e si sforzò di sorridere alle due ragazze, che gli gettarono uno sguardo preoccupato.
    «Sanji-san... sicuro di stare bene?» domandò Robin nel recuperare la propria maglietta, trovando più salutare per il cuoco coprirsi. Da quel che ricordava, Sanji non aveva mai avuto reazioni simili nel vederle in costume da bagno, anzi; aveva sempre elogiato la loro bellezza, blaterato su quanto fossero perfette e fatto un po’ lo scemo come suo solito, ma da qui a sanguinare dal naso e rischiare di morire, beh... avrebbe voluto chiedergli cosa fosse successo per ridurlo così, ma Robin si era resa conto che sarebbe stata una totale perdita di tempo. Sanji non avrebbe mai parlato, e lo dimostrò anche quella volta, ridacchiando nervoso.
    «Oh, mia dolce Robin-chan, non devi preoccuparti! È la vostra fulgida bellezza ad emozionarmi, sto benissimo!» esclamò falsamente euforico, filandosela giù in cucina prima ancora che le due ragazze potessero chiedergli qualche altra cosa.
    Spiegare che le sue reazioni erano dovute agli orribili avvenimenti che avevano preso forma a Kamabakka, in quel posto dove per un periodo di tempo aveva persino dimenticato di essere un uomo, sarebbe stato per lui il colpo di grazia e la sua reputazione di dongiovanni pervertito sarebbe morta e defunta insieme alla sua virilità. Anzi, si corresse una volta giunto nel suo sacro tempio, probabilmente la sua mascolinità si era sotterrata insieme al suo orgoglio e alla sua sanità mentale nel momento stesso in cui aveva realizzato di provare qualcosa per un suo compagno di ciurma. Oh, non ci sarebbe stato niente di male se si fosse trattato di Nami o Robin - che venerava comunque come Dee, bellissime com’erano -, però, purtroppo per lui, non erano loro ad attizzare del tutto il suo amichetto ai piani bassi e a richiamare la sua attenzione, e la cosa lo rendeva incerto e confuso.
    Le ipotesi erano soltanto due: o era diventato del tutto matto e aveva perso anche l’ultima rotella sana nel suo cervello, oppure - e quella gli sembrava l’opzione migliore -, visto tutto ciò che era accaduto su quell’isola, si sentiva un po’ sfatto e non era ancora in perfetta forma, dunque quello doveva essere soltanto un momento passeggero che sarebbe passato in fretta senza più lasciare traccia. O almeno lo sperava. Perché altrimenti c’era una terza ipotesi, quella che lo spaventava più di tutte e che al contempo gli faceva battere il cuore ad un ritmo frenetico: si era innamorato. E non uno di quei suoi innamoramenti che riguardavano le splendide donne su cui riusciva a posare occhio, bensì il vero amore, quello che decantava e professava a quelle stesse donne che incontrava. Forse avrebbe dovuto aspettarselo. Com’era che si diceva? A scherzare con il fuoco si rimane bruciati? Beh, lui era andato praticamente in fiamme e del suo corpo non era rimasto altro che un mucchietto di cenere.
    «Che idiota», esordì una voce alle sue spalle, facendolo trasalire; ebbe appena il tempo di voltarsi per vedere Zoro osservarlo a sua volta per un lungo momento, entrando in cucina per prendere una bottiglia di sake dalle scorte che lui stesso aveva riposto sullo scaffale. «Due anni di allenamento e tutto ciò che hai imparato è stato come perdere sangue dal naso?»
    Sanji gli si avvicinò a passo di marcia e gli levò senza tanti complimenti la bottiglia dalle mani, assottigliando le palpebre. «Fa’ silenzio e pensa allo sfregio che hai sull’occhio, marimo di merda», sbottò, ma lo spadaccino, a quel dire, si limitò a sollevare un sopracciglio con fare fin troppo scettico.
    «Una cicatrice è un effetto collaterale accettabile; morire dissanguato per aver visto un paio di tette, no».
    «Tu cosa diavolo vuoi capirne, non ti si drizza nemmeno se le ragazze te la sbattono in faccia».
    «Ho ben altro da fare che perdere tempo dietro a cose del genere, cuoco», lo freddò, riprendendosi senza tanti complimenti la bottiglia prima di dirigersi verso il divano, gettandosi a peso morto sopra di esso per osservare il cuoco da quella posizione. Lui, dal canto suo, digrignò i denti e cercò di far presa sul proprio auto-controllo, decidendo di ignorare bellamente lo spadaccino per aggirare il tavolo e il piano di legno per raggiungere i fornelli. In quel momento doveva pensare unicamente alle sue bellissime muse, non a quella stupida testa d’alga dal brutto muso che non perdeva mai occasione di fargli salire i nervi. Dannazione, avrebbe voluto volentieri prenderlo a calci in faccia e rompergli tutti i denti.
