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Autore: Legar    12/07/2012    2 recensioni
Il crimine non va in vacanza.
Il consulting detective e il suo blogger sì. O quasi.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Mini long-fic: due capitoli.
Per chi è già in vacanza, per chi partirà, per chi non ci andrà...
le "vacanze" di Sherlock Holmes e John Watson.

 

 



Il crimine non va in vacanza




 Il consulting detective e il suo blogger sì.

 

Sherlock osserva, deduce.

John sta usando il suo computer portatile. Sul tavolo, quindi sta scrivendo, altrimenti avrebbe preferito sedersi comodamente in poltrona e tenere il PC sulle gambe, come gli hai visto fare altre volte. Digitare su una tastiera richiede l’utilizzo di due mani; farlo in poltrona, dunque, è complicato, con il rischio che il pc cada se non si usa una mano per reggerlo.
Ogni tanto smette di premere i tasti, distoglie la sua attenzione dallo schermo e si guarda intorno, per poi ritornare a scrivere dopo qualche secondo in cui compie movimenti inconsapevoli, sovrappensiero. Sta riflettendo, dunque è impegnato in un’attività creativa o che comunque richiede inventiva personale.
Conoscendo il tuo coinquilino, non è difficile dedurre.

«John, stai aggiornando il blog?»
«No.»

 

***

 

L’hai spiazzato.

John non credeva che sarebbe mai riuscito a farlo: era Sherlock quello brillante, che sapeva dirti la vita di un individuo dal suo cadavere. O la tua vita sessuale dallo stato delle tue ginocchia – e per loro fortuna non esisteva altro consulting detective al mondo, o la loro relazione sarebbe già finita su pubblica piazza, per la gioia dei redattori di riviste di gossip.
Vedeva Sherlock sconvolto: accadeva così di rado che errasse una deduzione, che sembrava scontata e universalmente nota la sua infallibilità.
«J-john?» Incapace persino di formulare una domanda precisa.
John pensò fosse suo dovere di coinquilino amico fidanzato aiutarlo a ritrovare l’uso della parola – e della loquacità, anche se questo avrebbe attirato su di sé gli improperi di tutti coloro che reagivano con il solito Fuori dai piedi! alla comparsa del detective.[1] «Dimmi, Sherlock.»
Un profondo respiro dopo, Sherlock fu in grado di aprire bocca e dare voce al suo dramma interiore – anche piuttosto esteriore, visto come si rifletteva nei suoi occhi sbarrati, quegli occhi!, e sulle sue labbra corrucciate, quelle labbra! «Stavi usando il computer sul tavolo e non in poltrona per evitare che cadesse, perché avevi bisogno di scrivere, quindi di usare entrambe le mani.»
«Sì.»
«Ogni tanto ti fermavi per riflettere su cosa scrivere.»
«Mmm…»
«John, dimmi dove ho sbagliato» lo implorò Sherlock, con un’aria così tenera e inusuale che fece venir voglia a John di avvicinarsi e baciarlo. Tuttavia, considerata l’aria con cui questo lo guardava, pensò che al momento il detective era più interessato al proprio errore che alla sua bocca, così si risolvette a rispondergli.
«Stavo organizzando una vacanza, per me e per te. Scrivevo una mail per contattare un albergo e pensavo al periodo più adatto. Le tue deduzioni erano corrette, ma la conclusione errata.» Aveva sperato di riuscire a organizzare tutto prima che Sherlock lo capisse – e da un certo punto di vista c’era pure riuscito, visto che il pensiero non aveva neppure sfiorato la mente di Sherlock, che per questo motivo aveva tratto la conclusione sbagliata dalle sue osservazioni –, ma, ora che la sorpresa era sfumata, si rese conto che andava bene anche così. Sorrise all’idea della vacanza che li attendeva, ma il suo sorriso non ebbe neanche il tempo di interessare gli occhi, che Sherlock si era già alzato dalla poltrona di fronte al camino ed era sparito nella sua camera, lasciando dietro di sé solo gli svolazzi della sua vestaglia – che indossava anche nell’estate londinese, che indossava sempre, tranne quando era lui a togliergliela, nel buio della sua camera, quando la razionalità in Sherlock, senza un caso a cui applicarla, lasciava il posto alla brama e i loro corpi avvinghiati parevano essere l’unico rimedio alla sua noia, o l’unico che non interessasse sostanze illegali e di dubbio beneficio per la salute.
John era abituato alle stranezze di Sherlock, ma il fatto che queste si presentassero quando non era occupato in un caso e dopo un suo errore lo mise in allarme, quindi lo raggiunse, dopo avergli concesso un paio di minuti per pensare a quanto accaduto.

