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Autore: Opalix    27/01/2007    10 recensioni
“Prendimi con te, se tu non puoi tornare!” le disse, e sentì risuonare dentro di sé quelle parole come se le avesse pensate, non pronunciate, come se le avesse dette l’uomo che avrebbe voluto essere e che non era più. Poi il volto e il corpo di lei si dileguarono nell’ombra. – V.M.Manfredi “Il Tiranno”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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CAPITOLO 1: DROWNING IN THE NIGHT

“The frost performs its secret ministry
Unhelped by any wind. The owlet’s cry
Came loud – and hark, again! Loud as before. […]
‘Tis calm indeed! So calm, that it disturbs
And vexed meditation with its strange
And extreme silentness.”
Samuel Taylor Coleridge
“Frost at midnight”

Si sollevò a sedere di scatto, sudando freddo. La sensazione della maglietta bianca appiccicata alla schiena era orribile e viscida, come la pelle gelida di un serpente. Respirò per ingoiare quel nodo alla gola che sembrava bloccargli il respiro, le dita immerse nei capelli neri e ribelli e la fronte appoggiata alle palme umide e scivolose. Ancora loro, ancora incubi. Ancora ricordi. Gettando indietro la testa, si concesse una smorfia amara nel buio della stanza. Gli incubi non erano che la moneta in cui si paga il vitalizio a chi ha salvato il mondo due volte, uno stipendio giornaliero che non arriva mai in ritardo.
Si tolse la maglietta con un unico movimento rapido, e la gettò sul pavimento; rabbrividì violentemente non appena l’aria fredda accarezzò la pelle bagnata. Ogni cosa sembrò rivivere in quell’unico, doloroso, brivido che voleva ricordargli che l’incubo era finito. Mezzanotte. Il buio della stanza, inquinato dall’oscurità fumosa di ricordi dolenti conficcati nell’anima, si tinse della luce soffusa e bluastra delle notti invernali di luna.
La sagoma rannicchiata sotto il piumone, al suo fianco si agitò nel sonno, lamentandosi, con quel mugolio debole dei bambini che sognano, quasi fosse partecipe del tormento notturno di lui. La mano ruvida e segnata corse automaticamente a carezzare i riccioli scuri, sciolti sul cuscino in una cascata di seta… l’oscurità nascondeva i vaghi riflessi di rame che il sole era in grado di accendere in quelle ciocche.
Rame. Lo stesso riflesso della luce, amata ed odiata, che illuminava i ricordi incapaci di restare confinati nel loro legittimo reame. Il passato.
Il tremore inconsapevole si calmò sotto quella carezza dolce, e un bacio posato sulla fronte bianca sigillò il ritorno della principessa addormentata tra le braccia del Principe del Sonno.
Senza far rumore Harry si alzò dal letto, e uscì dalla stanza.

“Non hai mai provato, amico, a perderti in un’alba cristallina, a bussare ad un portone smarrito, a restare più solo di prima?”
Sergej Luk’janenko
“I guardiani della notte”

Attaccarsi alla bottiglia del bourbon era quasi un riflesso automatico, specialmente quando gli incubi colpivano più a fondo, proprio là tra una costola e l’altra. Le notti serene, quando la luna splendeva nel cielo e illuminava un lembo di pelle bianca immobile, là in fondo, nella palude ristagnante dei suoi maledetti ricordi.
“Piantala di distruggerti il fegato, idiota.”
Harry a malapena sollevò la testa; la sensazione del tavolo di formica sotto i gomiti, il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere, erano rassicuranti, tranquilli… perché degnare di attenzione chi era perfettamente in grado di intrattenersi da solo?
“Che ci fai qui?” chiese, stancamente, rispettando il copione. Visto alla luce, il volto dell’intruso avrebbe mostrato un ghigno di trionfo per il raggiungimento dello scopo che si prefiggeva ogni dannato giorno della sua esistenza: poter raccontare ciò che il destino gli aveva riservato durante la giornata. Incapace di lasciare all’oscuro l’umanità intera dei brillanti pensieri che attraversavano la sua mente, trovava nell’insonnia di Harry una perfetta occasione per allenare la propria stupefacente dialettica. Fortunatamente, l’amore di Draco Malfoy per il suono della propria voce prescindeva dal fatto che chi aveva di fronte lo stesse davvero ascoltando: parlava perché amava sopra ogni cosa sentire se stesso parlare.
“Ti salvo da te stesso.”
Harry doveva comunque ammetterlo: le sue frasi erano d’effetto.
“Ah si?” fece, distratto.
Draco si alzò dalla poltrona, entrando nel raggio di luna che filtrava dalla finestra come un attore nel cerchio dell’occhio di bue. La luce argentea illuminò i suoi capelli biondi e la seta brillante che foderava il colletto del cappotto scuro.
“Affogare i ricordi nell’alcol non ti restituirà il passato” declamò con enfasi.
D’effetto.
Non fosse stato per il fatto che Draco stesso era ubriaco fradicio – ma lo nascondeva bene, questo bisognava concederglielo – gli avrebbe quasi dato ascolto.
“Puzzi di whisky più un marinaio…” gli fece presente.
“Beh… allora versa un po’ di quella roba anche per me, capitan Potter!”
Non sia mai che il grande Malfoy debba restare interdetto. Sogghignando amaramente, Harry prese un altro bicchiere e lo riempì di liquido ambrato. “Alla salute…”

