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Autore: crissi    10/07/2012    18 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo cap. 16 Fine dei giochi
Cap. 16, epilogo: “Fine dei giochi”




Versailles, pomeriggio del  10 settembre 1784 nell’appartamento dei Girodelle

Beatrice non aveva smesso di piangere un istante da quando il fratello era stato ferito tre giorni prima, ma poi, vinta, era crollata tra le braccia di Natalie che sommessamente recitava incessantemente il rosario.
Victoire uscì mesta dalla stanza della madre, per la quale il dolore era stato troppo forte: alla notizia del ferimento del figlio aveva avuto un grave malore e solo ora, diversi giorni dopo, poteva dirsi fuori pericolo.
Sfatta e pallida, guardò i familiari raccolti nel salotto inondato dal sole del pomeriggio di tarda estate; le sorelle ed il padre e per ultima lei, Camelia, l’intrusa.
Mentre tutti si erano disperati in quei giorni nei quali Victor era stato come morto, lei era sempre stata silenziosamente presente, nonostante nessuno le rivolgesse la parola oltre il dovuto od il necessario.

Camelia, l’amante tollerata, forse un poco temuta.
Se ne era rimasta in disparte,  lei: discreta, ma vigile, attenta all’andirivieni dei medici di corte, attenta alle parole più o meno sussurrate, alle espressioni preoccupate.
Non aveva mai oltrepassato la soglia della stanza dove Victor lottava con la morte, vigilato dalle sorelle che si davano il cambio senza mai lasciarlo solo. Si era limitata a guardarlo da lontano, tradendo l’angoscia solo tramite le dita intrecciate e nervose.
Avvolta nel suo abito a lutto, atto dovuto ma non certo sentito, si era assentata soltanto per presenziare formalmente alle esequie di Fréville. Per tutto il resto del tempo, non si era allontanata da quegli appartamenti. Attendeva come tutti, un cambiamento.
Il fatto che si trovasse lì, era già quello uno scandalo, ma a Guillome de Girodelle questo non interessava. Era bastato uno sguardo scambiato con quella donna per intendersi: qualunque chiarimento poteva attendere. Si era limitato ad inclinare il capo di lato e a cederle il passo. Non accettata, tollerata, significava, ma tutti si sarebbero adeguati alla decisione del capofamiglia e nessuno l’avrebbe cacciata.
Anche Camelia si era adattata alla loro freddezza. Li comprendeva, ma non aveva intenzione di vergognarsi di esser lì.
L’ultimo suo interesse erano i pettegolezzi recitati a mezza voce alle sue spalle, lì come in tutta Versailles,  riguardo la vedova non affranta. Lei sopportava tutto stoicamente, forte di conoscersi, forte di sapersi nel giusto, forte di avere a cuore soltanto lui.
Non un capello fuori posto, non una lacrima, non un qualunque segno di cedimento in pubblico.
Una donna di ghiaccio, la giudicava Victoire squadrandola da lontano. Evidentemente il suo povero fratello aveva un debole per donne di quel genere, ragionò; ma non aveva la forza di criticare, nemmeno ci voleva pensare. Importava solo che lui ce la facesse. E questo accumunava tutti loro.
Di André, dopo tutte le falsità circolate senza averlo potuto difendere, dopo le verità venute a galla, nessuno voleva parlare, ma la sensazione era di aver perso due fratelli grazie a quella Jarjayes.
Victoire si avvicinò alla stanza del fratello, dove il padre assisteva il figlio durante l’ennesima visita di un medico.
Nella notte appena trascorsa, la febbre aveva toccato il culmine per poi ridiscendere improvvisamente e stabilizzarsi a valori accettabili, riaccendendo le loro speranze.
Verso l’alba Victor aveva aperto gli occhi, chiedendo acqua; solo pochi istanti di lucidità prima di crollare di nuovo nell’incoscienza. Ma il medico lo aveva visitato ancora: la ferita non aveva leso organi e ciò era già un miracolo; i battiti erano normali, così pure il respiro. Stava migliorando.
Nel pomeriggio aveva riaperto gli occhi ed era rimasto cosciente, vigile sebbene ancora confuso.