    Gli attimi che trascorsero in quella cucina furono i più lunghi e interminabili che avesse mai vissuto. Aveva preso il bollitore per preparare il the richiestogli da Nami-san e l’aveva riempito d’acqua prima di accendere il fuoco, ostinandosi a dare le spalle a Zoro per non guardarlo nemmeno in viso. Aveva però avuto la sensazione del suo sguardo su di sé, proprio fra le scapole, e aveva sentito un bizzarro brivido corrergli lungo la spina dorsale quando, con la coda dell’occhio, si era reso conto che lo spadaccino lo stava fissando sul serio - con un’attenzione tale che avrebbe fuso del tutto il cervello a chiunque -, e la cosa non gli era piaciuta per niente.
    Era riuscito a trovare un pizzico di serenità solo quando il bollitore aveva fischiato, e, per quanto avesse sussultato per essere stato preso alla sprovvista proprio da esso, era stato ben felice di finire di preparare il the e svicolare svelto dalla cucina per portarlo alle ragazze, che l’avevano ringraziato e gli avevano consigliato di andare a riposarsi non appena avevano visto il sangue che aveva imbrattato la sua camicia. Eppure, dopo lo scambio di corpo avvenuto a causa di Trafalgar Law, avevano quasi sperato che rinsavisse e la smettesse di avere quelle emorragie, dato che il cuoco aveva potuto usufruire proprio del corpo prosperoso della navigatrice. E Nami, una volta tornata normale, gli aveva fatto pagare amaramente - sia metaforicamente che da un punto di vista monetario - la palpata di seno che aveva fatto con le sue stesse mani, ma quello era un discorso a parte.
    «Forse dovremmo convincerlo a parlare con Chopper», esordì d’un tratto Robin, issandosi a sedere sulla sdraio per sorseggiare il proprio the. «Cook-san non può andare avanti così. È distratto, mogio, non sembra nemmeno se stesso... dopo Punk Hazard è diventato quasi distante».
    Se non fosse stata d’accordo con l’amica, Nami avrebbe arginato tutta quella questione facendo semplicemente spallucce, concentrandosi tutta tranquilla su ben altro. Però, e odiava ammetterlo proprio perché voleva bene a Sanji-kun, Robin aveva colto decisamente nel segno. Il cuoco non era più lui, e loro, purtroppo, non riuscivano a capire che cosa lo turbasse così tanto né tantomeno riuscivano a tirarlo in qualche modo su di morale. «Magari è soltanto una fase passeggera», cercò di essere convincente. «Forse lo scambio di corpi deve averlo stressato».
    «Anche tu ti sei ritrovata prima nel corpo di Franky e subito dopo nel suo, ma non mi sembri particolarmente stressata», ribatté Robin. «E poi, da quel che ricordo, lui si divertiva parecchio a spiare nella tua scollatura».
    «E per quello l’ho riempito di botte, sai?» ci tenne a precisare la navigatrice, soffiando sul proprio the prima di bere a sua volta un sorso. «Però, non so, sembra fin troppo agitato», e nel dir questo cercò con lo sguardo la figura del cuoco, poggiato nuovamente contro il parapetto a fumarsi l’ennesima sigaretta della giornata, «ma non riesco a capire perché».
    Robin fece fiorire sul suo braccio una mano e diede alla ragazza un’amorevole pacca su una spalla, sorridendo poi con fare rassicurante. «Vedrai che non è niente», le disse. «Probabilmente è solo stress e ci stiamo preoccupando per un nonnulla».
    Seppur ancora un pochino incerta, Nami ricambiò quel sorriso, impacciata. «Già, forse hai ragione tu, Robin», sussurrò, tornando a guardare distrattamente Sanji, che aveva gettato fin troppo in fretta quella nuova stecca nel bel mezzo dell’oceano. Forse Robin aveva davvero ragione. Forse Sanji era solo stressato da qualche piccolezza - i continui furti di cibo da parte di Rufy, le sue liti perenni con Zoro, il suo dover sfacchinare praticamente tutto il giorno per sfamarli - e la sua era semplicemente paranoia inutile.