Per quel che ne sapeva Harry, Draco era tormentato dagli incubi quasi quanto lui.
Tutti loro – loro, loro che avevano combattuto, loro che avevano sofferto, loro che avevano perduto amori ed amici in quella guerra infinita – erano tormentati da incubi. Tutti loro, che ora vivevano una vita dimezzata, sorridendo al sole del nuovo mattino, nato da una notte insonne avvelenata dal raggio maligno di quella luna d’argento. Tutti loro, ognuno col suo modo diverso di affrontare il buio. A ciascuno il suo veleno, pensò, facendo tintinnare il bicchiere contro quello di Draco, che intanto aveva ripreso ad esercitare la propria abilità oratoria.
“…allora ho pensato… forse potremmo aprire un ristorante… mi piacerebbe… hai presente quei posti in cui suonano dal vivo…”
Tutti loro. Ognuno aveva trovato una strada per scappare, un angolo di mondo in cui fingere di ricominciare. Tutti loro, che Harry aveva amato più di ogni cosa, loro che avevano condiviso tutto, tutto, nell’accezione materiale o immateriale del concetto, durante gli anni di quella dannata guerra.
Tutti.

Eppure Draco era l’unico che sopportava ancora di avere intorno.

Draco. L’ultimo ad unirsi a loro, il cattivo ragazzo riportato tra i buoni da colui che si era finto cattivo e che aveva ucciso il grande mentore. Silente. Ricordi sfumati di se stesso, ragazzino ossuto e disperato, che si lanciava contro il viscido professore di Pozioni, invecchiato di vent’anni nel giro di poche notti, non aspettandosi di vedere lacrime incrostate sulla sua pelle pallida e tirata. Urla e strepiti, dolore, richieste di perdono, offerte di aiuto. Voci che imploravano… andare avanti, non arrendersi, perdonare. Già… quanto c’era da perdonare. Un ragazzino altrettanto ossuto ed ostile, dal viso sciupato e i capelli biondi sugli occhi che avevo visto troppo, usciva dall’ombra e chiedeva, senza proferire parola: chiedeva perdono con gli occhi abbassati, offriva se stesso con la sola presenza.
Tutti loro parlavano poco all’epoca. Draco parlava meno di tutti. Eppure c’era, orfano di madre, il padre perduto nei meandri dell’oscurità, era con loro, cercava e combatteva, difendeva i vecchi nemici col dolore di un drago dalle ali strappate, prestava un’intelligenza che nessuno aveva mai conosciuto.
Ragazzi di tutte le case, di tutte le età, avevano combattuto insieme. Gli Horcrux erano stati trovati – tutti tranne uno – e distrutti – tutti tranne uno.
Voldemort, alla fine, era stato distrutto – ma non la sua minaccia, non per intero… finchè Harry sopravviveva.
Harry stesso era un Horcrux. Ovvio. Tutti l’avevano sospettato – nessuno aveva avuto il coraggio di crederci. Tutti avevano dovuto accettarlo. Ma tutto quadrava, e perché no?… un pezzo dell’anima di Voldemort, cresciuta per distruggere Voldemort stesso, lasciando in vita quello stesso pezzo restante finchè l’uccisore non fosse morto a sua volta – un amaro gioco di parole impresso sulla ruota chiodata del destino, minaccia e monito, perché il male in fondo era sempre pronto a tornare.
Era quel pezzo, quell’ombra, quel fantasma malandato e incompleto che si portava dentro, parassita e simbionte, a fare di Harry l’uomo malato che era. Ed era quel pezzo, forse, che gli rendeva sopportabile la presenza di Draco, e di Draco soltanto… lui tra tutti, il Serpeverde, il bastardo arrogante che gli aveva fatto penare l’inferno da ragazzino. Crudele scherzo del destino… l’ennesimo.
