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Autore: ermete    08/07/2012    12 recensioni
"All’interno, John era già seduto ed attendeva il suo arrivo “Comunque non è strano? Non tengono mai aperto fino a quest’ora a meno che non ci sia qualche particolare evento.”
Sherlock sorrise, poggiando sul sedile la custodia del violino ed il sacchetto di plastica “Beh, oggi è un particolare evento.”
John lo guardò di sottecchi, quindi inarcò gli angoli della bocca in un sorriso divertito “Non mi dire... che hai chiesto di fare un giro a quest’ora solo per festeggiare il mio compleanno.”
Sherlock gli si sedette di fronte proprio nel momento in cui il tecnico azionò il movimento della ruota panoramica “Sei il mio migliore amico. E mi è stato fatto notare che non ti dimostro mai abbastanza quanto io ti sia riconoscente per quello che fai per me, quindi...”
“Beh, grazie.” John sorrise, sinceramente lusingato e piacevolmente stupito dall’iniziativa di Sherlock."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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***Ciao ragazze! Sì, lo so che volete il 5 del Trifoglio e giuro che ve lo dò domani XD è già pronto, corretto, betato, quindi domani in mattinata ve lo metto giù *_* questa one shot voleva essere un omaggio (in ritardo di quasi un'ora e mezza ARGH!) a John Watson, in quanto ho letto in giro che il 7 luglio non solo è l'anniversario di quando è mancato Sir Arthur Conan Doyle (a proposito, ve lo siete scritte "221B" sul polso? Io sì *_*), ma è anche il giorno che Doyle aveva indicato come compleanno di John (e poi lui è mancato quel giorno, anni dopo! BRIVIDI!!!), quindi ho voluto fare questo piccolo omaggio al mio adorato John, che, diciamocelo, l'avete capito che ho una preferenza per lui ahahah XD il mio John! Il NOSTRO John! Bonci, spero vi piaccia! E' assolutamente una ff senza pretese, vuole solo farvi sorridere <3 un BACIO!***

Buon compleanno, John

Era un pomeriggio estivo il giorno in cui fu arrestato il 'Killer del Rasoio' grazie all’aiuto e all’intervento di John e Sherlock, i quali, dopo una breve collutazione con l’assassino, furono affidati alle cure della squadra medica chiamata dalla polizia scientifica di Scotland Yard. Non che avessero subito particolari ferite, ma visto che John aveva riportato un taglio sul palmo della mano sinistra, non solo non riusciva a ricucirsi da solo, ma non avrebbe potuto occuparsi neanche di Sherlock e della sua escoriazione sul braccio destro.

Lestrade approfittò di quel momento in cui i due erano separati per avvicinarsi a Sherlock che, dopo essersi lamentato più volte del fatto di non poter essere curato dal suo medico personale, alzò controvoglia l’attenzione sull’Ispettore di Scotland Yard “Prego?”
“Ti ho chiesto se puoi consigliarmi un regalo per John.” ripetè Lestrade, controllando di tanto in tanto che l’ex medico militare fosse ancora impegnato con la medicazione “Lo sai che tra qualche giorno è il suo compleanno, vero?”
Sherlock sapeva che John era nato il 7 luglio, ma non tanto perchè gli importasse festeggiare un evento inutile come il compleanno, bensì perchè, semplicemente, l’aveva letto sulla sua patente una volta che gli aveva frugato nel portafoglio e aveva catalogato l’informazione nella stanza del suo Palazzo Mentale riservata al suo coinquilino.
“Dunque?” sbuffò Sherlock, agitando il braccio ormai fasciato “A John non interessa festeggiare il suo compleanno.”
“No Sherlock, a te non interessano i compleanni, così come non te ne frega niente del Natale, di Capodanno, degli onomastici o degli anniversari.” lo corresse l’Ispettore, intrecciando le braccia al petto “John, invece, è una persona normale, quindi sono sicuro che sarebbe ben felice se gli si organizzasse una festa.”
