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Autore: Payton_    06/07/2012    3 recensioni
Ron non ricordava d’essersi mai chiesto quale fosse il rumore di decine di mascelle che cadevano al suolo, ma ora lo sapeva. Tick, tock, crack. Ce n’era per tutti i gusti, la differenza fondamentale stava nel terreno di caduta più nella mascella in sé.
La prima a ridestarsi dallo shock fu Lavanda: «Parkinson, lascia stare il mio ragazzo!» ringhiò, avendo male interpretando le intenzioni della Serpeverde, che sbuffò ancora, sempre più spazientita.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Millicent Bullstrode, Pansy Parkinson, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Perché in fondo ci piacciono i crack paring. ♥'
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Bella e letale

 

Millicent

 

Millicent Bulstrod sapeva bene che non era possibile Smaterializzarsi entro i confini di Hogwarts. Genitori e professori glielo avevano ripetuto all’infinito e, se non fosse bastato, Pansy e Daphne avevano tentato decine di volte senza successo.

Quello che però Millicent non riusciva a spiegarsi era come fosse possibile che i pettegolezzi viaggiassero di aula in aula così velocemente senza che ci fosse la possibilità di Smaterializzarsi da un luogo all’altro. Si appuntò mentalmente di chiederlo a qualcuno – appunto che subito dopo cancellò, conscia della stupidità della propria domanda.

«Sulla Torre di Astonomia» ripeté, camminando lungo il corridoio con aria sconcertata. Due ore di Incantesimi di prima mattina le sembravano molto più leggeri di quella verità.

«Sì, ieri a notte fonda» precisò Daphne, al suo fianco, molto meno impressionata.

«Sei davvero sicura?» chiese per la terza, abbassando la voce per essere certa che nessuno nel corridoio potesse sentirle. Quel pettegolezzo, che era arrivato a tempo di record alle sue orecchie, era decisamente troppo assurdo per essere vero. Però, doveva ricordarsi che erano pur sempre a Hogwarts, dove tutto – proprio tutto - poteva essere possibile.

Ad esempio, Harry Potter aveva già affrontato quattro volte colui-che-non-deve-essere-nominato ed era ancora vivo.

«Me l’ha detto Astoria, che l’ha sentito da Blaise, che ha sentito la Patil dirlo alla Brown a colazione, dando per certa la notizia perché sua sorella l’aveva sentito dalla Chang e le sue amiche, che lo sapevano direttamente da chi li ha visti, cioè Michael Corner e Ernie MacMillian»

Di fronte a tale garanzia, Milly non poté fare altro che registrare il pettegolezzo come verità. Evitò di chiedere cosa ci facessero Corner e MacMillian nella Torre di Astronomia, da soli, a notte fonda, perché qualche idea se l’era fatta. Non sfuggiva niente, a Millicent. A lei a tutta Hogwarts, visti i pettegolezzi che già passavano di orecchio in orecchio sugli incontri clandestini tra il Tassorosso e il Corvonero. Questa, però, è un’altra storia.

«Credi che lei lo sappia?» chiese Millicent, togliendo la tracolla dalla spalla per appoggiarla sul banco, prima di sedersi al proprio posto seguita da Daphne.

L’amica la guardò come se fosse una Babbana, alzando un sopracciglio e allargando le braccia per indicare tutta l’aula di Incantesimi. «Vedi qualche cadavere biondo? Senti qualcuno urlare?» chiese, intendendo che no, era palese che lei non sapesse.

«Ma qualcuno deve dirlo a Pansy» mugugnò Millicent, mentre cercava libro, inchiostro e piuma. Visto che Daphne non aggiunse nulla, interruppe la ricerca ed alzò lo sguardo. Stupida!

«Già… Qualcuno» scandì Daphne, scrutandola decisamente con troppa intensità. Milly capì all’istante che ‘qualcuno’ non era certo sinonimo di Daphne; indubbiamente era sinonimo di Millicent.

«’Giorno, ragazze!» le raggiunse Pansy, sorriso smagliante ed insolito buonumore. Il tempismo della vita. Stronzo!

Ancora una volta, Milly si ritrovò a chiedersi come mai non fosse stata smistata a Grifondoro: quello che stava per fare richiedeva davvero un insano coraggio.