Il dottore uscì dalla stanza, richiudendo la porta dietro a sé, e si rivolse al padre che gli si era fatto più vicino insieme a Victoire.
-    La ferita è in buone condizioni. La cicatrizzazione è iniziata, non ci sono segni di infezione. E’ ancora molto debole, ma il fisico è resistente. Ha perduto molto sangue, ma il suo organismo sta recuperando. Potete fargli preparare qualcosa di leggero, un brodo, tanto per cominciare. La convalescenza sarà lunga, ma possiamo ben sperare. Ha detto di non avere appetito, ma credo che il motivo di questa inappetenza non sia da cercare nella sua salute fisica quanto in quella spirituale. Ha chiesto di voi e … del suo amico. – aggiunse mestamente guardando il conte direttamente negli occhi.
Guillome de Girodelle si fece forza: doveva raccontare la verità a suo figlio. Temporeggiare poteva solo peggiorare la situazione; inoltre, Guillome non era mai stato abile con le menzogne, neppure quelle dette a fin di bene: si sarebbe tradito.
Strinse fra le sue la mano che la figlia gli aveva posato sul braccio, preoccupata.
- Meglio che lo sappia da me e che lo sappia subito – le disse.
Entrò nella stanza in penombra perché persiane e tende erano state riaccostate per tener fuori il caldo umido ed opprimente di un qualsiasi pomeriggio a Versailles, in quel periodo che non era più estate, ma che non pareva ancora intenzionato a farsi riconoscere come autunno.
Si avvicinò a Victor, cinereo, esausto, in un bagno di sudore.
-    Come stai, figliolo? – chiese posandogli il palmo sulla fronte. Gelato era il suo ragazzo a quel tocco, come se la morte gelida e crudele lo stesse cingendo ancora a sé e Guillome rabbrividì.
-    Sono stato peggio quella volta a Marsiglia, signore …  – ironizzò Victor parlando con un fil di voce di quando da piccolo era stato male per aver mangiato del pesce poco fresco.
Il tocco del padre scese sulla guancia, scostandogli affettuosamente una ciocca appiccicosa di capelli umidi.
Sorrise al ricordo dello scampato pericolo di allora, il primo viaggio fatto col suo primogenito, una “cosa da uomini”, gli aveva detto.
-    Niente più zuppa di pesce … - promise.
-    Padre, dov’è André? … Ho ricordi confusi, padre, ma … Non è colpa di André: sono stato io a sfidarlo, lui si è solo difeso. E per Oscar … Fréville se l’è cercata. Vi prego padre, devo parlare con Sua Maestà, devo spiegare, devo aiutarlo … devo aiutarla … Padre …
Guillome de Girodelle lo aveva lasciato parlare quel tanto perché si sfogasse, ma dopo poche frasi non ce l’aveva più fatta ed aveva distolto lo sguardo.
-    Figlio mio, la verità è che …
-    La … verità? – balbettò Victor intimorito dal tono.
Anche lui, nelle ultime parole che gli aveva rivolto, aveva chiesto la verità ad André, ma in quel momento non era certo di volerla udire da suo padre.
-    Eri stato dato per spacciato, ti era anche stata data l’estrema unzione, figlio mio e Sua Maestà ha voluto impartire una punizione esemplare, per coloro che tramano contro la corona e per i nobili che si macchiano del sangue di altri nobili. Mi spiace, ragazzo: sono stati condannati entrambi e giustiziati all’alba di due giorni fa.
Victor si lasciò affondare nei cuscini, portando una mano al centro del petto, dove un dolore acuto gli fece scordare per una attimo il pulsare della carne lacerata.

Guillome lo prese per il viso e con decisione lo richiamò al dovere, quel dovere che vieta ad un soldato, ad un uomo, ad un nobile, di mostrare dolore e debolezza. Una delle tante maschere degli esseri umani.
-    Victor … Più ci si avvicina al sole di Versailles, più è facile restar bruciati. Ci sono i vantaggi, la gloria, ma il rischio è alto. E questo è accaduto a te, figliolo. Sei salito, sei caduto. Puoi solo prendere le distanze da tutto e sperare che Versailles dimentichi le tue debolezze: amore ed amicizia.
Lo abbracciò con affetto, piangendo con lui. Quindi lo lasciò solo con tutte le sue ferite per le quali come padre non poteva far nulla.