Sherlock alternò lo sguardo tra Lestrade e John, arricciando le labbra infastidito all’evidenza che, nonostante il medico avesse deciso di vivere con lui, restasse comunque una persona normale, difetti compresi “E perchè io dovrei sapere cosa gli piacerebbe per il compleanno?” marcò l’ultima parola con una nota sgradevole nell’intonazione vocale.
“Perchè abiti con lui, Sherlock!” sbottò Lestrade, non senza una punta di fastidio a colorargli il tono “Ha la pazienza di sopportarti, di convivere con te, di rischiare la sua vita per correrti accanto... potrai almeno fare lo sforzo di pensare a cosa potrebbe piacergli come regalo?”
Sherlock lanciò un’occhiataccia all’Ispettore: solo per il fatto che non riuscisse a dimostrare una sincera riconoscenza e stima per John, non voleva dire che non le provasse. Ritornò su John, osservando con finta noncuranza la bontà del sorriso con cui ringraziava il paramedico che l’aveva ricucito, quindi tornò su Lestrade sul quale assottigliò lo sguardo “Regalagli un maglione. Tanto anche se sarà orrendo, lo metterà lo stesso.” non potè proprio fare a meno di rispondergli in maniera detestabile. D’altronde, pensò che se era vero che gli importava così tanto festeggiare John, avrebbe potuto benissimo fare lo sforzo di pensare da solo a cosa avrebbe potuto regalargli o meno.
Ignorò la risposta di Lestrade mentre si allontanava da lui a favore dell’ambulanza sul retro della quale era seduto John “Andiamo?” gli domandò quando lo vide alzarsi e farglisi incontro sorridente “Era carina?” domandò poi, lanciando un’occhiataccia alla volontaria dell’ambulanza che aiutava il paramedico a ricucirlo.
“Mi chiedi se è carina? Cavolo, ma non la vedi?” domandò John, guardando ancora una volta la ragazza che, secondo i canoni oggettivi della bellezza, aveva un fascino decisamente al di sopra della media.
Sherlock la guardò: i lineamenti erano distribuiti in maniera armonica attorno agli occhi azzurri e alle labbra carnose, chiaro segno di sensualità. Era magra, ma il seno ed i fianchi erano comunque ben sviluppati, tanto da suggerire ad un uomo etero il primordiale istinto riproduttivo: Sherlock riconobbe tutti quei parametri in maniera oggettiva, ma nulla si smosse dentro di lui. I suoi canoni di bellezza erano di tutt’altro tipo, d’altronde: capelli biondi, sì, ma cenere, gli occhi azzurri erano contemplati se nella scala cromatica sfioravano il blu, le labbra le preferiva sottili ed il naso leggermente all’insù. Ma non l’avrebbe mai ammesso a se stesso, figurarsi a voce alta, quindi si limitò a scrollare le spalle alla domanda di John, alzando poi il braccio per chiamare il primo taxi che vide spuntare in fondo alla via.

Quella stessa sera, John era seduto sulla propria poltrona con le gambe alzate ed i piedi appoggiati su quella di Sherlock che, invece, era sdraiato sul divano con lo sguardo rivolto verso il soffitto, le mani congiunte sotto il mento.
John stava leggendo tranquillamente un libro, quieto nella pace che solo un caso risolto da poche ore poteva portare nell’appartamento: Sherlock, infatti, era ancora ben lontano dalla noia che lo assaliva quando non era impegnato dietro ad un omicidio o a qualche curiosa situazione degna di nota. Era calmo, tranquillo, eppure continuava a rimuginare sulla discussione avuta con Lestrade: per la prima volta dall’inizio della loro convivenza, si ritrovò a chiedersi se fosse veramente così egoista nei riguardi di John. Era sicuro di non essere egoista, non con John quanto meno: si giustificò provando a convincersi del fatto che il medico non era stato obbligato ad accettare il suo invito e che, pur conoscendo i suoi difetti, aveva deciso di rimanere al 221B di sua spontanea volontà. Sherlock si persuase anche che John non solo conosceva i suoi difetti, ma sapeva anche che lui apprezzava la sua compagnia e che lo riteneva diverso dalle altre persone. Normodotato dal punto di vista intellettivo, eppur speciale, a modo suo. Tuttavia, sempre per la prima volta da quando convivevano, si domandò se fosse il caso dirglielo: in fondo John era, per l’appunto, normodotato, e forse da solo non l’aveva capito. Che Lestrade avesse, stranamente, ragione?
