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Autore: Compostezza    13/07/2012    2 recensioni
«Sei peggio di mia madre quando ti ci metti.» sbuffò, aumentando il passo e scorgendo all’orizzonte il grande edificio in mattoni rossi.
«E’ per questo che sono la tua migliore amica.»
Si voltò verso di lei. «Perché sembri mia madre?»
«No, perché sono l’unica che riesce a non farti replicare ogni volta.»
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Efelidi.

Huntington Beach.
April, 2010. h12.47











«Sei sicura?»
«Sì.»
«Sicura, sicura, sicura al cento per cento?»
«Dio, Marti, mi stai facendo salire l’ansia.»
«Scusa se volevo essere d’aiuto. E’ da dieci minuti che siamo ferme qui a contemplare il campanello e i buchi nella porta da contare sono finiti.»
«Non è facile, okay? Non so neanche cosa dirgli. “Ehi, ciao, sì, vi ricordate di me? Wow, undici anni e sembra ieri.”?» si voltò verso l’amica aggrappandosi alla sua spalla. Si trovavano sulla veranda di casa Baker da qualche minuto, rimaste in silenzio ad ascoltare i suoni provenienti dall’interno. Sam si era immobilizzata nel sentire la voce di Zacky e, per un momento, si era ricreduta e tirata indietro. Cosa stava facendo? Cosa stava cercando di fare? Piombare nelle loro vite d’improvviso dopo tutto quel tempo e sperare, magari, in una rimpatriata come ai vecchi tempi? Sciocchezze, l’avrebbero chiuso la porta in faccia in un solo colpo insieme alle loro vite.
Diede un’occhiata al paesaggio che conosceva bene e le parve tutto nuovo, terrificante e soffocante.
Uno, due, tre, quattro, cinque...
«Basta, abbiamo fatto trenta? Facciamo trentuno.» si avvicinò nuovamente alla porta e col cuore che aveva preso a battere troppo velocemente per i suoi gusti, appoggiò il dito sul campanello. Sentiva tutta la forza abbandonarla e lasciarla indifesa e nuda di fronte alla realtà.
..sei, sette, otto..
«Arrivo, un secondo!»
..nove, dieci, undici, dodici, tredici..
La porta si aprì in un solo colpo mostrando una figura non troppo alta con una lattina stretta in una mano e un pezzetto di pizza nell’altra. Gli occhi poi passarono, dal corpo, al viso tondo e allungato in un’espressione di pura sorpresa.
Sam si torturò il labbro inferiore e abbassò lo sguardo sul terreno imbarazzata.
«Ciao..» sussurrò.
Zackary sgranò gli occhi senza toglierli dalla figura femminile davanti a lui. Forse era uno scherzo e stava ancora dormendo sul divano con la tv accesa su un canale qualsiasi. Non era la prima volta che sognava Sam e il suo ritorno o semplicemente i momenti passati insieme, tante erano le volte che, davanti a uno specchio, provava e riprovava le parole da dirle se mai avrebbe trovato il coraggio di vederla.
E adesso quel fiume di frasi era scomparso e si ritrovava senza nulla, la mente vuota, la lingua asciutta, le gambe molli e la voglia di avvolgerla in un abbraccio, di toccarla come una volta.
Era cambiata molto : da ragazzina dai modi da maschiaccio era diventata una donna slanciata, matura e seria che curava il proprio aspetto nei minimi dettagli. Era fasciata in abiti formali, tacchi alti, capelli ordinati in uno chignon alto e non vi erano più traccia del suo piercing e dilatatore.
Da giovane non avrebbe mai scommesso che, la versione al femminile di Matt, sarebbe diventata una donna in carriera abbastanza famosa. Beh, in realtà non avrebbe neanche scommesso su lui stesso però, almeno, non era così cambiato.
«Sam..» mormorò.
