Agosto.
Si, viaggiare
evitando
le buche piu' dure
senza per questo
cadere nelle tue paure.
Sì viaggiare, Lucio Battisti.
Agosto, partenze.
Gli
esami di maturità? Finiti da un pezzo.
Ed
io non potevo far altro che gioire. Benchè fossi stata sempre una ragazza
studiosa, una secchia sì, avevo odiato la mia scuola con tutto il cuore.
Il
luogo che dovrebbe insegnarti a vivere non era altro che un ammasso di
pregiudizi che distruggevano i più deboli. Io e la mia migliore amica avevamo
ormai imparato a fregarcene di quello che gli altri pensavano, ma purtroppo
c’era ancora chi si faceva abbattere da un commento di troppo. E i professori
in questo non aiutavano.
Pigri,
annoiati e cinici. Il ritratto di una società senza valori.
Ed
io? Oh, io volevo combattere. Non mi sarei cullata nella sicurezza che può dare
uno stipendio fisso. Non era certamente quello a renderti felice.
Avrei
fatto di tutto per cambiare almeno un po’ le cose. Per rendere la mia vita e
quella degli altri meno superficiale e frivola. Scienze sociali mi aspettava.
Ma
prima di quello un viaggio.
Zaino
in spalla, niente cellulare, solo il necessario con me. E la mia Ino
naturalmente.
La
mia amica di sempre aveva deciso di accompagnarmi sebbene fosse un po’ restia
alle mie condizioni. Ma come aveva detto lei stessa “Fronte Spaziosa, con l’orientamento che hai potresti benissimamente
scambiare Londra con Parigi. Tu hai bisogno di me.”
Ed
era così. Ino era tutto per me. La mia famiglia, il mio mondo.
Io
esistevo se lei esisteva. Una sorella, Ino.
Espansiva,
presuntuosa, teatrale. Sì, eravamo due opposti.
Spesso
rideva sul fatto che avrebbe incontrato un mio alterego maschile e se ne
sarebbe innamorata follemente. Una persona calma, paziente e silenziosa. Rido
io, ora, al pensiero che senza il mio viaggio tutto questo non sarebbe stato
possibile.
Ma
a quel tempo eravamo solo noi due. Ino e Sakura.
Pronte
ad affrontare il mondo.
Due
ragazzine senza mezzi che stavano sfidando la natura.
A
me non importava di alloggiare in hotel lussuosi o di avere una macchina a
disposizione. Era nell’avventura che
trovavo la vita.
Affrontare
sfide, sapere che niente è certo. Combattere e cambiare continuamente.
Solo
questo mi avrebbe permesso di capire davvero come funziona il mondo.
Si
sa che i treni tardano sempre. E’ nella loro natura essere fuori orario.
Me
lo aveva spiegato mia madre, una mattina di dicembre di tanti anni fa mentre io
sbuffavo. Odiavo aspettare.
Eppure
quel giorno non mi pesò per niente.
L’eccitazione,
l’euforia. Ero pervasa da questi sentimenti.
Ino
mi aveva preso in giro.
“Fronte
Spaziosa non vai a sposarti!” “Molto meglio, Ino. Molto meglio.”
Poi
lei si era accesa una sigaretta, buttando il pacchetto ancora pieno.
“L’ultima
prima di questa avventura, no? Se dobbiamo camminare, meglio che impari da
subito a tenere il fiato per me.”
A
quella risposta mi ero fermata. “Torna, Ino. Non lo vuoi fare.”
“Ascoltami
bene, Sakura. No, ok? Non lo voglio fare. Credo sia un’idea assurda. Niente
cellulari? Niente hotel? Non è esattamente la mia idea di vacanza, ma non
importa. Ho deciso ormai. Ho deciso di stare con te, di non lasciarti sola.
Quindi smettila di ripetermi sempre le stesse cose. Non me ne vado, Fronte
Spaziosa. ”
Io
le avevo semplicemente sorriso, incapace di rispondere.
Non
avevo mai visto Ino così seria.
Agosto, ancora
Giappone.
Prima
dell’Europa decisi di tornare ad Osaka un’ultima volta.
Dovevo
vedere assolutamente una persona prima che fosse troppo tardi.
