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Autore: Payton_    09/07/2012    2 recensioni
Invece di rinunciare Teddy si ficcò una mano in tasca, estraendo un piccolo orsetto gommoso alla fragola. James non adorava nulla come quelle caramelle Babbane, erano state la sua unica gioia in anni di obbligate visite ai cugini Dursley. «Non mi comprerai così facilmente. Non ho più otto anni» fu la sdegnata risposta che fece sogghignare Teddy, pronto ad estrarre altri orsetti dalla tasca dei jeans. «Tanto sono già miei, li hai presi dal mio vaso» precisò James, incrociando le braccia come volevano da copione quei maledetti geni Weasley. Teddy inarcò un sopracciglio con aria supponente: «Potrei sempre mangiali io» lo sfidò, chiudendo il palmo e ritraendo la mano per evitare che James li rubasse. «Non lo faresti mai» James Sirius/Teddy suddivisa in tre parti.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Teddy Lupin | Coppie: James Sirius/ Teddy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tutta colpa di Oliver Baston

-Parte I-

 

 

Avere diciannove anni dovrebbe essere sinonimo di maturità. Dovrebbe, perché James Potter ne stava dimostrando davvero poca. Questo, a dire della piccola Lily, che a quindici anni riusciva a sgridare il fratello maggiore ed essere quasi ascoltata, tra un brontolio e l’altro. Decisa, l’aveva trascinato per un braccio fuori dal salotto, in corridoio, lontano da orecchie ed occhi indiscreti.

 

«Jamie, smettila di infastidire Teddy e Vic» aveva sentenziato la saputella, incrociando le braccia al petto come faceva loro madre. Geni Weasley, sembrerebbe.  

 

«Non sto infastidendo nessuno» aveva provato a ribellarsi il maturo, le mani in tasca e l’altezza a giocare dalla propria per conferirgli un’aria spavalda.

 

«, che lo stai facendo, da quasi due ore. Sembri zio Percy quando siede tra Lucy e Albert»  continuò Lily. «Mi spieghi il tuo problema? Se ti stai annoiando, Albie è fuori a…»

 

Non sapremo mai cosa stesse facendo Albus, perché James voltò le spalle alla sorellina, salendo le scale per andare in camera propria, lontano – il più possibile tra quelle mura – dai piccioncini che c’erano in salotto.

 

«Dovrai scendere per cena, Jamie» urlò Lily, ricevendo un mugugnio sconnesso per risposta.

 

James sbatté la porta della propria camera sperando che al piano sottostante sentissero il rumore; lanciò le scarpe in un angolo, accese la radio e si gettò sul letto, le mani incrociate dietro la testa.

 

Finalmente la pace. E la solitudine. Una splendida, beata e fottutamente maledetta solitudine che, in tutta sincerità, faceva davvero schifo.

 

James avrebbe voluto trovarsi al piano di sotto, a parlare con Teddy e approfittare di ogni minuto in sua compagnia, ma non poteva. Lily diceva che dava fastidio, ma in realtà era Victoire che gli rubava la scena. In fondo, lei vedeva Teddy ogni giorno. Stronza!

 

La cugina aveva smesso di essere nelle grazie di James nell’istante esatto in cui lui aveva capito che avrebbe voluto essere al suo posto; quando s’era accorto di voler essere abbracciato da Teddy, di volere un suo bacio.

 

James aveva diciannove anni, certo, e avrebbe dovuto essere maturo, ma non ne aveva assolutamente voglia. Era arrivato al così detto limite. Voleva lamentarsi e affogare quella dannata malinconia che non voleva in nessun modo lasciarlo in pace.

 

Per l’appunto - a proposito dell’essere lasciati in pace - nemmeno tre minuti dopo che aveva sbattuto la porta della camera, qualcuno aveva bussato e, senza troppi preamboli, l’aveva spalancata. Ovviamente era Teddy devoassolutamenteconsolaretutti Lupin, sorriso bonario e capelli blu appresso.

 

«Ehi» aveva esordito intelligentemente, sedendosi ai piedi del letto. «Bella canzone.»

 

«La radio. Per me è noiosa» l’aveva liquidato James, deciso a non rendere le cose facili. Abbiamo già detto che non aveva voglia d’essere maturo, no?

 

«Prima o poi dovrai sistemare questa stanza» disse Teddy, storcendo il naso per il disordine che s’era trovato davanti.

 

«Mamma non vuole che uso la magia. Mamma aspetterà in eterno che io usi le mani» fu la risposta secca che James fornì, facendo scuotere la testa a Teddy.

