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Autore: Trigger    06/07/2012    6 recensioni
Agnese era una persona equilibrata, più o meno come i piatti di una stessa bilancia aventi come pesi un elefante a destra e un canarino a sinistra, paziente come la sua prima babysitter durante quel periodo del mese – perchè la nonna le diceva sempre anche quello: non dire mai la parola ‘mestruazioni’ quando sei in compagnia, Nenè! Non è educato, Nenè. - , simpatica tanto quanto il cane di sua zia che le faceva pipì sulle scarpe ogni volta che la vedeva e dolce come una tazzina di caffé senza zucchero.
Non si può dire però, che non fosse una ragazza da sposare, a detta di sua madre, che non vedeva l’ora di levarsela dai piedi e propinarla ad un uomo più giovane in grado di accoglierla nella sua casa e sopportarla per il resto della sua vita.
Questa è la storia che narra le gesta di una bambina e del suo dinosauro; di un’adolescente e del suo fidanzato quattr’occhi; di una giovane donna, di sua madre e di sua nonna.
Questa, questa è la storia di Nenè.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6
- Mantenendo vivi i ricordi -

 


Il tepore dell’aria di quel pomeriggio di mezz’estate, accarezzava la pelle dorata dei quattro bambini – più Dino - sdraiati in cerchio tra l’erba alta della campagna. Agnese indossava un vestitino che in origine doveva esser bianco, lungo fino al ginocchio e che le intralciava i movimenti – “I pantaloni sono da maschiaccio, Nenè! Fammi contenta e vestiti da femmina almeno quando sei con me, suvvia!” diceva sempre la nonna-; i piedi erano nudi e neri di terra per la corsa che le aveva lasciato ancora un po’ di fiatone addosso. Con i petti che si alzavano e abbassavano velocemente, i quattro cugini guardavano il sole perché li facesse diventare ciechi – avevano sempre sognato di girare durante la notte con gli occhiali da sole e un bastone di legno senza che nessuno dicesse loro qualcosa – e poi ridevano fino a perdere quel poco di fiato che avevano recuperato nel mentre, perché vedevano cerchietti gialli ovunque.
 
- Nenè hai un terzo occhio adesso! -
- Non che non ce l’ho! –
- Sì, guarda è proprio sulla tua fronte! –
- Ale digli che non è vero! –
- Non è vero. – l’aiuto di suo fratello era stato fondamentale.
- Ma se nemmeno ti ha guardata! -
- Smettila di dire bugie! Il mio Ale mi guarda sempre. Lo dirò alla mamma! –
- Sembri l’alieno del cartone che abbiamo visto ieri! –
- Ah sì? Tu allora sei un ciccione! –
 
Ed ecco che Giulio era scoppiato in lacrime, fuggendo sotto la gonna ampia di zia Verruca che giocava a scala quaranta con nonna Gisella non molto lontano da lì.
 
Giulio era cugino di Agnese di primo grado, figlio di zia Graziella, nipote della sua stessa nonna, cugino di suo fratello e fratello a sua volta di Vincenzino, che se ne stava immobile alla sinistra di Agnese con la salopette di jeans slacciata sulle spalle a far bolle con la saliva. Giulio pesava quanto un bambino di tredici anni, ma in realtà ne aveva solo otto, tre in più di Vincenzino, due in meno di Alessandro e uno in più di Agnese che, insensibile al senso di colpa che avrebbe dovuto farsi strada in lei dopo aver scatenato il pianto e la fuga di suo cugino, aveva cominciato a vedere strani disegni tra le nuvole.
 
- Vincenzino, guarda quella nuvola! Non sembra anche a te la pancia di una balena rovesciata? -
- Io vedo una polpetta. –
- E quella? Quella a me sembra un ornitorinco che balla! Non è divertente, Vincenzino caro? –
- Io vedo un’altra polpetta. –
- Dino ha più fantasia di te. –
- Dino è una polpetta? –
 
Sicuro era che Vincenzino non ci avrebbe messo granché a seguir la strada tracciata da suo fratello, se al posto degli ornitorinchi danzanti vedeva polpette in ogni dove. Se non erano le polpette, al massimo era l’Uomo Ragno di pezza che gli aveva regalato suo fratello e che presentava a chiunque trovasse per la strada.
 