Nell’anticamera Camelia parlava con un uomo alto, dai capelli rossi, chiari, quasi biondi, dagli occhi di un azzurro pallido, fresco, ma con una luce di determinazione sul fondo; egli si zittì quando il vecchio conte Girodelle gli passò accanto. Un affrettato ma composto e cortese saluto, scambiato tra loro, ed il riservato e silenzioso gentiluomo sparì.
-    E’ andato tutto nel migliore dei modi. – riprese l’uomo parlando inglese - Il mio aiutante è già arrivato al punto di incontro ed io lo raggiungerò sulla via per Le Havre, quindi prenderemo il mare. La staffetta incaricata di consegnare i documenti sottratti a Fréville insieme ai disegni esecutivi della mongolfiera, ha riportato questi per voi.
Le consegnò una busta ed un piccolo astuccio. Ella guardò i sigilli apposti su entrambi e spalancò gli occhi.
-    Direttamente dal suo ufficio! – esclamò incredula.
L’uomo annuì.
Camelia spezzò la ceralacca della busta e lesse.
Una lacrima le scese sul volto.
-    Voi conoscevate il contenuto di questo dispaccio, Scott?
L’inglese sorrise.
-    Lo leggo ora sul vostro volto, Camelia. E sono felice per voi.
-    Sono libera. – disse incredula, come destata da un brutto sogno.
Aprì l’astuccio di velluto porpora. Lì poggiata sul fondo avorio, una medaglia al valore a nome di Lord Ross William Chatwell, ufficiale di Sua Maestà Giorgio III, perito compiendo il suo dovere. Un uomo di valore, un uomo pulito.
Scott le prese le mani.
-    Un ultima cosa … - sentì che depositava una chiave nelle sue. – Fuori città c’è una casa che abbiamo utilizzato come base. Nelle cantine c’è un forziere …- lo sguardo di Camelia si allarmò – Beh, nessuno mi aveva ordinato di recuperare altro oltre ai documenti, quindi … - sorrise – lo sporco denaro della corruzione di Fréville, spendetelo tutto per voi… e per lui!
Sorrise, facendole l’occhiolino.
Quell’uomo era incorreggibile, pensò Camelia.

-    Ma e i piani di D’Eon?
-    Questa è un’altra storia, Camelia, un problema mio che risolverò vedendomela col complice ingrato di Oscar che se ne è fatto padrone. – sorrise ancora Scott, pregustando il brutto tiro in preparazione per Bernard. – Intanto abbiamo la lista con i contatti di Fréville, che non saranno più un pericolo per i nostri uomini; abbiamo la mongolfiera, o quel che ne resta, - specificò con una leggera smorfia buffa - da trattare col Cavaliere Nero. Il vostro compito era di spiare il marchese e fornirci elementi per annientarlo insieme alla sua rete, quindi è terminato. Sapete che non ero d’accordo con quanto vi era stato proposto dal nostro ambasciatore. Io non vi avrei mai permesso di … - non riuscì a trovare parole decorose per definire la decisione di Camelia di sposare Fréville e distolse lo sguardo, che rialzò su di lei dopo qualche istante – No, non ve lo avrei permesso, perché tengo a voi, ma così facendo vi avrei impedito di salvare tante vite che quel mostro avrebbe annientato. Camelia, ora dovete dimenticare!  Pensate solo a vivere la vostra vita, visto che Dio vi concede un’altra possibilità. – ed indicò Victor, appena visibile nel riflesso di uno specchio, che aiutato da un valletto veniva sollevato sui cuscini del suo sontuoso letto.
-    Vi auguro ogni bene, amica mia. So che anche Ross lo vorrebbe.
Camelia lo guardò rattristita, sentendo tutta la tensione degli ultimi giorni e degli ultimi mesi scivolarle lungo le membra, come una maschera che non serviva più.
-    Portate il mio abbraccio a Virginia ed un bacio ai vostri figli. Mi mancherà la vostra amicizia, Scott.
Le baciò la mano, galante, rispettoso. Ma ella lo abbracciò d’impeto, incurante di quanta etichetta avesse infranto col gesto.
L’abbracciò perché quello era quasi certamente un addio definitivo all’amico di una vita che scompariva definitivamente; la vita in cui era stata giovane, ingenua, superficiale e felice.
Il capitano Scott Baker, strizzò ancora l’occhiolino impertinente e rivolgendole un ultimo sorriso, si volse e si allontanò.