Uno ad uno li aveva allontanati – tutti loro, tutti tranne lui – non sopportando la loro compassione, il loro dolore, la condivisione degli incubi, celati ma palesi, nascosti da un sorriso forzato e sbandierati nelle occhiaie bluastre che al mattino ognuno notava sul viso dell’altro, foss’anche il proprio riflesso nello specchio. Non sopportava di sapere che sapevano, e di sapere che non avrebbero mai potuto capire… capire cos’era avere in se stessi quel frammento di spettro, sapere di doversi ammazzare e non avere il coraggio di farlo. Non sopportava che fossero in grado di concedergli il lusso della codardia, ma non avessero la più pallida idea del suo dannatissimo prezzo.
E così se n’erano andati, uno ad uno, i migliori amici di sempre, la sua famiglia, fratelli nel sangue, se non di sangue – tutti loro, tutti tranne lui.
Lui, Draco, che nascondeva gli incubi dietro quella maschera dorata di novello Casanova della notte, celando le occhiaie nel buio di camere da letto e lenzuola sconosciute… per poi trovarsi a bere come un dannato tombino appena sturato, con lui, a quel tavolo, raccontando avventure costruite su spiagge di verità sepolte da una marea di stronzate che a nessuno dei due importava smascherare. Lui, Draco, l’unico che conosceva da tempo il prezzo amaro della vigliaccheria.
Le lettere di Ron ed Hermione – pergamene umide e profumate dell’acqua salmastra dell’oceano, contenenti fotografie di un matrimonio, di una casa americana e bambini dai capelli rossi che giocavano attorno ad uno steccato bianco, bambini che di Hogwarts non avrebbero nemmeno sentito parlare – giacevano non lette in qualche cassetto, aperte, sfogliate, macchiate di whisky caduto che ne aveva sbavato l’inchiostro e cancellato il ricordo nella mente di Harry. Cartoline che Neville mandava dai suoi viaggi (Dove? Come saperlo se nemmeno le guardava?), fotografie di Fred, biglietti di natale parlanti e semoventi che Luna inviava, ogni anno, puntuale come il fisco, e che Harry si affrettava a strappare e nascondere perché Rachel non li vedesse o sentisse strillare.
Lettere e biglietti a cui di rado aveva risposto.
Nascondere tutto. Nell’impossibilità di dimenticare, cercare almeno di non vedere – non durante il giorno, non da sveglio.
Tenere tutti fuori – tutti loro, tranne lui.

“Si crederebbe, dopo tutto quello che avevamo passato, che noi superstiti ci saremmo tenuti più in contatto, nel corso degli anni. Invece fu come se il filo che ci aveva uniti fosse stato tagliato di colpo e ben presto cominciammo ad allontanarci l’uno dall’altro.”
“In passato forse avevo amato quell’idea, che la nostra azione fosse servita ad unirci: non eravamo amici normali, bensì amici per la vita e per la morte. […] Ora mi dava la nausea il sapere che non c’era via d’uscita, ero legato a loro, a tutti loro, in modo definitivo.”
Donna Tartt
“Dio di Illusioni”

“Insomma, fare il ricco mi piace… sai com’è, un po’ di noia… e poi mi piace l’idea…. Ma hai presente o no?”
Harry guardò Draco, che passeggiava avanti e indietro, gesticolando teatralmente, le mani bianche muoversi con eleganza nella luce blu della luna, riflessa negli occhi grigi che brillavano come cristalli di ghiaccio. Sogghignò, gli occhi semichiusi.
“Sembri il fantasma dell’opera.”
Draco fece un inchino, agitando nell’aria un immaginario cappello piumato, attento a non versare nemmeno una preziosa goccia di liquore.
“A proposito, ti ho raccontato di quella ragazza… a teatro… la Bohème… allora lei ha risposto… fantastico… ‘violetta mia’, l’ho chiamata…”
Harry aveva di nuovo smesso di ascoltare.

