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Autore: Rainbone    12/07/2012    2 recensioni
Dopo averlo lucidato per bene, staccò gli occhi dalla strada e si voltò verso la sua mano che raccoglieva sghemba il vecchio articolo di orologeria grezza. Ma non riuscì a leggerne l’ora, nonostante il quadrante fosse limpido. Si voltò di scatto sulla strada, dopo aver udito il disgustoso mormorio delle ruote sull’asfalto grattato.
La strada era logora e poco frequentata. Matt guardò alla fine dei sassi prima di scivolare in un precipizio immenso e senza fondo.

Dopo "Freezing of the offence" viene questa qui a cui non sapevo che titolo dare. Insomma ho i complessi sui titoli! Il titolo - che significa 'Eredità' voleva ricordare i titoli degli episodi di Death note XD Non so da cosa sia nata, ma tanto pare che oggi io non sappia proprio nulla! XD Spero sia di vostro gradimento. :D Vi amo!◕‿◕
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Near
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Canticchiava una vecchia canzone di Madonna, che si era trovata a passare su per la radio sgangherata e balbettante di quello scasso di auto. Il venditore gliel’aveva pure raccomandata dicendogli che era un ‘vero gioiello’.
Strizzò un po’ gli occhi per abituarli al cielo che sembrava essersi scurito tutto all’improvviso. Ricordò che, poco prima, tre gabbiani avevano tracciato il loro ultimo volo per migrare , forse, dove la fame era solo un capriccio.
Mello aveva preso poche pezze, tra le quali una giacca di pelle multiuso, che si erano passati tutti i ribelli della Wammy’s House, l’ultimo –prima di lui – era stato Zack. Niente di più di poca stoffa per coprirsi la pelle molle e bambina che il suo migliore amico aveva cercato di proteggere e reggere sino ad allora .
Nella sua borsa, invece, che giaceva sul sedile posteriore, non vi era altro che tutta l’angoscia covata nelle vene sino ad allora. Sangue scuro di astio e delusione.
Matt si voltò a guardare il sacchetto unto di poche macchie di pennarello, ricordo dell’orfanotrofio che lo aveva reso muto e immutabile. Dalla tasca tirò fuori un vecchio orologio da polso, anch’esso multiuso come la giacca di Mello che aveva ereditato da qualcuno alla Wammy’s.
Controllò l’ora ma evidentemente il freddo secco di quella giornata gli aveva inaridito gli occhi, perché pure facendo appello alla sua lacrimazione, battendo piano le palpebre, Matt non riusciva a vedere le lancette nel quadrante. Poi come risvegliandosi si rese conto che il vetro dell’orologio era appannato, allora ci soffiò sopra e poi, sempre tenendo  una mano attaccata al manubrio, se lo trascinò sul giubbotto per pulirlo.
Dopo averlo lucidato per bene, staccò gli occhi dalla strada e si voltò verso la sua mano che raccoglieva sghemba il vecchio articolo di orologeria grezza. Ma non riuscì a leggerne l’ora, nonostante il quadrante fosse limpido. Si voltò di scatto sulla strada, dopo aver udito il disgustoso mormorio delle ruote sull’asfalto grattato.
La strada era logora e poco frequentata. Matt guardò alla fine dei sassi prima di scivolare in un precipizio immenso e senza fondo.
 


