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Autore: WhiteWinterLady2    12/07/2012    0 recensioni
"Era il viaggio della sua vita, quello che tutti i giovani del suo paesetto di montagna temevano, non appena sentivano che la maggiore età li fregava alle spalle. Allora tutti i cittadini, parenti e non, facevano una colletta, per mandare i loro ragazzi a farsi grandi. Dopo le raccomandazioni, i sospiri delle madri, le pacche affettuose dei padri, i rimproveri dei nonni, seguiva immancabilmente la stessa sentenza, intrisa di premure e autorità: “Va’ e guardati il mondo. Poi ritorna e racconta la tua storia”. Ci erano passati tutti, per quella strada; era identica da anni: un sentierino tortuoso che sul fondo si allargava inglobando una stazione minuscola – con un solo e malinconico binario, il quale, a detta degli anziani, ti portava anche in capo al mondo."
Shot scritta sotto il potente influsso di Baricco ;) spero vi piacerà.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il regionale, quella mattina, era colmo di passeggeri. Dan lo prese per un pelo, quasi di slancio, prima di rimanere schiacciato tra le porte automatiche.

Era il viaggio della sua vita, quello che tutti i giovani del suo paesetto di montagna temevano, non appena sentivano che la maggiore età li fregava alle spalle. Allora tutti i cittadini, parenti e non, facevano una colletta, per mandare i loro ragazzi a farsi grandi. Dopo le raccomandazioni, i sospiri delle madri, le pacche affettuose dei padri, i rimproveri dei nonni, seguiva immancabilmente la stessa sentenza, intrisa di premure e autorità: “Va’ e guardati il mondo. Poi ritorna e racconta la tua storia”. Ci erano passati tutti, per quella strada; era identica da anni: un sentierino tortuoso che sul fondo si allargava inglobando una stazione minuscola – con un solo e malinconico binario, il quale, a detta degli anziani, ti portava anche in capo al mondo.

Dan ci era arrivato con un po’ di ritardo, non sufficiente per perdere il suo appuntamento con l’ignoto. Sul vagone si era accucciato in un sedile a fianco al finestrino, di fronte al quale un vecchio rugoso stava rannicchiato tentando di controllare la tremarella che lo scuoteva tutto, rischiando di far cascare i grossi occhiali dalla lente spessa. Oltre la sottile cicatrice che divideva in due la carrozza, invece, la scena era ben diversa, si potrebbe dire singolare: a destra, una suora in un abito più candido della purezza, a sinistra, un uomo ombroso. La donna tendeva il volto, a occhi chiusi, verso il sole, che dava ancora più splendore alla veste, mentre tra le dita rigirava un anello oro; Dan ci mise un attimo per capire: si trattava di un rosario. Da sotto il velo, un ciuffo di capelli mori. Per il resto, non un accenno di nero in tutta la sua figura. L’uomo, al contrario, se ne stava chino e fisso su di un taccuino, avvolto nell’abito scuro, che quasi si mimetizzava con la pelle di ebano. Brizzolati, i capelli.

Dan avvertì la locomotiva rallentare alla prima fermata. Dopo pochi secondi, vide salire una bambina con la nonna. O meglio, vide prima la nonna e poi la bambina, che faceva di tutto per nascondersi dietro la gonna dell’anziana. “Non temere”, sussurrò l’antica donna dolcemente. “Presto guarirai, non avrai più paura”.

Il treno riprese la marcia. Dan fece per prendere un panino dallo zaino, quando si accorse che il vecchio di fronte a lui – non lo aveva creduto possibile - stava leggendo. Un libro. Sottosopra. Pensando che fosse un errore dovuto ad un tentativo di controllare i tremori, il ragazzo si protese in avanti e, quasi in un unico soffio, disse: “Signore, perdoni la mia invadenza; le faccio notare che sta tenendo il libro al contrario.”

Il volto del vecchio emerse con lentezza dalle pagine, agitate dalla mano instabile, e un po’ accigliato, con voce fievole ma decisa, esclamò: “Lo so benissimo. Sto cercando di vederci dritto in questo mondo storto! Questi treni mi scarrozzano su e giù da una vita e non ho ancora imparato niente!”, per poi sparire nel silenzio della sua bizzarra lettura.

Sconcertato, Dan girò la testa verso il finestrino, perdendosi nell’orizzonte, ma non per molto, perché si sentì pungere la nuca da uno sguardo, intenso e penetrante: un giovane uomo, a cavallo tra i venti e i trent’anni, sedeva accanto a quello ombroso ed era sporto verso il corridoio. Indossava un paio di avvolgenti occhiali scuri. Era inquietante, Dan non lo aveva sentito arrivare, probabilmente troppo assorto per accorgersene. In ogni caso, percepiva i suoi occhi insistenti su di lui, come se fossero stati il tocco di una mano. All’improvviso il sedile divenne scomodo e Dan ebbe la necessità di risistemarsi: non doveva pensare a quello sguardo, si rimproverò, bastava ignorarlo.