 

«Allora, l’addestramento come va?» chiese Teddy, sorridendo ancora, come se  non ci fosse stato un muro tra loro.

 

«Va’» rispose James, scrollando le spalle con sufficienza. A quel punto, Teddy sospirò rassegnato. «Okay, non renderai le cose più facili. Dai, che succede?»

 

«Niente» rispose prontamente James, facendo intuire che sì, tutto andava male.

 

«Jamie»

 

«Ho detto niente!» esclamò isterico. Troppo. Teddy non riusciva mai a capire quando era il momento di lasciarlo semplicemente sbollire.

 

Invece di rinunciare Teddy si ficcò una mano in tasca, estraendo un piccolo orsetto gommoso alla fragola. James non adorava nulla come quelle caramelle Babbane, erano state la sua unica gioia in anni di obbligate visite ai cugini Dursley.

 

«Non mi comprerai così facilmente. Non ho più otto anni» fu la sdegnata risposta che fece sogghignare Teddy, pronto ad estrarre altri orsetti dalla tasca dei jeans.

 

«Tanto sono già miei, li hai presi dal mio vaso» precisò James, incrociando le braccia come volevano da copione quei maledetti geni Weasley.

 

Teddy inarcò un sopracciglio con aria supponente: «Potrei sempre mangiali io» lo sfidò, chiudendo il palmo e ritraendo la mano per evitare che James li rubasse.

 

«Non lo faresti mai»

 

«Hai ragione, io non lo farei, ma se li offrissi a Vic lei lo farebbe, non sa che sono solo tuoi.»

 

Orsetti alla fragola e Vic. Orsetti alla fragola di Jamie e Vic. Non andava affatto bene.

 

«Dammeli!» tuonò appunto James, deciso.

 

«Dimmi cosa c’è che non va»

 

«Teddy, i miei orsetti!» protestò ancora James, alla faccia del non avere più otto anni. Adesso però non riusciva più ad impietosire il buon Teddy facendo gli occhi da cucciolo indifeso.

 

Si sfidarono in silenzio per qualche istante, fino a quando le spalle di James non si rilassarono. Non riusciva mai a vincere con Teddy. Certo, non capiva mai quando era il momento di farlo sbollire, ma sapeva sempre come calmarlo, persino quando la colpa del suo malumore era sua.

 

«Non è niente, sono solo un po’ nervoso per via dell’addestramento» mentì, cercando di risultare convincente, anche se ingannare Teddy non era per nulla complicato. 

 

«E perché hai discusso con Lily, allora?»

 

«Non lo so, forse avrà il ciclo.»

 

«Jamie!» lo rimproverò Teddy, concedendo una variazione di colore ai propri capelli. Certe cose erano un tabù per lui.

 

«Avanti, Teddy, stai con quella di sotto da quanto tempo? Quattro anni? Sai, anche lei è una donna» lo stuzzicò James, oramai dimentico d’essere arrabbiato.

 

«Quella di sotto ha un nome, per inciso, e poi sono sette anni che sto con lei, non quattro, ed è bene che tu sappia che…»

 

«Okay, okay, lo so» si intromise James, per nulla propenso ad una ramanzina esistenziale da parte di Teddy. «I miei orsetti. Forza»

 

«Non ora» protestò Teddy, allontanando la mano da quelle di James, che frenetiche cercavano di aprirgli le dita. Quel ragazzino era maledettamente forte da quando era diventato una recluta Auror.

 

«Ti ho detto cosa avevo: orsetti» mugugnò James, in ginocchio sopra il letto mentre tentava di rubare le caramelle (sempre alla faccia della maturità dei diciannove anni).

 

«È ora di cena» spiegò Teddy, alzandosi e facendo cadere James sul materasso.

 

«Sembri mia mamma»

 

«Avanti, alzati» ordinò Teddy, e James obbedì, come sempre quando l’ordine proveniva da lui. Non poteva farci nulla, doveva sempre accontentarlo, così come Teddy aveva sempre provato ad accontentare lui, Al e Lily quando erano tre piccole pesti che non volevano fare altre che giocare ad ogni ora.

 

«James» lo chiamò Teddy, serio «voglio ricordarti che se ti serve qualcuno con cui parlare, io ci sono. Gli amici servono a questo.»

 

Uno schiaffo forse avrebbe fatto meno male. Anzi, sicuramente. Quello sarebbe passato, dopo il dolore iniziale. Teddy cercava solo d’essere un buon amico, ma James avrebbe voluto urlargli contro che della sua amicizia non se ne faceva niente, anche se non era propriamente vero.