«Già, sono proprio io. A-abbiamo disturbato? Se vuoi ce ne andiamo. Effettivamente siamo venute per l’ora di pranzo.» abbozzò un sorriso.
«No, non mi avete disturbato.» puntò gli occhi chiari sulla figura minuta alla destra della bionda. «Ehi, tu sei la tipa del supermercato. Marta, giusto?» aspettò che la ragazza annuisse.  «Ehm.. avete.. avete mangiato? Ho ordinato la pizza..»
«Wurstel e prosciutto.» dissero insieme e Sam arrossì.
«Le abitudini non muoiono mai, eh.» il chitarrista scoppiò a ridere e si spostò per permetterle di entrare.
Quando Sam gli passò davanti sentì il suo profumo dolce e non potè non sorridere: vaniglia e cocco.
La bionda si guardò intorno con titubanza ed entrò in quello che doveva essere il soggiorno. Dall’esterno la villa era mastodontica, spoglia e bianca mentre all’interno per la quantità di oggetti sembrava più piccola. Al centro della stanza vi era un divano ad angolo di pelle nera ricoperto da una coperta marrone con un teschio alato e da dei cuscini del medesimo colore. Sul tavolino in legno scuro, invece, c’era il cartone della pizza, delle briciole sparse un po’ ovunque, delle lattine vuote e un portatile bianco a lato.
Storse il naso: l’ordine non faceva parte del vocabolo del ragazzo.
«Scusate per il disordine, Cass mi ha abbandonato per qualche giorno e la cameriera arriverà domani.» disse e riordinò il casino.
«Fa niente.» fece spallucce e si accomodò sulla poltrona.
«Insomma, volete qualcosa?»
«Un caffè andrebbe benissimo.»
«Se non ti dispiace lo faccio io..» propose Marta rimasta sullo stipite della morta ad osservare timorosa lo scheletro di un alce attaccato sopra al camino.
«Oh, sì, certo.» le sorrise. «La cucina è proprio qui davanti.»
Sam guardò l’amica lanciarle uno sguardo eloquente e scomparire dietro la colonna panna.
Zachary si sedette di fronte a lei osservandola e una serie di immagini di loro a diciassette anni lo invasero come un’ondata di vento. Era impossibile staccarle gli occhi di dosso, le era mancata troppo e scoppiava di felicità solo al pensiero.
«Allora, che ci fai qua?» Sam si risvegliò dal coma in cui era caduta e alzò lo sguardo verso di lui.
Undici anni e sei invecchiato da fare schifo.
«Avevo bisogno di staccare la spina per qualche giorno. Non prendo un giorno di ferie da mesi ormai e cos’è meglio della tua città natale?»
Magari delle vecchie conoscenze.
«E tu invece?»
«Sicuramente avrai evitato di sapere della band e ti posso dire che ci siamo presi una pausa prima di partire per il nuovo tour. Quindi, sì,  anche io avevo bisogno di staccare la spina per qualche giorno e mi è sempre più difficile stare lontano da Huntington.»impugnò la birra e una sigaretta.
«Vedo che non sei cambiato per nulla. Mischi ancora gli smarties insieme al JD?» fece di no con un cenno della testa quando gliene passò una.
«Certo! Sto seriamente pensando di metterlo in commercio.» si frugò nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo della bionda cadde sulla maglietta che portava.
«Vengeance University? Che roba è?»
«La mia linea di abbigliamento. Seriamente non ne hai mai sentito parlare? Eppure gli affari stanno andando davvero bene qua e cerchiamo di portarla anche in Europa.»
«Oh, allora mi informerò meglio.» sorrise appena e nella stanza calò il silenzio. Dio se faceva effetto ritrovarsi in quella situazione e aveva tanto da dirgli, raccontarli, eppure, le parole le morivano in bocca appena sfioravano la lingua.
«Come sta Cass?»
Quell’argomento faceva più male di Brian stesso.
«Litiga ancora come una matta con Brian. Giusto ieri gli ha tirato un bel ceffone sul collo solo perché aveva osato criticare il suo nuovo colore di capelli.» sospirò sconsolato.
