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Autore: ReaderNotViewer    23/01/2007    11 recensioni
Questa fanfic, ispirata al celebre musical Grease, ha vinto (per il rotto della cuffia, ci tengo a precisarlo) la seconda sfida, dedicata ai film, dell'archivio moderato "Out of Time". "Grease is the word" dicono le parole della canzone che scorre sui titoli di testa. Ma la brillantina è passata di moda: che cosa ne sarà allora dei nostri eroi?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GREASE IS OUT



Tutto sembra possibile a San Francisco in questo aprile del 1967: far finire una guerra con le manifestazioni di piazza, riempirsi di acido fino agli occhi e cambiare la storia della musica moderna; e persino condurre uno stile di vita alternativo e sentirsi felici.
Doody è del tutto a suo agio in mezzo a questa folla colorata ed eterogenea che riempie la strada come fosse un vivace tappeto, srotolato in onore di questa splendida giornata di primavera.
Il piacevole venticello che ha spazzato via la solita foschia, ora agita allegramente le lunghe chiome dei manifestanti, mischiandole in un amorevole tripudio di lisci capelli biondi, di scurissimi ricci afro e di ciocche in ogni sfumatura di castano. Qua e là si nota persino qualche testa grigia, a rivelare la presenza di eccentrici professori d'università in giacca e cravatta e di combattive madri, solidali con i coetanei dei figli che non ci sono più.
Doody si sente leggero, trascinato da quella folla concorde come in un abbraccio affettuoso; tutti gridano i medesimi slogan, condividono gli stessi obiettivi e provano la sensazione di stare facendo qualcosa di utile, buono ed importante, che renderà il mondo un posto migliore e porterà ciascuno di loro un passo più vicino alla felicità.
Quando Norman, il suo vicino di posto nella fila, gli rivolge gesticolando qualche parola, accompagnata da un largo sorriso, Doody non capisce niente ma gli sorride in risposta, convinto che voglia soltanto spartire con lui uno stato d'animo analogo.
Invece Norman lo prende per un braccio e lo blocca, indicandogli con l'altra mano un punto sul marciapiede.
"Doody! Doody!" si sbraccia Marty, in mezzo a un piccolo gruppo di persone che certamente non fanno parte della manifestazione.
Allora anche Doody si mette a gridare e corre per raggiungerla. L'ex T-Bird e l'ex Pink Lady si abbracciano sul bordo della strada, costringendo tutti i manifestanti, che procedono in quella estremità della fila, a spostarsi e a spingere in là i loro vicini, di modo che il corteo si stringe per far posto ai due ragazzi come un fiume che incontri una grossa pietra accanto alla riva.
Sebbene siano passati quasi otto anni dalla fine del liceo, hanno continuato a vedersi più o meno regolarmente per un po'; l'ultima volta in cui si sono incontrati, tre anni fa, Marty lavorava ancora come dattilografa in uno studio televisivo di Los Angeles. Ritrovarla a San Francisco con una troupe televisiva che sta riprendendo la manifestazione pacifista è perciò uno sviluppo sorprendente sì, ma fino a un certo punto.
Si staccano dall'abbraccio e si guardano reciprocamente, senza che nessuno dei due riesca a nascondere un sorrisetto divertito.
Con i suoi pantaloni scampanati, i sandali fatti di strisce di cuoio e la camicia di tessuto grezzo a trapezio, aperta sul petto in modo da far intravedere la collanina di perle di legno, Doody è infatti un accettabile Figlio dei Fiori. Al contrario, l'attillato abitino a minigonna della ragazza e i chili di lacca che contrastano validamente l'azione del vento sulla sua complicata acconciatura, rivelano chiaramente l'appartenenza all'establishment.
"Hai fatto carriera." dice infatti Doody in tono vagamente accusatorio.
"Sono l'assistente di quello là." gli confida Marty, indicando un ometto stempiato con l'aria intellettuale, che si agita nervosamente mentre un paio di tecnici armeggiano con i microfoni e le telecamere. "Ero la sua segretaria a Los Angeles e quando l'hanno trasferito qui a San Francisco, ho chiesto di poterlo seguire anch'io."
"Perché? Ti ci eri affezionata?" chiede Doody incredulo.
"Ma figurati. A L.A. avrei passato tutta la vita a battere a macchina e a rispondere al telefono. Qui invece c'è meno concorrenza e nel giro di sei mesi mi hanno promosso assistente. E tu che cos’hai fatto, dopo che sei tornato? Dev'essere stata dura, per te."
"Sai come si dice: non tutto il male vien per nuocere. All'inizio ho lavorato con mio zio, ma poi mi sono rotto e sono andato un po' in giro. San Diego, Baltimora, Boston... ma qui mi piace di più. Adesso sento che ho finalmente le idee più chiare. Penso che resterò."
"Ce l'hai un lavoro?"
"Sì. Faccio il magazziniere in una ditta di sanitari. Presto avrò anch'io una promozione, ci crederesti? Il mio capo va in pensione e io divento il responsabile del magazzino."
"Non gli importa che tu vada in giro vestito in questo modo?"
"A loro importa solo che il magazzino sia a posto. E visto che fanno i soldi con le tazze del cesso, non badano tanto alle apparenze. Hai notizie degli altri?"