 
Aprì piano gli occhi, faticando a staccare le palpebre assonnate. Ormai aveva imparato a non svegliarsi di colpo ogni volta che faceva quel sogno e dato che lo faceva ogni notte, abituarsi a non saltare dal letto era stato facile.
Ora si limitava a guardare il nero del baratro con insonne indifferenza, e continuava a fissarlo finchè la razionalità non lo staccava come un adesivo incrostato da quel sogno che ormai aveva perso anche la dignità di incubo.
Si sollevò impuntando i gomiti sul materasso e si guardò attorno scoprendo i dettagli della stanza al buio. La scrivania vuota, senza Mello, in questo senso vuota. Era abituato a  vederlo appostato nella sua metodica confusione cartacea, tra i suoi libri. Spesso si era svegliato di notte, Matt, e aveva trovato il suo compagno di stanza a studiare per il test del giorno dopo, anche a tarda notte o di primo mattino.
Ora non più. Scrutò le poche riviste sui videogiochi e sull’arte contemporanea, sopra la mensola , notò l’assenza del libro che Mello stava leggendo prima di partire. Intravide, al lato della scrivania, lo zaino del suo consueto sogno, con le pacchie di pennarello blu sul tessuto di jeans.
Disperato nel tentativo di riprendere il sonno che stava perdendo da quando Mello se n’era andato, Matt si ruotò su un fianco e si mise a fissare la parete coperta dall’orrida carta da parati gialla -che però nel buio sembrava grigia-, con i delfini arancioni -che nel buio sembravano neri.
Se n’era andato senza degnarlo d’uno sguardo, né di una promessa. Aveva trovato della carta nella sua confusione e l’aveva riservata all’angolo più piccolo occupato nel suo cuore di metallo.
Aveva scribacchiato, col freddo sulla pelle, poche parole di scusa e solo l’egoismo d’una speranza che aveva ben più importanza di un angolo così piccolo di cuore , almeno per Mello.
Matt scostò le coperte irritato e si alzò dal letto, strisciando i piedi intorpiditi e scalzi sul pavimento freddo e morto. Risuonò l’eco timida delle sue piante sulle mattonelle finchè non raggiunse la porta piccola del bagno. Allora si fermò, piegò la maniglia e entrando della stanzetta accese la luce fioca che gli illuminò il riflesso dello specchio.
Si salutò con gli occhi mogi e increspò le palpebre facendo formare due piccole occhiaie violette. Guardò il labbro inferiore, un po’ tumido di sonno e le guance bianche, quasi fossero state incipriate dal pallore delle lenzuola.
Aprì il rubinetto e si inumidì indice e medio, se li passò poi attorno agli occhi, incorniciando i cerchi rosei delle occhiaie semi-perenni da quando Mello era andato via. Unì le mani a formare una coppa e le riempì dell’acqua tiepida del rubinetto, poi si inumidì con questa il viso smunto e freddo.
Nel gesto, calò il capo nel lavandino per impedire all’acqua di gocciolare sul pavimento e solo quando ebbe finito, sollevò di nuovo la testa per guardarsi allo specchio.
Alcune stille scivolarono dal suo viso nell’incavo della sua clavicola bianca e un po’ lentigginosa, mentre Matt fissava il suo riflesso silenzioso nel vetro opaco dello specchio.
Near era sempre stato più fortunato, aveva sempre avuto la mente di Mello impegnata su di sé, e come se non bastasse era stato da lui prima di andarsene. Bastardo!
Near era una lampadina spenta, non sprecava energia, ma siccome era avvitata ne scaricava di continuo.  Mello invece era una lampadina spenta, usufruiva di tutta la sua energia , ma era destinato a restare fulminato da quel lavoro compiuto anche sotto sforzo.
Ma era disposto a farlo, la competizione era diventata solo un gioco. Probabile che per Mello fosse diventato un gioco dai toni erotici, un qualcosa che coinvolgeva Near dal punto di vista fisico. Ecco perché quella notte, aveva lasciato un apatico biglietto di scuse per Matt ed era andato  in camera dell’albino.
Il rosso chiuse gli occhi alla valanga pesante che stava cominciando ad opprimergli le spalle magre. Quando li riaprì, scrutò le sue stesse pupille dilatate che lasciavano poco spazio al verde fresco che stava diminuendo. Al suo posto, una miscela di nero e sangue si stava espandendo tra le sue palpebre e i suoi occhi si stavano indurendo. Forse era quella la pubertà.
Si asciugò il viso con l’asciugamano accanto al lavandino e strisciò i piedi scalzi fuori dalla stanza del bagno. Poi sostò dinanzi alla scrivania e afferrò saldo lo schienale della ‘sedia di Mello’ , vuota.
Grattò una ruga del legno con l’unghia dell’indice sinistro, mentre le altre dita restavano nascoste, in agguato. Con la mano destra si allungò a prendere un foglio di carta bianco sul tavolo e senza neanche guardarlo lo infilò con la stessa mano nel cassetto della scrivania.
Nel gesto di aprire quel ripostiglio aveva dolorosamente intravisto il pezzetto di carta ripiegato che c’era dentro al cassetto. Si chiedeva perché non lo avesse gettato e si rispondeva che era l’unico oggetto che apparteneva a Mello che oramai gli restava, oltre a Near, ovvio.