«Cass perde la testa appena sente qualcosa di negativo sui suoi capelli.» divertita guardò la foto di lei e Zacky a uno zoo.
«Sam, forse sono scemo, ma mi fa un effetto strano stare a parlare con te come se nulla fosse successo.» il tono della voce si era abbassato e un’ombra di serietà era comparsa sulla sua faccia.
Sam si mordicchiò l’interno della guancia e rubò la bottiglia di birra appena aperta dal tavolo. «Ti è mai successo di svegliarti un giorno e vedere la tua vita sotto un’altra prospettiva? Vivo la mia esistenza col gusto dell’amaro in bocca e un’ombra del passato alle spalle, pesante come un macigno e mi chiedo se quello che sta succedendo sia realmente quello che voglio. Me lo sono sempre chiesta ma non c’ho badato più di tanto finchè non ho messo piede qua ed ho capito. Mi manca tutto, Zacky. Sono un puzzle a metà senza quel pezzettino fondamentale a completarlo. Ed è per questo che sono qui davanti a te.»
Sam aveva sempre avuto paura a tornare nella sua città natale e rivivere il suo passato sulla pelle, per questo si era tenuta lontana da casa per molto tempo, presentandosi quei pochi giorni necessari per rivedere i familiari.
«Io non ce l’ho con te. Ognuno ha fatto delle scelte e le abbiamo seguite fino in fondo. Siamo uomini e sbagliamo, non siamo perfetti, Sam. Si può ripartire da zero, lasciarci tutto alle spalle e ritentare.»
«Lo faresti sul serio? Io ero convintissima che tu mi odiassi.» sbattè le palpebre più volta.
Zacky corrugò la fronte. «Perché? Per Brian? Forse un po’ all’inizio, ero un adolescente alle prese con una tempesta ormonale, Sam e mi sento un verme per tutte le offese che ti ho mandato. Non siamo più ragazzini, smettiamola di comportarci da tali, siamo adulti e vaccinati o mi sbaglio?»
Baker e i suoi discorsi.
«Da quando in qua sei così? » domandò asciugandosi una lacrima sulla guancia.
Zacky rise. «Tutto merito di Jimmy e della “Terapia Sullivan”.»
«Terapia Sullivan?»
«Era il momento in cui James ci prendeva per un orecchio e ci faceva tornare con i piedi sulla terra. Eravamo talmente distrutti all’inizio che ne abbiamo combinate tante e lui era lì, pronto a consolarci, ad aiutarci ed a condurci nella direzione giusta. Gli devo tanto.» il moro fissava il vuoto con un sorriso amato stampato sulla faccia nel tentativo di reprimere le lacrime con tutte le sue forze.
Ad un trattò sentì un braccio avvolgergli la vita e il profumo dolciastro bruciargli il naso.
«Mi dispiace, è tutta colpa mia. Vi chiedo scusa.» Zacky aumentò la stretta e chiuse gli occhi, sentendo le lacrime di lei bagnargli copiose la maglietta e il calore avvolgerlo. Da quanto era che non l’abbracciava così? Probabilmente da quando Brian aveva fatto lo stupido con Michelle e lei gli era esplosa tra le braccia per la rabbia.
«Smettila di darti colpe che non hai o ti uccido dal solletico, ci siamo capiti?» Sam rise di gusto tra le lacrime soffocate da dei singhiozzi e rallentò la stretta alla sua vita, insieme al battito cardiaco e alla respirazione che tornarono regolari.
«La prossima volta che ti presenti a casa mia fallo meno da donna quarantennie perché mi spaventi.»
«Donna quarantenne?» alzò il visto rossastro verso di lui.
«Sì, vestita così sembri una di quelle donne che non hanno mai un attimo, piene zeppe di lavoro e con una vita sessuale pari a zero.»