- Ciao! –
- Ciao! – aveva risposto una biondina in bicicletta, che passava di lì per caso.
- Io sono Vincenzino. –
- Ciao Vincenzino, io sono Camilla. –
- Ciao Camilla, lui è l’Uomo Ragno che uccide i cattivi con le ragnatele. Però questo le ragnatele non le lancia perché è di pezza e io sono troppo povero per comprare un Uomo Ragno vero che spara ragnatele. Tu sei ricca, Camilla? -
 

***

 
Con le urla dei bambini a far da colonna sonora al pomeriggio, zia Verruca in coppia con nonna Gisella, sfidava a carte il caro vecchio zio Vituccio, scapolo di settantacinque anni attaccato principalmente a tre cose soltanto, nella vita: l’amaca in campagna, il calcio alla televisione e le parolacce inopportune.
 
Agnese ne era terrorizzata, tanto che gli girava al largo ancor prima che arrivasse, per via di un episodio che le aveva raccontato suo fratello qualche anno prima e che la vedeva protagonista di uno degli attacchi di collera dello zio più famosi della storia.
 
- Zio, posso salire sull’amaca con te? -
- No, Fiorella. –
- Ma il mio nome è Agnese. –
- Questo non ti farà salire sull’amaca. –
- Non è giusto che ci stai sempre tu! –
- Non è giusto un cazzo, questa è la mia cazzo di amaca, nella mia cazzo di campagna e tu sei solo una cazzo di bambina figlia di non ricordo nemmeno chi e che non ha nessun cazzo di potere su di me! Intesi? Ora fila a giocare con una cazzo di palla. –
 
E mentre per la prima volta Agnese era scoppiata in un pianto non tanto diverso da quello di un bambino di fronte all’uomo nero, Alessandro se l’era goduta e da allora si era proclamato suo allievo indiscusso. Era stato grazie a lui che aveva imparato gli insulti più coloriti e le tecniche di seduzione più efficienti:
- Andrea, – gli aveva detto una mattina tirandoselo a sedere sulle gambe, mentre Alessandro lo ascoltava affascinato a tal punto da non premurarsi nemmeno di correggerlo – le donne sono come le conchiglie: se aprono le gambe, ci trovi la perla; ma sta’ attento! Quando arrivi al punto in cui, per smollare la perla, chiedono in cambio dei sentimenti conditi con cioccolatini e fiorellini… figliolo, fidati di me: lascia perdere tutto e vai a puttane. –
 
Alessandro aveva preso appunti, annuito, sorriso e poi era comunque arrivato ad andare a uomini piuttosto che a puttane – richiedevano troppi soldi per il suo salvadanaio a forma di maialino -, quando la situazione con una ragazza andava a parare su un qualsivoglia sentimento. Forse era per quello che zia Verruca ogni tanto gli presentava ragazze di paese per farlo innamorare. Prima che morisse travolta da una barca a vela, un giorno d’aprile nel mar Nero.
 
Zia Verruca –pace all’anima sua- era la zia preferita di Agnese; una zia sobria, gentile e premurosa con tutti, sorella di nonna Gisella e zio Vituccio. Agnese non ricordava quale fosse il suo vero nome, ma ricordava lucidamente il perché venisse chiamata Verruca, forse perché il motivo le si palesava davanti agli occhi ogni qualvolta andasse a mare con lei e la zia decidesse di mettere le infradito. Piedi orribili, cuore grande.
 
Quand’era piccola, ad Agnese piaceva addormentarsi tra le sue tette – le tette più grosse e morbide che avesse mai toccato -, così come piaceva a Giulio che ne approfittava per infilarci le tozze manine, ascoltando i suoi strambi racconti.
 
