Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: Roxanne1236    06/07/2012    0 recensioni
I personaggi sono i medesimi di Atelophobia, qualche aggiunta, ma niente di più. Lo stile è diverso da quello del mio primo racconto; in primo luogo per il momento in cui l'ho scritto. Da un anno fa a questa parte sono rimasti integri solo i titoli dei miei romanzi. Odio il mio stile ed i cambiamenti repentini che subisce; ma quest'è un'altra storia.
Utopia. Parola sulla quale gravida l'intero racconto; non anticipo altro. Spero solo sia migliore di Atelophobia, e che verrà recensita: sono davvero curiosa di sapere quel che si pensa da me, non tanto per egocentrismo, quanto per necessità di migliorarmi. Buona lettura dolci anime.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Svoltai l'angolo. Camminavo veloce, conscia che qualche essere fosse dietro di me, pronto ad attaccare. La lepre ed il ghepardo. Per quanto io abbia potuto spicciarmi, il mio passo fu comunque raggiunto da quell'aggressore. Per un attimo mi aspettai di tutto, finché non lo vidi in faccia; riconoscendolo, all'inizio pensai – e sperai – che fosse solo una stupida coincidenza. Come mi sbagliavo, come sbaglio sempre del resto, a vedere solo il lato buono di chiunque. La figura relativamente imponente di Johnatan mi aveva seguita come un’ombra, quel che non capii era il movente.
"Ciao, Johnatan. Che fai qui?" Cercai di mostrare il tono di voce più tranquillo e normale che la situazione poteva permettere, anche se il tentativo non riuscì appieno. Mi aveva sempre infastidito la sua presenza, per una lunga serie di ragioni, quando eravamo in gruppo, figuriamoci in quella situazione. Il sole di maggio stava abbandonando il cielo per donarsi all’altro emisfero, mentre lui mi fissava con uno sguardo molto, troppo, inquisitorio.
"Beh, Roxanne, a dirti la verità cercavo di parlarti." Un brivido mi percosse la schiena al vedere un sorriso sghembo e maligno comparire sul suo volto stanco e sgradevolmente brutto.
"Va bene, dimmi."
"Devi stare alla larga da Daniel. Ora, e per sempre. Comprendi?" Il suo tono si alzò di molto.
"Scusa ma cosa signific.." Non mi diede tempo di completare quella frase, che forse non aveva un vero e proprio seguito, che mi colpì in pieno volto. Barcollai, e dopo che sentii qualche colpo allo stomaco, caddi e persi i sensi. La stradina in cui m’ero gettata non era di quelle più indicate per stare tranquilla: era tutta buia, nonostante ci fossero dei fiochi lampioni, e si trovava al ridosso di una via principale. Chi mi avrebbe trovata, così mal ridotta per terra in posizione fetale nel vano tentativo di proteggermi, nascosta per giunta da un cassonetto.
***
 
Aprii gli occhi, senza ricordare nulla. 
Dove mi trovo? Cosa sono queste mura che mi cingono? E sul letto di chi sono distesa?
Feci per alzarmi ma dal dolore ebbi un conato di vomito che repressi perché al primo movimento sentii un fuoco ardere nel mio fianco sinistro, e appena volsi lo sguardo su quello, lo scoprii bendato all’altezza del bacino.
Cosa diavolo m'è successo? Un vuoto mentale regnava nel mio cervello; cercavo invano di afferrare ricordi di quei momenti immediatamente precedenti al mio risveglio era peggio di cercare un ago in un pagliaio. Tentai nel frattempo di analizzare la camera in cui mi trovavo.
Cinta da pareti colorate interamente di un blu intenso, qualche tonalità in più dell’azzurro della mia camera, la stanza era abbastanza spoglia. Oltre al letto sul quale giacevo, il cui copriletto, mi accorsi, era di un blu molto simile alle pareti, c’era una scrivania di cristallo alla mia destra, sopra la quale erano posati un gigantesco schermo di un computer con abbinata una tastiera che ad occhio e croce era un decimo dello schermo stesso, e alcune penne e matite sparse, su libri impilati, perfettamente in ordine. Sulla medesima parete alla quale la scrivania era poggiata c’era una finestra, mentre di fronte al letto c’era un televisore sottile discretamente grande, alla cima di un mobiletto in metallo con alcune console e involucri di dischi e di videogiochi. Notai che al mobiletto era appeso una sorta di orsacchiotto con un logo di una squadra di calcio. Le pareti erano tappezzate di poster di giocatori di basket e di football. Alla mia sinistra c’era un comodino dove c’era una sveglia, una pallina da baseball, una lampada ed un libro, un fumetto, per la precisione, “Star Wars”; sempre alla mia sinistra era situato un armadio. Contemplai per qualche istante la stanza, poi tornai a ripercorrere le vicende anteriori al mio vuoto mentale; ero tutta indolenzita, le braccia mi dolevano, le gambe quasi non rispondevano ai miei comandi. Dopo aver rinunciato al tentativo di sedermi, provai a mettermi in una posizione più dignitosa e rimasi su quel letto. Ebbi un’illuminazione. Immagini veloci come fotogrammi erano passate per la mia mente di quel che era successo fino ad almeno qualche ora prima, riuscii anche a ricordare chi mi combinò in quella maniera, e nello specifico cosa mi combinò, fin quando non persi i sensi.