Nel momento stesso in cui John chiuse il libro per riposare la vista, Sherlock si alzò dal divano avvicinandoglisi: attese che l’altro mise i piedi sul pavimento prima di sederglisi di fronte ed osservarlo insistentemente.
John lo guardò a sua volta, provando ad intuire il motivo per quello sguardo indagatorio, ma si arrese ben presto, quindi sospirò “Dimmi che cosa hai in mente.”
Sherlock arricciò le labbra, sporgendole in avanti, osservando John in maniera ancora più approfondita “Chi te lo dice che ho qualcosa in mente.”
“Tu hai sempre qualcosa in mente, Sherlock.” John gli sorrise e fu piacevolmente ricambiato dall’altro, di riflesso “Il giorno che riuscirai a spegnere il cervello troverai un sollievo che neanche immagini.”
Sherlock scosse il capo, quindi si sporse in avanti, avvicinando la mano destra alla sinistra di John, rimettendogli a posto un angolino della benda che gli fasciava l’arto e che era fuggita dalla pinzetta che la teneva unita al resto del tessuto “Spegnere il cervello? Impossibile. Vorrebbe dire che sarei morto.”
“No, fidati, esistono altri modi per spegnere il cervello...” John lasciò la propria mano sotto le cure dell’altro, osservando il curioso contrasto tra il colore della pelle dell’altro rispetto al proprio “...che non contemplino l’uso di droghe.” aggiunse velocemente, quando vide che Sherlock stava per ribattere.
“Sì. Ad ogni modo.” Sherlock si ritrasse, per poi appoggiare nuovamente la schiena alla poltrona: guardò altrove mentre introduceva quel nuovo discorso “Tra qualche giorno è il tuo compleanno, lo sai vero?”
John annuì e decise di rispondere con un velo di ironia a quella domanda retorica “Sì. Non soffro di Alzheimer precoce, mi ricordo ancora quando è il mio compleanno.”
Sherlock colse l’ironia, ma non vi diede importanza “E a te importa festeggiarlo?”
“Non lo so, non saprei.” John era confuso a quel punto: si chiese dove Sherlock volesse andare a parare “Perchè, tu vuoi... festeggiarmi?”
Sherlock agitò la mano destra a mezzaria, sbuffando come se John avesse detto la peggiore assurdità del mondo “Oh, non essere ridicolo.”
John sospirò, strofinandosi poi gli occhi con la mano destra chiusa a pugno “Quindi qual è il punto?”
“Il punto è...” ribattè prontamente Sherlock per poi fermarsi e prendersi una lunga pausa “Tu lo sai che... io... apprezzo quello che fai per me?” domandò, sporgendosi nuovamente in avanti, osservandolo dritto negli occhi.
John di rimando incassò la schiena dentro la poltrona, indietreggiando quanto più poteva “...sì?” il tono finì col colorarsi di un accento indagatorio.
“Che tu abbia la pazienza per sopportare le mie intuizioni?” domandò dunque Sherlock, piegandosi in avanti, verso John “E di convivere con me.” incalzò poi “E di seguirmi durante i casi.” scese quasi dalla poltrona, per osservare l’ex medico militare da più vicino “Lo sai? Che lo apprezzo?” concluse infine, cercando la risposta a quelle domande nel volto di John, oltre che nelle sue eventuali risposte.
John assottigliò lo sguardo su Sherlock, alzando istintivamente il piede sinistro verso il torace dell’altro, come per spingerlo nuovamente verso la sua poltrona “Oh, beh. Grazie. Effettivamente è la prima volta che lo dici così apertamente.”