 
Camelia rientrò nel salotto dei Girodelle e lo trovò stranamente vuoto. Sapere che Victor stava realmente meglio aveva allentato la tensione generale.
Beatrice e Natalie si stavano occupando della madre nella stanza di lei, mentre Victoire, nello studio del padre, ascoltava dal dottore le raccomandazioni riguardo la convalescenza del fratello.

Nessuno badava a lei. Sostò davanti ai finestroni che davano sul parco: perfino l’aria non era più calda come prima e non giungevano odori sgraditi, tipici della reggia; anzi, stranamente dal parco arrivava un profumo, quello degli ultimi fiori d’estate portato dal vento serale. Percepì uno sguardo su di lei e guardò di nuovo dentro la sua stanza. Dalla penombra Victor la osservava.
Entrò, per non rimandare ciò che non poteva più esser rimandato, e dimezzò la distanza tra loro.

-    Mio padre ha detto che sei sempre stata qui – mormorò lui con un fil di voce.
Camelia respirò profondamente. Ormai era senza maschera, più che nuda davanti a lui come mai era stata.
-    Vuoi che ti apra le persiane? L’aria sta rinfrescando … - temporeggiò.
Victor annuì. Non era facile per lei tornare a fidarsi di qualcuno e ancor meno mostrarsi in tutta la sua debolezza, quella della vera sé stessa.
La guardò muoversi di scatto verso la finestra, quasi volesse fuggire, tirare le tende con decisione e spalancare le ante delle persiane.
La luce arancio del tramonto illuminò il raso iridescente del suo abito a lutto. Era la seconda volta che vestiva di nero per la vedovanza, ma stavolta per lei il nero era il colore della libertà.
Si voltò a guardarlo, ma rimase a distanza, lì, ferma contro la luce. Indecisa.
Victor inspirò più profondamente che poté, immettendo aria fresca nei polmoni intossicati dal fumo delle candele rimaste sempre accese in quella stanza, in quei giorni.
"Camelia … Lei, novella vedova, lei non così roccia, lei giovane donna complicata …”, pensò rammentando e rivedendo quei primi pensieri su di lei.
 
-    Non dovresti trovarti qui. – le mormorò – Qui, accanto ad un reietto. Un uomo fallito. Sarà scandalo.
-    Vogliono parlare? Lasciali parlare. – risolse ella con decisione, scrollando le spalle come una bimba pronta a far capricci per nascondere la paura strisciante - Le loro frivole danze dureranno ancora poco: lascia che volteggino sui pettegolezzi se questo li diverte. Ben presto i nobili francesi avranno poco su cui ridere.
-    Quindi, hai intenzione di restare?
Non rispose subito. La mano nella tasca nascosta tra le pieghe della gonna stringeva ancora la lettera e sentì un crampo allo stomaco salirle al cuore.
Si volse appoggiandosi allo stipite della finestra ed estrasse la pergamena. Abbassò nuovamente gli occhi sulla lettera, ricordando ancora una volta la sera del natale precedente, quello in cui aveva preso decisioni che mai avrebbe immaginato di poter prendere allora.
Lesse ancora quelle righe e si domandò dove fosse finita la ragazza che c’era stata prima della Marchesa di Fréville, la vanitosa, raggiante, travolgente lady Chatwell. Si chiese se potesse un giorno tornare la stessa, ma la voce in sé le stava già rispondendo negativamente. E non era un male; stava a lei salvare ciò che di positivo aveva vissuto ed imparato in quei mesi per amalgamarlo con quanto di buono era stata prima.
Rilesse alcune parole.