Sam sospirò. «Mi hai descritto in poche parole ma è il mio lavoro che mi costringe a vestirmi così. Adesso che ci penso, parli tu che abbini alle righe i pois! E poi.. papillon? Seriamente Zack?» inclinò il sopracciglio fino.
«Va di moda e mi dona.» assunse un aria altezzosa grattandosi la barba corta. «Sbaglio o non lavori in questi giorni?»
«Non sbagli.»
«Quindi, è inutile continuare a vestirsi così, sbaglio o no?»
«Non sbagli.. sei odioso, caspita.» Zacky scoppiò a ridere alzando le braccia e stiracchiandosi un po’ su tutto il divano.
«La tua amica non sarà mica morta in cucina, vero?» la bionda stava per aprire bocca quando il campanello la interruppe e Zacky la guardò stranito, scusandosi e facendo una piccola corsetta verso l’ingresso.
Scattò in piedi e passò una mano sulla gonna nera a vita alta per togliere qualche piega, si avvicinò al grande specchio alla parete e si diede un’occhiata aggiustando il trucco e qualche ciocca. Quasi non le prese un colpo a vedere un grosso leone imbalsamato alle sue spalle.
Davvero Cass permetteva a Zacky di comprare certe cose?
Stava per sfiorare uno strano recipiente fatto di pietre verde quando fu richiamata dalla voce di Zacky e di un’altra persona, sicuramente maschile.
«Ehi, ehi, calmo, vai piano. Come non mi aspettavi? Te l’ho detto ieri che passavo.»
«Se mai ti saresti annoiato ad ascoltare Michelle.. oh.»
Questo era Zacky, ne era sicura, l’altra invece non le sembrava nuova.
Michelle?
«Ecco. Comunque hai un ospite? E chi è? Lo conosco?»
Oh merda.
«Sì, lo conosci benissimo.»
La ragazza dai capelli chiari guardò la figura di fianco a Zacky, dalle scarpe da un colore tra il rosso al marrone morto alla punta dei folti capelli neri sparati in aria a sfidare le leggi di gravità. Dei grossi occhiali incorniciavano il visto spigoloso, nascondendo i ben conosciuti occhi nocciola, tirato in una smorfia di disappunto.
«Cosa ci fai lei qui?» chiese all’amico.
«E’ venuta a trovarmi e abbiamo parlato.» rispose l’altro, incrociando le braccia al petto.
«Potete evitare di parlare come se io non ci fossi?» dove avesse trovato tutto quel coraggio e quella spavalderia non lo sapeva, sentiva solo i battiti del cuore aumentare a gran misura.
«Sarebbe meglio.» sibilò.
«Hai lasciato le buone maniere a casa, Haner?»
«Okay, okay, basta.» il moro, sentendo aria di tensione, si mise in mezzo ai due con le braccia allargate. «Brian sii più cortese e tu, Sam, metti a posto la lingua. Ora ci sediamo tutti e tre e ne parliamo perché mi sono rotto le scatole di tutto questo odio futile.»
Perché, dopotutto, per Brian, era impossibile staccare gli occhi dalla presenza femminile e più ci affogava gli occhi, più pensava quanto fosse meravigliosa. Aveva sentito il suo profumo dall’entrata e una serie di emozioni gli avevano stretto la bocca dello stomaco. Osservava ogni centimetro di pelle, catturandola in una foto mentale e contemplandone la delicatezza. Latte, sembrava latte. Nonostante abitasse nella terra del sole, la sua pelle era sempre rimasta di quel colore, battendo pure Zacky.
Entrambi sbuffarono e si sedettero chi sulla poltrona e chi sul divano.
«Perché diavolo sei tornata?» Zackary ruotò gli occhi al cielo, lasciandosi cadere contro lo schienale.
«Non mi sembra che ci sia un divieto stampato e inficcato da qualche parte.»
«Oh Gesù.» si passò una mano tra i capelli.