"Oh, vediamo. Putzie ha cambiato di nuovo lavoro e fidanzata."
"Contemporaneamente?"
"Come al solito. Credi che lo faccia apposta?"
"Assolutamente no. Putzie è... Putzie."
"Sandy ha cominciato a insegnare, non alla Rydell, però."
"Peccato. Ah, dimenticavo: quando sono tornato da Seattle, ho viaggiato con una ragazza di L.A., che era stata a farsi i capelli... indovina un po' da chi?"
"Da Frenchy! Spero che non glieli abbia fatti rosa."
"Anzi, sembra che stia avendo successo."
"Incredibile. Ma non più di Rizzo nel ruolo di madre americana. Lo sai che ha un'altra pagnotta nel forno?"
"Marty, credo proprio che quello là ti stia chiamando." dice Doody. Lei si volta e osserva con calma l'ometto un po' calvo che grida il suo nome, chiedendole a gesti di sbrigarsi a tornare.
"Maraschino qui e Maraschino là, non ne posso più." sbuffa la ragazza frugando nell'elegante e minuscola borsetta che porta a tracolla. Ne estrae un biglietto da visita e glielo mette in mano. "Non ho mai un attimo di pace, quello là da solo non si saprebbe nemmeno soffiare il naso. Ti lascio il mio numero di telefono. Sentiamoci qualche volta." esita scrutando di nuovo Doody dalla testa ai piedi. Poi scrolla le spalle e aggiunge "Potremmo uscire insieme, ti pare? Siamo o non siamo due reduci della Rydell a San Francisco?"
Il ragazzo apre la bocca per obiettare, ma lascia perdere e osserva in silenzio mentre Marty torna al lavoro. La sente scambiare una battuta di spirito con uno dei tecnici, poi la vede prendere una cartella dalle mani del suo capo e scartabellare velocemente tra i fogli al suo interno. Comincia una discussione. Sembra che Marty insista perché prima di cominciare il servizio, il cronista torni nel furgone d'appoggio e si faccia sistemare i radi capelli, che stanno ondeggiando al vento come una patetica cresta color stoppa.
"Il pubblico è interessato solo alle notizie." ribatte lui stizzito "Non gli importa affatto di che faccia abbia la persona che gli porta queste notizie." Ha una voce gradevole e ben impostata, ma con un forte accento meridionale. Forse Louisiana, pensa Doody.
Mentre parlava con Marty, il corteo ha continuato a scorrere, lento e imponente. Chissà dove saranno ormai Norman e gli altri con cui è venuto. Inutilmente Doody si alza in punta di piedi per riuscire a scorgere i cartelloni che prima dondolavano proprio davanti a lui.
Un ragazzo esile, con lunghi capelli biondi e i lineamenti di un angelo, evidentemente immerso nel medesimo sentimento di comunione in cui lui stesso si trovava prima di incontrare la sua vecchia compagna di scuola, vedendolo fermo e un po' smarrito sul bordo della strada, gli sorride in modo incoraggiante.
A Doody bastano un paio di passi per rientrare nel corteo e sistemarsi proprio tra il ragazzo biondo e una donna grassa con lunghe trecce scure che porta un fagotto di coperte colorate. Quando la spinge gentilmente un po' di lato, per trovare il suo posto nella fila, si rende conto che al centro del fagotto c'è il volto minuto di un bambino piccolissimo, che spicca col suo candore tra le stoffe multicolori, così come il cuore di un fiore risalta tra i petali. Con gli occhi chiusi e la rosea boccuccia semiaperta, il neonato dorme di un sonno sereno e imperturbabile in mezzo al vento tiepido e al frastuono della manifestazione.
Sebbene non se ne intenda di bambini, e non preveda di approfondire neppure in futuro le sue conoscenze in merito, Doody non può fare a meno di sentirsi commosso davanti a una nuova vita in questo inizio di primavera così promettente. Sorride alla madre, che nel ricambiare mette in mostra dei denti simpaticamente storti, e riprende la marcia con il cuore che canta dalla felicità.

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L'aria scotta come all'interno d'un forno in quest'estate del 1980. Quando Betty rientra sbuffando dal cortile con una bracciata di biancheria asciutta, secca come carta vetrata, la porta della cucina emette un cigolio degno di un film dell'orrore.
"Quante volte ti devo chiedere di dare olio a questa stramaledetta..." comincia ad urlare prima di ricordarsi che Kenickie ha portato i piccoli al mare. Dopo un'intera settimana passata a lottare con la smania di libertà di Karen, la passione per la batteria di Keith e l'inesauribile esuberanza di Brian e di Berryl, detti Mad e Max per la scia di distruzione che segue il loro passaggio, la furia omicida doveva brillare nei suoi occhi, perché si è offerto di accompagnare i piccoli in spiaggia senza che ci fosse bisogno di chiederlo.
Karen è andata in gita a Santa Barbara e Keith è nel seminterrato ad assemblare l’aeroplanino che i nonni gli hanno regalato per il compleanno. Dopo aver piegato il bucato, la padrona di casa comincia a raccogliere i giocattoli sparsi qua e là; sta esaminando un disegno che spuntava da sotto il tappeto e in cui Berryl ha ritratto suo padre al volante di una macchina che sembra una scatola da scarpe, quando suona il telefono.