Sono stato informato di quanto fatto da voi e posso garantire sul  mio onore che non solo il nome del vostro sfortunato marito, lord Ross William Chatwell verrà innalzato agli onori senza neppure il sentore dell’ingiusto sospetto, ma che nulla è più dovuto per l’impegno che prendeste col nostro paese.
Intendo accogliere la vostra richiesta, i vostri sacrifici non sono stati vani. Sua Maestà ed il regno tutto vi ringraziano.
Consideratevi sciolta da qualsivoglia obbligo verso questo paese, che continuerà al contrario ad essere in debito con voi per il vostro sacrificio ed il vostro coraggio.
Vi auguro un meritato riposo ed una vita finalmente serena.

William Pitt, primo ministro


-    Camelia? … - non gli rispose - Camì? … Non dovresti starmi vicino … - ripetè.
Lo guardò.
Aveva gli occhi rossi di pianto per André, per Oscar; cerchiati di viola, nel pallore del volto di chi è stato ad un passo dalla morte, ma Victor non provava vero rancore per nessuno, né per quello, né per altro. Solo dolore per come erano andate le cose, solo il vuoto per quella mancanza.
Egli abbassò le palpebre non riuscendo ad impedire alle lacrime di farsi strada ancora.
Camelia si avvicinò al letto. Gli prese la mano nella sua, poi con entrambe gliela carezzò.
Un giorno gli avrebbe raccontato tutto, quando si sarebbe sentito in forze, quando il tempo avrebbe messo distanza tra lui ed Oscar, tra lui ed André. Quando avrebbe potuto perdonare loro, lei e sé stesso.
Intanto gli disse una cosa, già detta in memoria di un altro che non c’era più per poterla udire. Qualcosa che sentiva profondamente e che se Victor e Dio glielo avessero permesso, gli avrebbe ripetuto fino alla vecchiaia.
-    Rassegnati, Victor… Non abbandono chi amo. – disse perentoria.

Il tintinnare di posate li distrasse.
Victoire aveva appena varcato la soglia reggendo un vassoio tra le mani.
-    La cameriera ha portato un leggero brodo di pollo come consigliato dal dottore affinché il nostro malandato Victor si rimetta più velocemente … - esordì.
Il fratello sfilò la mano da quelle di Camelia e fece un cenno di diniego alla sorella.
-    A quanto pare il nostro malandato Victor ha ancora energia per fare capricci … - commentò ironica ed un tantino acida come da sua abitudine, ponendo l'accento su quel "malandato".
Si avvicinò a Camelia che sorpresa sgranò gli occhi quando Victoire le allungò il vassoio contro il ventre, obbligandola ad afferrarlo.
-    Marchesa, a voi l’onore … o l’onere, dipende da quanto si impunterà il mio caro, capriccioso fratello.
Quindi si volse ed uscì, chiudendo la porta della stanza dietro a sé.
Camelia, leggermente interdetta, restò qualche istante immobile con l’ingombrante vassoio tra le mani. Le era parso di aver intravisto un sorriso sulle labbra sottili di Victoire.  
O forse era un ghigno ad averle increspate?
Mah, che importava? Si strinse nelle spalle e si avvicinò a Victor, sedendo sul letto e posando il vassoio sul materasso fra loro.
-    No, non lo voglio – ribadì lui quando ella avvicinò il cucchiaio colmo alle sue labbra.
-    Non ho intenzione di pregarti… Mangia.
-    Non sei ancora mia moglie … - sussurrò divertito da quell’atteggiamento dittatoriale. – E non so nemmeno se voglio che lo diventi! – aggiunse indicando l’abito nero – Non hai dei precedenti rassicuranti.
Camelia non si scompose.
-    Victor … se continui con stupidaggini simili … salto il terzo e passo direttamente al quarto! – minacciò avvicinando nuovamente il cucchiaio alle sue labbra.
Aggrottò le sopracciglia a rafforzare l’intimidazione.
Lui fece altrettanto, ma dopo un istante cedette ed aprì la bocca, rassegnato.
-    Bravo! Hai capito come devono funzionare le cose! Sarai un maritino coi fiocchi, Victor!