 

«Vai avanti, arrivo subito» sbiascicò, cercando di sorridere e mostrando quella che invece si rivelò una smorfia di disappunto. Fortunatamente, Teddy non se ne accorse o finse di non farlo.

 

«E Jamie,» aggiunse invece, poggiando una mano allo stipite della porta «è arrivato Der: comportati bene.»

 

In quel momento, James capì che al peggio non c’era davvero fine.

 

 

 

*

 

 

 

La scena era comica; o almeno per qualcuno doveva per forza esserlo.

 

«James, prendi tu i piatti?»

 

Stava apparecchiando con l’aiuto di Vic. Non voleva fare una scenata. Non poteva, Teddy ci sarebbe rimasto male. E poi nessuno riusciva mai ad essere cattivo con Vic. Questo sia per via della sua stramaledetta bellezza da 1/8 Velaa, sia per il suo avere sempre un sorriso per tutti, come zio Bill.

 

James avrebbe voluto davvero evitare di odiarla, ma non poteva. Lei e quei suoi capelli impeccabili; lei e quei suoi occhi perfettamente in tinta con i capelli di Teddy.

 

«Perché sei così silenzioso, James? Hai la febbre?» chiese preoccupata Ginny, osservando di sottecchi il figlio.

 

«No, mamma» rispose annoiato James, prendendo i patti come concordato con un cenno a Vic. Victoire il raggio di sole che tutti adoravano. Victoire la ragazza della porta accanto che gli impediva d’essere felice.

 

Non aveva nemmeno punzecchiato Lysander, quindi doveva essere per forza grave. In compenso, Al era comodissimo seduto sul divano tra le sorella ed il fidanzato, sorridendo sornione ad entrambi. Lily l’avrebbe ucciso a fine serata, era certo. Harry, invece, li osservava sorridendo sotto i baffi, sperando che Ginny non si accorgesse del suo essere maledettamente fiero del figlio di mezzo.

 

James apparecchiò nel più totale silenzio, ricevendo occhiate perplesse da tutti i presenti. Lily s’era perfino convinta che avesse ascoltato le sue prediche e che, per una volta, avesse deciso di concedere vita facile a lei a Lysander. Poi rinsavì, e capì che qualcosa non andava.

 

Lysander, dal canto suo, era più teso che una corda di violino. Essere ignorato da James lo portava a pensare che di lì a poco sarebbe arrivato un uragano.

 

Conosceva bene James, gli Scamandro ed i Potter avevano passato ogni estate insieme. Inoltre, Lysander ed il gemello avevano solo un anno in più del maggiore dei Potter, quindi avevano frequentato Hogwarts nello stesso periodo, anche se in Case differenti. Per la precisione, James avrebbe definito Lysander un amico prima di Lily.

 

Si sedettero a tavola senza nemmeno tentare di allontanare Jamie da Lysander, che invece si sedette proprio accanto a lui. Aveva deciso che non avrebbe impedito a Lily d’essere serena con il proprio ragazzo, per quella sera.

 

Ginny iniziava seriamente a pensare che quello non fosse il proprio figlio, dato che cenarono nella più totale serenità e nella più totale assenza di James.

 

«Jamie, quando è stata la prima volta che mamma mi ha dovuto portare al San Mungo» chiese improvvisamente Albus, fissando serio il fratello. Tutti ammutolirono in attesa della risposta. James alzò lo sguardo dal piatto e si ritrovò addosso sette paia di occhi.

 

«Quando ti ho appiccicato con la Supercolla una maschera alla nuca per farti fare il professor Raptor» scandì lentamente James, senza indugiare. «Perché me lo chiedi?»

 

«Volevo essere sicuro che fossi tu» spiegò Albus, facendo ridere tutti. Tutti tranne James, che li liquidò con un sussurrato «Ah!», prima di riabbassare lo sguardo.

 

Calò nuovamente il silenzio, mentre tutti iniziarono a fissare Harry incitandolo a fare qualcosa.

 

«Jamie» esordì allora il capofamiglia, schiarendosi la voce, «quando è stata la prima volta che…»

 

Non riuscì a finire la frase. L’uragano arrivò, dando ragione a Lysander, che prontamente allontanò la sedia. I Corvonero non dovevano per forza essere coraggiosi, no?

 

«Che cazzo avete tutti?» sbottò James, facendo infuriare immediatamente Ginny per quella parolaccia gratuita. «Sono io, James Sirius Potter, e sarò sempre io quello che si alzerà e andrà via da questo cazzo di tavolo» tuonò, facendo stridere la seggiola sul pavimento e battendo i pugni. Le posate vibrarono, scosse dalla rabbia magica di James, ed un bicchiere esplose in mille pezzi.