La vita era andata avanti. Certo. Come no.
Per tutti, anche per lui, anche per loro due. Così diversi eppure così uguali… ricchi senza merito, eredi di fortune di cui il mondo babbano non immaginava la provenienza e il mondo magico evitava come la peste. Erano tormentati da un passato di cui non parlavano, recitavano una vita da babbani che non apparteneva loro più di quel nome falso che usavano senza il minimo ritegno. Comprare case e proprietà, farle restaurare, rivenderle, costruire ville da favola… far crescere la montagna di quel denaro maledetto, spenderlo in assurdità e non vederlo mai finire, in un circolo vizioso di rendite ed interessi di cui a nessuno dei due importava l’ammontare. Nemmeno i loro amministratori, profumatamente retribuiti, conoscevano di persona i loro volti di ragazzini cresciuti troppo presto.

Una mano fresca apparsa dal nulla gli tolse dalle mani il bicchiere e vuotò il liquore nell’acquaio. Alzando il volto, Harry distinse gli occhi assonnati di Rachel che lo guardavano con un velo di rassegnato rimprovero.
“Dorian…” disse la ragazza, dissimulando graziosamente uno sbadiglio, “chissà perché, sto perdendo le speranze di vederti per casa ad un’ora normale.”
Draco rispose con un inchino sorridente al sarcasmo di Rachel; non un battito di ciglia sottolineava più l’incertezza nel rispondere ad un nome fasullo.
“Ah, quanto del mio fascino perderei se divenissi così orribilmente prevedibile, mia cara!”
Rachel scosse le spalle.
“Sarà… se un giorno ti presenterai per cena, saprò che sei più ubriaco del solito. Dammi quel bicchiere, avanti.”
Draco – Dorian – si arrese con un disarmante sorriso e rese gli alcolici.
“A te, angelo custode, rendo le armi…” mormorò con fare drammatico.
“Ma piantala. Dovresti andare a casa… mi chiedo come facciate a sopravvive senza dormire mai.”
“Siamo uomini temprati, tesoro…”
Anche Harry, se sufficientemente ubriaco, era in grado di sfornare battute di amaro umorismo.
“Non farmi preoccupare, Henry…” mormorò la ragazza, per nulla divertita, “torno a letto. Cerca di venire a dormire un poco, ti prego.”
“Arrivo, Rachel” la rassicurò lui, stringendole dolcemente la mano, “sul serio.”
La vestaglia chiara di Rachel sparì nel corridoio e i due ragazzi furono di nuovo soli, preda del passato e del presente che, in quelle notti così dolorose, sembravano non avere nulla a che fare l’uno con l’altro.
Rachel, che non faceva mai domande. Rachel, che viveva la propria vita lasciando ad Harry – Henry – lo spazio per la propria disperazione, per un passato che non poteva condividere, per un mondo di cui lei non faceva parte. Rachel, che non pretendeva rinunce o promesse e nemmeno le offriva per non metterlo davanti ad un bivio senza uscita d’emergenza. Rachel… un delicato petalo di ciliegio incapace di appassire, che una notte gli era caduto tra le braccia, scivolando silenzioso sull’impronta di sangue lavato da tempo.

