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Autore: Lusio    11/07/2012    9 recensioni
Dicono tutti che le cose più belle nascono dalle piccole cose; il più delle volte è una frase fatta alla quale nessuno crede veramente, forse perché si hanno troppi problemi, come le bollette da pagare e il lavoro troppo precario, forse perché si è troppo seri e mentalmente vecchi per permettersi di pensarla così o forse, più semplicemente, perché a nessuno importa come nascono certe cose.
Per loro basta che siano belle.
Ma, quasi inconsapevolmente, in alcuni di noi rimangono impressi quei momenti, quegli istanti in cui inizia una nostra storia. La traccia che li indica è un dolce languore che ci fa dimenticare i problemi; e quel languore torna ogni volta che la nostra mente rivive quel preciso momento.
Che, poi, non deve trattarsi semplicemente di un “momento”. Può anche essere un oggetto, un animale, il nostro gelato preferito… può essere una persona.
Il più delle volte è una persona con un oggetto.
Per Aaron fu così.
La persona era una bambina dagli occhi grandi ed azzurri; l'oggetto era un cerotto.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ne vale la pena'
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Nato da un cerotto

 

Dicono tutti che le cose più belle nascono dalle piccole cose; il più delle volte è una frase fatta alla quale nessuno crede veramente, forse perché si hanno troppi problemi, come le bollette da pagare e il lavoro troppo precario, forse perché si è troppo seri e mentalmente vecchi per permettersi di pensarla così o forse, più semplicemente, perché a nessuno importa come nascono certe cose.

Per loro basta che siano belle.

Ma, quasi inconsapevolmente, in alcuni di noi rimangono impressi quei momenti, quegli istanti in cui inizia una nostra storia. La traccia che li indica è un dolce languore che ci fa dimenticare i problemi; e quel languore torna ogni volta che la nostra mente rivive quel preciso momento.

Che, poi, non deve trattarsi semplicemente di un “momento”. Può anche essere un oggetto, un animale, il nostro gelato preferito… può essere una persona.

Il più delle volte è una persona con un oggetto.

Per Aaron fu così; e il bello era che lui detestava piangere davanti agli altri.

Alla sua età (cinque anni) piangere è la cosa più naturale al mondo e nessuno gli avrebbe imposto di non farlo ma lui era così per natura; doveva averlo nel suo DNA. Ma, con un ginocchio sbucciato, trattenere le lacrime era difficile. Il fatto che ci fossero altri bambini a guardarlo non lo aiutava per niente.

Tenne gli occhi pieni di lacrime fissi sul ginocchio graffiato, cercando di ignorare tutti gli altri bambini che tornavano a giocare pur continuando a guardarlo. Attraverso il velo di lacrime vide due scarpine rosa con delle fibbie a forma di farfalle, o forse di fiocchi. Era una bambina.

Ricacciando indietro le lacrime, alzò il viso mostrando un’espressione imbronciata.

La bambina davanti a lui sembrava più piccola, il volto tondo e roseo era incorniciato di riccioli neri e gli occhi grandi  e azzurri lo scrutavano con curiosità e con quella luce che le bambine hanno quando giocano a fare le mamme premurose con i loro bambolotti. Con quella borsa che aveva sotto braccio sembrava voler imitare un’adulta. Ma la cosa che Aaron notò con sollievo era che non mostrava l’intenzione di prenderlo in giro.

- Ti sei fatto male? – chiese la piccola con voce flebile.

- Non è nulla – replicò Aaron.

- Invece sì, ti esce il sangue dal ginocchio – disse la bambina tranquillamente – Devi metterci un cerotto se no fa infezione. Papà Kurt me lo dice sempre.

Agitando goffamente il braccio, infilò una manina nella borsa e ne tirò fuori una scatola di cerotti con sopra dei disegni di “Hello Kitty”, la aprì e prese un cerotto rosa avvolto nella carta.

- Papà Kurt mi da sempre una scatola di cerotti. Dice che possono servire se mi faccio male. Te ne posso dare uno, tanto ne ho tanti – disse, porgendoglielo.

