Premessa.
Chiedo immensamente scusa ai lettori di “Un nuovo giorno” che sono
in trepidante attesa del nuovo capitolo per questa “divagazione”,
ma questa ff ha una sua storia, e davvero non ho potuto fare a meno di
scriverla…
I fatti sono questi; circa due settimane fa, chattando con la mia
sorellina virtuale Ioly, discutevamo il progetto di una ff da scrivere a
quattro mani, e avente come protagonista il giovane Russell Crowe ( e la
scriveremo, non temete, questa è una promessa! XD)
Appena chiusa la chat nella mia mente si è
formata l’immagine di una ragazzina di quindici anni e un nome: Virginia. Orbene,
dopo essersi insediata nella mia testa la piccola e tenace Virginia ha iniziato
a tormentarmi ad ogni ora del giorno e della notte, incitandomi a scrivere la
sua storia.
Invano l’ho supplicata di lasciarmi in pace, dato che sto
preparando un esame molto impegnativo e ho davvero pochissimo tempo…
La mia ospite si è limitata a starsene zitta e buona mentre
studiavo, ma appena mollavo i libri era lì, pronta
alla carica. Per farla tacere ho deciso di cercare su Internet la biografia di
Russell Crowe, tanto per farle capire che la storia che lei voleva scrivessi
era inverosimile… E ho scoperto che, all’età di diciassette anni, Russell Crowe
faceva davvero l’animatore in un villaggio turistico al largo di Auckland, in Nuova Zelanda.
A questo punto Virginia è tornata alla carica, e a me non è
rimasto altro che sedermi davanti al pc e aprire il documento Word… E non ho fatto altro, Virginia dettava talmente in
fretta che ho completato tutto in meno di due giorni!
Quindi se qualcosa non vi piace io declino
ogni responsabilità… Prendetevela con Virginia!
Ringraziamenti.
Il primo e più sentito ringraziamento va a
Ioly, alla quale questa ff è
dedicata… Grazie per avermi fornito l’ispirazione e per avermi regalato la tua
amicizia.
Ringrazio di tutto cuore le mie due meravigliose beta reader, Kellina e Sissi alias Clopina:
grazie per i preziosi consigli e per il vostro sostegno costante.
A questo punto credo di aver parlato anche troppo, vi lascio alla
mia ff! E mi raccomando, se avete cinque minuti
lasciatemi una recensione, anche negativa!
RICORDI.
Sunvillage, Auckland , gennaio 1981.
La hall del villaggio era
strapiena di villeggianti. Io ero raggomitolata su una poltrona di vimini,
mentre i miei genitori prendevano accordi alla reception e mio fratello
Salvatore “esplorava il territorio”, come diceva sempre lui.
Proprio di fronte a me
c’era uno specchio gigante. Sospirai e mi voltai dall’altro lato, non volevo
vedere quant’ ero squallida nel mio prendisole a
fiorellini…
All’epoca avevo quindici anni, ero magrissima, alta e sgraziata, un
trampoliere tutto gambe. Non bastasse, avevo anche i
brufoli, la pelle più bianca dell’universo, capelli di un castano indefinito e
occhi grigio topo. Infine, orrore degli orrori,
portavo il pomposo nome della mia nonna paterna: Virginia. Quanto lo odiavo,
quel nome…
Lo odiavo perché mi
sembrava più adatto ad una vecchia che ad una quindicenne, e poi perché mi
ricordava mio padre e la sua severità tutta d’un pezzo, da bravo siciliano qual’era. Eh già, il sangue non è acqua, come diceva sempre
nonna Virginia… Perciò mio padre, anche se viveva in Australia da quando aveva cinque anni, continuava a comportarsi come
un siculo DOC. All’atto pratico significava che per lui era inconcepibile che
io, la sua preziosa bambina, mi vestissi con abiti succinti, mi tagliassi i
capelli corti o mi truccassi. Ovviamente uscite e amici maschi erano tassativamente fuori discussione… Tutto questo,
sommato alla mia patologica timidezza, faceva sì che mi ritrovassi sempre
isolata.
Da bambina avrei dato
tutto quello che avevo, comprese le mie bambole ed il mio triciclo, per
chiamarmi Alyssa, Janet, Judy, Julie o Mary come le mie compagne di classe,e soprattutto per avere i loro genitori permissivi… Siccome
però mi ero resa presto conto che per i genitori non potevo farci nulla avevo
deciso di fare qualcosa almeno per il nome, così mi ero accorciata il mio
pomposo Virginia nel più esotico Ginny.
“Virginia, Salvatore! Venite, andiamo nel bungalow!”
Una sola persona al mondo insisteva nel chiamarmi Virginia, come
quando ero una mocciosa di pochi anni… Mio padre.
Io e mio fratello, che
all’epoca era un attraente diciassettenne coi tratti
mediterranei di papà, ci alzammo obbedienti e ci incamminammo dietro i nostri
genitori.
“E’ davvero bellissimo
qui, sono sicuro che vi troverete benissimo!” esclamò felice mio padre,
guardandosi intorno.
Effettivamente quel
bungalow era davvero grazioso, con i letti in legno
chiaro e le finestre che davano direttamente sull’oceano… Forse quella vacanza
di una settimana in Nuova Zelanda non sarebbe stata uno strazio totale.
“Bene, venite qui voi due!” intimò mio padre minaccioso.
“Virginia, fai la brava e
obbedisci a tua madre e a tuo fratello. Salvatore,
bada a Virginia e alla mamma, intesi? E niente follie, ora sei tu l’uomo di
casa!” disse.