"Ciao, Betty, siete in casa?"
"Solo io e Keith, veramente. Gli altri sono tutti fuori. Come va, Sandy?"
"Così. Uhm, senti... Ti dispiace se faccio un salto lì?"
"Certo che no. Quando vuoi venire?"
"Potrei essere da te tra circa dieci minuti."
"Oh. Va bene, allora. Ti aspetto."
Si presenta alla porta dopo dodici minuti, puntuale, precisa e inappuntabile come sempre; mentre la fa accomodare sul lato meno sfondato del divano e si siede a sua volta sul cuscino macchiato di cioccolato di una poltrona, Betty non può fare a meno di chiedersi per quale strano prodigio il leggero abito longuette color azzurro vivo non si appiccichi a quelle gambe snelle, come certamente farebbe alle sue. Invariabilmente bionda e perfettamente magra, a un occhio meno esercitato quella che è la sua migliore amica da vent'anni potrebbe sembrare l’incarnazione stessa della serenità.
“Che cosa succede, Sandy?” le chiede senza stare a menare il can per l’aia “Mi fa piacere vederti e tutto quanto, ma se mi piombi in casa così di domenica pomeriggio sospetto che una ragione ci sia.
Sandy guarda attraverso la finestra del soggiorno il prato rinsecchito e gli spettri di rose miniatura e di impatiens balsamina lungo il vialetto come se non li avesse mai visti prima.
"Sempre diretta al sodo, eh, Rizzo?"
"Ormai sono vecchia per cambiare" risponde infilando un braccio sotto l'imbottitura della poltrona per estrarne uno stampino per biscotti a forma di animale "Guarda qui: quei due delinquenti vengono di soppiatto a rubare nei miei cassetti. Come se non avessero abbastanza giocattoli!"
"Come stanno i gemelli, a proposito?”
“Scoppiano di salute. E prima o poi scoppierò anch’io. Grazie al Cielo, oggi Kenickie li ha portati al mare.”
Sandy sbarra gli occhi.
"Beh, che c'è di strano? È o non è il padre?"
"Questo lo puoi sapere solo tu." ridacchia Sandy "Anche se a dir la verità Berryl ha proprio i suoi occhi."
"Ha proprio anche il suo orribile carattere, se è per quello."
L'altra alza le spalle "Tutti e due avete un carattere orribile."
"Anche questo è vero." ammette Betty dopo averci riflettuto un momento. "Lo vuoi qualcosa di fresco da bere? Magari una Coca."
"Assolutamente sì, grazie. Sono in un bagno di sudore."
"Non posso credere che una signora come te faccia una cosa così plebea come sudare."
"Oh, che cosa avrei io di diverso da te?"
"A parte i dieci chili in meno, i quattro anni di college in più e il taglio nuovo che ti sei fatta questa settimana?"
La replica è pronta e inattesa: "A parte un matrimonio felice, quattro figli meravigliosi e i biscotti a forma di... che cos'è quello, un papero?"
"Non è un papero, è un cagnolino." protesta Betty. "E comunque io non faccio i biscotti."
"Sì che li fai."
"E tu come lo sai?"
"Una volta ho sentito Kenickie mentre lo diceva a Danny."
"Ci vuoi del rum nella tua Coca? Io per me ce lo metto di sicuro. E comunque voglio andare a fondo a questa cosa di Kenickie che va in giro a parlare di me che farei i biscotti."
"Rizzo fa i biscotti! Rizzo fa i biscotti!" la canzona Sandy, seguendola in cucina.
"Forse una volta o due, giusto per riempire la bocca ai bambini e farli stare zitti dieci minuti." tergiversa Betty, richiudendo la porta del frigorifero con tanta energia che metà dei disegni che vi sono appesi sopra scivola quasi fino a terra.
"Li fai per Halloween e anche per la festa del papà - prepari quelli con la cannella che piacciono a tuo marito. E a Natale ci metti dentro le scorzette d'arancia." precisa impietosamente l'amica.
"Di cedro. Come li faceva mia nonna. Sei contenta, adesso?" Rovista tra le bottiglie di succo di frutta finché non ne trova una con un'etichetta sulla quale è scritto Prugne. "Lo vuoi anche tu un goccio di rum in incognito?" aggiunge strizzando l'occhio.
"Astuto. Versa. Ecco, così può bastare. Sei fortunata ad avere tutto questo."
Betty dà un'occhiata a quello che la circonda: muri bisognosi di una mano di pittura, mobili malandati, porta cigolante e frigorifero nuovo di zecca, ma ancora da pagare quasi per intero.
Non sembrano il tipo di cose in mezzo a cui vive una donna fortunata, ma sono lo scenario perfetto per un'iraconda casalinga suburbana con quattro figli tra i quattro e i sedici anni e un uomo..., beh, lui potrebbe essere peggio, tutto sommato. Nemmeno lei è perfetta, d'altra parte.
Mentre il prato davanti alla casa porta i segni non solo della prolungata siccità, ma anche delle scorribande dei gemelli, il piccolo orto contro lo steccato posteriore prospera sotto le innaffiature regolari e le cure assidue di Betty, alla quale non importa affatto che in questo quartiere, meno popolare di quello in cui abitavano prima, il pollice verde sia apprezzato solo quando produce inutili petali vellutati e non preziosi pomodori, rossi come il peccato e altrettanto gustosi. I frutti che maturano sotto il sole implacabile di agosto sono così grossi che si possono vedere attraverso i vetri della finestra, persino restando seduti al tavolo.