- Io quello non lo metto – si ribellò Aaron – E’ un cerotto per femminucce.

- Se ti fai male te lo devi mettere lo stesso – fece la bambina, innervosendosi un po’ – E poi me li ha comprati papà Blaine perché sa che “Hello Kitty” mi piace.

- Ma quanti papà tieni? – chiese Aaron, incuriosito dal fatto che fosse stato tirato in ballo un altro papà.

- Ho due papà – rispose la bimba con ovvietà – E adesso mettiti questo cerotto.

Con l’aria da piccola mamma, la bambina strappò l’involucro del cerotto e, inginocchiatasi accanto ad Aaron, lo applicò al ginocchio, coprendo però solo una striscia della bruciatura e lasciando scoperto un contorno rossastro. Ma non sembrò darci molto peso; nemmeno il bambino che era lievemente arrossito.

- Ecco fatto – disse la piccola, soddisfatta – Adesso vai dalla tua mamma, fatti dare un bacetto e ti passa tutto.

- Ma io la mamma non ce l’ho – fece Aaron, timidamente.

- Ah, ho capito. La tua mamma è in cielo come la mamma della mia amichetta Alice?

- Non lo so se è in cielo. Ma anche io ho due papà come te.

- Che bello! – esclamò la piccola, battendo le mani entusiasta – Credevo di essere l’unica che aveva due papà.

- Rose Elizabeth! Che stai facendo? Non starai dando fastidio a quel bimbo?

Da dietro la bambina, Aaron vide avanzare un signore alto, ben vestito, con una sciarpa lunghissima attorno al collo; accanto a lui c’era un altro signore, molto buffo, con un papillon sul colletto della camicia e una massa di capelli neri ricci come quelli della bambina.

- Papà Kurt, papà Blaine, anche questo mio nuovo amichetto ha due papà – disse Rose Elizabeth, saltellando allegramente – Gli ho dato uno dei miei cerotti perché si era fatto male.

- Ma davvero! – fece il signore elegante (papà Kurt) accarezzando affettuosamente i ricci della figlia – Che brava, ti sei fatta un nuovo amico.

- Come ti chiami, piccolo? – chiese il signore buffo (papà Blaine) inginocchiandosi accanto ad Aaron, sorridendogli paternamente.

- Mi chiamo Aaron – si presentò il bambino porgendogli la mano in modo impettito; e il signore buffo glielo strinse allargando il suo sorriso.

Proprio in quel momento si fece avanti il papà di Aaron; un signore alto, distinto, biondo e con un filo di barba ispida*.

- Salve – salutò – Mio figlio vi sta forse importunando.

- Oh, no, per carità anzi credo che suo figlio sia stato un vittima dei “tentativi medici” di nostra figlia – disse Kurt indicando con gli occhi il ginocchio del bimbo coperto dal cerotto.

- Hai sempre questa brutta abitudine di buttarti per terra ed ecco il risultato – fece l’uomo, scherzosamente, afferrando il figlio per i fianchi e prendendolo in braccio – Sono Josh Brandon, il padre di questo grillo saltellante.

- Noi siamo Blaine e Kurt Hummel-Anderson, i genitori della “dottoressa” del vostro figliolo – si presentarono educatamente i due uomini.

- Sembra che, ormai, i nostri pargoli avranno un’amicizia in comune – disse Josh, guardando teneramente i due bambini che, con la presenza dei genitori, sembravano aver perso la parlantina di poco prima ed erano rimasti entrambi in silenzio a mangiarsi l’unghia del dito indice – Ma adesso è ora di andare – continuò Josh, rivolto al figlio – Papà ci aspetta per andare a vedere la tua prima partita di football. Su, di’ “ciao” alla tua amica.

Senza dire niente, Aaron agitò la manina in direzione di Rose che lo salutò di rimando, nascondendo l’ombra di un sorriso.

Il “momento” sembrava passato. La “persona” se ne andava, aggrappata alle mani dei suoi genitori che la facevano saltare per divertirla; l’ “oggetto” era rimasto attaccato al ginocchio di Aaron.