Nel frattempo, il paesaggio si arrestò nuovamente. In contemporanea si alzarono la piccola suora ed il personaggio in abito nero. Abbandonarono il treno prendendosi a braccetto, incatenando le braccia e le anime. Lei mostrava i denti bianco latte, lui sorrideva con quegli occhi tinti di buio. Circa nello stesso istante, dalla parte opposta, dal fondo della carrozza, giungeva una signora robusta, per non dire obesa, seguita da un cagnolino color miele, minuto e dal pelo a batuffoli. La donna, vistosamente stizzita, era alla caccia furiosa di un posto per poggiare le abbondanti natiche; ancheggiava a fatica nello stretto passaggio, sbuffando e sudando ad ogni passo. Per poco non fece volare via gli occhiali del giovane dalle spalle larghe e lo sguardo celato, a cui distrattamente grugnì delle scuse. Il cane, dal canto suo, seguiva dignitosamente la padrona, quasi disprezzando quella massa di grasso e carne che lo sovrastava. Dan scosse il capo per la pena, ma anche per scrollarsi di dosso l’orribile sensazione di essere osservato da qualcuno: le lenti scure non lo avevano mollato un attimo. Tutt’a un tratto, il silenzio del vagone, ora di nuovo in viaggio, si riempì di un grido, breve ma più penetrante di una coltellata: era la bambina, la quale, sebbene non potesse vederla, Dan era sicuro che si fosse accoccolata tra le braccia della nonna. Una frase soltanto aveva udito.

“Tutti questi pensieri fanno rumore! Falli smettere, nonna, ti prego.”

A metà strada tra la seconda e la terza fermata, due personaggi entrarono simmetricamente dalle due bocche della carrozza, incontrandosi – e fermandosi - nel centro, nel cuore, là dove era seduto Dan. Lei, bella e fresca come una primavera, prese il posto che era appartenuto alla suora, di fronte all’uomo dalle spalle larghe e l’abbigliamento sportivo. Lui, affascinante e seducente, occupò la postazione del vecchio rugoso, che nel mentre si era alzato traballante perché era giunta la sua fermata; ma le porte automatiche si erano richiuse prima che potesse scendere, suscitando uno sproloquio di borbottii che terminarono solo quando il vecchio sparì dalla vista dei viaggiatori.

Dan si concesse una risatina, poi tornò serio, avvertendo che nell’aria stava succedendo qualcosa di importante. E dovette proprio dare ragione alla pavida bambina: le idee creano un gran baccano; il ragazzo che gli stava davanti mandava studiate occhiate alla ragazza, la quale rispondeva con una punta di timidezza e divertimento. Un messaggio unico invase lo spazio circostante: “Lei è la più bella creatura che abbia mai incontrato”; la cui risposta era un sorriso che, nonostante fosse diretto al finestrino e non ad una persona, aveva un suo destinatario. Dan non riuscì a non esserne felice.

Ma ecco che arrivò la terza fermata, quella della nonna e della nipote. Una volta sul binario, Dan sentì l’anziana spiegare ad un signore di mezz’età: “La piccola soffre molto: ha paura di vivere. Ma del resto è normale, ci passiamo tutti, no? Nella nostra famiglia è sempre capitato, ma sono cose che si risolvono.” E poi ancora: “Su, Arabel, saluta il dottor Smith”. Dopodiché, giovane e anziana sparirono; il treno aveva ripreso a muoversi.

Dan non aveva mangiato niente; aveva rinunciato al panino molto tempo prima, ma ciò nonostante si sentiva sazio. Anche terribilmente fuori posto, però: l’inquietante passeggero non aveva mai smesso di fissarlo. Allora, racimolato un po’ di coraggio, attaccò a parlare.

“Mi scusi, noi ci conosciamo?”

L’estraneo stese le labbra con un gesto disinvolto. “Non mi pare, sebbene non possa vederla. È più corretto dire che non la riconosco.”

La nuca di Dan si ghiacciò per la vergogna: come aveva fatto a non capire prima?

“Ma se vuole possiamo presentarci ora”, proseguì l’altro.

“Volentieri”, bisbigliò Dan, che si trovò prontamente tra le dita la mano del nuovo conoscente.

“Piacere, io sono Homer.”

“Dan T., piacere mio.”

Poi un silenzio carico di pensieri, in uno dei quali Dan continuava a rimanere impigliato. “Come...”, esordì, ma le parole gli mancarono.

“Si?”

“No, nulla.”

Ancora assenza apparente di rumori, per diversi minuti. Poi l’uomo: “Sa Dan, in genere la gente è catturata dai finestrini, da quello che sta fuori. Su di me, che non ho gli occhi, non hanno alcun fascino; è molto meglio ascoltarli dall’interno, i treni, piuttosto che tentare di capire che suoni ci siano all’esterno. Non posso fare a meno di concentrarmi sulle persone che viaggiano, sentendo quel che si dicono, indovinando desideri e aspettative; immaginando chi li verrà a prendere in stazione, gustando il sapore dell’attesa. Capisco di averla infastidita durante il viaggio, ma, mi creda, non era mia intenzione...”

“Non deve nemmeno pensarci”, sorrise Dan. “Anzi, la ringrazio.” Stavolta fu lui ad allungare la mano, in segno di congedo: la sua fermata era la prossima. Alla fine, il suo inizio era vicinissimo. Proprio mentre si stava alzando, il ragazzo seducente si avvicinò alla ragazza, non spavaldo ma, al contrario, intimorito, dicendole: “Credo che i miei pensieri abbiamo parlato abbastanza. La scongiuro, mi risani”.

Le rotaie infine si arrestarono. Dan balzò giù noncurante degli scalini. Respirò a lungo, poi due minuti dopo, sul binario esattamente opposto, prese un treno che lo riportò a casa.

  
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