 

«James, torna subito qui!» ordinò Ginny, ma come risposata ricevette solo il rumore della porta d’ingresso che sbatteva con forza.

 

*

 

 

 

Quando James tornò a casa, era notte fonda. L’abitazione dei Potter era scura e silenziosa, ma sapeva che i suoi genitori erano svegli, a rimuginare su quale punizione infliggergli. Non l’avrebbe accettata.

 

Era rimasto in silenzio, se ne era stato buono mentre Vic baciava Teddy, lo stringeva, ma loro non erano riusciti a lasciarlo in pace ed avevano dovuto per forza istigarlo. Involontariamente, certo, ma a conti fatti era irrilevante.

 

Nel profondo del proprio cuore, James sapeva che non era colpa dei genitori, di Al o di Lily, e nemmeno di Teddy e Vic. Eppure, era dannatamente arrabbiato con ognuno di loro.

 

Stranamente, era arrivato nella propria stanza senza essere intercettato dalle prediche dei genitori che gli ricordavano che non poteva andare e venire a suo piacimento, che fino a quando avrebbe vissuto sotto il loro tetto doveva stare alle loro regole. Be’, forse si sarebbe trovato una casa tutta sua dove l’unica regola sarebbe stata l’assenza di regole.

 

Sdraiarsi sul letto era stata quasi una punizione, più che un sollievo per le gambe indolenzite dalla lunga camminata notturna.

 

Era su quel letto che aveva baciato per la prima volta un ragazzo. Zac Brown, Battitore della squadra di Quidditch di Grifondoro di un anno più vecchio di lui.

 

Zac… Che stupido nome, per un primo bacio. Un nome banale, ordinario.

 

Teddy non è per niente ordinario, si ritrovò a pensare.

 

Brown aveva flirtato con lui per tutto il suo sesto anno a Hogwarts, ma Jamie non aveva mai ceduto. Almeno fino all’estate, quando era venuto a trovarlo bello, abbronzato e maledettamente irresistibile. James era pur sempre un ragazzo, ed un pompino non era rifiutabile all’infinito.

 

Sapeva da tempo di essere gay, ma non aveva voluto ammetterlo a nessuno se non se stesso. Era spaventato, smarrito. Sì, Jamie Potter aveva provato il sapore dell’impotenza e della paura. Istintivamente, i suoi occhi cercarono il poster di Oliver Baston, oramai ex glorioso capitano dei Plammered United, appeso ad una delle pereti della stanza. James sapeva che era tutta colpa di Oliver Baston.

 

Già, se Baston non fosse stato uno splendido capitano, Jamie non si sarebbe accorto così presto d’essere gay. Non avrebbe ceduto, alla fine, al corteggiamento per sfinimento di Brown. E non avrebbe mai dovuto capire che i sentimenti che provava per Teddy andavano oltre l’amicizia.

 

Magari con il tempo avrebbe accettato d’essere gay e si sarebbe innamorato di un altro ragazzo e non del suo caro amico etero e fidanzato.

 

Non poteva pensare alla faccia di suo padre di fronte alla notizia di lui e Teddy insieme. E non ne valeva nemmeno la pena, visto che era una prospettiva molto più che remota.

 

Balzò giù dal letto con rabbia, diretto allo stramaledettissimo poster dello stramaledettissimo Oliver Baston. Con un solo strattone lo strappò dalla parete, mostrano il contorno annerito sull’intonaco chiaro. Era appeso lì da anni.

 

Osservò intensamente e per l’ultima volta il sorriso del suo Capitano per eccellenza prima di iniziare a farlo a pezzi. Strappò, scalciò ed inveì contro il poster fino a quando la voce di Al non spuntò improvvisamente dietro di lui.

 

«Jamie, che stai facendo?» chiese mentre chiudeva la porta e, scaltro, insonorizzava la stanza. «Se mamma e papà dovessero sentirti…»

 

«Fanculo mamma e papà. Fanculo il mondo!» esclamò James, infierendo ancora sul poster.

 

«Fanculo, fanculo, fanculo!»

 

«Calmati! James, stai calmo!» protestò Albus, provando ad afferrare il fratello per le spalle.