“Ricordami di darti qualche pomodoro, Sandy” dice riportando la sua attenzione sull’amica, che sembra osservare il ripiano di formica verde del tavolo come se volesse censirne ogni macchia e ogni scalfittura. Se è veramente così, ci vorrà del tempo.
Ma quella scuote il capo senza alzarlo.
“Non li vuoi?” si stupisce Betty “Guarda che mi danno più soddisfazioni quei pomodori di tutti e quattro i miei figli messi assieme.”
A questo punto Sandy si alza a metà dalla sedia e si allunga sopra il tavolo per abbracciarla. In vent’anni di frequentazione, non è certo la prima volta che riceve un abbraccio da Sandy; ma dal momento che qui nessuno sta seppellendo un parente stretto o si è appena sposato, Betty si spaventa un po’, anche se cerca di non darlo a vedere.
“Ehi, ehi.” chioccia imbarazzata “Che cosa succede?”
L’altra si stacca e ritorna al suo posto, asciugandosi gli occhi con un lembo dell'ampia gonna.
“Come farò senza di te?”
“Solo perché Danny e Kenickie lavorano insieme, questo non vuol dire che..."
“Torno in Australia.”
Betty apre e chiude la bocca un paio di volte; poi guarda meditabonda il suo drink valutando se non sia il caso di rinforzarlo con un rabbocco di rum. No che non sarebbe una buona idea: fa troppo caldo.
"A lui l'hai già detto?"
"Cosa?"
"Che cosa secondo te? Forse che Carter non ce la farà mai contro Reagan?" sbuffa Betty "Volevo sapere se hai già detto a Danny che ti trasferisci in Australia."
"Certo che gliel'ho detto."
"Come l'ha presa?"
"Lo conosci da prima di me: ha fatto l'indifferente."
"Già, avrei dovuto immaginarlo."
A dir la verità, non sembrava tanto indifferente tre mesi fa, quando si è presentato alla loro porta alle due del mattino, ma non c'è bisogno che Sandy lo sappia. "Ci hai pensato bene? Andare via così significa che è proprio finita" dice invece Betty.
"È finita a maggio, quando abbiamo divorziato."
"Ma sembra meno definitivo, finché si resta nello stesso continente. Non riesco ancora a crederci, che tu e Danny vi siate lasciati."
"Allora fattene una ragione, Rizzo, perché io e Danny non torneremo mai assieme" ribatte l'ex signora Zucko con gli occhi pieni di lacrime, e improvvisamente sembra molto lontana da quella cucina e da quella vita, quasi che avesse già cambiato emisfero. "Sai come succede? Un po' alla volta si diventa diversi e ci si allontana sempre più, finché si soffre troppo a stare assieme; a quel punto si deve troncare, perché tutti i sogni e tutti i sentimenti che ci sono stati in passato sono diventati come una pianta, che ormai è morta e perciò va tagliata."
Sentendo Sandy parlare di rami secchi da recidere, a Betty viene in mente che, se dovesse separarsi da Kenickie, si sentirebbe esattamente come qualcuno a cui viene amputato un braccio. Del resto, questo sole d'agosto che batte a picco, sotto cui sfioriscono e avvizziscono i teneri petali dell'impatiens balsamina, è lo stesso che fa crescere i suoi pomodori sempre più forti e vigorosi.
'È proprio così che è andata.'conclude dentro di sé 'No, decisamente non sono state rose e fiori. Ma forse sono stati pomodori'.

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La vigna a Nord non assomiglia a nessun'altra: la forma dell'appezzamento è irregolare, la pendenza del terreno non è costante e perfino i filari, lungo cui crescono le viti, non sembrano altrettanto diritti e ben allineati che negli altri settori della tenuta. Se Frenchy fosse una persona incline all'autoanalisi e all'introspezione, si chiederebbe forse come mai sia diventata proprio questa la meta preferita delle sue passeggiate; e se magari la vera ragione è perché questa vigna tutta storta non c'entra niente con il resto della proprietà, nello stesso modo in cui lei stessa non s'intona affatto all'orgogliosa dinastia di produttori di vino della quale è entrata a far parte. Ma Frenchy ha attraversato questo mezzo secolo abbondante di vita senza mai dedicare un pensiero alle motivazioni profonde delle sue azioni e non è probabile che muti atteggiamento proprio adesso, mentre si gode la sua passeggiata solitaria sotto il pallido sole di novembre tra i tronchi rinsecchiti e contorti, spogli ormai anche del ricordo delle ultime foglie scampate alle piogge d'autunno.
Mentre le alluvioni stanno ancora devastando gli stati centrali, in California è già ritornato il bel tempo e la Napa Valley offre in questo luminoso pomeriggio tutta l’estenuata dolcezza dei caldi marroni della terra e dei rami, l’antica saggezza del polveroso verde delle siepi e il giallo brunito delle ultime, valorose foglie, cadute ma non per questo annientate.