Ma ancora non riuscivo a capacitarmi del luogo in cui mi trovavo. Mentre ero ancora concentrata nel ricordarmi l'accaduto, la porta della camera ignota si aprì. Sorpresa e vergogna si mischiarono all’impeto del mio battito cardiaco, che accelerava sempre più rapidamente.
Jèremy era entrato in quella camera.
Ero in casa di Jèremy; avrei dovuto intuirlo, dai soggetti presenti nella sovrabbondanza di poster nella camera; in quello stesso momento collegai anche il logo del calcio sull’orsacchiotto.
Come ero finita in casa di Jèremy?!  Non ebbi bisogno di formulare ad alta voce la domanda, che lui prese a parlare.
"Ti ho trovato svenuta svoltando l'angolo della strada. Ti ho portato a casa, e ti ho fatto medicare da mio fratello, che sta al penultimo anno della facoltà di medicina. Piuttosto, a te cosa è successo?"Forse ero troppo sconvolta dai due eventi in sequenza – l’aggressione di Johnatan e la comparsa, quasi angelica, di Jèremy – eppure avrei giurato che il tono di Jèremy era leggermente incrinato, quasi offeso, come se avessi dovuto avvisarlo immediatamente di quel che mi stava capitando.
Tentando ancora di mettere a fuoco la situazione, buttai giù tutte le parole che quelle immagini che continuavano a scorrermi nella mente suscitavano in me.
"Un..Un ragazzo mi ha seguita, ed in un lasso di tempo, credo molto breve, dopo avermi preso la faccia, ha cominciato a picchiarmi, poi sono caduta, e forse per il dolore o perché ho battuto la testa, sono svenuta; e poi mi sono ritrovata qui, in salvo." Non potrò mai rivelargli la sua identità.
“Come puoi ben notare, hai quel taglio sul fianco. Mio fratello ci ha trovato delle schegge di vetro; possibile che lui era armato di quelle, o di qualche altro attrezzo?” Sentii nel frattempo pulsare la mia guancia sinistra e tentai di massaggiarmela, ma peggiorai solo la situazione.
“A dire la verità, lui non aveva nulla. Forse era per terra e nel cadere mi si è conficcato nel fianco o forse quando sono svenuta deve avermi continuata a picchiare.”
“Prendi questo, forse ti servirà per la guancia.” Mi porse un impacco di ghiaccio più piccolo del mio pugno, e me lo poggiai sul volto; provai subito una sensazione di freschezza piacevole, che mi placò il dolore, almeno alla guancia. Restammo qualche minuto in silenzio, poi Jèremy, quasi si fosse ricordato di una questione di vitale importanza, alzò lo sguardo da dove lo aveva posato quasi di scatto, e mi parlò.
 "Comunque è circa un'ora che cercano di chiamarti. Guarda, il tuo cellullare sta ancora squillando" Mi porse con gentilezza il telefono e si sedette sulla sedia vicino la scrivania. Avvisai Dan, i miei genitori, le mie amiche, mentendo spudoratamente su quel che era successo, e sul luogo in cui mi trovavo. Ci sarà tempo per fornire le debite spiegazioni. 
“Vuoi un bicchiere d’acqua?” Si accorse che ero ancora titubante e tremavo. D’altronde, era evidente da quando avevo preso il telefono in mano e scrivevo i messaggi.
“Ehm, si, grazie.”
Jèremy uscì dalla stanza con un passo leggiadro; perfino quando aveva la tuta la sua aria era angelica. Fu di ritorno dopo molto poco; sentii che urlava qualcosa a qualcuno, forse al fratello, prima di chiudere la porta accompagnandola con il piede. Aveva entrambe le mani occupate: in una reggeva un bicchiere d’acqua, nell’altra un impacco di ghiaccio, questa volta più grande. Mi porse il bicchiere d’acqua e poi si diresse verso i piedi del letto, mi alzò la gamba destra e mi scoprì la caviglia, adagiando accuratamente il ghiaccio ricoperto dal fazzoletto spesso.
"Ecco. In poco tempo si sgonfierà." Mi disse, sorridendo. Riuscii a malapena a sentire il tocco delle sue dita dolci e attente sulla gamba, e tutto divenne più freddo, a seguito del ghiaccio. E mentre tentava di guarire le mie ferite, aggrediva sempre più il mio cuore; sentivo l'impulso irrefrenabile di parlargli, ma ciò che di più strano c'era in quello stimolo era la provenienza. Credevo esistessero impulsi solo cerebrali, mentre questo scorreva nel sangue, pulsato dal cuore.
Tornai al mondo che mi circondava, in meno di un batter d’occhio
"Ma un momento, quanto tempo è passato? Che ore sono?"
"Sono le undici passate. Hai dormito qualche ora."