Quell’anno,
contrariamente a quello che accadeva di solito, mio padre non avrebbe passato
le vacanze con noi: avrebbe passato l’estate a lavorare a Camberra, dove il suo
studio di architetti aveva appena inagurato il
progetto di un nuovo teatro. Ci avrebbe raggiunto a fine
settimana per riaccompagnarci a Sidney, dove avremmo trascorso il resto
delle vacanze, come ogni anno. Quell’anno ci trovavamo in quel villaggio della Nuova Zelanda, situato al largo di Auckland, solo
perché mio padre aveva partecipato alla progettazione e la direzione gli aveva
offerto una settimana di vacanza gratis.
Appena
papà fu uscito Salvatore corse a mettersi in costume da bagno, poi disse: “Vado
in piscina!” e si dileguò.
Io invece mi accomodai
sul letto, presi un libro e mi misi a leggere.
“Tu non vai in piscina,
Ginny?” mi chiese mia madre.
Io scossi la testa: non avevo nessuna voglia di mettermi il
costume da bagno, che non avrebbe fatto altro che evidenziare la mia terribile
magrezza, e di espormi al pubblico lubridio. Tanto sapevo già cosa sarebbe
successo: nessuno mi avrebbe degnato di uno sguardo, se non qualche ragazzo per
chiamarmi “stecca” e qualche anziana signora per dirmi :
“Ma mangia un po’ di più, cara, sei tutta ossa!”, ed io me ne sarei rimasta
inchiodata sulla mia sdraio, senza osare alzarmi per non mostrare al mondo il
mio piattissimo sedere e col rischio di beccarmi una dolorosissima scottatura,
dato il candore niveo della mia pelle. Meglio, molto meglio rimanere tappata
nel bungalow… Lì almeno nessuno mi avrebbe presa in giro, non mi sarei dovuta
preoccupare di fare brutta figura e non mi sarei ustionata.
************************************
“Ginny, ascolta che
programma fichissimo ho in mente: stasera andiamo a mangiarci una pizza e poi al
locale del villaggio, suona un gruppo ganzissimo!” esclamò Claire con voce
eccitata, piombandomi in camera.
Malgrado
avesse solo un anno più di me, Claire era il mio esatto opposto: a sedici anni
era già una donna fatta e finita, con gambe lunghe e tornite, seno prosperoso,
lunghi capelli corvini e occhi verdi e lucenti come smeraldi. Inoltre i suoi
genitori, australiani purosangue, erano molto più permissivi
dei miei, così Claire poteva girare in minigonna e magliette
aderentissime e addirittura truccarsi. Accanto a lei mi sentivo sempre un
brutto anatroccolo… Eppure malgrado tutto questo era
la mia migliore amica. Ormai da anni dividevamo lo stesso banco a scuola e
facevamo anche le vacanze insieme, dato che le nostre famiglie erano diventate
amiche.
Sospirai.
“No, davvero, stasera no… Ho il ciclo e non mi sento bene!”
inventai lì per lì.
Claire mise
su il broncio, odiava essere contraddetta.
A quel punto intervenne mia madre.
“Ginny, smettila di
accampare scuse! Stasera tu uscirai con Claire!” esclamò all’improvviso uscendo
sul terrazzino dove io e la mia amica stavamo
prendendo il sole.
Strabuzzai gli occhi:
mia madre che mi obbligava ad uscire?
“Mamma, ma io…” iniziai
titubante, ma lei mi interruppe subito.
“Ginny, insomma! Non fai
altro che lamentarti che tuo padre ti impedisce di
fare quello che vuoi, che non ti permette di vestirti come vorresti, che ti
considera ancora una mocciosa… E ora che tuo padre non c’è che fai? Passi le giornate tappata in casa? Sono tre giorni che esci solo
per venire in spiaggia con me al mattino! Per l’amor
del Cielo, hai quindici anni, non novanta!”
Aveva ragione lei… Il
vero problema, a quanto pareva, non era papà con i suoi metodi educativi
obsoleti. Il problema ero io e la mia maledettissima paura del giudizio altrui.
Provai ad accampare
qualche altra scusa, ma mia madre, col suo pratico
spirito anglosassone, le smontò una per una.
E così quella sera mi
ritrovai con Claire seduta ad un tavolino del locale del villaggio, una graziosa
capanna col tetto di paglia e con un grosso cartello sull’ingresso in cui
campeggiava la scritta: “The club”.
Mia madre mi aveva costretta a indossare un bell’abitino e mi aveva anche
permesso di truccarmi leggermente. Dopotutto lei era di origini
inglesi, perciò disapprovava un po’ i metodi educativi di papà. L’unica cosa
che dovetti prometterle fu che sarei tornata entro la mezzanotte e sarei rimasta sotto l’occhio vigile di Salvatore, che si era
accampato qualche tavolo più in là del nostro con un gruppo di ragazzi con cui
aveva fatto amicizia. Lui non aveva di certo i miei problemi di
insicurezza, anzi aveva ereditato da mia madre il carattere esplosivo.
Come dicevo tra me e me nei miei momenti di sconforto
Salvatore aveva ereditato il meglio dei nostri genitori, io il peggio.
Il gruppo che suonava era
composto da quattro elementi e aveva un nome
stranissimo: si chiamava Roman Antix. Anche il genere di musica che facevano
era particolare, una specie di rock mischiato al country e al pop, ma il motivo
per cui la mia amica mi aveva trascinato a sentirli
non era di certo la loro musica, e neppure il loro talento… In effetti
cantavano maluccio, ma erano giovani e molto carini. In particolare uno dei due
chitarristi aveva colpito la fantasia della mia amica: era un ragazzo alto,
magro, abbronzato, dai corti capelli castani e dai bellissimi occhi azzurri. A
dire il vero non è che i suoi occhi fossero proprio
azzurri… Cioè, da quella distanza sembravano più grigi, ma si intuiva anche una
sfumatura di verde e un tocco di oro.