 

Ron

 

Ron Weasley, come oramai ogni mattina, aveva sperato in un diversivo che lo salvasse da Lavanda, ma mai - mai - avrebbe pensato che lei sarebbe stata il volto della salvezza.

Pansy Parkinson lo scrutava dall’altro, ritta davanti al tavolo dei Grifondoro in attesa di una risposta.

Era decisamente sconvolto e non riusciva nemmeno a capire se la Parkinson stesse parlando davvero con lui, dato che il suo naso era quasi perpendicolare al soffitto della Sala Grande.

«Cos’è, è vero che la Brown morde quando bacia e ti ha mangiato la lingua?» chiese la Parkinson, incrociando le braccia con fare stizzito e, se possibile, alzando ancor di più il viso vero l’alto.

«Credo di non aver capito» scandì Ron, coprendo i mugugnii di protesta di Lavanda, che possessiva s’era appesa al suo braccio.

«Sapevo che eri stupido, Weasley, ma non credevo così tanto» sbottò acida la Parkinson, alzando gli occhi al cielo.

Ron sentì un familiare calore alle orecchie e strinse i pugni: quella era davvero insopportabile. –Perché non vai a baciare un Dissennatore, Parkinson?- propose, facendo ridere Lavanda, Calì, Seamus e Dean. Osservò la Parkinson sbuffare e perdere il controllo del proprio piede sinistro, che aveva iniziato a battere frenetico sul pavimento.

«Senti, Weasley» iniziò la Serpeverde, chiudendo gli occhi e ricacciando in gola qualcosa che somigliava terribilmente ad un conato di vomito, «scusa, non dovevo offenderti.»

Ron non ricordava d’essersi mai chiesto quale fosse il rumore di decine di mascelle che cadevano al suolo, ma ora lo sapeva. Tick, tock, crack. Ce n’era per tutti i gusti, la differenza fondamentale stava nel terreno di caduta più nella mascella in sé.

La prima a ridestarsi dallo shock fu Lavanda: «Parkinson, lascia stare il mio ragazzo!» ringhiò, avendo male interpretando le intenzioni della Serpeverde, che sbuffò ancora, sempre più spazientita.

«Brown, perché non vai a sistemarti quella Foresta Proibita che chiami sopracciglia e smetti di parlare?» la liquidò la Parkinson, facendola seriamente preoccupare per il proprio aspetto. Fortuna che Calì corse subito a rassicurarla, dicendole che aveva delle splendide sopracciglia. Ron le fu grato, perché oltre ad un ‘pat-pat’ sulla spalla non aveva nulla da offrire alla propria ragazza per consolarla.  

«Weasley, ti ho già detto che mi serve un incontro con i tuoi fratelli per proporgli qualcosa che gli porterà molti Galeoni, cosa vuoi sapere di più?»

«Che ne dici della verità? Non mi fido di te, Parkinson» protestò Ron, ma sbuffando la Serpeverde fece qualcosa di tanto eclatante da smuoverlo dalla propria posizione.

«Prendi, come prova che non è uno scherzo» sbottò lanciando la propria bacchetta sul tavolo, davanti a Ron. A quel punto, era ancora più confuso di prima.

«Seguimi» ordinò la Parkinson, voltandosi per uscire dalla Sala Grande. Ron non si mosse, ancora titubante: si trattava pure sempre della Parkinson. PansyCanediMalfoyParkinson, per la precisione.

«Per Salazar, muoviti!» ringhiò, voltandosi e provando a trascinarlo per un braccio, senza nemmeno riuscire ad alzarlo dalla sedia, ovviamente.

Ron cercò indeciso Harry, che sembrava urlare con lo sguardo: ’Non farlo, ti ucciderà’, seduto con un’allarmata Hermione in lontananza. Alla fine decise di rischiare. Tanto Harry era un po’ paranoico, no?

Se era uno scherzo, avrebbero avuto una scusa plausibile per farla pagare ai Serpeverde, e Godric solo sapeva quanto Ron ne avesse bisogno.

Si alzò, seguendo la Parkinson fuori dalla Sala Grande con la sua bacchetta tra le mani, provando ad evitare tutti gli sguardi increduli puntati su di loro.