Dall’altro lato della porta, Victoire staccò l’orecchio dal legno, sorridendo per ciò che aveva origliato.
In fondo i gusti di suo fratello non erano pessimi come aveva pensato, si disse.
Andò al balcone e si poggiò alla balaustra in pietra rimanendo immobile per qualche istante.  
Portò quindi le mani sulla chioma e sciolse i lunghi capelli castani che aveva raccolto alla bene meglio sul capo lasciando pochi boccoli a ricadere sulle spalle e permise che la brezza li carezzasse, percorrendoli tutti, dando loro volume come se scomposti dalle dita di un amante; da tanto non si permetteva di fare un cosa del genere, una cosa da ragazzina. Chiuse gli occhi e lacrime calde scivolarono sulle guance, lungo il mento, lungo il collo, sul petto, tra i seni. Si raccolsero lì, nell’incavo. Victorie infilò due dita nello scollo del corpetto ed estrasse un nastro blu che lì teneva nascosto da anni, un nastro dove le sue lacrime si erano fermate. Lo stesso nastro che Andrè aveva lasciato nel suo letto quando aveva fatto l’amore con lei, tanto tempo prima.
Non era stata la prima volta per nessuno dei due, lei era anche già sposata e madre; ma era stato quanto di più vicino al primo vero amore, rimasto tale, immutato anche se solo per lei.
André era stato sempre affettuoso, attento, perfetto, ma non si era mai realmente innamorato, non di lei, non di altre; pareva attendere qualcosa del quale non era cosciente; attendeva qualcuno.

Victoire aveva capito che l’attesa di André era finita quando aveva conosciuto Oscar; aveva seguito l’altra metà del suo cuore e con lei era morto .
Intrecciò il fiocco fra dita, lo sfilò piano godendo il solleticare del tessuto sulla pelle sensibile, tenendolo poi con due dita per una estremità e lo lasciò ondeggiare nel vento.
Finché c’è vita c’è speranza, si era sovente ripetuta; e lei aveva sperato sempre, pur non avendone diritto, fino a quel momento.
Ora non restava nulla, null’ altro che un’ombra nella memoria, che sarebbe impallidita col tempo, impalpabile, inafferrabile come il vento ed al vento affidò quell’ultimo ricordo di lui.

 


Parigi, due giorni prima, all’alba

I corpi erano rimasti appesi quindici minuti, il tempo di sincerarsi che i condannati fossero spirati.
Uno dei due boia tastò sulla giugulare e scosse il capo verso il commissario a confermagli che nessuno dei giustiziati presentava più battito.

Allora, l’incaricato di sua maestà fece cenno di rimuovere i cadaveri, cosa che doveva essere un segno di rispetto alle famiglie nobiliari, invece della pubblica ostentazione per giorni dei corpi come veniva solitamente riservato ai comuni malfattori.
I due carnefici sfilarono le corde lasciando scivolare i  corpi a terra con insolita delicatezza. Sfilarono loro cappi e cappucci, li caricarono sul carretto scoperto e subito li coprirono con un telo lurido, ma pietoso.

Il carro lasciò la prigione e percorse le vie semideserte della città. Solo qualche ubriaco dallo sguardo perso, qualche signorina che rientrava dopo una notte di duro lavoro, gruppetti di nobili giovanotti ubriachi e chiassosi, come unici testimoni di quel viaggio.
Per Oscar ed il suo Andrè c’era solo lo scricchiolio del legno secco del misero, stagionato veicolo, delle sue rigide ruote rivestite con una lamina di ferro che stridevano sull’acciottolato.
Il carretto varcò l’ingresso del Cimitero degli Innocenti, che sarebbe stato chiuso definitivamente da lì a poco per motivi sanitari, più che evidenti all’olfatto.
Passò tra lugubri cappelle antiche, misere tombe in terra, croci in ferro, lapidi, fino ad arrivare ad orrende e nauseabonde fosse comuni, delle quali una era ancora aperta. Accanto a quella gli spalatori, ormai insensibili al fetore che li circondava, attendevano immobili. All’arrivare del carro si alzarono in piedi dai ceppi e non si sarebbe potuto dire se fossero loro a regger le pale o gli arnesi a regger loro.
Ma il conducente senza un cenno di saluto, passò oltre, lasciandoli stupiti anche se non realmente sorpresi. Dopo un attimo di smarrimento, tornarono a sedersi. Ormai nulla di ciò che accadeva in quel campo di silenzio e di orrore li toccava più.