Mentre
Claire si sdilinquiva in sorrisini e mossettine alla volta del chitarrista, io
tenevo gli occhi fissi a terra, per evitare di incrociare lo sguardo pieno di
scherno di qualche ragazzo, dato che accanto alla mia spumeggiante amica di
solito facevo la figura dell’oca.
Finalmente la musica
finì, ed io tirai un sospiro di sollievo: quel
chitarrista era sì carino, ma cantava davvero da cani, almeno a mio parere! E poi tutto quel rumoreggiare mi aveva fatto venire un gran
mal di testa…
Stavo per afferrare
Claire e trascinarla verso i nostri bungalow, quando vidi il chitarrista
avvicinarsi al nostro tavolo.
“Ciao ragazze, vi è
piaciuto il concerto?” ci chiese sorridendo.
Aveva davvero una gran
bella voce, morbida e vellutata, e i suoi occhi erano ancora più belli visti da vicino. La sua pelle abbronzata e spruzzata
di lentiggini aveva una piacevolissima sfumatura dorata, e l’incisivo spezzato che si intravedeva
quando sorrideva gli dava un’aria buffissima.
“Sì che c’è piaciuto, sei bravissimo!” tubò subito Claire, sporgendosi verso di
lui. Il ragazzo però la ignorò e si voltò verso me.
“Allora, ti è piaciuto il
concerto?” mi chiese di nuovo.
Avrei voluto
dileguarmi, già mi imbarazzava terribilmente parlare in pubblico, figurarsi
farlo davanti a due occhi azzurro verde che mi fissavano impertinenti… Ma
dovevo dire qualcosa, quel ragazzo sfrontato vestito come un rocker di tutto
rispetto non pareva intenzionato ad andarsene senza una risposta.
“Carino…” bofochiai senza
alzare lo sguardo.
Lui mi passò due dita sotto il mento e mi costrinse ad alzare la
testa.
“Hai dei bellissimi
occhi… Non tenerli fissi a terra.” Mormorò piano.
Avvampai, mentre Claire
tossicchiava e si contorceva sulla sedia nel tentativo di farsi notare.
“Non ti mangio, sai? Non c’è
bisogno di arrossire… Non avrai paura di me, occhi belli!” scoppiò a
ridere il chitarrista.
Quel complimento mi fece
piacere, mai nessuno mi aveva detto che i miei occhi
erano belli. Azzardai un timidissimo sorriso, ma proprio in quel momento
l’altro chitarrista del gruppo gli fece un cenno e lui disse: “Devo andare…
Spero di vederti in giro!”
Io rimasi immobile sulla sedia, senza osare neppure respirare
troppo forte. Nell’aria sentivo ancora la sua presenza…
“Allora, ti sei divertita ieri sera?” mi
chiese mia madre mentre si stendeva sull’asciugamano.
“Sì…” risposi vaga io,
poi rimasi un attimo indecisa su come sdraiarmi:
pancia o schiena? Mostrare il mio patetico piattume sul davanti o il mio
ossutissimo sedere? Alla fine decisi per la seconda
opzione, mi sdraiai a pancia in giù e presi dalla mia capiente sacca da
spiaggia “Il signore degli anelli” di Tolkien, la mia passione.
Mi accingevo appunto ad
iniziare a leggere quando una specie di trillo
annunciò l’arrivo di Claire.
“Ginny, vieni in acqua,
devo dirti una cosa!” urlò prima di gettarsi a capofitto tra le onde. Addio
pace… Sapevo benissimo che se l’avessi ignorata non
avrei avuto tregua, perciò mi conveniva seguirla. Con un po’ di fortuna dopo
qualche minuto avrei potuto inscenare un mal di testa e ritornarmene in pace al
mio amato libro.
“Ginny, ti ricordi il
ragazzo di ieri sera, il chitarrista? Quello che si è
avvicinato al nostro tavolo?” mi disse Claire eccitata appena mi tuffai
in acqua.
“Sì?” chiesi facendo
l’indifferente, mentre il mio cuore aveva iniziato a fare le capriole al
pensiero di quei meravigliosi occhi e di quella voce
profonda.
“Beh, ho scoperto che lui
e l’altro chitarrista fanno anche gli animatori, oggi pomeriggio faranno uno spettacolo di mimi! Ci andiamo,
vero?” continuò la mia amica.
“CHEEE???? Stai scherzando, spero! Ieri ci ho fatto la figura della
scema, non ho nessuna voglia di rincontrarlo!” esclamai inorridita.
Claire mi squadrò furibonda.
“Uffa, Ginny! Ma che pizza che sei! E va bene, ieri sera hai fatto una figuraccia… E allora?
Devi solo rilassarti e vedrai che andrà tutto bene! E poi a me quel ragazzo
piace, e siccome mia madre non mi manderà mai da sola allo spettacolo tu verrai,
che ti piaccia o no, chiaro?” concluse minacciosa.
Invano supplicai, piansi
e scongiurai… Claire era un osso duro, e quando si metteva in testa una cosa
non c’era nulla che la smuovesse. E così quel
pomeriggio mi ritrovai seduta sugli scalini del teatro del villaggio, costruito
sullo stile degli antichi anfiteatri romani.
Ad
essere sincera dovetti ammettere che quel tipo se la cavava decisamente
meglio come attore che come cantante… Dopo pochi minuti, infatti, mi dimenticai
completamente delle mie paure e mi ritrovai a seguire affascinata i suoi
movimenti. Quando lo spettacolo finì ci fu uno scroscio di applausi,
ed io ritornai improvvisamente sulla Terra: erano già passate due ore!
Feci per svignarmela, ma
l’irriducibile Claire mi afferrò per un braccio e disse: “Vieni, scendiamo a
salutarlo!”
In quel momento l’avrei
volentieri strangolata, ma dovetti fare buon viso a
cattivo gioco: mica potevo ammazzarla in pubblico, no?
E
così mi ritrovai di nuovo di fronte a lui.