Come in trance, quella notte, decise d’aprire di nuovo il cassetto e senza troppo sforzo morale acciuffò la carta ripiegata con indice e pollice. Con entrambe le mani, appoggiandosi alla scrivania, aprì il foglietto e lo spiegò. Lesse e poi lo ripiegò, infilandoselo nella tasca ambia dei larghi calzoncini del pigiama.
Chiuse il cassetto in uno scatto di legno, poi si lisciò la maglietta XL a righe e aprì la porta della camera lasciando il buio della sua stanza in cambio dell’opalescente luce gialla di cui si colorava il corridoio del secondo piano della Wammy’s House, illuminato della lanterne alternate appese al muro.
Alle finestre le tende erano tirate e una delle lampadine, come Mello, tintinnava e dava segni di cedimento. A tratti si spegneva per due secondi e poi tornava ad accendersi con una scintilla bluastra che s’infuocava di giallo tenue, poi tentennava di nuovo, si spegneva. E tornava sempre ad accendersi.
Matt attraversò il corridoio col pensiero di Mello che lasciava l’orfanotrofio, costretto ad attraversare quel corridoio e disposto amaramente a fare una sosta in quell’oasi di desiderio che sarebbe stata la camera di Near. Magari avevano fatto anche l’amore, pensò il rosso. Valutò poi il fatto che l’albino sarebbe stato troppo giovane per quello.
Comunque continuò a trascinare i piedi scalzi intenzionato ad entrare nella stanza di Near, senza un motivo particolare. Raggiunse la porta e ci poggiò sopra le nocche strette per bussare sul legno, poi lasciò ciondolare la mano lungo il fianco come addormentata.
Allora la alzò e cinse la maniglia come l’aveva sicuramente cinta Mello, prima di entrare in quella stanza e trovarci probabilmente Near sveglio e impaziente.
Fece poco peso sul metallo e la maniglia cedette liberando la serratura e allargando la vista sulla stanza semibuia dell’albino. Matt si chiese se le sue previsioni fossero state esatte, se Mello fosse davvero andato da Near e se si fossero anche solo baciati. Si rispose che stava diventando paranoico e noioso.
Spinse la porta e fece ingresso nella stanza del giovane che stava sotto le coperte, si accorse che sul comodino giaceva una lampada abat-jour con alcune frange tagliate, probabilmente un altro oggetto ereditato. Si ricordò che l’ultima volta che era entrato nella stanza di Near, con Mello per fare uno scherzo all’albino, quella lampada non c’era.
Si avvicinò al letto e al comodino e notò che l’albino dormiva di spalle, o forse neanche dormiva.
Matt allungò la mano verso l’interruttore della lampada, penzolante lungo i cassetti, lo afferrò e lo premette. La luce dell’abat-jour si spense e la stanza fu inghiottita dal buio.il rosso decise di riaccenderla, perché altrimenti non avrebbe saputo se Near si era svegliato.
Premette di nuovo l’interruttore e la lampada riprese  vita dal sordo ‘cip’ e la stanza fu di nuovo soffusamente illuminata.
Matt spostò gli occhi dal comodino color panna con alcuni buchi senza vernice al letto di Near e al mucchio di coperte che vi era sopra.
L’albino non si era girato, perciò Matt spense di nuovo l’abat-jour e aspettò. Nel buio che fasciava la camera, il rosso sentì i movimenti di Near sotto le lenzuola allora, con il dito pronto sull’interruttore riaccese immediatamente la luce.
Sembrava un gioco stupido, e quando si accorse che l’albino era ancora di spalle si sentì un maniaco, un guardone. Perché se Near non si fosse svegliato da solo, lui non lo avrebbe svegliato, perciò avrebbe sostato nella sua stanza di nascosto, senza che l’albino se ne accorgesse.
Questo era da guardoni, psicopatici e lui non voleva impazzire. Spense ancora una volta la luce imprecando mentalmente e  desiderando che Near si voltasse e gli dicesse tranquillamente che era sveglio e che lo aveva sentito entrare e che non era da matti quello che lui stava facendo.
La riaccese. Nulla. La spense e la riaccese, poi la spense e cominciò a premere in modo automatico l’interruttore.
L’accese-la spense e poi la accese, vide gli occhi di Near fissarlo e poi la spense di nuovo, come da copione. Il dito si era appesantito sul pulsante, sembrava incollato e i muscoli intorno alle falangi erano congelati. Near si era svegliato e lo aveva guardato. Matt aveva visto gli occhi neri brillare dei riflessi ambrati della lampadina. Erano aperti, lui era girato sul fianco opposto a quello di prima, e gli volgeva il viso.
Nella stanza il buio cancellava i contorni, tutto. Matt fece schioccare il pollice sull’interruttore allora lo premette e riaccese la luce.
L’ambra dell’abat-jour si riversò  sulle pareti più vicine e sulle coperte e sul comodino dalla vernice bucato e sugli occhi cavi di Near.
-Near.- sospirò Matt, interdetto, come se fosse stato l’albino ad intrufolarsi nella sua stanza a notte fonda e avesse cominciato a dare di matto con l’interruttore della lampada.
Il ragazzo, placidamente raccolto nelle coperte,  battè lentamente le palpebre facendo posare le lunghe ciglia argentee sulla pelle lattea. Poi riaprì gli occhi con la stessa stancante lentezza e guardò il ragazzo che sostava nevriticamente in piedi dinanzi al suo letto, stringendo tra le mani l’interruttore color bronzo.
-Matt, hai bisogno di qualcosa?- chiese Near, spostò una ciocca di capelli bianchi dall’occhio sinistro con la mano sinistra poi avvolse il braccio fino a tenersi la testa con la mano destra  e impuntando il gomito nel materasso. Inclinò il capo e la ciocca che aveva raccolto prima scivolò di nuovo sulla guancia a coprire l’occhio scuro.
Matt lasciò cadere  l’interruttore della lampada lungo il comodino e si infilò una mano nella tasca dei pantaloni. Tirò fuori il biglietto stropicciato di Mello, lo spiegò e lo porse a Near con poca stizza.
L’albino lo prese con delicatezza con due dita e lo avvicinò lentamente alla luce dell’abat-jour per leggere. In silenzio esaminò il foglio di carta strappato forse da un quaderno coi righi, i bordi frastagliati e la scrittura veloce e un po’ maldestra, per niente tipica di Mello.
Ci soffiò sopra e l’angolo che si era arricciato si stirò rivelando solo un’altro po’ di carta bianca.
Matt sperò per un po’ che sotto quell’angolo ci fosse scritto qualcos’altro, che lui non se n’era mai accorto ma che Near , con un intuito migliore del suo, aveva scovato.