 

***

 

La camera da letto di Sherlock – la loro camera da letto, da quando il letto non era più importante quanto il dormire insieme – era scarsamente illuminata dall’abat-jour quando John vi entrò. Chiuse la porta e si sedette vicino a Sherlock, che stava disteso, con gli occhi chiusi.
«Sherlock?»
Senza cambiare la sua posizione, questi rispose: «Avresti dovuto consultarmi, prima. Non posso lasciare il mio lavoro, hai idea di come mi sentirei?»
John comprese il punto di vista del detective, poi si stese quasi su di lui per portare il suo viso vicinissimo a quello dell’altro. «Guardami» gli disse, e, quando Sherlock lo esaudì, gli espose il suo punto di vista – sperando che quell’azzurro così azzurro non lo distraesse più del necessario per comporre una frase, facendolo regredire all’età mentale di un anno, in cui i mormorii e i sospiri sono più efficaci delle parole. «Volevo trascorrere un po’ di tempo solo con te, senza dividerti con niente e nessuno. Volevo avere qualche giorno come una coppia normale, ecco» gli rivelò, e arrossì.
Un ghigno increspò le labbra di Sherlock. «Ma io e te non siamo normali!»
«E a me sta bene così» rivelò John e poi finalmente lo baciò, come desiderava fare da quando aveva aperto gli occhi, da quando era entrato nella stanza, sempre.
Lo baciò e pregò che niente li disturbasse mentre discutevano della sottile arte del compromesso tra le lenzuola.
Sciolse il nodo della vestaglia, notando con piacere che Sherlock indossava solo gli slip. Cominciò ad accarezzarlo – la guancia, il petto, l’elastico degli slip – e continuò a baciarlo, dedicandosi a lui con l’attenzione e la cura che solo un medico sa riservare a un corpo umano e che, a letto, diventavano piacevoli armi di seduzione. Quando gli sfilò le mutande con le mani, facendole scivolare sulle sue cosce, Sherlock chiuse di nuovo gli occhi e, quando John gli diede piacere con la bocca e con la lingua, strinse i pugni e si morse le labbra. Stava quasi per venire, ma John risalì il suo petto di baci e poi diede sollievo alle labbra offese baciandolo.
«Una sola settimana di vacanza?»
Sherlock riaprì gli occhi e nel sorriso di John lesse tutto il suo piano. Allora gli pose le mani sulle spalle e lo spinse sul letto, prima di salirgli addosso e spogliarlo per compiere lo stesso viaggio precedentemente affrontato da John sulla sua pelle. Si impegnò di più, o forse lo aiutò la pratica che aveva fatto Sherlock nel relegare le sensazioni in un posto tendente all’ultimo della sua lista delle priorità, fatto sta che John si arrese molto prima, e questo Sherlock lo vide nel modo in cui spostò le mani sulla propria nuca e lo spinse verso di sé per continuare ciò che il detective aveva interrotto.
«Due giorni.» concesse Sherlock prima di assecondare i movimenti di John e dare piacere anche a se stesso.

 

***

 

«Dunque cosa hai intenzione di fare in questi due giorni?» chiese John sorridente – perché a dispetto di tutto aveva vinto anche lui, anzi non c’erano né vincitori ne vinti[2] in quella partita disputata in un campo così inusuale, solo un unico, meraviglioso premio.
«Quello che abbiamo fatto poco fa, John. Altrimenti, sai la noia…» gli disse, sorridendo maliziosamente.
E guardando l'espressione di Sherlock, John previde due giornate da sogno.


 



[1] È Sherlock stesso a parlare a John delle usuali reazioni degli altri alla sua comparsa, nel primo episodio della prima stagione.
[2] Né vincitori né vinti è tratta dalla canzone La notte di Arisa.

   
 
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