Claire iniziò subito a fargli i complimenti, con
tutto il suo repertorio di ancheggiamenti, sbattiti di ciglia e
mossettine varie. Io invece me ne rimasi zitta e immobile, come se fossi fatta
di sale.
“Ma
non ti piacciono proprio i miei spettacoli, occhi belli?” sentìì una voce ironica
rivolgersi a me e alzai lo sguardo…
Lui era lì, davanti a
me, con i suoi stupendi occhi ridenti, i capelli scompigliati dal vento e la
maglietta che metteva in evidenza il suo fisico magro,
ma tonico.
Volevo parlare, dirgli che era stato davvero bravissimo… Ma la lingua mi si
era incollata al palato e non c’era verso di scollarla. Riuscii solo ad
esibirmi in una smorfia patetica che avrebbe dovuto essere un sorriso, mentre
lo stomaco mi si aggrovigliava. Accidenti, ma perché mi comportavo così?
D’accordo, ero timida… Ma davanti a lui mi sentivo
addirittura ritardata mentale!
“Senti, ma non è che stasera andate a mangiare alla pizzeria del
villaggio? No, perché anche noi mangiamo lì…” disse
Claire mettendosi fra noi.
Lui scosse la testa.
“Spiacente… Stasera lavoro al Bingo, chiamo i numeri… Ma se volete
potete venire al falò che il villaggio organizza ogni venerdì sera!” disse facendole
l’occhiolino.
Poi si voltò verso di
me, mi sollevò il viso come aveva fatto la sera prima e mi disse: “Alzalo ogni
tanto questo faccino… E sorridi, non hai che da guadagnarci!”
Poi si voltò e se ne andò.
“Accidenti, che sfiga, non possiamo andare al Bingo! Non ci fanno entrare
siamo minorenni… Ma lo rincontreremo di certo nel
villaggio, e poi andremo al falò!” esclamò Claire.
Io la guardai storta,
non avevo nessunissima voglia di correre ancora dietro a quel tipo che, tra
l’altro, doveva essere notevolmente più grande di noi!
E poi, considerai
mentre tornavamo ai nostri bungalow e Claire parlava a raffica, avevo notato benissimo l’occhiolino che aveva
fatto a Claire, conoscevo la mia amica e sapevo come sarebbe finita: lei aveva
puntato la preda e avrebbe fatto di tutto per averlo, e lui… Lui non si sarebbe
fatto pregare, dopotutto Claire era bellissima. I complimenti che mi aveva
fatto probabilmente erano solo frasi di circostanza, come animatore
probabilmente si sentiva in dovere di essere carino
con tutte, o forse era solo uno di quei tipi che ci provano con tutte… Una cosa
era certa: nessun ragazzo sano di mente avrebbe preferito Claire a me, perciò
era meglio non farsi illusioni.
Era un film che avevo
già visto, conoscevo perfettamente anche il finale, quindi decisi di lasciare
ai due attori le luci della ribalta. Io dopotutto non ero che una comparsa… I
trampolieri coi brufoli non hanno mai fatto le attrici
protagoniste.
Per i successivi due giorni
cercai in tutti i modi di defilarmi, passavo la mattinata incollata a mia madre
e i pomeriggi in camera con la scusa che non potevo
prendere troppo sole, altrimenti mi sarei ustionata.
Eppure,
chissà come, quel ragazzo spuntava sempre in tutti i posti in cui c’ero
anch’io. La mattina lo trovavo spesso in spiaggia, aiutava i bagnini oppure si
concedeva qualche momento di relax in spiaggia, nel pomeriggio poi era sempre
in giro per il villaggio, se uscivo a fare una passeggiata potevo stare
tranquilla che l’avrei trovata sul ponte che collegava
i bungalow alla spiaggia oppure in giro con una sigaretta tra le labbra e il
suo inseparabile amico, l’altro chitarrista del gruppo, al fianco. Dietro di
loro, poi, c’era sempre un codazzo di ragazze che si sdilinquivano e si
perdevano in mossettine e smorfiette per farsi notare.
Che
sciocche, ridursi così per un uomo… Che cosa ci trovassero in lui, poi, non lo
capivo davvero. Sì, era un bel ragazzo, aveva dei bellissimi occhi ed
una voce stupenda, ma per il resto, a ben vedere, mi sembrava un galletto come tanti. Non
valeva proprio la pena di provarci, mi dicevo, dentro di sé deve avere il vuoto
cosmico… O forse ero solo troppo insicura per provare a conquistare il ragazzo
più ambito del villaggio e preferivo battere in ritirata, da brava vigliacca qual’ero.
*************************************
“Ginny, sei pronta?
Dobbiamo andare o faremo tardi!” da dietro la porta chiusa mi giungeva la voce isterica di Claire.
Mi guardai nello
specchio a figura intera e decisi che quella sera non sarei uscita per nessun
motivo al mondo: mi ero messa il mio vestito più carino, quello che ammorbidiva
un po’ i miei spigoli e che mi faceva sembrare gli occhi quasi blu, mi ero
legata i capelli e truccata leggermente, ma il risultato mi sembrava comunque patetico.
“Ginny, sorellina, esci
da lì? Mi devo preparare anche io!” tuonò Salvatore
picchiando sulla porta.
“Io… Non mi sento bene,
davvero… Andate voi, poi domani mi racconterete…” provai a balbettare, ma mi
giunse subito la voce imperiosa di Claire.
“VIRGINIA LENTINI!!! ESCI SUBITO DA LI’ O GIURO SU DIO CHE PRIMA TI AMMAZZO E
POI TI TOLGO IL SALUTO!!!”
“Dai, tesoro, esci, sono
sicura che sarai bellissima!” le fece eco mia madre.
“Ginny, per la miseria,
se non esci da lì butto giù la porta a calci e ti trascino fuori per i
capelli!” urlò Salvatore, evidentemente seccato.