Il pensiero che più tormentava Ron mentre sfilava davanti a tutta Hogwarts, però, era che la voce della Parkinson era davvero fastidiosa. in particolare di prima mattina.

Gli sarebbe bastato anche un diversivo meno appariscente per liquidare Lavanda.

 

Draco

 

Draco Malfoy non voleva mostrare a nessuno che era preoccupato. Non era degno di un Malfoy – come se oramai fosse rilevante – temere qualcuno. Specialmente se questo qualcuno aveva corti capelli corvini ed un naso alla francese particolarmente all’insù.

Provassero loro, pensava quando si ritrovava a correre fuori dalle aule dopo ogni lezione in modo da evitare Pansy, o quando si appiattiva nella Sala Comune di Serpeverde sperando che lei non lo vedesse.

Sapeva che Pansy sapeva, e sapeva che prima o poi la vendetta – anche gelata – sarebbe arrivata. Con l’Oscuro Signore alle costole, per giorni e giorni lei era stata la sua più grande preoccupazione. S’era sentito nuovamente un adolescente come gli altri, a dire il vero; ansia a parte era stato quasi bello.

Comunque, dopo due settimane dalla fuga di notizie che gli era costata la reputazione, non era ancora successo nulla. Pansy non aveva urlato. Pansy non aveva tentato di Cruciarlo. Pansy si limitava ad ignorarlo. Meglio, penserete voi, ma sbaglierete, perché se Pansy lo stava ignorando prendeva tempo per qualcosa di davvero eclatante.

Quattro giorni dopo La Scoperta – così veniva chiamato il pettegolezzo tra le mura di Hogwarts – Draco aveva incontrato Pansy in Biblioteca per la prima volta. O meglio, aveva visto che lei era lì e s’era nascosto dietro il primo scaffale, per poi fuggire facendo meno rumore possibile.

La prima persona che aveva incontrato una volta fuori era stato Theo: un vero colpo di fortuna.

«Perché Pansy è in Biblioteca?» aveva chiesto, preoccupato. «Lei non va mai in Biblioteca! Ci vanno anche Tassorosso e Grifondoro, e lei non vuole stargli vicina più dello stretto necessario» protestò, stizzito per il fatto che nemmeno il posto che aveva eletto a proprio rifugio fosse sicuro.

«Scrive» aveva risposto Nott, con un’alzata di spalle. «Non sappiamo cosa. Sta copiando qualcosa da decine di libri, ma è inavvicinabile e quindi nessuno sa cosa stia scrivendo.»

A quella rivelazione, Draco si sentì improvvisamente meglio: delle parole su fogli di pergamena non potevano di certo ucciderlo. Magari si sarebbe ritrovato nel mezzo della Sala Grande insultato dalla Strilettera del secolo, ma era un’ipotesi sopportabile, in fondo.

Quella sera, quando si recò sulla Torre di Astronomia – sì, era recidivo – salutò con allegria perfino Corner e MacMillian (che mai prima d’ora aveva considerato), semi nascosti in una delle nicchie della Torre, dimentico che era colpa loro se il suo segreto era sulle bocche di tutti. O quasi.

Fece i gradini due a due, carico di un insolito buon umore. Il problema Pansy sembrava arginato. Almeno quello. Ora c’erano solo l’Oscuro Signore e la sua famiglia. Solo.

Comunque, quella sera nulla avrebbe intaccato il suo buon umore. Arrivò in cima alla Torre, scorgendo subito una figura infagottata in uno spesso mantello ed una sciarpa dai colori orrendamente Grifondoro. Ricacciò il sorriso involontario che gli era spuntato sul viso e sfoderò un ghigno sprezzante e vagamente disgustato: prima o poi gliela avrebbe fatta ingoiare quella sciarpa, se non avesse smesso di indossarla quando era con lui.

 

Fred&George

 

Fred guardava George; George guardava Fred. Erano stupefatti. A dir poco.

Quando Ron s’era presento da loro in compagnia di Pansy Parkinson – Harry e Hermione nemmeno in lontananza – avevano pensato ad un’allucinazione. Bella grossa, tra l’altro. Ed invece, quello era davvero Ronald Bilius Weasley, loro consanguineo fratello, e quella era davvero Pansy Parkinson, unica nel suo genere, per grazia di Merlino.

