Non
è più parte di
questo mondo
Così li
vedi ogni mattina
quando
su te sola ti pieghi
nello
specchio. […]
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Mento
bianco e rotondo.
Labbra lucide dipinte di rosso.
I riccioli scuri le piovvero sulle spalle, quando si chinò
sullo specchio da trucco.
Provò un’indefinibile tristezza nel passarsi il
pennello
sulle labbra, per dar loro un’apparenza più
turgida, così che sulla pelle
bianca esse finirono per somigliare ad una ferita obliqua.
Posò il pennello alla sua sinistra, assieme agli altri.
Or
incomincian le dolenti note / a
farmisi sentire; or son venuto / là dove molto pianto mi
percuote. Sospirò
con gran rammarico, la fronte aggrottata,
quando spostò lo specchietto più piccolo e
avvicinò a sé lo specchio più
grande, coperto da un panno di broccato; ne strinse i lembi tra due
dita,
stupendosi del loro aspetto raffinato e della pelle bianca.
Con
lentezza, quasi stesse alzando il sipario di un teatro,
sollevò il panno e lo
ripiegò sulla cornice dello specchio. Osservò il
proprio riflesso e trattenne a
stento un singulto di dolore.
Il
Destino bussa alla porta.
Oh,
quant’era ingiusto, quanto!
Il
Passato tornava con passi soffocati nella sua vita, stringendola con
braccia
troppo forti perché lei potesse opporvi resistenza. Rimase
perciò seduta
davanti allo specchio grande, le mani mollemente abbandonate in grembo,
fissando il vetro lucente con le labbra contratte.
Nell’istante
immediatamente successivo, lo sconcerto e la rabbia provocata da quel
riflesso
ingannevole lasciarono il posto ad una malinconia e ad una sofferenza
crescenti.
Portò
la mano destra davanti all’occhio corrispondente per
asciugarsi una lacrima
pungente.
«Sei
tornato» disse in tono vibrante di rimpianto, avvicinandosi
allo specchio con
fare adorante; fu nel compiere quel gesto che i capelli scuri le
scivolarono di
nuovo in avanti e gli occhi nello specchio sfiorarono il suo volto,
sbiaditi
come una fotografia, senza mostrare attenzione – lui non la vedeva, al di là
del vetro.
Allora
scoppiò in lacrime, lasciando che i capelli le celassero il
volto per un poco,
poi si asciugò gli occhi: non
poteva
permettersi di perdere quel filmato miracoloso – il
più bel film su cui avesse
mai posato gli occhi.
«Ma’am Mellinger,
è pronta?» la voce
della domestica attraversò la tenebra in cui era caduta.
«No,
stupida ragazza! Desidero essere lasciata in pace, ora!»
sbraitò, gettando a
terra un barattolo di cipria. La cameriera si ritirò subito,
spaventata.
Era
il 1940 e Roxanne Mellinger aveva quarantacinque anni: i suoi sogni
erano
svaniti da tempo: eppure, attirò verso di sé lo
specchio, mordendosi il labbro
inferiore.
Il
rossetto dev’essere tutto sbavato, pensò tristemente.
Separata
da lui da un velo tremolante, come Paride
vide Elena per la prima volta, Roxanne vide con i suoi occhi
un uomo morto
da anni che si guardava attorno e parlava con la ragazza che era stata
ventotto
anni prima. Singhiozzò come una bambina, le lacrime le
caddero sulle mani.
«Sei
tu, Anthony? Sei davvero tu?» chiese al ragazzo nello
specchio, ma quello non
poteva logicamente risponderle. Così tacque e finse di
ascoltarlo attraverso la
memoria, benché la sua voce fosse sbiadita e deformata
dall’acustica del tempo.
Ho
voglia di baciarti, diceva in quel momento, i capelli
castani offuscati
dallo specchio stesso, gli occhi slavati puntati sulla sua faccia,
mentre
l’abbracciava. E l’aveva baciata davvero.
Sentì
un sapore di sale in bocca.
«Anthony?»
lo chiamò ancora, priva di speranze; ma, stavolta, lui la
fissò dritto negli
occhi – i suoi occhi di quarantacinquenne, i suoi occhi gonfi
di lacrime e di
terrore. Impalpabile come un fantasma dietro ad un velo, le fece cenno
di
avvicinarsi – e lei, scioccamente, ubbidì.
Gli
porse l’orecchio con lo stesso spirito con cui gli avrebbe
porto il cuore,
l’anima, tutto.
Un
sussurro. Aggrottò la fronte nello sforzo di decifrarlo… ti sono cresciuti…
sorrise tra le lacrime… stanotte
sarà l’ultima notte… non lo
capiva, dannazione, quando
tutto il suo essere si sforzava di percepirlo…
Roxanne, sono la Morte…
Allontanò
la testa, di scatto, ma allungò una mano verso
l’Anthony dello specchio; lui
fece lo stesso, ma dove avrebbero potuto incontrarsi le loro dita
c’era solo il
vetro freddo.
«Non
importa, davvero. Però continua a
parlare.»
E
la Morte lo fece: mentre un vago sorrisino si dipingeva sulle labbra
sporche di
Roxanne, lei ascoltava le voci del passato serena come non era
più da molto
tempo e osservava uno dei loro pochi baci come
un’osservatrice esterna. La luce
della lampada continuò ad illuminare la camera da letto
nonostante fosse scesa
una notte limpida e stellata, ma senza luna.
Nello
specchio stringeva Anthony tra le braccia e lui moriva, cereo, su una
scialuppa
affollata.
Nella
realtà continuava a versare lacrime dagli occhi arrossati e
non se ne curava.
«Roxanne Mellinger, questa
è la tua ultima
notte, siinne consapevole…»
l’espressione negli occhi di Anthony cambiò un
poco
«… e io ti amo»
concluse, con aria
serissima.
Roxanne
abbassò le palpebre: «Ti ho amato anche
io.»
I
due sorrisi separati dallo specchio furono identici.
Il nostro amore non è
più parte di
questo mondo,
sospirò Roxanne, quando
la bomba cadde.