La vendemmia del 1993, seppure non eccezionale, è stata abbondante e di buona qualità; il marito e i cognati sono soddisfatti e hanno grandi aspettative riguardo al vino che sta già maturando nelle cantine tra l'una e l'altra delle complicate e misteriose fasi di produzione, che a Frenchy continuano a sembrare simili a esotici riti, in cui gli officianti indossino però camici e grembiulini al posto di tonache porporine e di strani copricapo. Del resto, a nessuno importa niente che lei capisca qualcosa di vigne e di cantine, purché continui a staccare quei graziosi assegni che hanno rimesso in piedi la proprietà e riportato il marchio dei Cattani-Vor Gering sugli scaffali delle enoteche di tutto il paese.
E lei paga, paga e paga ancora senza battere ciglio, perché mentre i sudati risparmi dei poveri cristi e le principesche fortune dei profittatori vecchi e nuovi scomparivano tutti insieme, in modo assai democratico, nel gorgo creato dal crollo della Borsa, i suoi quattrini sono rimasti al sicuro e al calduccio nella fertile terra californiana fruttificando sotto forma di grappoli profumati, che hanno lo stesso colore dell'ambra e dei granati.
Se per circa un decennio e grazie alla sua insospettabile inventiva in materia di parrucchini e toupet, Frenchy ha fatto i soldi aggiungendo peli a coloro che essendone sprovvisti, in epoca di chiome fluenti ne sentivano la mancanza, nei dieci anni successivi ha consolidato il suo patrimonio nel mercato delle cerette depilatorie e degli epilatori, in pratica cioè, togliendo i peli a quelli che al contrario pensavano di averne in eccesso. Il suo angelo custode doveva essere nelle vicinanze il giorno in cui ha deciso di accettare la più che generosa offerta di una grande azienda del settore cedendo la maggior parte delle sue attività commerciali per investire quasi tutto il ricavato nelle vigne e nelle cantine della famiglia del marito.
Quando volge lo sguardo verso l'abitazione al centro della tenuta, che spicca con i suoi muri candidi e le sue forme squadrate nel paesaggio dolcemente mosso, composto da vigne, da strade vicinali e da qualche appezzamento coltivato a frutteto, scorge qualcuno vestito di rosso e di blu venire verso di lei a passo spedito, per non dire di corsa.
Da quella distanza è ancora impossibile distinguerne i lineamenti, o anche solo capire se sia un uomo o una donna; ma il fatto che sostenga senza sforzo apparente un'andatura così sostenuta, basta a far sospettare che si tratti di una persona giovane.
Una punta d'ansia penetra nel cuore fino a quel momento sereno di Frenchy, che sente il suo stato d'animo spensierato afflosciarsi come un palloncino bucato. Il ricordo di altri momenti irrimediabilmente sciupati e di altri messaggeri, venuti in passato a portare cattive notizie che non potevano aspettare d'essere comunicate, trascina con sé una ventata di freddo autunnale e nonostante la pregiatissima lana del suo leggere golfino azzurro a maniche corte, pagato una fortuna durante l'ultimo viaggio a Londra, un brivido la percorre dalla testa ai piedi.
Poi il nuovo venuto, nell'agitare le braccia per attirare la sua attenzione, fa cadere inavvertitamente il copricapo blu, rivelando una folta capigliatura castana, inequivocabilmente femminile. Frenchy sorride, improvvisamente dimentica del funesto presentimento di poco prima; e a sua volta affretta il passo per accelerare l'incontro. Helen le vola tra le braccia, salda e resistente come una pianta rigogliosa, profumata di gioventù e di shampoo come un intero salone di bellezza.
"Avevi detto che non saresti riuscita a venire."
"Volevo farti una sorpresa."
"Non avrai mica corso, vero?"
Le domande e le risposte si accavallano mentre madre e figlia prendono di tacito accordo la via verso casa: la passeggiata di Frenchy è finita nel migliore dei modi, ora che Helen è tornata a casa dal college in tempo per festeggiare il Ringraziamento in famiglia.
"Hai già visto tuo padre?"
"No. Dev'essere in giro anche lui per la tenuta. Non dovreste starvene a casa a fare le cose che fanno i genitori il giorno del Ringraziamento?"
La madre ride, mentre la ragazza si ferma a raccogliere il berretto blu da terra.
"Il tacchino è nel forno e tuo padre rientrerà presto."
Helen la guarda incredula.
" L'hai fatto tu il tacchino?"
"L'ho riempito e l'ho infornato io." protesta Frenchy con sincera indignazione, perché non è stato per niente facile farcire quel volatile gigantesco con il ripieno preparato dalla domestica messicana. "Ehi, ma il tuo berretto..."
"Sì!" esulta Helen, saltando e sventolando in aria il cappellini, su cui si scorge la scritta Berkeley Softball Club "Sono in squadra!"
Mentre aspettano che Claude ritorni per potergli dare la grande notizia, tirano fuori dai cassetti e dagli sportelli della sala da pranzo le risplendenti posate d'argento, la candida tovaglia di Fiandra profumata di lavanda e le stoviglie di finissima porcellana decorata a mano. Quando suona il telefono, Helen, che sta ripassando con un panno i bicchieri di cristallo uno a uno, prima di appoggiarli con millimetrica precisione al loro posto, corre verso lo studio così in fretta che sua madre si chiede se per caso non stia aspettando la telefonata di un qualche ragazzo. Ma non è per lei, perché ritorna subito.