 
- Era un giorno di pioggia ed io me ne stavo sul divano a guardare Beautiful…- iniziava sempre.
- Esisteva anche ai tuoi tempi? –
- Nenè, Beautiful esiste dai tempi della pietra, non fare quella faccia sconvolta. –
- Questo vuol dire che anche Dino quand’era con la sua famiglia lo guardava dopo pranzo? –
- Esattamente, tesoro. Ma andiamo avanti: sul tavolino di fronte al divano c’era un noce di cocco spaccata a metà; era la cosa più bella che io avessi mai visto, così la presi e ne assaggiai un po’. –
- E com’era? –
- Faceva schifo, così l’ho risputato dentro dopo averlo masticato un po’. –
- Quindi hai buttato la bella noce di cocco? –
- Qui viene il bello, Nenè cara. Hai presente zio Vituccio? –
- L’uomo nero, certo. –
- Bene, quel giorno mi aveva fatta arrabbiare particolarmente perché mi aveva vietato di uscire con il mio fidanzatino dell’epoca…-
- Oh come mi manca il mio Michi…-
- Nenè, cara, vuoi ascoltare o vogliamo piangerci addosso per tutto il giorno pensando all’amore perduto? –
- Io non ho mica perso Michi! –
- E allora non fare quella faccia da Madonnina in lutto. Dicevo… mi aveva fatto arrabbiare moltissimo, così decisi di lasciare la noce di cocco con dentro la poltiglia che avevo sputato sul tavolino. Se fossi stata fortunata lui l’avrebbe mangiata e io l’avrei preso in giro per anni. –
- L’ha fatto? L’ha mangiata sul serio? –
- Certo che sì! Era troppo stupido per chiedersi cosa ci fosse di strano. Anzi, ci aveva preso gusto! Lo prendeva con le dita, se lo metteva in bocca ed esclamava “Oh che buono questo cocco”. –
Agnese rideva ogni volta un po’ più forte.
- Ma tu zia, poi gliel’hai detto, n’è vero? -
- Ovviamente, bambina mia. Passò tutto il pomeriggio chiuso in bagno a cercar di vomitare il possibile. -
 
I suoi racconti rallegravano le feste di Natale, quelle di Pasqua e anche Ferragosto. Non c’era anima viva, nella famiglia, che non li conoscesse. Anche Michele aveva avuto l’onore di ascoltarne uno una volta, ma probabilmente s’era trattato sempre della mirabolante storia del cocco e zio Vituccio.
 
Grazie a lei, Agnese aveva scoperto le gioie della vita, come i piaceri nascosti in una semplice fetta d’anguria, mangiata infilandoci la testa dentro e spuntando i semini nella terra come se non ci fosse un domani e tuttora ne portava orgogliosamente i segni addosso.

- Agnese, che stai facendo? -
- Cerco di tenere vivo il ricordo di zia Verruca nei nostri cuori. –
- Sputando i semi d’anguria giù per il balcone di una palazzina in centro, dal nono piano, cercando di centrare le teste degli anziani che passeggiano e nascondendoti subito dopo per sfuggire alle loro bestemmie? –
- Se sai esattamente cosa sto facendo, perché me lo hai chiesto mamma? –
- Perché speravo di avere semplicemente delle visioni e la mia figliola ventenne non stesse realmente facendo tutto ciò. - 
- E invece no, son proprio io, mammina cara! Ora se non ti dispiace chiama nonna e dille che credo di aver colpito in pieno il suo procugino Ubaldo con la buccia del melone! E che ora è a terra. E che forse è svenuto. Oh!, mammina, forse è meglio che tu chiami prima l’ambulanza, non vorrei averlo ucciso. Oh!, zia Verruca come sarebbe contenta! – 







- Trig's note -
Come da tradizione inizio le mie note con le scuse per il ritardo. Ormai scrivo più scuse che il resto, me ne rendo conto. Allora, giovani tonne che nuotano nel mare! Spero che stiate tutte bene e che il caldo non vi abbia ammazzato tutte, come invece sta facendo con me. 
Non discriminate questo capitolo solo perchè non c'è Michi o Dino o nonna. È che bisogna dar loro un po' di tregua, altrimenti mi si scaricano. E nulla, io non so più che dire perchè l'ultimo neurone mi si è suicidato nella stesura del capitolo. Che riposi in pace anche lui, amen.

AH! Cosa importantissima: devo straringraziare tonna Sonia per i meravigliosi banner che mi ha fatto e che vedrete appena capirò come inserirli in un capitolo. LOL 
Grazie grazissimo, tonnola. <3

Vi lascio il link al mio gruppino appena nato, se voleste farci un saltino: L'inutilità della puntualità.
E anche una fetta d'anguria, pane mio quotidiano, che vi rinfresca un po'. 

Trig.

   
 
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