L’albino sollevò lo sguardo sul rosso, -Allora?- chiese esaminandolo con spiccata indifferenza.
Non c’era niente sotto quell’angolo, allora.
-Mello … me lo ha lasciato prima di  andarsene…- disse Matt a denti stretti.
-Questo lo avevo capito. – Near scrutò ancora un po’ il fondo grigio-verde degli occhi del rosso, indagando sul motivo per cui era lì quella sera.
-Voglio sapere se è stato qui, Mello- gracchiò Matt .
-Non vedo motivo di mentirti, perciò ti dirò di si: Mello è stato da me prima di andarsene.- concluse l’albino ripescando la ciocca clandestina che aveva ricominciato a pizzicargli l’occhio sinistro.
Qualcosa dentro Matt scivolò poi tornò su e gli si ripropose sulla lingua di bile amara. Temette di stare per vomitare, poi quella cosa, qualunque cosa fosse, scivolò di nuovo giù, ai suoi piedi e si calmò. Era una sensazione orribile di  disagio, trovarsi dinanzi a qualcuno che era stato più importante di te per la persona che più contava per te.
Si sentì un verme, viscido e inutile. Con poco valore
Nessun valore. Gli occhi gli bruciarono per l’angoscia perciò roteò le pupille esausto e deluso. Nonostante la visita di Mello a Near fosse avvenuta, non significava che avessero fatto qualcosa.