Le ruote del carro, urtarono il cordolo di una tomba. Uno dei due corpi si mosse. Un movimento apparentemente involontario, ma quello successivo non lo fu.
Oscar scalciò via il telo che copriva i loro corpi, respirando come in un singhiozzo, respirando come colui che sta per annegare e miracolosamente riguadagna la superficie. Inspirò tutta l’aria che poté e, gemendo di dolore, si tastò il collo abraso dalla ruvida canapa del cappio, quindi si toccò una spalla, poi l’altra; scese giù sull’addome, sui fianchi, le cosce, l’inguine …  Tutto doleva. E poi quel pensiero, terribile, spaventoso si impadronì di lei.
Si gettò sul corpo immobile che le giaceva accanto.
Nessun alito proveniva da lui, nessun vapore nell’aria fredda davanti alle sue labbra, alle sue narici. Si chinò quindi sul torace sul quale aveva riposato serena per tutta quell’estate; lo fece ansiosa, realmente spaventata come mai in vita sua.
Rimase qualche istante ad ascoltare, ma il pulsare della propria agitazione le impediva di udire quel rumore, il solo che avrebbe potuto calmarla. Chiuse gli occhi, mentre il terrore di averlo perduto le strappava un singhiozzo. Ma improvvisamente riconobbe un battito, un altro, un altro ancora: deboli ma regolari, sempre più distinti.
Si permise di piangere senza ritegno per il sollievo, beandosi del suono rassicurante di quel cuore mentre il suo accelerava. Si sollevò su di un gomito, gli scostò la camicia dal petto. Restò ad osservare gli stessi segni rossi suoi, sul collo, più marcati perché lui era più pesante ed era stato più vicino alla morte per questo.
Carezzò le abrasioni sulla pelle e le sottili corde di resistentissima seta bianca e gialla, cucita ed intrecciata, con le quali, come lei, era stato imbragato. Incisioni sufficienti a graffiare e lacerare in superficie, ma non a strappare carne e vertebre cervicali. Cercò e sganciò il moschettone sul retro del collo, nascosto dal risvolto della giacca, col quale erano stati agganciati al cappio, proprio sopra il nodo scorsoio, dimodoché il loro peso non gravasse sulla canapa stretta attorno al collo, ma si scaricasse lungo tutto il corpo, sull’imbracatura di seta.  Era stato fatto al momento dell’incappucciamento, quando si erano agitati un po’ per confondere i movimenti dei boia, in realtà lì per salvarli.
Un inganno, un trucco degno di circensi.
Un’ architettura per la quale non le era stato detto chi ringraziare, ma un sospetto lo aveva.

Si lasciò scivolare supina accanto a lui, stringendogli la mano, sentendo le dita muoversi appena mentre lui tornava cosciente e spalancò gli occhi su quel cielo azzurro e sgombro che stupidamente non si era mai soffermata ad ammirare a dovere. Inspirò a pieni polmoni come mai più pensava avrebbe potuto fare, tutti i sensi amplificati a godere di quella rinascita e, nonostante il dolore diffuso per il contraccolpo subito quando era caduta nel vuoto, si permise di sorridere.

In pochi minuti,erano arrivati ad un altro cancello.
Una carrozza nera, priva di insegne o decori appariscenti, una qualunque corriera, attendeva solo loro. Accanto a quella, su un cavallo di pregio, stava uno dei due boia, quello con gli occhi azzurri, ma i capelli ora stavano legati in un codino e gli abiti dimessi erano celati da un pesante mantello di buona fattura. Vedendo il carro arrivare, scese e si avvicinò al conducente. Gli porse una sacchetta con il compenso pattuito. Il becchino aprì e contò una ad una le monete con esasperante malfidenza. Rivolse poi un cenno soddisfatto al signore che si poté avvicinare al retro per prelevare il suo “carico”.