Sam sentiva il cuore frantumarsi poco alla volta. «Ti faccio tanto schifo per non volermi qui?» mormorò cercando di non abbassare lo sguardo o le lacrime sarebbero tornate.
Brian si zittì rendendosi conto del tono troppo duro che stava usando e scosse la testa cacciando quei pensieri. «No, mi è indifferente. Tu sei morta nell’esatto momento in cui te ne sei andata via da Huntington undici benedetti anni fa.» Sam spalancò la bocca per tutta quella cattiveria che era riuscito a mettere in una sola frase.
«Grazie per avermi chiesto se ero viva o se ero morta dissanguata per colpa della caffettiera assassina. Sono stata tutto il tempo a cercare le cialde e mi sono messa a scaldare quello in polvere, naturalmente dopo.. che succede?» si arrestò a notare, prima, il nuovo arrivato, osservarla serio in volto, sulla poltrona, Zacky seduto di fianco a Sam con un’espressione che conosceva fin troppo bene. Stava per piangere.
«Niente, sei arrivata giusto in tempo, ce ne andiamo.» si alzò e frettolosamente riprese le sue cose. «Ah, Haner, quando la smetterai di fare il bambino e connetterai quei due neuroni che ti sono rimasti forse, e dico forse, potremmo parlare.» lo freddò con uno sguardo e salutò Zacky con un bacio sulla guancia, per andarsene via con Marta al seguito.
Zacky aspettò che chiudessero la porta e il rumore della motore che si accendeva per alzarsi e materializzarsi al fianco del primo chitarrista.
«Certo che quando ti ci impegni sei proprio uno stronzo con i fiocchi.»
«Non ti ci mettere pure tu.»
«Oh avanti Brian! Perché cazzo le hai detto in quel modo? Ha dei sentimenti non è senza cuore come te.»
«Non sono cazzi tuoi, Baker.»
«Non sono cazzi miei? Ricordati, porca merda, che è anche una mia, nostra, amica e se tu non ci parli, non vuol dire che automaticamente non ci dobbiamo parlare pure noi. E’ ritornata, lo capisci questo? E tu cosa fai? Le dici che era meglio se era morta! Certe volte vorrei proprio sapere cosa ti passa per la mente.»
Brian si alzò afferrando la bottiglia di Jack Daniel’s sul tavolino d’ingresso.
«Vai ad ubriacarti come al tuo solito?»
«Mi ha complicato solo l’esistenza.» rispose fissando la bottiglia da aprire.
«Per favore non sparare cazzate. Lo sappiamo entrambi che tu sei ancora innamorato di lei ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo.» lo guardò preoccupato. Sperava con tutto se stesso che lasciasse quella bottiglia e le corresse dietro, mettendo da parte tutto il rancore inutile.
«Ti prego..» lo raggiunse. «Ti scongiuro, Brian. Valle dietro e risolvi finalmente questa situazione.»
L’amico si voltò e lo guardò, poi tolse il tappo alla bottiglia e ne bevve un lungo sorso.
«Non ti prometto niente, Zach.» gli sorrise e facendogli un occhiolino gli lanciò la bottiglia e corse fuori di casa.
Sentì qualcosa di freddo bagnargli la gamba nuda e prese in braccio il piccolo Ichabod, guardandolo con un grosso sorriso.
«Sono troppo vecchio per queste cose. Ti manca la mamma, vero? Manca anche a me.»




Sam volle guidare a tutti i costi senza pensare così alle parole di Brian e concentrarsi sulla strada davanti a lei. La mente era affollata di qualsiasi tipo di pensieri, provocandole un’imminente emicrania e il dolore era talmente forte da impedirle di versare altre lacrime. Ciò che aveva detto Brian aveva il sapore di mille pugnalate sul torace, mille pugni in pieno volto e un centinaio di pallottole. Le pareva impossibile, non riusciva a capacitarsene e più ci pensava più le parole scappavano via. Lasciò che le lacrime sgaiattolassero libere sulle guance e la vista diventasse appannata.