    Allora perché, per quanto si sforzasse di dare per buona quella spiegazione, non riusciva a cancellare il brutto presentimento che le aveva attanagliato le viscere?
 
 
    «Il Log Pose continua a puntare in questa direzione, però non c’è niente», esordì Nami con voce affranta, lo sguardo fisso sugli aghi che vibravano ad indicare dritto dinanzi a lei, per quanto il mare si estendesse a perdita d’occhio.
    Era già la terza volta che capitava una cosa del genere, prima per l’Isola nel cielo e poi per quella degli Uomini Pesce, ma adesso il fenomeno era a dir poco inspiegabile. L’ago rosso non puntava né in alto né tanto meno in basso, bensì proprio davanti a loro, dove non c’era assolutamente nulla nel raggio di chilometri. Che il Log Pose fosse impazzito? Forse in quella determinata zona dell’oceano c’erano dei depositi sottomarini che avevano danneggiato la sua capacità di registrare il magnetismo delle isole? Oh, come le sarebbe piaciuto avere una spiegazione per quella dannata situazione in cui si erano ritrovati.
    «Forse dovremmo provare ad avanzare ancora un po’», propose Franky dopo essersi grattato il mento con fare pensoso, poggiandosi poi gli occhiali da sole sul naso. «Basterebbe un Coup de Burst per spingerci più avanti e vedere se riusciamo a scorgere un’isola».
    Nami scosse immediatamente il capo. «Non possiamo girare a caso, se l’ago indica proprio questo punto», sospirò, alzando lo sguardo verso l’orizzonte. «Se solo avessimo qualche indizio... non possiamo sperare che ci piombi in testa la risposta, è già capitato due volte e non siamo poi così fortunati».
    «Io sono d’accordo con Franky», s’intromise d’un tratto Rufy, richiamando su di sé l’attenzione di tutta la ciurma radunata sul ponte. Persino Zoro, che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissare con fare diffidente un punto imprecisato dell’oceano, si era voltato verso di lui, sollevando un sopracciglio. E non perché il Capitano avesse affermato di essere d’accordo con il carpentiere, nay; probabilmente erano i suoi occhi, sfavillanti come due diamanti, a far presagire che Rufy non aveva in mente niente di buono.
    Anche Nami parve capirlo, poiché si ritrovò a schiaffarsi una manata in faccia e a sbuffare. «In che lingua volete che ve lo dica? Avanzare non cambierà le cose». Guardò ancora una volta il Log Pose e poi il mare, aggrottando la fronte nell’incontrare l’espressione ferma e più che decisa del suo giovane Capitano. «Ma questo è il Nuovo Mondo, dopotutto», soggiunse, come se volesse cercare in quelle parole una spiegazione razionale. «Si può sempre tentare».
    «Perfetto!» esultò Rufy, saltando in piedi sulla polena. «Avanti tutta, Franky!»
    Il fermento provocato da quelle due semplici parole corse frenetico in ogni membro della ciurma, che si affrettò ad eseguire gli ordini del Capitano; ognuno di loro raggiunse la propria postazione e si preparò alla partenza, chi spiegando le vele e chi prendendo posto dinanzi al timone, pronto a fare rotta nella direzione indicata dal Log Pose.
    Nami fece appena in tempo a voltarsi verso destra per controllare la situazione con il binocolo che un’improvvisa folata di vento le scompigliò i capelli, facendo sì che le ricadessero sugli occhi e le offuscassero la vista; sbuffò e se li scansò con un gesto secco, ma l’improvviso rollare della nave le fece perdere l’equilibrio, tanto che si ritrovò a sbattere il sedere sul ponte, imprecando a denti stretti. Cosa diavolo stava combinando Franky con quel timone? Si issò in piedi afferrando con una mano il parapetto di legno, e ne avrebbe di sicuro dette quattro al carpentiere se la sua attenzione non fosse stata richiamata dal rombare lontano dei tuoni; un lampo squarciò il cielo in quel preciso istante, illuminando il profilo sfocato di un lembo di terra.
    «Ma che diavolo...?!» esclamò Usopp, sconcertato. «Da dove accidenti salta fuori quella montagna?!»
    «Quella non è una montagna, è un vulcano!» urlò di rimandò Sanji, assicurando una cima all’albero maestro. Un’onda si riversò all’interno della nave e rese scivolose le assi di legno, facendo sì che gli oggetti non fissati scivolassero su di esse, così come le porte sbatterono ad ogni minima oscillazione. Gocce grandi come chicchi di grandine avevano cominciato a cadere inesorabilmente dal cielo, e le forti raffiche di vento sferzavano violentemente il vessillo nero che sventolava sul pennone, minacciando di strapparlo via.