-Mello è venuto da me per dirmi che era offeso.- sillabò Near con curata calma, come se fosse stato scontato che Matt lo stesse ascoltando. Il rosso lo guardò incrociando il suo sguardo, gli occhi tranquilli di Near non tradivano il sonno che gli cominciava a corrugargli la fronte, nello spazio tra le due sopracciglia pallide.
-Io avrei preferito che mi avesse salutato.- disse Matt ,- Non che mi lasciasse un insulso biglietto.-
-Avresti retto?- chiese l’albino con il tono monocorde, restituendogli il pezzo di carta.
Il rosso lo prese e se lo infilò distratto nella tasca continuando a guardare Near afflitto.
-Non lo avresti lasciato andare. Gli avresti reso le cose più difficili, ma sarebbe partito lo stesso, ha solo preferito andarsene senza vederti così, come sei ora.- dedusse l’albino con gli occhi bassi sul bordo del comodino.
Nel silenzio che ebbe come risposta Near alzò la testa dalla vernice bucata e senza guardare Matt, gli mostrò più porzione di viso pallido.
-Sei geloso …- fece girare le iridi nere fino a guardare il rosso ,- Vero, Matt?- chiese l’albino, incrociando con innocente malizia gli occhi del ragazzo di fronte a lui.
-E’ per questo che sei qui?- domandò ancora non ottenendo risposta dal rosso se non un grugnito poco distinto.
-Sono qui perché non avevo sonno.- concluse Matt vago.
-E basta?- chiese di nuovo  Near. Acciuffò annoiato una ciocca qualsiasi con la mano destra e se la attorcigliò attorno all’indice cominciando a farla roteare.
-Si, solo questo. -  disse Matt, poi si allontanò un po’ dal letto dell’albino deciso a tornarsene nella sua stanza e lasciare l’orfanotrofio la mattina seguente.
Le domande che aveva nella testa le avrebbe poste a Mello.
-Hai intenzione di andartene?- chiese Near, con spiccata perspicacia.
Ma troppo lata e poco originale come intuizione.
-Intendo domani.- precisò l’albino.

Matt si stirò una piega sulla maglietta ampia a righe nere e riprese in mano l’interruttore dell’abat-jour.

-Si.- rispose senza guardare Near.
-Come immaginavo. -  scostò la mano dalla tempia e appoggiò il capo sul cuscino dalla federa azzurra. Sul cotone si espansero i capelli bianchi a boccoli.
Near chiuse gli occhi, sospirò e poi li riaprì. –Allora buona fortuna, Matt.-
Il rosso avvertì la stessa cosa di prima tornargli in petto e bruciargli lo sterno, poi in un tonfo precipitò di nuovo ai suoi piedi e si placò.
-Io … grazie.- sussurrò timido, Matt , stirando un’altra piega.
-Di nulla. Bada a Mello.- concluse prendendogli l’interruttore dalle mani, sfiorando con le dita fredde e sottili quelle un po’ più lunghe di Matt.
-Si. Buona fortuna anche a te. – disse il rosso guardando le  mani che gli allontanavano l’interruttore. Si allontanò di nuovo dal letto e fece per voltarsi ma la voce fredda di Near lo fermò.
-Matt ?-
-Si?- rispose malinconico.
-Mi dispiace.- disse con la stessa apatia di sempre, senza sentimento ma con forte sincerità nel tono.
Il rosso gli si avvicinò di nuovo e si chinò appena sul corpo minuto di Near, gli ravviò la ciocca sinistra che gli aveva pizzicato l’occhio tutta la notte e sfiorò con le labbra la tempia bianca dell’albino.
-Anche a me, Near. Buonanotte.- gemette nel suo orecchio mentre staccava la bocca tiepida dalla fronte del ragazzo.
Si sollevò e in silenzio abbandonò la stanza mentre Near si rimboccava le coperte e tornava alla sonnolenta veglia.
Matt si chiuse la porta alle spalle con uno schiocco leggero e appena giunse nel corridoio si accorse che la lampadina si era spenta del tutto.
 
 
 
 
















Note:
Ma ci credete che ho cominciato a scrivere questa one-shot da quando avevo finito  di scrivere la long >.< Cristo non ho davvero tempo di stare al pc e… dovete credermi di nuovo se vi dirò che se potessi scriverei ancora ora che ho tempo perché ho un casino di altre cose in mente che devo ancora fare!
Insomma questo era il seguito di “Freezing of the offense”, ovviamente intendo la partenza di Matt.
È qualcosa che all’inizio doveva essere introspettivo dal POV di Matt, poi mi hanno dato l’ispirazione di scrivere del nostro rosso che abusava di Near e infine ho preferito che si salutassero così, in modo … gentile(?) Non so quale senso reale abbia, però sono felice d’averla finita XD
Forse, nel caso in cui dovessi avere tempo, scriverò della partenza di Near e poi dell’incontro di Mello e Matt, saranno one-shot ma dipenderanno l’una dall’altra. Non volevo metterle in un’ unica long per un motivo stupido… non so che titolo darle! XD
Spero davvero che vi sia piaciuta e che mi direte cose ne penso… chiedo inoltre scusa alle persone le cui storie non sto recensendo, solo se leggeranno questa mia shot, ovvio.
Il punto è che leggo ma non ho tempo di scrivere, mi dispiace. T^T
Vi saluto, devo andare… :D
Vi amo!
  
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