"La tua amica, Marty Maraschino."
L'ansia che l'arrivo di Helen ha dissipato poco prima, nella vigna, si ripresenta con rinnovata forza, come se in precedenza se ne fosse andata solo per poter prendere meglio la rincorsa.
Stranamente Helen la segue nello studio, come se volesse origliare la conversazione; o come se avesse capito dalla voce di Marty che c'è qualcosa di grave.
"Marty, sono contenta di sentirti..."
"Doody." la interrompe l'altra. No, non proprio oggi che siamo felici, pensa Frenchy egoisticamente e subito se ne vergogna.
"Che cosa è successo?" chiede. Ma già immagina la risposta.
"È morto la notte scorsa. Alla fine è stata una polmonite." Marty comincia a piangere.
"Oh, no. Mio Dio. Ma quando... io ero stata a trovarlo subito prima della vendemmia." Non ricorda la data precisa, perché nella sua famiglia si vive così, con un immaginario calendario che al posto dei nomi dei mesi riporta in cima alle pagine parole come Vendemmia, Imbottigliamento o Spillatura.
Cerca di ricordare com'era la faccia di Doody un tempo, prima della malattia, ma non ci riesce.
"Sì, me l'aveva detto: stava ancora abbastanza bene, allora. I funerali saranno dopodomani alle due di pomeriggio."
Guardandola in silenzio, Helen le passa carta e penna per annotare data, ora e luogo della cerimonia funebre.
Marty ha fretta di riattaccare: ci sono altre telefonate da fare, altre persone da avvertire e altre feste del Ringraziamento da rovinare. Frenchy s'incarica di chiamare in Australia Sandy, che è molto improbabile possa venire al funerale, ma manderà certamente un mazzo di fiori con un biglietto di condoglianze.
"Era un tuo amico dei tempi della scuola, vero?" chiede la figlia, rattristata."Di che cosa è morto, mamma?"
Se Frenchy rispondesse che è stata una polmonite, non sarebbe nemmeno una bugia.
"Di AIDS." dice invece guardando Helen negli occhi.
"Oh." Forse la ragazza è curiosa di sapere se Doody fosse gay o se avesse invece contratto l'infezione attraverso una trasfusione di sangue o in qualche altro modo. Però non lo dà a vedere.
Frenchy è così orgogliosa di lei.

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Sebbene dalla finestra della camera dell'ospedale,la neve sui marciapiedi sembri bianca e pulita, Danny sa perfettamente che invece è una lurida lastra scivolosa che si attacca alla suola delle scarpe e che infradicia l'orlo dei pantaloni. Nonostante viva ormai da più di vent'anni a New York, non ha mai smesso di rimpiangere i miti inverni della California, soprattutto quando la neve, dopo essere restata a lungo nelle strade, sui tetti e sui terrazzi, si scioglie in gelidi goccioloni che s'infilano all'interno del colletto della giacca e che di notte cadono senza sosta sull'asfalto. tenendo svegli i malcapitati che vivono al pianterreno.
Ma in quest'inizio di febbraio è ancora presto per preoccuparsi di cosa accadrà quando la morsa del freddo cederà la sua presa sulla città, che si dibatte nel suo scomodo abbraccio, immusonita ma niente affatto doma, ormai da quasi sei settimane.
In quella direzione, al di là di centinaia e centinaia di strade, al di sopra di innumerevoli edifici in cui diversi milioni di persone conducono le loro minuscole esistenze, proprio là in cima si stagliava fino a cinque anni fa l'inconfondibile profilo delle Torri Gemelle.
Come la gran parte dei newyorkesi, Danny vive quasi tutta la sua vita nel familiare sottoinsieme formato da un pugno di strade in cui si concentrano i luoghi della sua realtà quotidiana e di solito non ha più occasioni di sentirsi parte di una grande metropoli di quante non ne avesse in quella insignificante cittadina sulla costa occidentale, dove è nato e cresciuto. L'undici settembre è stata una delle poche eccezioni, uno dei rari giorni in cui New York e Danny Zucko hanno intrattenuto una relazione significativa.
Ma dopo quasi cinque anni tutto è ritornato, non come prima, perché questo sarebbe impossibile, ma più o meno alla normalità, al punto che Danny ricomincia a pensare a New York come alla città in cui spera di non morire. Non a breve termine, se non altro.
Volge le spalle alla finestra e guarda il suo compagno di stanza, che dorme con la bocca aperta e al quale gli occhi infossati e la pelle grigiastra, tirata sugli zigomi ma molle attorno al collo, com'è tipico di chi ha perso molto peso in poco tempo, conferiscono un aspetto precario e sofferente. Poiché ha due anni meno di Danny e soffre della sua stessa malattia, perciò è difficile non pensare che tra non molto qualcuno, guardando proprio lui,potrebbe fare le medesime considerazioni.
Trascinandosi dietro con una certa destrezza il trespolo a cui è appeso il bottiglione della flebo, Danny si siede sul letto e prende in mano il giornale, dove il quotidiano massacro in Iraq divide la prima pagina con l'ondata di freddo che sta mettendo in ginocchio gli stati centrali.
La vestaglia di flanella gli scivola dalle spalle e deve armeggiare faticosamente per rimetterla a posto, intralciato sia dal tubo della flebo che dal mal di schiena.