“Prima o poi qualcosa verrà a galla. La distruggerai.”
Una frase stranamente sensata per un alcolizzato.
“Sto cercando di evitarlo.”
Draco rise, barcollando verso la porta.
“Non siamo più fatti per le cose che durano, Henry… tutto quello che prendiamo in mano si sbriciola in un secondo.”
Harry sorrise con un’amarezza.
“Buona giornata. Dorian.”
Assaporò tra le labbra il suono di quella parola mentre la porta si chiudeva alle spalle di Draco. Dorian. L’ennesimo amaro giochetto di quel compagno di vita, che si affacciava sul mondo col fare scherzoso di un joker triste, un disperato burlone, travestito da recidivo dandy mondano in quella Londra che sembrava rinascere ogni dannata alba, sempre lei, sempre uguale a se stessa. Insopportabile, eppure adorata.
Dorian… un nome che si portava appresso una maledizione, un’illusione senza speranza, la promessa di un tragico epilogo. Dorian Gray era l’uomo che aveva imprigionata la propria anima in un ritratto per restare giovane in eterno, mai sfiorato dal tempo e dall’infamia. Draco Malfoy aveva lasciato la propria anima nel passato per passare la vita a scappare da essa, senza mai liberarsene, nascondendo la paura di essere raggiunto dietro una maschera di bellezza, raffinatezza e joie de vivre.
A ciascuno il suo veleno, ripeté a se stesso. Chi era lui per sindacare sul modo che avevano gli altri di dannarsi l’esistenza? Chi era lui per discutere il diritto di rovinare ciò che a loro stessi apparteneva… quando lui andava distruggendosi senza pietà con ogni ignobile mezzo che la vita gli offriva giorno dopo giorno?

Volse lo sguardo al corridoio, sussurrando in silenzio una scusa che Rachel non avrebbe udito, e uscì dalla porta d’ingresso, abbracciando Londra e il Tamigi, addormentati nella luce debole dell’aurora, con un’unica occhiata. Nella nebbia del mattino, Londra aveva il fascino sciupato di una cortigiana scarmigliata, che fa ritorno alle sue stanze dopo una notte di duro lavoro… pigra e indolenzita, faticava a svegliarsi, forse ormai troppo vecchia per quel mestiere che, tra tutti, era il più antico.
Rabbrividì, fermo davanti al cancelletto di casa, sentendo i fumi dell’alcol dileguarsi nel brivido di freddo. Immobile. L’ombra di un respiro gli accarezzò l’orecchio.
Sapeva dove guardare e, soprattutto, dove non guardare, non direttamente. Con la coda dell’occhio individuò ciò che cercava e che sapeva benissimo avrebbe trovato: una macchia confusa di capelli rossi che spiccava sul grigio della città, in un punto indefinito ai margini del suo campo visivo. La macchia sfumata si dimenava nell’aria mattutina – ricordo sfocato di quanto quei capelli erano leggeri e morbidi sotto le dita – aria che gli portò alle narici un flebile odore di fiori di campo.
Sapeva che se l’avesse guardata sarebbe corsa via, immediatamente, perciò rimase fermo, accontentandosi di quell’immagine imprecisa, là dove i ricordi erano assai più definiti e pungenti di quanto avrebbe voluto.
Un rumore di passi che si allontanava rimbombò nella sua mente annebbiata e si confuse nel trillo mattiniero di un pettirosso che si era posato su un pilastrino. La macchia color rame al margine del campo visivo era sparita.
Buona giornata, Gin.

“I know I'm alone, but somebody's watching me
Follows me everywhere I go
A cold flow surprised me again, I shiver
The presence of something, I can hear it's breathing”
After Forever
“Beyond Me”

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Contrariamente alle mie abitudini riporto il testo in italiano dei versi della poesia di Coleridge, “Gelo a mezzanotte”.
“Il gelo persegue i suoi segreti intenti
Senza aiuto dei vento. Il grido del gufo
Giunge qui acuto – ascolta! E ancora, come prima, acuto. […]
Che calma, certo! Quasi mi turba e opprime
I pensieri stessi col suo strano, con questo estremo silenzio.”

Declaimer: Hogwarts e tutti i personaggi non li ho inventati io, non mi appartengono, e non me ne farei comunque niente a meno che non fossero vivi e funzionanti. Rachel è invece un parto della mia mente malata.

Dedica: per il momento questa storia la dedico a me. So che questo genere di storia, triste e complesso, attira poche persone, ma io sono testarda e insisto su questa linea, perché mi piace e mi viene così. So per certo che qualcuno vorrebbe vedermi riprendere lo stile spensierato di Dangerous feelings, ma so che ci sono anche ragazze che hanno apprezzato quel mattone da ulcera di Trapped, quindi è in particolare a loro che ho pensato quando ho iniziato a scrivere “Frost at midnight”.

   
 
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