Parcheggiò e spense il motore con un gesto secco, mentre Marta, rimasta in silenzio per tutto il tragitto, sospirò scendendo dalla macchina ed entrando in casa. Sapeva che era meglio lasciarla da sola a sfogarsi e se ne avrebbe voluta voglia glie ne avrebbe parlato.
Infilò una mano nella costosa borsa e ne tirò fuori il pacchetto di sigarette e delle chewingum a tutti i gusti già a metà. Ne prese una e se la lanciò in bocca, fu invasa da un miscuglio di sapori e riuscì a riconoscere la fragola, il limone, l’arancia e probabilmente i frutti rossi. Controllò nell’etichetta: tre su quattro.
Tirò giù il finestrino per mettere all’aria gelida di entrare e solleticarle la pelle nuda. Aveva lasciato il cappotto a casa di Zacky e indossava una leggera camicetta, non adatta a quel periodo. Anche se era la California, il freddo riusciva ad entrarti fin dentro le ossa in un colpo solo ed era una sensazione piacevole.
Non appena socchiuse gli occhi con la sigaretta penzoloni fra le labbra e i capelli, sciolti, appiccicati alla fronte mossi dal venticello, sentì la vibrazione del suo cellulare e poi la suoneria di un gruppo di uccellini. Doveva decisamente cambiarla.
«Pronto?» il display mostrava un numero sconosciuto e assunse un tono più professionale.
«Sam? Sono Zacky.»
Sospirò, sprofondando nel sedile. «Ehi, ti manco già?»
«Stai scherzando è un buon segno. Ti ho chiamata per sapere come stavi, il tuo numero sono riuscito a farmelo dare da Marta dopo aver trovato quello di casa tua dai tuoi genitori.»
«Ti sei dato da fare noto.» sogghignò all’immagine di Zacky che imprecava e camminava per tutta la casa col telefono all’orecchio. «Sto bene, Zach.. se con bene si intende essere seduti nella macchina davanti casa a riempirsi la bocca di carie con le caramelle a tutti i gusti.»
«I dolci aiutano sempre. Mi dispiace per quello che ti ha detto quel cretino ma sai che non lo pensa realmente. In un certo senso dovresti capirlo, si è ritrovato davanti il suo primo amore e il suo passato. Passato equivale a Jimmy. Era il suo migliore amico e non l’ha presa bene, per niente, come tutti noi del resto. Con questo non sto cercando di giustificarlo, non fraintendermi, però.. non so. Brian è difficile da comprendere.. a proposito, è con te?» era stato un fiume di parole e l’aveva travolta in pieno facendola sorridere. Zacky era così.
Lo poteva sentire respirare frettolosamente e smuovere dei bicchieri: doveva essere agitato.
«Calmo o rischiarai un collasso. Alla tua età non fa bene.»
«Vaffanculo. Ti ricordo che abbiamo la stessa età, anzi tu sei nata otto mesi prima di me, quindi, la vecchietta qua sei tu.»
«Da quando in qua sei così simpatico?»
«Sempre stato, tesoro. Comunque c’è o no Brian?»
«No, non c’è. Perché, dovrebbe essere qui?» rispose acida, arricciando il naso.
Zacky sospirò fermando quel gran casino di vetri e cocci. «E’ uscito per venirti dietro ed ha bevuto un bel sorso di JD. Non gli fa niente ovvio, però ho paura faccia dei pasticci.»
«Zach, Brian è abbastanza grande per sapere cosa fare e non fare.» si rigirò tra le dita la sigaretta spenta.
Perfetto, tremo pure.
«Questo lo so ma stiamo parlando di Brian Haner, se non fa una cazzata al giorno non è contento. Averti visto ha creato in lui una serie di emozioni incontrollabili, te lo assicuro. Ah, se becco quella testa di cazzo.»
«L’ho beccato prima io.» mormorò guardando la figura del chitarrista fermo ai piedi degli scalini.