«Allora, siete in grado?» chiese la Parkinson, sfidandoli con lo sguardo.

«Hai sentito, fratellino?» chiese Fred, scotendo la testa. «Questa ragazza dubita della nostra abilità»

«È assurdo» gli diede corda George. «Assolutamente assurdo.»

Per ogni Grifondoro che aveva avuto la fortuna di dividere la Torre rosso-oro con loro starebbe stato ovvio che sì, erano in grado di fare ciò che la Parkinson stava chiedendo.

«E lasceresti a noi il brevetto…» commentò Fred, modalità affari attivata, «ed ogni Galeone?» concluse George, medesima modalità affari ed espressione attonita.

«Ve l’ho detto, a me interessa sono l’esclusiva. La prima funzionante. Vi farei anche pubblicità a Hogwarts» ripeté la Parkinson, braccia conserte e sguardo duro.

Fred e George si scrutarono ancora, per poi sorridere nel medesimo istante.

«Be’, non pensavo che l’avremmo mai detto a te, Parkinson, ma…» incalzò George.

«Sei ufficialmente in affari con noi. La tua idea è geniale» concluse Fred, tendendo la mano alla Serpeverde, che non la strinse.

«Bene» commentò la Parkinson, un’espressione totalmente incolore, «ricordate che deve essere identica» specificò. «Questa è la lista completa» aggiunse, estraendo dalla borsetta una pergamena spropositatamente lunga.

«Sono tutti?» chiese Fred, prendendo la pergamena e srotolandola. La carta cadde ai suoi piedi e rotolò ancora per due metri prima di mostrarsi per intero. La Parkinson si era impegnata veramente, constatarono.

«Ron, forse dovresti prendere in considerazione l’idea di fidanzarti con questa ragazza» scherzò Fred, facendo ridere sprezzante la Parkinson e tossire imbarazzato Ron, che aveva rischiato di strozzarsi con la propria saliva.

«Quanto tempo ci vorrà?» cambiò discorso la Parkinson, impaziente.

«È presto per dirlo» rispose Fred.

«Un paio di mesi, forse meno» precisò George.

La Parkinson li scrutò in silenzio, prima di rispondere: «Prima sarà, più soldi vi darò» sentenziò.

Scrissero rapidamente un contratto magico dove Pansy Parkinson lasciava a Fred e George Weasley il pieno possesso della propria idea ed ogni guadagno e tutte le postille cautelative che i gemelli riuscirono ad immaginare. C’erano di mezzo comunque dei Serpeverde, era meglio essere prudenti.

Fred e George avevano un sorriso smagliante sul volto e gli occhi pieni di quella luce malandrina che gli aveva fatto aprire i Tiri Vispi.

«Quella ragazza è la regina della vendetta» decise Fred, leggendo la lunghissima pergamena che ancora stringeva tra le mani, dopo che Pansy Parkinson e Ron se n’erano andati.

«L’amerei, se non avessi paura di farla arrabbiare e beccarmi una vendetta… be’, così» scherzò George. «Che dici, ci mettiamo subito al lavoro?» chiese al gemello, desideroso di mettersi all’opera.

«Puoi dirlo forte!» esclamò Fred, arrotolando la pergamena della Parkinson.

Avevano già in mente un sacco di miglioramenti, per quella Vispa-Bacchetta (sì, avevo già pensato ad un nome). Non erano così entusiasti per qualcosa da quando avevano brevettato le Orecchie Oblunghe.

 

Pansy

 

Pansy Parkinson amava la vendetta. Era esattamente come avrebbe voluto apparire lei: bella e letale.

Uscì dal dormitorio di Serpeverde con un sorriso maligno sul volto e la bacchetta stretta in pugno. O meglio, quella che a tutti gli effetti sembrava la sua bacchetta. I gemelli Weasley avevano fatto davvero un lavoro impeccabile, due Grifondoro che non s’erano dimostrati del tutti inutili, alla fine.

Non le restava che trovare Draco e dare sfogo a tutta la propria rabbia. Ed in quasi tre mesi ne aveva accumulata tanta. Troppa.