Tre contro uno… Che potevo fare? Non mi restò altro da fare che aprire
la porta ed uscire fuori dal bagno.
“Accidenti, come sei
carina! Stasera farai strage di cuori!”sorrise mia madre.
“E’ vero, stai davvero
bene… Quasi quasi sono invidiosa!” ridacchiò Claire.
“Oh, finalmente ti sei schiodata!” esclamò
Salvatore con la sua solita delicatezza da bufalo, poi mi guardò e disse:
“Niente male davvero, sorellina… Datemi cinque minuti e vi accompagno!”
Mi sedetti sul letto e
giunsi le mani, sperando che quella serata passasse in fretta, o perlomeno che
non ci fosse lui!
Ma
quella sera il Cielo doveva essere sordo alle mie accorate preghiere. Appena arrivammo in spiaggia, infatti, lo vedemmo subito:
lui era lì, accanto al fuoco, e suonava la chitarra.
Beh, perlomeno cantava un
po’ meglio di quanto avesse fatto quella prima sera…
Claire mi afferrò per un
braccio e mi trascinò davanti a lui.
“Ciao, Russell!” disse “Siamo arrivate!”
Chissà come aveva fatto a scoprire il suo nome… Di certo in quei
giorni in cui io ero rimasta barricata nel bungalow si era data molto da fare!
Russell sorrise, poi mi
guardò e disse: “Oh, finalmente tieni il viso alto!”
Avvampai e mi affrettai
ad abbassare lo sguardo, mentre lo stomaco mi si contraeva in una morsa: chissà
perché mi faceva quell’effetto, poi… Forse per quel
suo sguardo sempre diretto e sfrontato, per quel ciuffo ribelle che gli cadeva
sulla fronte e che gli dava un’aria così sbarazzina… O forse per la sicurezza
che ostentava e che mi faceva sentire piccola e sciocca, io che non riuscivo
neppure a sostenere uno sguardo troppo a lungo.
Ci accomodammo sulla
spiaggia, accanto a Salvatore e ad i suoi amici, e Claire iniziò subito a
scherzare con loro. Io avrei voluto rimanermene sulle
mie, ma quei ragazzi erano davvero simpatici, cos’ iniziai a rispondere alle
loro battute e pian piano mi rilassai.
Allora forse aveva ragione mia madre, non era così difficile stringere
amicizia con qualcuno…
All’improvviso mi sentii
toccare una spalla, mi voltai e mi trovai davanti lo sguardo scanzonato di
Russell.
Per lo spavento feci un
balzo, e lui sorrise divertito.
“Scusami, piccola, non volevo
spaventarti… Volevo solo chiederti se ti va di venire con me in un posto!”
“Io???
Ma non so… Non posso, devo stare con Salvatore!” mormorai tutto d’un fiato.
Ma quel vigliacco di mio
fratello, invece di aiutarmi, mi fece un gesto e disse: “Vai pure, basta che
non vi allontanate troppo, e tornate presto!”
A quel punto fui
costretta a seguirlo. Lui mi aiutò ad alzarmi e mi accompagnò in un angolo un
po’ appartato, poi si sedette sulla sabbia.
“Bene, finalmente soli”
disse “Come ti chiami?”
“Ginny…” balbettai.
“Ginny? E’ il tuo nome?” mi chiese lui.
Cosa potevo fare? Non potevo
di certo dirgli che mi chiamavo Virginia, mi avrebbe
preso in giro a vita!
“Sì, mi chiamo Ginny… E
tu sei Russell, vero?” gli chiesi a mia volta, riacquistando un po’ di
coraggio.
Annuì,
poi rimanemmo in silenzio per parecchi minuti. Si sentiva solo il
lontano mormorio dell’oceano, lento e costante come il respiro dell’infinito.
Quella melodia antica riuscì a calmarmi, presi a respirare con lo stesso ritmo
del lento sciabordio delle onde e dimenticai le mie ansie.
“Perché
mi hai portata qui?” chiesi dopo un po’.
“Semplice: volevo parlare un po’ con te senza quell’ochetta della
tua amica intorno, e senza gente a disturbarci!”
“Che dici?” mi inalberai “ Claire è una ragazza dolce e intelligente, e
tu le piaci!”
Mi morsi subito la lingua: ma che mi stava succedendo? Non era da me
perdere il controllo in quel modo e tradire un segreto! Adesso Claire mi
avrebbe uccisa…
“Sì, forse le piaccio”
concesse lui “ Stai tranquilla” aggiunse subito vedendo la mia espressione
terrorizzata “ Non le dirò che me l’hai detto! A dire
il vero lo avevo capito da solo, sono cinque giorni che mi da
il tormento! Ma non voglio parlare di lei, ora,
voglio parlare di te!”
Lo guardai con gli occhi
sgranati: voleva parlare di me? Sapeva di piacere a Claire e non gliene
importava nulla? Ma chi era quel ragazzo?
“Non capisco… Se sai di
piacere a Claire perché non l’hai portata qui?” balbettai.
Lui sbuffò
impercettibilmente.
“Perché non mi piace… E’ solo una bella
bambolina, tutta smorfie e mossettine. Di tipe come lei ne posso
avere quante voglio, devo solo allungare una mano e scegliere!”
“E allora perché hai
portato me qui?” chiesi.
Lui si voltò e mi guardò negli occhi. In quel momento il suo
sguardo non era sfrontato come sempre, c’era nei suoi occhi un fondo di
dolcezza e nostalgia che mi toccò l’animo.
“Perché tu invece mi
piaci… E’ un mese e mezzo che lavoro qui, e ti giuro che non ho mai incontrato una come te.” Mormorò.
Deglutii. “Perché, io come sono?”