Sherlock seguì l’invito del piede di John, tornando a sedersi in maniera quasi del tutto composta “Ma tu lo sapevi anche prima, vero?”
“Sì, certo. Suppongo che pur senza dirmelo me lo dimostrassi...” annuì John, per poi aggiungere “...in modo puramente... come si può dire... Sherlockiano?” sorrise a quell’aggettivo così, puramente, azzeccato.
“Lo sapevo allora, che sarebbe stato un inutile spreco di parole!” Sherlock balzò in piedi soddisfatto: aveva dimostrato ancora una volta che Lestrade aveva torto. Non che avesse molti dubbi, ma necessitava della prova tangibile, da buon empirista.
“Sherlock.” lo richiamò John, che finalmente capì dove il suo geniale coinquilino volesse arrivare.
“Sì?” Sherlock si voltò verso il medico, ancora trionfante per la propria personalissima vittoria.
John si alzò a sua volta, sorpassando Sherlock di qualche passo prima di fermarsi “Tu sai, che io so, che tu sei geniale, fantastico, brillante, straordinario, incredibile?”
Sherlock annuì con un’alzata di spalle “Certo che lo so.”
“Non per questo ti fa meno piacere quando me lo senti dire.” John gli sorrise e gli passò la mano fasciata sull’avambraccio, strizzandoglielo per quel poco che la fasciatura consentiva. Non si aspettava di sentire una risposta dal suo coinquilino, risposta che effettivamente non arrivò, perchè, almeno per una volta, aveva preso in contropiede il fenomenale Sherlock Holmes. Lo sorpassò ulteriormente, guadagnando le scale per il piano superiore, diretto verso la propria camera: gli sorrise ancora una volta, prima di sparire dalla visuale “Buona notte, Sherlock.”

Il giorno del compleanno di John era infine arrivato: Lestrade aveva organizzato una piccola festa a Scotland Yard in cui aveva invitato, oltre a John e Sherlock, anche Mrs Hudson e Molly, oltre che, ovviamente, gli Yarder che avevano instaurato un rapporto d’amicizia con il festeggiato.
Sherlock era contrario allo svolgimento di quella festa, ma ormai il motivo non era più riconducibile all’ ’inutilità della celebrazione di un genetliaco’, bensì all’idea che si sarebbe trovato completamente fuori luogo in un contesto dove tutti avrebbero festeggiato John quando in realtà ‘l’unico che aveva il diritto di festeggiarlo era lui in quanto suo migliore amico.’
John, ovviamente, non assecondò quei capricci e anzi, a lungo andare, si stufò anche di provare a convincere Sherlock ad unirsi alla festa, per poi sentirsi rispondere in maniera affermativa solo quando, stufo, gli urlò di starsene a casa.
“E così funziona la psicologia inversa con te.” sbuffò John, infilandosi le scarpe, pronto ad uscire “Buono a sapersi per il futuro.”
Sherlock non gli rispose: si limitò infatti a prendere nella mano sinistra la custodia contenente il proprio violino e a digitare dei veloci messaggi di testo con la destra.
John uscì di casa sorridente, ignaro di quel che Sherlock aveva appena architettato: la rete dei senzatetto, infatti, era appena entrata in azione.

“John, te lo chiedo per favore, cosa ti costa?” Sherlock stava letteralmente trascinando l’ex medico militare in direzione del London Eye.
“Siamo in ritardo, Sherlock!” sbuffò John, controllando l’ora direttamente dal quadrante del Big Ben.
“Un solo giro, te l’ho detto.” Sherlock si fermò davanti all’ingresso della ruota panoramica: la porta della cabina era già aperta e sembrava stesse aspettando solo loro “Se arriviamo in ritardo darai la colpa a me.”
“Ovvio che darò la colpa a te.” sbuffò John, rassegnato, per poi anticiparlo verso l’ingresso della cabina “Paghi tu, visto che hai insistito.”