Il bambino, in braccio al papà, cercò fino alla fine di guardare Rose che si allontanava, sporgendosi dalla spalla di Josh.

- Andiamo da papà Dave? – chiese Aaron, lasciandosi andare sul braccio del padre.

- Sì, da papà – confermò Josh.

- Da papà Dave? – riprese Aaron.

- Cos’è questa novità di “papà Dave”? – fece il padre ridacchiando.

 - Quella bambina, Rose, chiama i suoi papà con il loro nome e, allora, voglio farlo anch’io.

- Ti piace quella bambina?

- E’ mia amica – rispose il piccolino come se fosse la cosa più naturale del mondo e Josh non vi trovò nulla da ridire.

Arrivarono al “grande ufficio”, come lo chiamava Aaron, e mentre salivano nell’ascensore il bambino volle scendere dalle braccia di “papà Josh” per poter correre nell’ufficio di “papà Dave” e gettarsi in braccio a quest’ultimo con un verso che voleva essere di “mostro” ma che, invece, ricordava di più il ringhio di un cagnolino.

- Oh, che paura! – esclamò papà Dave, facendolo roteare in aria fino a quando il verso non si tramutò in una risata – E’ un mostro o il mio campione questo qui?

- Sono il mostro – rispose Aaron riprendendo a ringhiare divertito.

- Allora non posso portare nessuno alla partita di football – fece l’uomo, dispiaciuto.

- No, no! Io, io, io!  -si mise ad urlare Aaron.

- Va bene. Allora andiamo – rise papà Dave, sistemandosi meglio il bambino in braccio e salutando papà Josh con un bacio – E questo, dove lo hai trovato? – domandò, notando il cerotto rosa.

- Il regalo di una nuova amica di Aaron – rispose papà Josh, visto che il piccolo sembrava restio a rispondere.

- E bravo il mio campione. Le signorine già ti corrono dietro.

Con un versetto di frustrazione il bimbo affondò la testa nell’incavo del collo del papà dandogli dei pugnetti sul petto; un’altra cosa che non sopportava era che gli facessero notare una cosa imbarazzante e questa poi era una cosa del tutto nuova per lui.

Quella giornata rimase impressa nella sua mente di bambino perché fu uno dei giorni più belli di sempre e non solo per lui.

- Sei felice, Dave? – chiese Josh a suo marito mentre ritornavano a casa, Aaron addormentato sul suo sediolone in macchina.

- Sì – rispose semplicemente Dave, prendendogli la mano.

Quello era stato il giorno più bello di sempre anche per Dave Karofsky.

 

* * *

 

Con gli anni si cresce, il tuo fisico si fa più forte e non si piange più per un semplice graffio o per una sbucciatura, persino il dolore che si sente quando si è piccoli si riduce ad una lieve puntura o una tenue bruciatura. Le lacrime le si risparmia per cose più gravi o più belle.

Le ferite, comunque, ci sono sempre come anche le persone. E Aaron Brandon-Karofsky, studente liceale al primo anno da poco entrato nella squadra di football, questo lo sapeva. Solo una cosa non sapeva: i placcaggi potevano fare molto male. Stavolta un cerotto non bastava a coprire il brutto taglio che si era aperto sul braccio.

Ma a Rose Elizabeth Hummel-Anderson non importava; aveva sempre una scatola di cerotti a portata di mano.

- Ti sei fatto male? – gli chiese, andandogli incontro dopo che era uscito dagli spogliatoi.

- Non ho più cinque anni – le rispose Aaron già sapendo dove voleva andare a parare.

- Cinque o quindici o venti non ha importanza – ribatté Rose ostinata – Potrebbe venirti un’infezione.

- Stai cercando di confondermi con un déjà vu, di’ la verità.

- No, sto cercando di metterti in guardia sui rischi che comportano l’esposizione di ferite con ambiente di uso pubblico. Dovresti leggere anche tu le mie riviste mediche.

- Che palle! – mormorò il ragazzo alzando gli occhi al cielo.