“Sei vera. Non ti nascondi
dietro mille smorfie, non ti atteggi a superdonna. Sei semplicemente te stessa, con le tue paure e le tue incertezze, com’è
giusto che sia alla nostra età, come vorrei poter ancora essere anche io! ”
Ma
di che stava parlando?
“No, scusa, che vuoi dire? Guarda che io compirò sedici anni tra
un mese, tu sei molto più grande, è normale che tu sia molto più sicuro di me!”
Lui scoppiò
a ridere, poi mi fece una sconcertante rivelazione.
“Ho
sedici anni… Ne compirò diciassette ad aprile. Non sono
poi così vecchio, non trovi?”
Cosa?
Era più piccolo di Salvatore? Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere.
“Che
c’è di ridicolo?” mi chiese lui.
In effetti non
c’era nulla da ridere, ma non riuscivo a calmarmi! Forse ero solo nervosa,
perché ora che sapevo che Russell aveva solo un anno più di me mi sentivo ancora più a disagio… Lui, infatti, aveva già l’aria
di un uomo maturo, mentre io sembravo ancora una bambina.
Alla fine mi ricomposi e
mi scusai.
Lui scosse la testa.
“Non ti scusare… A dire
il vero non sei la prima che scoppia a ridere quando scopre
che sono solo un ragazzino! Comunque c’è anche un
altro motivo per cui ti ho chiesto di venire qui con me…”
Il suo sguardo divenne
malinconico.
“Qual è?” gli chiesi curiosa.
“Oggi è il compleanno di
mia madre, e non mi andava di dividere questo momento con tutta la combriccola
dei ragazzi, volevo stare un po’ da solo con qualcuno che mi potesse capire
davvero…” disse guardando l’orizzonte.
Vidi una lacrima scorrere
furtiva sulla sua guancia, e in quel momento non mi sembrò più l’uomo sicuro di
sé che mi intimidiva tanto, ma lo vidi come quello che
in realtà era, un ragazzo di sedici anni che si era cucito addosso una corazza
da duro per nascondere le sue fragilità.
“E’ molto che non la
vedi?” gli chiesi poggiando una mano sulla sua.
“Un mese e mezzo, da
quando lavoro qui. E, credimi, non pensavo che mi
sarebbe mancata tanto…” sospirò.
“Beh, dai, fra un paio di
mesi l’estate sarà finita e tornerai a casa, no? Non devi andare a scuola?” lo incoraggiai.
Lui scosse la testa.
“No. Ho deciso di lasciare tutto, odio studiare. Voglio suonare,
ma non posso pretendere che i miei mi mantengano. Perciò quando finirà l’estate
andrò a Sidney con Darren, e qualcosa c’inventeremo…”
Il suo sguardo si era
indurito, e il suo viso si era come trasformato: era tornato l’uomo sicuro di
se. Capii allora cosa lo rendeva così diverso dagli altri… Si era caparbiamente attaccato ad un sogno, ed era disposto a
tutto per non lasciarlo andare via. Era della razza degli artisti, quegli
individui capaci di volare alto sulle ali della loro passione. Io invece ero
una normale quindicenne… In quel momento capii anche
un’altra cosa: per quanto io gli potessi piacere e lui mi attraesse non lo
avrei avuto mai, ne io, ne Claire e neppure nessuna delle ochette che gli
ronzavano intorno. Noi eravamo creature di terra, lui era
una di quelle anime elette fatte della stessa essenza delle stelle. Dentro di
lui c’era un soffio di infinito e libertà che nessuno
mai avrebbe potuto ingabbiare. Nessuno lo avrebbe posseduto
davvero, lui sarebbe stato per sempre solo suo.
Rimanemmo di nuovo in
silenzio.
“Sarà meglio che andiamo, altrimenti mio fratello si preoccuperà…”
mormorai dopo parecchi minuti.
Lui si voltò, mi prese il
viso tra le mani e poggiò le sue labbra sulle mie.
All’inizio rimasi rigida,
non ero mai stata baciata… Poi pian piano mi rilassai
e iniziai ad assaporare il sapore aspro della sua bocca.
Tirò fuori la lingua e la
passò leggermente sulle mie labbra, fino a che le schiusi
e lui iniziò a giocare con l’interno delle mie labbra e con la mia lingua.
Mi prese
tra le braccia ed iniziò ad accarezzarmi lentamente la nuca, poi scese
lentamente lungo il collo mentre io aspiravo avidamente il profumo della sua
pelle.
Aveva un odore
particolare, profumava di sigarette, del fumo del falò e di acqua
di mare, era un aroma aspro e genuino che mi stordì.
All’improvviso sentii
che dentro di me si muoveva qualcosa, qualcosa che non conoscevo… Era un calore
sconosciuto che partiva dallo stomaco e si irradiava
ad ogni fibra del mio corpo.
Mi scostai
all’improvviso, spaventata da quelle nuove e violente emozioni che sentivo in
me.
Lui mi guardò un attimo
in silenzio, poi mi prese di nuovo tra le braccia e mi sussurrò: “Sei bellissima…”
Il suo respiro era
affannoso, e quando lui mi poggiò la testa sul suo petto sentii il suo cuore battere violentemente.
Nessuno mi aveva mai detto quelle cose, nessuno mai mi aveva fatto
sentire il suo desiderio per me, nessuno mi aveva fatto mai comprendere con
tanta chiarezza il potere della mia femminilità e la capacità seduttiva del mio
corpo… Nessuno mi aveva mai fatto sentire così donna.
Rimanemmo abbracciati per
un tempo che a me parve eterno, mentre sulla nostra testa brillavano mille
stelle e accanto a noi l’oceano cantava la sua canzone millenaria, poi lui si
alzò.
“E’ davvero meglio
tornare, rischiamo che tuo fratello arrivi qui e mi
faccia la pelle…” disse porgendomi la mano.
Annuii, poi mi alzai e lo
seguii in silenzio.