“Certo, John. D’altronde è il tuo compleanno.” Sherlock annuì rapidamente prima di allungare un rotolino di soldi a quello che sembrava il macchinista addetto al movimento della ruota panoramica: in realtà, sebbene fosse veramente il tecnico ufficiale assunto per manovrare il London Eye, era stato informato e convinto dalla rete dei senzatetto, con la promessa di una lauta mancia, a portare la loro cabina nel punto più alto e di lasciarli lì tutta la notte.
“Io non avrò alcuna responsabilità, intesi?” chiarì il tecnico un’ultima volta, iniziando a contare il proprio compenso per quel lavoro ufficioso “Ah, ecco, tenga. Me l’ha dato uno di quei ragazzi per lei.” il macchinista porse a Sherlock un sacchetto di plastica prima di indicargli la cabina “Buon giro.”
“Intesi.” annuì Sherlock per poi prendere in mano il sacchetto ed indirizzarsi verso l’entrata della cabina.
All’interno, John era già seduto ed attendeva il suo arrivo “Comunque non è strano? Non tengono mai aperto fino a quest’ora a meno che non ci sia qualche particolare evento.”
Sherlock sorrise, poggiando sul sedile la custodia del violino ed il sacchetto di plastica “Beh, oggi è un particolare evento.”
John lo guardò di sottecchi, quindi inarcò gli angoli della bocca in un sorriso divertito “Non mi dire... che hai chiesto di fare un giro a quest’ora solo per festeggiare il mio compleanno.”
Sherlock gli si sedette di fronte proprio nel momento in cui il tecnico azionò il movimento della ruota panoramica “Sei il mio migliore amico. E mi è stato fatto notare che non ti dimostro mai abbastanza quanto io ti sia riconoscente per quello che fai per me, quindi...”
“Beh, grazie.” John sorrise, sinceramente lusingato e piacevolmente stupito dall’iniziativa di Sherlock. Alzò poi lo sguardo verso il sacchetto di plastica, incuriosito “Mh, cosa c’è lì? Un regalo?”
Sherlock ignorò la domanda di John, troppo preso ad osservare il panorama al di fuori del finestrino, vedendolo via via diventare più piccolo “John, ho bisogno di parlarti.”
John annuì, incoraggiandolo con un cenno della mano destra, non intuendo ancora l'importanza della situazione “Dimmi.”
Sherlock riportò lo sguardo su John, intrecciando tra loro le dita delle proprie mani “Noi non andremo alla festa questa sera.”
John alzò entrambe le sopracciglia prima di inarcarne una soltanto “Cosa?”
Sherlock fece spallucce, lasciando vagare lo sguardo verso l’alto “Ho pagato il macchinista, resteremo qui tutta la notte.” spiegò con tranquillità, come se fosse normale corrompere un uomo per commettere un’illegalità di quel tipo.
John tossì, poichè quella sorpresa gli fece andare la saliva di traverso “Cosa?! Perchè l’hai fatto?”
“Te l’ho detto, devo parlarti.” sbuffò Sherlock, chiedendosi come non si potesse capire un concetto così semplice.
“Ma gli altri ci stanno aspettando!” protestò John, seppur iniziando a rassegnarsi a quell’idea: quando Sherlock Holmes voleva qualcosa, cascasse il mondo, la otteneva.
“Ellery della rete dei senzatetto li avrà già avvisati.” Sherlock estrasse dalla busta di plastica una bottiglia di spumante, riscaldatosi purtroppo a temperatura ambiente, ed iniziò a togliere la stagnola dal tappo.
“Era davvero necessario?” domandò John, rincuorato alla vista della bevanda alcolica: sarebbe stato chiuso in una capsula del London Eye assieme a Sherlock Holmes per tutta la notte, l’alcool era d’obbligo.
“Sì.” annuì Sherlock, per poi stappare la bottiglia che, dato il calore, spurgò un po’ di schiuma direttamente sul pavimento della cabina “Perchè io non sono bravo a parole, è appurato. Ma questa sera mi sforzerò. Per te.”