“Fortuna, ho detto che ero in giro con delle amiche, ci sarà un tempo debito per fornire spiegazioni”
“Già.” Jèremy andò a sedersi sulla sedia vicino la scrivania. Notai solo in quel momento che alla mia destra c’era anche una libreria ed un porta cd con dischi impilati, tutti inesorabilmente del genere di musica che Jèremy ama. Mi voltava le spalle, controllando una cosa al computer; aprì un programma per riprodurre musica, poi lo richiuse. Osservavo ogni suo movimento, notando anche quelli più piccoli: non lo avevo mai visto così bene da vicino, aveva due spalle molto più grandi di quel che apparivano da lontano, in unione alla sua figura molto, troppo, esile; i suoi lunghi capelli di qualche anno fa erano ormai un ricordo, ora la sua nuca si vedeva perfettamente, dato che erano quasi rasati dietro per poi culminare in una sorta di cresta, neanche troppo corta, sulla sommità. Quel che era rimasto, era il biondo angelico. Jèremy si voltò e posò il suo sguardo stralunato su di me, quasi che non si ricordasse che il suo letto era occupato da una ragazza della sua scuola, che gli si era dichiarata non più di qualche settimana prima, alla quale non aveva concesso una risposta.
Mi sentii in dovere di parlare.
Fallo, Roxanne. Diglielo. Digli quello che provi. Chiedi ogni chiarimento, ora o mai più!
"Grazie.. Jèremy"
"Dovere. Se vuoi riposare ancora, fai pure." La sua voce tremava leggermente. Gli avevo già parlato, in quell’incrocio di occhi nocciola, i miei nei suoi. Aveva cercato di camuffare il suo imbarazzo, ma le sue orecchie – ormai scoperte dai capelli estremamente corti – tradirono il suo tentativo, ormai invano.
"N-no, cioè, sto bene, grazie." Fui io a tentennare.
Jèremy si alzò e prese il telecomando scrivania. Dopo aver girato qualche canale – lo aveva fatto evidentemente per ingannare il tempo – spense, e si risedette sulla sedia.
"Che ci facevi tutta sola in giro?" Tentò un tono disinteressato, che gli riuscì piuttosto bene; nel frattempo, pur di trovarsi un impiego, prese a mettere a posto penne e matite, ed una maglietta che era depositata sullo schienale della sedia.
"Ero andata in un negozio, a cambiare una maglia. " Feci una pausa. Chiuse l’armadio, e ci guardammo, poi fui io a distogliere lo sguardo, prendendo a giocare con i miei capelli.
"Jèremy..."
"Si..?"... Non sapevo cosa dire.
Ora o mai più!
"Grazie ancora."
"Sicura sia solo questo, Roxanne?" il suo sguardo mi trafisse. Si alzò e migrò sul letto, facendo una precisa attenzione a non interferire con la gamba e l’impacco di ghiaccio che mi aveva precedentemente sistemato; si pose all’altezza del mio ginocchio. Eravamo l'uno di fronte l'altra.
Parla!
“No, hai ragione. Perché non mi hai risposto al messaggio?”
“Sei tu che ora me lo mandi per davvero. Roxanne, non sapevo se eri tu. Mi era venuto, com’è normale, un dubbio. Analizza i fatti: tu sei fidanzata con Daniel, o come si chiama, e lo sei stata già prima con Joe. Voglio dire, posso anche piacerti e sono lusingato per questo, ma non credevo l’avessi veramente scritto tu, pensavo fosse uno scherzo.”
“E… Non lo era, Jèremy.”
“Ecco. Ora le cose si complicheranno, Roxanne.” Il suo sguardo si fece più intenso. Sorrise di nuovo. Mi aggredì il cuore un'altra volta, che prese a martellare, quasi volesse farsi sentire da Jèremy. E' proprio vero, quando l'animo tace, è il corpo che parla.
“Che…Che significa?”  
No, non ora!
L'iphone riprese a squillare. Dan mi continuava a chiamare.
"Rispondi, Roxanne."
Alzai gli occhi al cielo e risposi. Daniel era arrabbiato, e non appena gli dissi che ero a casa di un Jèremy, a seguito dell'incidente, lo sentii correre ed affannarsi. Il mondo aveva ripreso a girare normalmente, del resto può permettersi solo poco tempo per i momenti bellissimi, anzi eccezionali. Se non fossero una piccola eccezione alla regola non potrebbero chiamarsi del resto così. Ma fui più veloce.
“Ho da dirti un solo nome, è da lui che devi andare, non da me. Johnatan.” Sentii dall’altro capo del telefono Dan affogarsi. Non poteva credere alle sue orecchie. Nel frattempo Jèremy mi fissava, ormai perso dopo quel che aveva sentito; il suo sguardo era un punto di domanda sulla questione, ma gli feci cenno che ci sarebbe stato tempo per parlare.
Attaccai con Daniel, ma nonostante ciò, Jèremy non osò proferir parola; fui io a cominciare a parlare.
“Questa storia è più grande di me, non posso farci nulla Jèremy.”
“Okay, qualunque sia stato il motivo, non giustifica quel che ha fatto, lo sai, Roxanne?”
“Certo. Ma è complicato. Di cosa parlavamo, prima?”
“Ora non ha più importanza.” Una nota di dispiacere velò la sua voce.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Roxanne1236