Passai
dal tempio Shitenno-ji mentre lasciai Ino libera di girovagare per il quartiere
Ame-mura, il villaggio americano. Un quartiere ricco di locali e negozi. Oro
per la mia migliore amica. Entrai nel tempio, ricordando le ore passate a
pregare con mia madre, quando ancora abitavamo nella capitale della buona
tavola. Avevo solo cinque anni, ma ricordavo ogni dettaglio. Come potevo,
d’altronde, scordare l’unico periodo in cui eravamo stati una vera famiglia? Le
lacrime scesero giù ed io lasciai il tempio dietro di me per l’ultima volta.
Non
sarei tornata mai più, faceva troppo male.
Camminai
parecchio, poi finalmente trovai la casa.
Tsunade Haruno. Mia nonna.
La
porta era aperta, ed io entrai sorridendo alle foto dell’ingresso.
Una
donna, poi, comparve all’improvviso.
“Scusi,
chi è lei?” mi domandò con cortesia.
Era
giovane, i capelli neri e corti le incorniciavano il viso alla perfezione.
Ciò
che mi colpì fu, però, il maialino che aveva in braccio.
Le
chiesi di Tsunade-Hime e mi indicò il giardino.
La
superai ed uscii fuori. L’enorme albero di ciliegio c’era ancora e sembrava
quasi stonare in mezzo a quel giardino minuscolo. L’ultima volta era ancora
piccolo.
Tutto
sembrava fosse invecchiato, eccetto quell’albero. Le crepe ai muri, la vernice
ormai logora, il tavolino sporco quasi come il pavimento e l’altalena a terra.
Oltrepassai il ciliegio. Sulla panchina, all’ombra, vi era mia nonna.
Si
accorse subito di me, ed iniziammo a piangere insieme.
L’abbracciai
forte, lei non aveva le forze per parlare, così iniziai io.
Le
dissi che mi era mancata tanto, che avrei voluto raggiungerla prima, che avevo
visto la lettera e avevo deciso di andare a trovarla.
Lei
sorrideva, calma. Forse aveva ormai accettato l’idea della morte.
Mi
fece capire che le avevo restituito la gioia tornando da lei.
“Nonna,
io sto partendo. Non sono venuta qui per restare, mi dispiace.”
Mi
staccai da lei. Il suo sorriso c’era ancora, ma le lacrime ripartivano.
La
tenni per mano per un’altra mezzora, poi le diedi un ultimo abbraccio e tornai
in casa.
La
donna di prima mi accolse con un bicchiere d’acqua.
Sapeva
qual era la mia domanda.
“Neanche
un mese. Ha fatto bene a venire.”
Le
sorrisi gentilmente. Poi andai via e non rividi mia nonna mai più.
Il
tumore ai polmoni la stava consumando velocemente e neanche fossi stata il
medico più bravo del mondo avrei potuto fare qualcosa per lei.
Mia
nonna stava morendo e questo era un dato di fatto.E si sa, i miracoli non sono
altro che favole per gli illusi. Ed io non lo ero di certo.
Agosto, lettera ad
Ino.
“Ino,
quando torneremo ti farò
leggere questa lettera.
Vi è il mio grazie più
sincero qua dentro. Quello che non riesco a dirti di persona, perchè, sai, che
con i sentimenti sono una frana. Tu invece sei così limpida. Sei come il mare,
Ino.
Accogli tutti, sei
pulita e fresca. Sei sana. E vorrei avere il tuo stesso coraggio.
Perchè sì, forse è vero
che ti sto portando io in questo strano viaggio, ma tu hai la forza di esprimere
te stessa sempre, amica mia, ed io non vorrei altro che questo.
Ma ti prometto che ce la
farò, che riuscirò a non avere più paura, che manderò a fanculo i sensi di
colpa e sarò felice all’idea di mostrare le mie emozioni.
Perciò grazie Ino. Grazie
per avermi accolto quando sono arrivata a Tokio, grazie per essermi stata
accanto quando mia madre non lo faceva, grazie per avermi difeso sempre e per
aver letto dentro di me senza essere scappata al primo intoppo. Grazie per
questo viaggio. Ti voglio bene, amica mia.
Tua,
Fronte
Spaziosa.”
Fine.