    «Franky, tutta a babordo!» gridò Nami, tenendosi alla balaustra per evitare di cascare di sotto a causa delle brusche virate del brigantino. «Se non ci affrettiamo a cambiare rotta ci schianteremo!»
    Quando aveva avvertito quella strana sensazione di disagio alla bocca dello stomaco ci aveva visto giusto, dannazione. E adesso si trovavano in balia delle onde e del vento, gettati in pasto ad una tempesta che fino a pochi attimi prima non c’era e in procinto di scontrarsi frontalmente con un vulcano spuntato fuori dal nulla. Tutte a loro dovevano capitare? Accidenti, sembrava che non avessero mai un attimo di respiro.
    A quei suoi stessi pensieri, Nami imprecò a denti stretti e corse svelta al di sotto del cassero per aiutare Chopper con la barra, cercando di restare in equilibrio e non essere vittima dell’oscillazione della nave. Sentiva le onde infrangersi violentemente contro lo scavo e i sinistri scricchiolii dei legacci che assicuravano la vela di mezzana all’albero, e avrebbero rischiato grosso se una di esse si fosse stracciata a causa della forte pressione del vento. «Zoro!» urlò, tentando di sovrastare il possente ruggito del mare e il rombare dei tuoni per farsi sentire, riuscendo a richiamare l’attenzione dello spadaccino solo al terzo tentativo. «Tu e Sanji-kun occupatevi delle vele, io e Chopper penseremo alla barra!»
    «Ricevuto, Nami-san!» grido il cuoco di rimando, affrettandosi a correre dall’altro lato del ponte per afferrare le funi che si erano sciolte a causa delle forti raffiche di vento; gli spruzzi d’acqua provenienti dalle onde che schiaffeggiavano violentemente la nave gli inumidivano il viso e gli rendevano le mani scivolose, e dovette ripetere più volte il nodo per riuscire ad assicurare le cime agli alberi di mezzana e trinchetto, scorgendo appena con la coda dell’occhio la sagoma indistinta di Zoro che faceva lo stesso con quello maestro.
    Poterono trovare un attimo di respiro solo quando giunsero nei pressi dell’isola, dove la tempesta sembrava essersi placata. Il cielo era ancora grigio e le nuvole cariche di pioggia, ma adesso lì, con l’ancora ormai calata, si sentivano in parte più tranquilli. Certo, attraccare era stato difficile, però almeno ce l’avevano fatta.
    «Pensavo che dopo l’isola degli Uomini Pesce e Punk Hazard non ci sarebbe stato più niente in grado di stupirmi, però... ragazzi, credo che mi stia tornando la nonvogliolasciarelanaveite...» esalò Usopp con un fil di voce, accasciato sul ponte erboso della Sunny come i restanti membri dell’equipaggio, tutti esausti per quell’assurda traversata. Prima il Log Pose impazzito, poi la tempesta, il vulcano, l’isola... già, quell’esperienza si sommava a tutte quelle che avevano già provato in passato, ma non bastava di certo quello a rasserenarli. E forse il cecchino, stavolta, aveva ragione nel non voler lasciare la nave. Chopper aveva difatti gettato una rapida occhiata in direzione dell’isola e aveva sentito tutto il pelo drizzarsi sulla schiena, simbolo che a terra ci sarebbe di sicuro stato qualcosa che non sarebbe piaciuto per niente a nessuno di loro. Nell’osservare subito dopo Rufy, però, aveva stranamente compreso che qualcuno sarebbe stato costretto a seguire l’euforico Capitano per impedirgli di fare casini.
    «Andiamo, non siete curiosi di scoprire cosa nasconde quest’isola?» esclamò difatti, schizzando in piedi per gettarsi contro il parapetto, poggiando entrambe le mani su di esso mentre osservava il folto bosco che si parava dinanzi ai suoi occhi, così tetro e scuro che metteva i brividi anche solo a fissarlo da quella distanza.
    Usopp, Chopper e Nami, però, agitarono in contemporanea una mano. «Per niente», replicarono, restando seduti sull’erba e rimediandoci un’occhiata scettica da Franky.
    «Il fatto che vi spaventiate per una cosa del genere è mecha-ironico, sapete?» disse loro con fare sarcastico, e, per quanto fu guardato male dai diretti interessati, riuscì a strappare una mezza risata a Zoro, il cui sguardo era fisso nella stessa direzione verso cui stava guardando Rufy.