“Beh, tanto vale ascoltarti.” John fece spallucce ed alzò le gambe sul sedile di fronte, vicino a Sherlock, mettendosi comodo: sarebbe stata una lunga notte “Forza.”
Sherlock esitò qualche istante: era riuscito a chiudere John in una cabina del London Eye da cui non sarebbero usciti prima dell’alba, quindi ora doveva riuscire a dirgli qualcosa “Dunque. Siamo qui per festeggiare una persona speciale.” esordì, ma fu interrotto da John che iniziò a ridere praticamente non appena aprì bocca “Perchè ridi?”
“Perchè parli come se stessi predicando da un pulpito!” rise ancora, per poi dargli qualche suggerimento: apprezzava davvero, davvero tanto quello che stava facendo. Non se lo sarebbe mai aspettato da parte di Sherlock “Parla a me. Dimmi... ‘John, tu sei mio amico perchè...’ e vai avanti. Potrebbe essere un inizio, no?”
“Ah, sì. Bene.” annuì Sherlock, rigirandosi la bottiglia di spumante tra le mani “John, tu sei mio amico perchè sei... sei...” si interruppe nuovamente quando sentì le risate dell’altro “John è già difficile senza che tu scoppi a ridere ogni minuto!”
“Lo so, scusami, ma Sherlock, sei troppo buffo.” si giustificò John per poi sporgersi un poco in avanti, posando la mano destra sul ginocchio dell’altro “Sherlock è vero, una persona a volte ha bisogno di sentirsele dire le cose, ma diciamo che tu potresti essere un’eccezione e va bene lo stesso. Anche se non le dici. Apprezzo già molto tutto questo e...”
“No! Ecco! Hai detto bene! Tu sei un’eccezione, per me.” lo interruppe Sherlock, trovando l’input giusto per iniziare a parlare “Ma non è solo perchè mi sopporti nonostante io possa essere, insomma... difficile?”
John annuì, non potendo in alcun modo interrompere o contraddire Sherlock in quel frangente “Prendiamo per buono ‘difficile’.” tornò poi indietro, nuovamente, poggiandosi comodamente allo schienale.
Sherlock annuì, quindi, dopo aver bevuto un sorso di spumante, riprese a parlare “Tu sei un’eccezione perchè tu non sei noioso come gli altri. Sei buono, ma non in modo stucchevole. Sei buono nei modi di fare, nel modo di essere. Sei gentile, forse troppo, anche con chi non se lo merita. E probabilmente io a volte non lo merito.”
John sorrise intenerito quindi fece per interromperlo “Sherlock...”
Fu Sherlock, invece, ad interromperlo “Mi piaci perchè sei coraggioso, sei leale e spero davvero che tu mi aiuti con i casi non solo per proteggermi ma anche perchè ti diverti a farlo. Mi piace il modo in cui fai il the: sei veramente l’unico a calcolare sempre la temperatura giusta per non bruciare le foglie ed ottenere il giusto sapore.” bevve un altro sorso, in cerca di ulteriore ispirazione che sembrava averlo colto improvvisamente.
John si zittì, piacevolmente stupito nel notare che Sherlock l’aveva prima chiamato amico, poi eccezione, ed infine aveva persino confessato di piacergli: sembrava un compleanno piuttosto fruttuoso, in fondo. Bizzarro, ma fruttuoso.
Un nuovo sorso di spumante portò nuova ispirazione al cervello e poi alle labbra di Sherlock “E poi, sì, beh, certo, mi piaci perchè ci capiamo. Spesso non c’è bisogno di parlare e credimi lo apprezzo molto. Non solo perchè io con le parole non sono bravo, ma anche penso che sia più ...intimo, non trovi?” domandò retoricamente, senza in realtà pretendere una risposta “Capirsi con uno sguardo? Non è magnifico?” domandò entusiasta, prima di aggiungere “Invece in giro trovi coppie che stanno insieme da anni e non si capirebbero neanche se riuscissero a spiegare tutto a parole, per filo e per segno.” rise a quel punto, divertito dallo scenario che aveva ipotizzato e da quello che ne conseguiva, infatti ripetè “Invece a noi basta uno sguardo!”