«E’ lì con te? Oh, bene, cioè bene che sia vivo..non.. non fate casini, okay?» cliccò il pulsante rosso del suo BlackBerry e lo abbandonò sulle sue gambe, senza spostare lo guardo dal suo amore adolescenziale.
Il petto bruciava e le lacrime iniziavano a voler uscire.
«Che vuoi? Non ho voglia di sentire ancora cattiverie, ne avrei le palle piene.» sibilò quando il ragazzo chiuse la portiera.
«Come siamo arrivati a questo punto?»
«Perché non mi hai mai chiamata, eh Brian?» strinse la stoffa della gonna.
«Avevo una paura fottuta, una parte di me diceva di lasciar perdere e tornare da te l’altra che era meglio staccarsi dal passato e pensare al futuro. Tu avevi la Columbia, io la musica.»
«E Michelle.»
«Michelle è arrivata dopo, è stata un susseguirsi di determinate cose. Lei c’era quando stavo male, lei c’era quando è morto Jimmy, lei c’è sempre stata.»
«Avrei voluto esserci anche io, Brian. Tu hai vissuto James fino alla fine, io tramite dei pezzetti di carta e un’ora davanti casa sua prima che partisse per il tour. Lo conosco da quando ho visto la luce del sole, Brian. Sono nata con lui e avrei voluto morire con lui.»si passò una mano sugli occhi, voltando la testa per evitare che la vedesse.
«Per favore, non.. non parliamo di Jimmy, non adesso. Perché sei tornata?»
Brian cercava in tutti di modi di allungare quella conversazione, se la poteva definire così, amava avere la presenza di Sam al suo fianco, sentire il suo odore, la sua voce ed essenza.
«Perché avevo bisogno di stare un po’ a casa.»
«Dopo tutto questo tempo?»
«Sì, Brian, dopo tutto questo tempo.» espirò il fumo formando dei piccoli cerchi. Sorrise: glielo aveva insegnato, un pomeriggio invernale, Jimmy nella sua soffitta in modo da non essere beccati da Barbara.
«Sei più tornata nella casa sull’albero?»
«Ti dai nella specializzazione degli interrogatori per caso? Comunque no, non di recente.» sospirò. Tornare lì equivaleva ad essere invasi dai ricordi di Jimmy, perché, prima che le sei ne andasse, ci avevano passato una settimana intera per una scommessa fatta con altri ragazzi, tutti insieme in un pezzo di legno di tre metri neanche. Si sorprendeva che avesse retto perfettamente il loro peso.
«Sei acida.»
E non sei il primo che me lo dice.
«E tu stronzo. Buffa la vita, eh?» volle voltarsi verso di lui; la sigaretta quasi spenta, i brividi sulla pelle, le lacrime incollate alle guance, una mano che stringeva i capelli selvaggi, l’altra il mento e le labbra al sapor di alcool mischiata alla nicotina che soffocavano quelle rosee e morbide in un bacio aspettato, passionale e troppo desiderato.




















Salve, people :)
Ecco a voi il quindicesimo capitolo scritto e messo in un lampo!
L'avevo detto io che ce ne sarebbero state di belle. Spero che vi piaccia, è davvero lungo e spero di non avervi annoiato!
Ringrazio, come al solito, zetavengeance e Amelie_ per le bellissime recensioni, le persone che l'hanno aggiunta tra i preferiti, seguite e ricordate e chi la legge semplicemente :)
Scusate eventuali errori, i Sevenfold non mi appartengono ed è tutto il frutto della mia mente malata.
Mea Culpa: nel capitolo precedente ho scritto che Val era fidanzata con un giocatore di Hockey e non è assolutamente vero! Sta con Matt e mi sono confusa con l'altra FF, perdono!
I vostri pareri fanno sempre piacere, ricordatelo ;)
Grazie, buona lettura e alla prossima,
bacioni, G.
  
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