- Poche storie. Dammi il braccio o sarò costretta a fare rapporto al comitato dei “Padri ansiosi” e sai che ne sono capace – lo minacciò lei tirando in ballo il “comitato” che si erano inventati loro quando avevano abbattuto la staccionata del giardino dei Colys dopo aver “preso in prestito” la macchina di papà Dave.

- Ti prego, non davanti ai ragazzi della squadra – scongiurò Aaron, vedendo passare un gruppetto di giocatori più grandi che scoppiarono a ridere vedendo Rose applicargli un cerotto (dei “Looney Tunes”; era riuscito a convincerla ad evitare quegli imbarazzanti cerotti rosa di “Hello Kitty”).

- Tranquillo – lo rassicurò lei, scoccandogli un’occhiatina maliziosa – Questo ti salverà dalle loro prese in giro.

Alzandosi sulle punte dei piedi, Rose avvicinò il suo viso a quello di Aaron, lasciandogli un bacio all’angolo della bocca. Il ragazzo non prestò attenzione alle espressioni basite e leggermente invidiose che i ragazzi gli lanciarono; era troppo impegnato a sentire l’odore della crema che Rose si era spalmata sugli zigomi quella mattina e poi a dare un’occhiata più ravvicinata alle sue pupille verde-azzurre.

- Se la metti così – disse poi quando si furono staccati – potrei anche pensare di farmi male più spesso.

- Scordatelo. Non ho intenzione di venire a trovarti in infermeria ogni volta che hai gli ormoni in subbuglio. Ed ora, fila via; non voglio vederti fino alla fine dell’ora di letteratura inglese.

- Agli ordini, maestrina.

E girando i tacchi, la ragazza si diresse di gran carriera verso l’aula di letteratura affiancandosi ad una sua amica; prima di varcare la soglia si sfilò il fermaglio a forma di fiocco e scosse i suoi riccioli neri, che le piovvero sulle spalle minute; voltò il viso in direzione di Aaron, rimasto fermo al suo posto, e gli regalò un sorriso che partiva dagli occhi per terminare nella fossetta che compariva sulla guancia sinistra.

Lo faceva apposta; sapeva che Aaron adorava quel gesto vezzoso.

Ma, più che altro, Aaron Brandon-Karofsky adorava quel sorriso e amava quegli occhi.

“Sei una forza, Rose Elizabeth Hummel-Anderson” pensò lui vedendola entrare in aula.   

 

 

 

FINE?

 

 

 

Nota dell’autore:

* In questa mia one-shot il personaggio originale di Josh Brandon ha il volto di Ryan Gosling http://www.immaginia.com/ryan-gosling-10.html. Perché ho scelto proprio lui? Risposta facilissima. In una sua intervista, Max Adler disse che come fidanzato di Dave avrebbe voluto avere proprio lui, il suo attore preferito.

 

So già che questa OS mi farà odiare da quella parte di fandom che shippa Kurtofsky e Seblaine; mi preparò a ricevere eventuali sassate ma a mia difesa posso dire: quando ti viene l’ispirazione non puoi mica soffocarla.

E il mio slogan è: “Non giudicatemi per quello che scrivo, ma per come lo scrivo”.

Che altro posso dire: inventare una coppia, con due personaggi inventati da me, mi da una bellissima sensazione, come se avessi appena dato la vita a qualcuno… ok, forse sto esagerando XD. E devo dire che mi ha divertito moltissimo scrivere usando il linguaggio infantile, passando poi a quello degli adulti. L'ho trovato un buon modo per esercitarmi, anche se mi accorgo solo adesso di quanto possa sembrare veloce e precipitosa in alcuni punti.

Chissà, magari in futuro mi verrà in mente qualche nuova storia su Aaron e Rose Elizabeth; vediamo prima se questa OS raccoglie qualche consenso.

Per tutte le curiosità, aggiornamenti e prossimi lavori vi rimando alla mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Complimenti se siete riusciti ad arrivare fin qui senza vomitare e… ciaoooooo!!!!!!

 

Lusio

  
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