Non parlammo, sapevamo entrambi che non ce n’era bisogno. Quello
che era successo era qualcosa di prezioso, le parole lo avrebbero
solo sciupato.
Mi riaccompagnò al mio
posto, sorrise a Claire, poi prese la sua chitarra e si allontanò.
“Che
ti ha detto? Siete stati via più di un’ora!” disse
Claire. Era evidente che era un po’ gelosa, avrebbe voluto appartarsi lei con Russell.
Farfugliai qualcosa, poi
inscenai una violenta emicrania e mi chiusi nel mutismo. Per fortuna pochi
minuti dopo Salvatore si alzò in piedi sentenziando che era tardi, ed io fui
più che felice di seguirlo.
Quella notte tardai ad addormentarmi, nella mia mente c’era solo Russell e le
meravigliose sensazioni che aveva risvegliato in me.
***************************************
Il mattino dopo arrivò mio
padre, era sabato e la domenica mattina saremmo partiti
molto presto.
Ovviamente non era
assolutamente pensabile uscire la sera con lui presente, ma al
pomeriggio riuscii a sgattaiolare fuori con la scusa di una passeggiata. Mi
diressi subito al ponte sulla spiaggia.
Lui era lì, appoggiato al parapetto, lo sguardo perso verso
l’orizzonte, la sigaretta penzoloni tra le labbra e il ciuffo castano che gli
cadeva sulla fronte. Era solo, per fortuna, non c’erano ne
il suo amico chitarrista ne il codazzo delle oche che li seguivano sempre.
Mi fece una tenerezza
infinita, per un attimo lo rividi proprio come l’avevo visto la sera prima: un
ragazzino di sedici anni che si atteggiava ad uomo fatto per rimanere attaccato
al suo sogno, e percepii di nuovo il soffio di
infinito che si portava dentro.
“Russell…” dissi
avvicinandomi.
Sobbalzò come un bimbo colto in flagrante,
poi mi vide e sorrise.
“Ciao, Ginny… Come va?
Mi stavo rilassando un po’ in previsione del concerto di
stasera… Verrai, vero?” mi chiese.
Scossi la testa.
“Non posso… E’ arrivato mio padre, e non mi farà mai uscire la
sera. Sai come sono i padri, è apprensivo… E comunque
domattina parto prestissimo. Volevo salutarti.”
Vidi un lampo di
delusione passare nei suoi occhi, poi annuì.
“Capisco… Beh, allora
buona fortuna per tutto.”
“Chissà, magari un giorno ci rivedremo… Abito a Sidney, sai?
Perciò, se tu sei sempre dell’idea di venire laggiù, magari ci
incontreremo per strada!” risi.
Lui si strinse nelle
spalle.
“Chissà… Tutto può essere.” Rispose lui, facendo un gesto vago.
Sapevo benissimo che non
sarebbe mai successo, io e lui facevamo parte di due
mondi diametralmente opposti, e di certo lui non avrebbe mai frequentato i
quartieri altolocati, che invece erano il mio mondo.
Rimanemmo di nuovo in
silenzio, appoggiati al parapetto a guardare l’oceano che accarezzava
dolcemente la spiaggia con le sue onde.
“Ginny… Mi prometti una
cosa?” disse
lui all’improvviso.
“Dipende da cosa si
tratta… Non voglio fare nulla di illegale, sappilo!”
esclamai, spaventata dalla serietà con cui aveva parlato.
“No, tranquilla… Devi
solo promettermi che la smetterai di avere paura anche della tua ombra,
e che d’ora in poi andrai nella vita a testa alta. E’ un delitto tenere un viso
e due occhi come i tuoi puntati a terra… E poi la paura è una pessima
consigliera, ci tarpa le ali e ci impedisce di volare
alto.” Sorrise prendendomi tra le braccia, poi mi
baciò di nuovo.
Non fu
il bacio pieno di passione e sensualità della sera prima, questa volta fu
una dolce carezza.
“Prometto…” dissi quando ci staccammo.
Guardai l’orologio: era tardi, dovevo
assolutamente tornare al mio bungalow prima che mio padre venisse a cercarmi.
“Addio, Ginny…” Mormorò
Russell.
Io corsi via, poi ad un tratto mi voltai e ritornai da lui.
“Virginia… Il mio nome è
Virginia, Ginny è solo un diminutivo.” Dissi tutto d’un fiato.
Lui sgranò gli occhi.
“Mi spieghi perché accidenti devi storpiarti un nome così bello?
Virginia è molto più originale e musicale di Ginny…”
Nessuno mi aveva mai detto che il mio nome era musicale, ma sentendolo
pronunciare dalle sue labbra iniziai ad amarlo un po’ anch’io.
“Addio, Russell…” dissi, poi corsi via.
Tornai al bungalow e mi misi a letto presto con la scusa di una
violenta emicrania, ma non riuscivo a dormire… Silenziosamente mi alzai, mi infilai in bagno, accesi la luce e mi guardai allo
specchio.
Ero sempre io, alta,
magrissima, brufolosa, con la pelle nivea, i capelli castani e gli occhi grigi,
ma c’era qualcosa di diverso. Non so se fosse la luce
che avevo negli occhi o il sorriso, sta di fatto che quella notte non vidi il
trampoliere sgraziato che odiavo tanto, ma vidi Virginia, una ragazzina che
pian piano si stava trasformando in donna. Dopotutto se un ragazzo bello e
ricercato come Russell mi aveva preferito a Claire e a mille altre ragazze
formose e perfette qualche
pregio dovevo pur averlo… Ripensai alla promessa che gli avevo fatto e sorrisi
tra me. In quel momento decisi che non avrei più accampato scuse, non mi sarei
nascosta dietro l’alibi della severità di mio padre per non affrontare la vita,
ma avrei fronteggiato le mie paure e le avrei vinte una ad una. Dopotutto la
sera del falò non era stato difficilissimo fare amicizia con il gruppo di Salvatore,
quindi perché non provarci? Forse non ero un’artista come Russell, non avevo in
me quel soffio d’infinito, ma anche io avrei potuto fare qualcosa di grande se
lo avessi voluto, e lo volevo con tutte le mie forze.