John a quel punto strizzò gli occhi più volte: Sherlock stava veramente parlando di coppie? Aprì la bocca per intervenire, ma Sherlock riprese a parlare prima che lui potesse commentare le sue precedenti parole.
“E poi c’è quella cosa che fai, che mi fa impazzire. Quando io sono indisponente e ti rispondo male, tu riesci sempre a trovare la giusta dose di sarcasmo per smontare ogni mia stupida affermazione. E finiamo col ridere entrambi, come due ragazzini. Quella cosa mi piace un sacco.” Sherlock alzò su John uno sguardo languido, inumidito dal calore dell’alcool e dalle emozioni portate da quelle innumerevoli confessioni. Approfittò, poi, di quel momento di coraggio per alzarsi e sederglisi affianco “Io... voglio darti una cosa.” mise mano al portafoglio, iniziando a cercare un particolare documento “A voi persone normali piacciono queste cose simboliche, giusto? Io non sono tipo da entrare in un negozio e comprare un regalo. E poi ci avrà già pensato Lestrade a prenderti un maglione orribile da aggiungere alla tua altrettanto spaventosa collezione.”
John rise, felice di sapere che lo Sherlock indisponente e detestabile era anche lì, in quella cabina “Pensavo ti piacessero i miei maglioni. L’avevi detto tu.”
“Solo perchè odorano di te.” confessò Sherlock, che si rese conto dell’enormità della propria affermazione solo quando vide John arrossire. Dissimulò il tutto consegnandogli il documento che teneva in mano “Eh, ecco, tieni. Forse è una cosa stupida? Troppo... sentimenale?”
John osservò quel che Sherlock gli aveva consegnato: era il suo documento di identità, con tanto di foto, data e luogo di nascita, professione e stato civile “E’ perfetta, ma...” John si rese del significato profondo che poteva assumere quel semplice foglio di carta plastificata: sorrise intenerito e non potè fare a meno di alzare lo sguardo verso il proprio amico “Dandomi questo tuo documento di identità, mi stai chiedendo qualcosa?”
“Non lo so neanche io.” Sherlock scosse il capo e fissò lo sguardo in quello di John, sorridendogli non senza una punta di imbarazzo. Donargli la propria identità, donargli se stesso, almeno metaforicamente, non era premeditato.
“Non ti preoccupare.” John sorrise e, provando a tranquillizzarlo, gli passò il braccio sinistro attorno al collo, stringendolo un po’ a sè in modo del tutto pulito e morbido, senza alcuna costrizione “Se sei arrivato a fare tutto questo per me, allora un giorno saprai anche rispondere a quella domanda.”
Sherlock ricambiò l’abbracciò appoggiando morbidamente le braccia attorno alla vita di John, respirando la dolcezza del suo odore e la sensazione di protezione che le ampie spalle dell’ex soldato erano capaci di elargire “Sei il mio migliore, John. Sono stato molto fortunato ad incontrarti.”
“La fortuna è la mia.” sussurrò John prima di lasciarlo andare: lo osservò da vicino ancora diversi istanti prima di indietreggiare un poco e agguantare la bottiglia di spumante “E il violino?”
Sherlock sorrise prima di alzarsi e recuperare il proprio strumento musicale: sapeva che John adorava la sua musica, e ancor di più, sapeva quanto la apprezzasse quando sapeva che la stava suonando esclusivamente per lui. Alzò dunque l’archetto sulle corde dell’elegante strumento ligneo, e prima di iniziare a suonare per lui, sussurrò “Buon compleanno, John.”
John mise il documento di Sherlock nel taschino sinistro della camicia, perchè era lì che doveva stare, sopra il proprio cuore “Grazie, Sherlock.” chiuse gli occhi, ascoltando quella dolce melodia che da quel momento in poi avrebbe sempre associato al magico giorno in cui Sherlock Holmes sequestrò l’intero London Eye solo per dirgli quanto fosse importante per lui.
   
 
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