    «Se hanno paura, lasciamoli qui a badare alla nave», propose ironico, sentendo i loro versetti d’approvazione.
    «Sono perfettamente d’accordo con Zoro!» esclamò Usopp, alzando subito una mano a mo’ di conferma. «Ma la mia non è paura!» si affrettò ad aggiungere, assumendo persino una posa convincente dopo essersi portato due dita al mento per carezzare il pizzetto. «Il grande Capitano Usopp non ha paura di nulla, però qualcuno dovrà pur tenere d’occhio la Sunny in assenza degli altri!»
    «Quindi restate voi?» domandò Zoro, vedendoli annuire immediatamente.
    «Certo!»
    «Con piacere!»
    «Assolutamente sì!»
    Qualche istante dopo, però, un ruggito gutturale freddò tutti sul posto e fece cambiare in un lampo idea ai tre ragazzi, che trovarono molto più saggio incollarsi al povero spadaccino. «Credo che, dopotutto, avrete bisogno dell’aiuto del temerario Usopp...» pigolò quest’ultimo, stritolando fra le mani il suo braccio sinistro; Nami si era impossessata di quello destro e Chopper gli era saltato letteralmente in testa, e la scena si sarebbe anche rivelata divertente se l’atmosfera non fosse stata così cupa.
    «Smettiamola di perdere tempo!» sbottò Rufy, richiamando l’attenzione di tutti. «Scendiamo e cerchiamo una città, mi sta anche venendo fame!»
    «Sapevo che l’avresti detto, Rufy», ridacchiò Sanji, uscendo proprio in quel mentre dalla cucina con due grossi zaini sulle spalle. Sorrideva sfavillante come non mai, con la sua fedele sigaretta fra le labbra. «Ho preparato dei bentou per tutti!»
    «Sei grande, Sanji!» esclamò tutto euforico, arraffando il proprio zaino per scendere per primo, ignorando i richiami di Nami, ancora incollata al braccio di Zoro. E di questo il cuoco se ne accorse, sgranando gli occhi prima di avvicinarsi rabbioso allo spadaccino per rifilargli un calcio allo stinco, senza dar peso alla colorita imprecazione che quest’ultimo rivolse al suo indirizzo.
    «Giù le mani da Nami-san, gorilla pervertito!» sibilò, e Zoro, dopo essersi finalmente scrollato di dosso quei tre idioti, mise prontamente mano alle sue katane, fronteggiando l’altro.
    «Che cazzo fai, cuoco? Sei cieco, per caso? È lei che mi ha sequestrato il braccio!» berciò, e avrebbero di sicuro cominciato a darsele di santa ragione come loro solito se non fosse stata proprio Nami a sedare la rissa, rifilando un pugno sul capo di entrambi.
    «Diamoci una mossa, lo sapete bene che non possiamo lasciare Rufy da solo!» sbottò scontrosa, accostandosi a Robin per scendere a terra con lei. Brook e Franky, con Chopper e Usopp al seguito, si erano già avviati, così da non perdere di vista quello scemo del loro Capitano. Se si fossero distratti anche solo per un attimo, quel casinista sarebbe riuscito a combinare qualche guaio come suo solito, e di guai ne avevano già avuti abbastanza, in quel periodo. E quell’isola dava la netta sensazione che, volenti o nolenti, sarebbero stati proprio i guai a cercarli. Decisamente.








_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Non saprei cosa dire esattamente, riguardo questa long fiction.
Cominciamo con il dire che questa storia di sette capitoli è
stata scritta per il contest Don't be a drag, just be a Queen! indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco - nel quale si è classificata prima praticamente per il rotto della cuffia, come la giudice stessa afferma x) - e per il contest One Sentence indetto da Reghina-chan, ancora in corso e in fase di conclusione. Per una volta avevo una voglia pazzesca di scrivere una storia di avventura su One Piece, e finalmente questi due contest me ne hanno dato la possibilità.
Le strofe iniziali in corsivo nell'introduzione, tra l'altro, appartengono alla canzone
«The Battle of Bones» dei Flatfoot56 e la frase è del film «Pirati dei Caraibi: La Maledizione del Forziere Fantasma», e si capirà perché le ho scelte come punto di riferimento solo nel corso della storia.
Ho sempre l'impressione che manchi qualcosa, comunque, però spero che in qualche modo, per il momento vi abbia interessati.
Al prossimo capitolo. ♥




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