Oscar si era sollevata seduta e come Andrè stava strisciando al bordo per scendere.
Restò un istante a guardare meglio lo sconosciuto salvatore, perché ora, così ripulito, alla luce del sole, aveva un’aria non nuova. Dove lo avesse visto, non avrebbe saputo dichiararlo con certezza: forse a Parigi, forse a Versailles, ma aveva l’impressione che per un po’ fosse stata la sua ombra.
-    Io … - tentò di parlare ella, con voce rauca, ma dovette bloccarsi, portando una mano alla gola e strizzando gli occhi per il dolore.
-    Non forzatevi a parlare – ordinò l’uomo dai capelli ramati, di un tono di rosso tanto chiaro da parere biondo – La gola è irritata, potreste danneggiarla irrimediabilmente. Concedete tempo alle corde vocali di riprendersi dal trauma. Qui ci sono documenti, denaro, nuove identità. – disse porgendole un plico - In carrozza troverete abiti puliti per cambiarvi.
“Ma …?”, sillabò lei muta.
-    Una nuova vita vi attende. Nei prossimi giorni vi raggiungerò e vi fornirò ulteriori dettagli. Per ora sappiate solo che a Versailles avete ancora chi vi è amico.
“Camelia …”, dissero le sue labbra.
L’uomo sorrise.
-    Sono il capitano Scott Baker, milady, per ora vi basti sapere che mi è stato chiesto di portarvi in salvo. Ora basta esitare, potrebbero vederci e sospettare.
La invitò a dirigersi alla carrozza sulla quale André stava già salendo.
Oscar si volse ancora per potergli stringere la mano e nel farlo posò l’altra sul proprio petto: “grazie”.
-    Riferirò a lei … - disse il gentiluomo inchinandosi e ruotandole la mano per poterla baciare.

Prese posto accanto ad André che sollevò un braccio per attirarla a sé.
Scott Baker fece un cenno deciso al conducente e la carrozza si avviò. Oscar ricambiò l’abbraccio di André che, baciandole i capelli, socchiuse gli occhi e si rilassò contro lo schienale, portandola con sè.
Finalmente avrebbero riposato.
Niente più re, niente più giochi d’azzardo, niente più macchinazioni. C’era voluto tempo, c’era voluto dolore, ma alla fine era arrivata dov’era giusto arrivasse.
Oscar, sentendo le palpebre sempre più pesanti, guardò un ultima volta il paesaggio familiare della città scorrere fuori del finestrino.
Si sarebbe svegliata l’indomani chissà dove, non sapendo cosa le sarebbe capitato, o chi avrebbe incontrato.
Forse, d’ora innanzi, avrebbe vissuto il resto della vita nell’incertezza. Di certo aveva solo lui, André che la stringeva a sé con l’evidente intenzione di non lasciarla più e ciò le bastava.
Qualche notte prima potevano bere champagne, forse la prossima avrebbero dormito sotto un ponte.
Fa nulla, si disse. Anche se piena di incognite, la vita era un dono, ne era cosciente e non aveva più alcuna intenzione di sprecarla, anche perché dopo tutti i piani, i progetti elaborati e falliti, dopo tutti i tentativi di manovrare la sua e altrui esistenza, aveva compreso quanto tutto fosse imprevedibile al mondo.
Non poteva immaginare che carte le sarebbero capitate in questa mano.
Ma era certa di una cosa: se lei fino a quel momento era stata una solitaria regina di spade, di sicuro il re di cuori era colui che le stava accanto.

- fine (o l’inizio, dipende dai punti di vista :D)

Il moschettone ... ufficialmente non era ancora stato inventato, ma non mi garbava l'idea di appenderli con ganci da macellaio :/ ...
Licenza! :D
Nota bene: che a nessuno venga in mente di imitare la scena dell’impiccagione (beh, nemmeno le altre) perché … ci si accoppa!

Ricordo che ho “saccheggiato” battute e pensieri oltre che dal manga e dall’anime, dai film “Maria Antonietta”, “Harry ti presento Sally”, “Titanic” e … ora non mi viene in mente se ho scordato qualcosa...Angelica! dimenticavo la marchesa degli angeli
Ricordo inoltre, che se Karmilla non avesse scritto “la dama di picche”, questa storia non mi sarebbe venuta in mente. XDD
Saluti!!!




 


 

 

 
 

 
 

   
 
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