'Che brutta cosa diventare vecchi.' pensa Danny. Strano che l'alternativa, cioè morire prima della media, perda ogni attrattiva quando uno scopre di essere seriamente ammalato.
Se sarà fortunato, l'operazione e la chemioterapia gli salveranno la vita. La riflessione sorge spontanea: 'Devono aver detto esattamente le stesse cose al mio vicino di letto'.
"Si può?"
"Diavolo, Kenickie, sei proprio tu? Vieni dentro, non vedi che sono attaccato a questo maledetto affare. Perché non mi hai detto che saresti venuto?"
L'altro entra zoppicando e dopo aver dato un'occhiata all'occupante del letto a fianco, risponde a voce troppo alta: "Perché, avresti preparato una torta?"
Kenickie è secco, diritto e legnoso come un vecchio manico di scopa e per il momento, cioé finché non comincerà il ciclo di chemioterapia, Danny può ancora affermare di avere più capelli di lui. Arriva fino al letto, trattiene per qualche secondo la mano bianca e liscia di Danny tra le sue manone scure, rugose e ingrossate da tanti anni di lavoro, poi si curva in avanti e gli dice "Come stai? Molto meglio di quest'altro qui accanto, si direbbe."
"Andiamo fuori. Credi di parlare a bassa voce e invece urli come al solito: sei diventato ancora più sordo."
"Non sono sordo" protesta Kenickie "Ci sento poco per via dei motori. Aspetta, ti aiuto con questo trespolo."
"Non mi aiutare troppo, sta attento a non inciampare nel tubo" avverte Danny afferrandosi all'amico per rimettersi in piedi "Sei venuto in aereo?"
"In treno: Berryl ha avuto il bambino prima del tempo, e così siamo stati a trovarla. Avrei voluto noleggiare una macchina per venire a New York ma Betty non ha sentito ragioni e mi ha caricato su un treno, come se fossi un vecchio rimbambito. Stupida d'una donna."
"Ha fatto bene: con le strade in questo stato non avresti potuto guidare. Come va la gamba, a proposito?"
Kenickie si dà una manata sulla coscia destra, che è visibilmente più sottile dell'altra: una brutta frattura due anni fa, e dopo una serie di operazioni e di ingessature, questo è il meglio che i medici hanno saputo fare. "Non potrò più dare spettacolo ballando, ma non mi lamento. E tu? Tua moglie dice che le analisi non vanno male."
Lo scruta senza riguardi dalla punta della testa pelata giù fino alle ciabatte di feltro, la cui vista gli strappa una smorfia di disgusto. "Sei conciato da far schifo, vestaglia di flanella e tutto quanto, però ti trovo bene, per essere uno che è appena stato tagliato e ricucito."
"Signor Zucko, così si fa." approva sorridendo un'infermiera che sta passando nel saloncino con un carrello carico di flaconi di medicinali "Scommetto che un po' di compagnia e una passeggiatina le faranno tornare l'appetito."
"Brava donna" commenta Danny mentre lei si allontana in un lieve tintinnare di vetri.
"Non saprei: non trovi che assomigli un po' alla McGee?" osserva Kenickie lasciandosi cadere su una poltroncina con una smorfia di dolore.
Con calma, Danny si sistema sulla sedia accanto, tirandosi il trespolo della flebo vicino al bracciolo.
"Che memoria hai. Come cavolo fai a ricordartela, la McGee?"
"Tu dimentichi la statua, quella davanti alla Rydell. Ci ho pisciato contro anche la scorsa settimana." risponde Kenickie con indifferenza.
Danny sghignazza in modo assai inopportuno per una persona anziana, rispettabile e pure malata. "Oddio, ma che cosa dici? Non mi far saltare i punti. Ora che ci penso, non ti ho mica chiesto del bambino di tua figlia. Hai detto che è nato prima del tempo?"
"Non riferirlo a Betty se no mi ammazza, ma a me quella creaturina sembra proprio un coniglietto spelacchiato, per quanto i dottori dicano che sta bene. Comunque settimana prossima rientra mio genero, così noi ce ne torniamo a casa."
"Quanti nipoti avete? Temo di aver perso il conto."
"Che ne so io, l'unica cosa che so è che è sempre il compleanno di qualcuno."
"Non dire cavolate: scommetto che tieni tutte le fotografie bene in vista nel portafogli. Allora, racconta: come va la Greased Lightnin' ?
"Non è più la Greased Lightnin'." bofonchia il suo ex-socio. Poi, di fronte l'espressione di Danny, sbotta in un'amara risata. "Non lo dire a me. Adesso è diventata la Paul's Corner."
" Paul's Corner ." Danny si rigira in bocca il nuovo nome dell'officina come se fosse un boccone disgustoso."Ma perchè?"
"Innanzitutto perché Paul è un idiota megalomane. Ma ufficialmente perché le strategie di marketing degli anni Settanta sono ormai obsolete ." risponde Kenickie scimmiottando il tono pieno di boria del responsabile del cambiamento di nome.
"Paul's Corner. Sembra un bar per checche."
"Ti prego, non rigirare il coltello nella piaga. Per fortuna gli affari non paiono risentirne. Sai che cosa ti dico, Danny? È colpa tua: non avresti mai dovuto lasciarmi da solo con quell'imbecille."