 

«Vuoi sapere un segreto, Al?» chiese improvvisamente James, il tono di voce più isterico di quello di una vecchia strega zitella. «Io. Sono. Gay»  scandì, cercando una qualsiasi reazione negli occhi verdi di Albus. Niente. Zero. Nada. Nisba. Ma in fondo, Albus era sempre il figlio di Harry nonhomaicapitobeneleemozioni Potter, occhi smeraldini e capelli color carbone a provarlo.

 

L'unica cosa a cui era riuscito a pensare era stata una maledizione contro se stesso per non essere rimasto a dormire.

 

«Non hai commenti, Al? Non riesci nemmeno più a rivolgermi la parola?» sbottò James. «Sai, quel letto, quello dove tu sei seduto, è lì che ho baciato il mio primo ragazzo. Te lo ricordi Zac Brown? Gran battitore davvero. E gran succhiatore di cazzi»

 

Colto dal timore dell'avere una crisi di panico e per evitare che James aggiungesse altri particolari che, davvero, non voleva sapere, Albus si obbligò a parlare.

 

«Sono… Sono sorpreso» mugugnò, guardandosi intorno in cerca di un aiuto.

 

«Sei sorpreso?» chiese James, sentendo la rabbia ribollire nelle vene. «Solo per questo? Oh, vedrai, adesso sarai sorpreso» esclamò con enfasi, gettandosi letteralmente a sedere accanto al fratello.

 

«Sono innamorato, Al. Già. Davvero, davvero innamorato. Di Teddy Lupin. Hai presente Teddy? Ventisei anni, capelli blu, figlioccio di nostro padre, fidanzato con nostra cugina Vi…»

 

«Okay, basta. Basta! » lo fermò Albus. «Non serve che tu faccia lo spiritoso» precisò, il peso di non sapere cosa dire o fare evidente nei suoi occhi. A quel punto, James si afflosciò sul letto coprendosi il viso con le mani, finalmente conscio dell'aver fatto una scenata.

 

Rimasero in silenzio qualche istante, seduti l’uno accanto tra i brandelli del poster di Oliver Baston. Albus a metabolizzare la notizia e James a metabolizzare non sapeva nemmeno lui cosa.

 

«È tutta colpa di Oliver Baston» esordì poco dopo James. «È colpa sua se sono gay» precisò, osservando i brandelli del Capitano sparsi per la stanza.

 

«Non esiste colpa per questo, James» disse Albus, davvero convinto del significato di quelle parole.

 

«Io ho sempre pensato che i gay fossero più… gay» aggiunse dopo qualche istante, scrutando il fratello da sopra gli occhiali.

 

«Più gay» ripeté James, in uno sbuffo tra il divertito e l'esasperato. «Al, io ti sto confessando d’essere gay e tu mi dici che per te non lo sono abbastanza?»

 

«James… Dammi un attimo per abituarmi all’idea! Mi hai detto che sei innamorato di Teddy

 

«E me ne sono già pentito» si lamentò James, voltando le spalle al fratello e incrociando le braccia al petto con fare stizzito. Il ritorno dei geni Weasley, sembrerebbe.

 

Dopo qualche istante di silenzio, la mano destra di Albus scivolò a stringere la spalla di James, facendo pressione perché si voltasse a guardarlo.

 

«A me non importa che tu sia gay, è che non l’avrei mai detto» disse una volta incrociato lo sguardo del fratello.

 

«Bel tentativo» lo liquidò James, oramai più triste che arrabbiato.

 

«Senti, Jamie» sbottò Al, stranamente deciso, «zio Charlie sembra forse gay? No, lui addestra draghi! Ma a chi importa, in fondo?»

 

«A nonna Molly. Lei voleva più nipoti. Così come importerà ai nostri genitori. Mamma non ha altri cinque figli su cui puntare, solo due.»

 

Albus non aveva mai visto il fratello così a terra. James era quello forte, quello deciso. Non si incrinava mai, nemmeno nei momenti di difficoltà. Lui e Lily non l’avrebbero mai ammesso, dato che James era già abbastanza borioso e vanesio senza che qualcuno lo lodasse, ma per loro era un saldo riferimento. Era l’unico che non era mai stato schiacciato dal peso del loro cognome, e adesso stava sprofondando sotto un peso per lui decisamente più grande.

 

«Se vuoi possiamo bruciarli, i resti del poster di Oliver Baston» propose sorridendo complice.

 

James soppesò quella proposta qualche istante, prima di sorridere di rimando.

 

«Meglio che niente» concesse, alzandosi dal letto e prendendo prontamente la bacchetta. Sì, bruciarli lo avrebbe fatto sentire un po’ meglio.

 

Aveva fatto bene a confidarsi con Al.

   
 
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