Los
Angeles, marzo 2001
Guardo la mia piccola
Alyssa nel suo lettino: è così dolce mentre dorme! Non
sembra proprio quel demonietto biondo che mi fa ammattire tutto il giorno… A
volte mi chiedo se è normale che una bambina di tre anni abbia tanta energia, o
se per caso io non abbia dato alla luce un piccolo robot alieno!
Le do
un bacio sulla fronte, spengo la luce e ritorno in salotto. Stasera
Kaspar, mio marito, non c’è, è fuori Los Angeles per discutere un’importante progetto. Spero che lo approvino, sarebbe un
grosso successo per il nostro studio di architettura.
Potrei mettermi a lavorare… Ma sono troppo stanca per applicarmi su quei
dannati disegni, meglio un po’ di tv comodamente sdraiata sul divano. Ai
disegni ci penserò domani, mentre Alyssa sarà all’asilo.
Accendo la tv e faccio un
po’ di zapping, finché mi sintonizzo sul canale che
sta trasmettendo la notte degli Oscar. Decido di fermarmi, sono davvero curiosa
di sapere chi sono i vincitori, anche perché tra i
candidati c’è una mia vecchia conoscenza…
Stanno
premiando la miglior interpretazione maschile. Sul palco Hilary Swank,
inguainata in un abito color oro, sta leggendo i nomi dei tre candidati.
Scende il silenzio sul
Kodak Theatre…
E poi la Swank pronuncia la
fatidica frase:
“The winner is… Russell Crowe, for “Gladiator”!”
Ed eccolo lì, Russell, vestito Armani ( anche se
le passamanerie sulle maniche mi fanno pensare che il maestro sia stato colto
da un momento di buio cosmico mentre cuciva l’abito), con un ciuffo di capelli
arricciato sulla fronte, che si alza in piedi e abbraccia la sua
accompagnatrice ( piuttosto bruttina, a dire il vero… Che si sia convertito al
genere “bambolina scema tutta mosse”? Almeno Claire era più bella…).
Ho visto il film al
cinema, come quasi tutti, e sono davvero felice che abbia vinto perché se lo
meritava, è stato semplicemente divino. Evidentemente ho l’occhio lungo, lo avevo sempre detto io che il suo mestiere era quello
dell’attore…
Per tutta la durata del
film ho cercato di ritrovare in quel fiero soldato qualcosa
che mi ricordasse il ragazzo che vent’anni or sono mi insegnò a credere nei
sogni, ma non c’era nulla che me lo ricordasse, quell’uomo sullo schermo era un
perfetto estraneo.
Invece questa sera,
mentre sale frastornato le scale del palcoscenico e si accinge a ricevere il
premio più prestigioso del mondo lo riconosco, ha lo
stesso sguardo di quella notte, quando si appartò con me perché non voleva
farsi vedere dagli altri mentre piangeva di nostalgia per sua madre… Lo sguardo
dolce e malinconico di un ragazzino timido che si nasconde dietro una corazza
di forza e sicurezza.
Certo,
questi vent’anni non sono passati invano, e ci hanno cambiato molto: lui
si è irrobustito, i suoi capelli si sono scuriti e quando parla noto che
l’incisivo spezzato è sparito, ora ha una chiostra di denti perfettamente
bianchi e squadrati.
Anche
io sono diversa da quella ragazzina timida che vent’anni fa conobbe lui, il
tempo ha addolcito gli spigoli del mio corpo, ha cancellato i brufoli e
soprattutto mi ha regalato la sicurezza in me stessa che non avevo.
C’è voluto tempo e fatica, ma oggi non sono più Ginny, la quindicenne
spaventata che si chiudeva in bagno e accampava scuse per non andare alle
feste, che si sentiva sempre sciocca e che non sapeva cosa voleva dalla vita.
Ora sono Virginia, una
donna di trentacinque anni serena ed appagata, uno stimato architetto, la
moglie felice di Kaspar e l’amorevole mamma di Alyssa.
Non ho rimpianti, la mia vita è esattamente come l’ho voluta.
Eppure
mentre Russell ringrazia i suoi genitori con voce commossa per averlo aiutato a
diventare quello che è sento una lacrima scendermi giù per la guancia.
Piango di nostalgia per
la ragazzina timida e impacciata che fui e che vive ancora ben nascosta dentro
me, per il ricordo di quel mio primo, dolcissimo e inconfessato amore, ma
piango anche di felicità perché la vita mi ha regalato più di quanto non osassi
sperare.
“ Sapete, se siete cresciuti nei sobborghi di Sydney o Auckland, o di
Newcastle come Ridley o Jamie Bell, o nei sobborghi di qualunque posto, allora
sapete che un sogno come questo puo' sembrare vagamente ridicolo e
completamente irragiungibile. Pero' questo momento e'
direttamente collegato a quelle fantasie dell'infanzia. E per chiunque si trovi
completamente svantaggiato e deve far affidamento unicamente sul suo
coraggio... sappiate che e' possibile.”
Russell conclude così il suo discorso, ed io capisco che anche lui
non è cambiato, è rimasto lo stesso sognatore inguaribile che era a diciassette
anni, quella frase non è pura retorica.
Mentre
Russell scende i gradini del teatro io lo ringrazio
mentalmente per avermi fatto capire che anch’io valevo qualcosa, e mi auguro
che i soldi e il successo non spengano mai il soffio di infinito che si porta
dentro.
Ma sono sicura che è impossibile, non si possono spegnere le
stelle….