"Gavin era un brav'uomo." si giustifica l'amico "Come potevamo prevedere che suo figlio sarebbe diventato un simile idiota?"
"Se però tu fossi restato, sarebbe stato diverso."
"Lo so. Ma dopo il divorzio, dovevo cambiare aria. Bene o male, qui a New York mi sono rifatto una vita. E poi ci sono Mabel e i ragazzi."
"Mabel è a posto. E in quanto ai tuoi figliastri, lo dico sul serio: nemmeno se fossero veramente sangue del tuo sangue, potrebbero fare di più."
Passando, l’infermiera ha aperto la tenda della vetrata, perché il gruppo di piante ornamentali davanti alla finestra approfitti per qualche ora di quel po’ di luce naturale. C’è un palazzo molto alto, dall’altra parte della strada sul retro dell’ospedale, perciò si riesce a vedere solo un riquadro di cielo grigio. È un’altra giornata che non sa dove andare a parare, incerta tra l’offrire un’ulteriore spolverata di neve o un’elemosina di sole: nel dubbio, è probabile che tiri a campare fino a sera con uno scialbo compromesso. Al diavolo, almeno oggi c’è Kenickie.
"L'ho sentita." dice Danny.
"Chi?"
"Sandy. Mi ha telefonato prima del ricovero. Immagino che abbia avuto il numero del mio telefonino da voialtri."
"Da Betty. Si scambiano e-mail, ci crederesti? Come le ragazzine. Se penso che mia moglie non ha nemmeno mai imparato a scrivere a macchina... Quindi sai già che Sandy pensa di venir su a primavera. Che poi sarebbe il suo autunno."
"Sì, mi ha accennato qualcosa. È buffo che voglia venirmi a trovare, anche dopo tutti questi anni."
"Io non ci trovo niente di buffo. Solo perché avete divorziato e le vostre vite sono andate avanti ognuna per conto suo, non vuol dire che non le importi di te. Voi due eravate..." Kenickie corruga la fronte e si guarda attorno in cerca della definizione. Curiosamente, sembra trovarla nel rosso fiore stellato di una rigogliosa poinsettia: "...davvero speciali." conclude
“Parli come la psicologa dell’ospedale. Sai, le stronzate sull’atteggiamento positivo e balle varie.”
“Stronzate.” concorda Kenickie, solidale.
“Appunto. Secondo lei, se io mi rendessi conto che sono speciale, allora questa bastarda di malattia si spaventerebbe e scapperebbe via.”
“Non posso credere che ti abbia detto veramente una scemenza del genere.”
“Il senso era quello. Ma le cose sono un po' diverse, secondo me. Innanzitutto devo cominciare la chemioterapia, e sospetto che non sarà molto allegro. E poi, chissà come andrà a finire.” Ecco, finalmente l’ha detto ad alta voce.
L’altro cerca di interromperlo, ma lui prosegue: “Aspetta, lasciami parlare. Sai, ieri ho visto in televisione uno di quei vecchi film. Dove c’è il tizio che deve fare un duello e il suo amico va sempre con lui, perché è il suo, come si dice?, luogotenente.”
“Devono averne girati a centinaia, di film così.” osserva Kenickie dopo una lunga pausa. Si è un po’ girato di lato, perché da questo orecchio ci sente meglio che dall’altro. ‘Sembra uno spaventapasseri, ma perdiana, è Kenickie.’ pensa Danny prima di continuare il suo discorso: “Io e te siamo amici da un bel po’.” fa una pausa, imbarazzato, gira gli occhi e si accorge che il livello del liquido nella flebo è ormai al minimo. Accidenti. “Cazzo, quest’ affare è quasi finito. Aiutami, devo tornare nella mia stanza e suonare per farmi sostituire il flacone.”
Ubbidiente, Kenickie si rimette faticosamente in piedi e gli tiene fermo il trespolo mentre lui si alza a sua volta. Lo guarda, solenne e ridicolo con quei quattro capelli sparati in aria che gli sono rimasti in testa.
E poi, all'improvviso, lo abbraccia.
Devono sembrare piuttosto ridicoli: due vecchi rimbambiti che si tengono stretti (ma non troppo, perché entrambi hanno ossa doloranti e cicatrici che fanno male), con le mani l’uno sulla schiena dell’altro e lacrime che premono per scendere a tradimento da quegli occhi presbiti e che invece, cascasse il mondo, resteranno dove sono. Ma se non altro non hanno nessuna fretta di separarsi, adesso che siamo nel nuovo millennio; ed è una fortuna, perché questa volta, pettinarsi per darsi un contegno sarebbe un bel problema, dato che a nessuno dei due è rimasto molto materiale utile allo scopo.
Anzi, a voler esser precisi, si potrebbe persino dire che ormai non è restato moltissimo da nessun punto di vista.
Sarebbe d'aiuto se solo Danny riuscisse a sentirsi saggio, così come uno legittimamente si aspetta di diventare con il passare degli anni. E invece no, dentro di sé ha sempre diciotto anni ed è ancora il medesimo idiota: forse è proprio questa, a pensarci bene, la peggiore fregatura della vecchiaia.
Ma c'è almeno una cosa su cui non si sbagliava: lo sapeva, che sarebbero rimasti amici per sempre.

  
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