Non ci volle molto per scovarlo tra gli altri studenti – quei capelli erano visibili anche al buio. Grazie, Lucius.

«Draco» scandì lentamente, richiamando l’attenzione dell’ex ragazzo e di tutti i presenti, che ammutolirono all’unisono.

Riuscì perfino a sentire Draco deglutire nervosamente, dal silenzio ch’era calato.

Lentamente – più del solito – il ragazzo si volto, palesemente preoccupato.

«Sì?» buttò lì, cercando di sembrare naturale. Fallì. Miseramente.

Pansy ghignò, una perfetta imitazione del sorriso maligno che aveva distino Draco Malfoy dalla gente simpatica per anni.

«Avada Kedavra» sibilò, puntando la finta bacchetta contro Draco.

Il ragazzo urlò, terrorizzato, prima che un fascio di luce verde colpisse in pieno il suo petto.

Tra i presenti ci fu chi strillò, chi sospirò, chi si coprì gli occhi o la bocca. Solo Pansy continuò a sorridere, scossa violentemente da una Millicent sconvolta che non voleva credere ai propri occhi.

«Non è la mia bacchetta. Non è nemmeno una vera bacchetta, quindi non è morto. Guarda» sputò d’un fiato indicando Draco, semplicemente per potersi liberare dalla stretta dell’amica.

Draco Malfoy nel frattempo stava rotolando sul pavimento, urlando senza una precisa ragione, a dire il vero.

Pansy avanzò verso di lui, estraendo dalla tasca un piccolo specchio che aveva preso per l’occasione.

«Guardati» disse accucciandosi verso il ragazzo. «Guardati bene» precisò, come se fosse necessario.

Sparito lo spavento iniziale, tutti i presenti avevano iniziato a ridere a crepapelle. Ron Weasley aveva perfino dovuto appoggiarsi a Lavanda per non cadere a terra dalle risate, fiero d’aver preso indirettamente parte allo spettacolo.

Quando Draco vide la propria immagine riflessa sobbalzò per lo spavento. Iniziò a toccarsi il viso e le braccia, strofinando con forza.

Ogni parte del suo corpo era dipinta di rosso e oro, disseminata da dei Grifoni in rilievo, uno proprio sulla guancia. Si vedeva che aveva decisamente voglia di piangere. E Pansy aveva decisamente voglia di ridere.

«Questa è solo la prima delle meraviglie che può fare questa bacchetta» precisò Pansy, mentre si alzava con aria trionfante. «Visto che Grifondoro ti piace tanto, questo nuovo look non può che farti piacere» sputò, senza smettere di ghignare per la soddisfazione. «A presto, Draco» lo schernì mentre si allontanava, bella e letale come la propria vendetta.

Quando Draco estrasse la bacchetta, impavido mago pronto ad attaccare alle spalle pur di vincere, Pansy era già stata inglobata tra i Serpeverde presenti, decisamente schierati dalla parte della ragazza.

Tutti si allontanarono ridendo, perfino Colin Canon, ma solo dopo aver scattato almeno una trentina di foto da prima pagina. Nessuno prestò più attenzione al ragazzo rosso e oro seduto a terra tranne una figura solitaria vestita con i colori di Grifondoro.

Adesso quella relazione non era più un rumors clandestino, ma una certezza che s’era palesata grazie alla scenata di Pansy.

Lei però non se ne curò, diretta alla prima lezione del mattino come se nulla fosse.

Draco era perfettamente in tinta con la sua nuova fiamma e lo sarebbe stato almeno per altre due settimane, garanzia made in Weasley. E poi, lei aveva ancora tanti trucchi nella bacchetta. Una pergamena lunga tre metri, per la precisione.

Sarebbero state settimane molto appaganti da lì alla fine dell’anno.

 


Ed eccomi qui, di ritorno dopo una vita con una storia che ha la pretesa di far sorridere chi avrà voglia di leggerla.

Non so dirvi se questa storia abbia uno sfondo Drarry, Dramione o quello che vi pare, è stata scritta lasciando spazio all'immaginazione del lettore.

La mia però, di immaginazione, viaggia più propensa per la Drarry, lo ammetto. ;)

Grazie d'essere passati,

Payton

   
 
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