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Autore: My Pride    15/07/2012    7 recensioni
Aveva udito dagli animali della foresta che c'erano luoghi inimmaginabili, natura incontaminata che si estendeva a perdita d'occhio e che era ben più vasta della boscaglia in cui si trovavano, animali così strani che a fatica si comprendeva il loro linguaggio e costruzioni stratosferiche che arrivavano persino a toccare il cielo, lasciando sbigottito chiunque si trovasse ad osservarlo anche solo per sbaglio. E lui, per quanto gli dispiacesse recare tale sofferenza all'intero branco, voleva vedere almeno una minima parte di tutte quelle bellezze.
[ Week #4 ~ Tiger!Zoro, Fox!Sanji ]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'My Shitty (Pervert) Cook'
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Nigh in Gale Titolo: Nigh in Gale (We'll rest here together)
Fandom: One Piece
Tipologia: One-shot [ 2115 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji Black-Leg
Rating: Rosso (Lievissimo, praticamente arancione)
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico
Ideal Good 10&Lode: #05. Guarigione
Avvertimenti: AU, Furry, Yaoi
Nota: Scritta per la quarta tornata del Badwrong weeks (Week #4; Other Kinks 26 maggio ~ 2 giugno)



ONE PIECE © 1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.

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    Il picchiettare insistente delle gocce di pioggia fra la cappa di fogliame sopra di sé gli sembrava la melodia più bella che avesse mai sentito, in quel momento.
    Fuggito dalla propria tana, dal proprio branco e dai doveri che avrebbe dovuto prendersi in quanto successore nei confronti delle loro femmine, Sanji si era rintanato nei meandri della foresta e si era acciambellato all'interno del tronco di un albero concavo ad ascoltare i rumori del bosco e i suoi abitanti, cercando al contempo di scaldarsi con la propria coda. Gli si erano drizzati tutti i peli del dorso a causa degli ultimi rimasugli del freddo della stagione invernale da poco trascorsa, e, avendo lasciato il caldo bozzolo della sua famiglia per la prima volta, si sentiva perduto e spaurito, ma l'idea di ritornare sui propri passi e di accettare quella condizione che gli era stata imposta lo spaventava più di quella solitudine che lui stesso si era riservato.
    Prendersi cura del branco non gli pesava per niente e non si vergognava di dire che ne sarebbe stato ben lieto, però, ed era lì che cadeva il suo cruccio, era troppo giovane per stare confinato in un singolo luogo senza prima aver esplorato quanti più posti possibili. Aveva udito dagli animali della foresta che c'erano luoghi inimmaginabili, natura incontaminata che si estendeva a perdita d'occhio e che era ben più vasta della boscaglia in cui si trovavano, animali così strani che a fatica si comprendeva il loro linguaggio e costruzioni stratosferiche che arrivavano persino a toccare il cielo, lasciando sbigottito chiunque si trovasse ad osservarlo anche solo per sbaglio. E lui, per quanto gli dispiacesse recare tale sofferenza all'intero branco, voleva vedere almeno una minima parte di tutte quelle bellezze.
    Forse il suo era un sogno stupido, però, dannazione, persino quella stupida tigre con cui era cresciuto aveva veduto più cose di lui. Essendo nato in cattività ed essendo stato parte degli spettacoli di un circo sin da quando era ancora un cucciolo, guadagnandoci anche un po' di peluria verde sulla testa a causa della vernice indelebile che gli era caduta addosso durante uno degli spettacoli, aveva potuto viaggiare per il mondo e osservare con i propri occhi le meraviglie che esso celava, immagazzinando ricordi su ricordi che lui aveva invidiato sin dalla prima volta in cui gliene aveva parlato. Per un periodo l'aveva persino odiato, minacciandolo di morderlo a sangue se solo avesse osato avvicinarsi a lui. E quel cucciolo di tigre aveva accusato il colpo e aveva stranamente capito il suo turbamento, sparendo dalla circolazione per un periodo di tempo incalcolabile. Quando era ritornato, Sanji non aveva potuto fare a meno di notare quanto fosse cresciuto, divenendo in breve una tigre possente dal manto morbido e lucido che avrebbe potuto attirare più femmine di quanto credesse con l'odore profondo e caldo che possedeva. Perché se ne fosse accorto? Semplice: quello stupido aveva avuto la sfrontatezza di ripresentarsi da lui quando era in calore, mandando in visibilio i suoi sensi sviluppati e facendo sì che dentro di lui si insinuasse inesorabilmente il tarlo del dubbio. Perché c'era decisamente qualcosa di sbagliato nell'avvertire una certa tensione sessuale nei confronti di una stupida tigre, in special modo se teneva conto che lui era una volpe che avrebbe dovuto accoppiarsi con le femmine del branco.
    A quei suoi stessi pensieri, Sanji sospirò, e si sarebbe di sicuro attorcigliato meglio la coda intorno alle zampe se un rumore proveniente da fuori non gli avesse fatto drizzare le orecchie, mettendolo in allerta; passi veloci si avvicinavano verso quel tronco e scalpicciavano sul terreno fangoso, e in un primo momento la volpe temette che si trattasse di un cacciatore. Con l'umidità nell'aria e l'intenso odore di pioggia riusciva a sentire unicamente il sentore che aveva ormai inglobato quel luogo, però non poteva purtroppo dire lo stesso degli odori che venivano da fuori. Si drizzò sulle zampe posteriori non appena vide un'ombra stagliarsi davanti all'entrata, e fu pronto a saltare addosso a quel povero malcapitato quando, con un ruggito insofferente, quel nuovo venuto si mostrò per ciò che era: una tigre, in senso più ristretto quella stupida tigre di nome Zoro. Perfetto. Praticamente perfetto. Proprio l'ultimo animale che avrebbe voluto vedere in quel momento.
    «Perché diavolo ti sei rintanato qui dentro, tu?», gli domandò Sanji con fare irritato, e lui sollevò semplicemente le grosse spalle possenti prima di scrollarsi di dosso l'acqua in eccesso, gonfiando il pelo umido intorno al suo collo.
    «Per il tuo stesso motivo», rispose poi, leccandosi via dalla zampa qualche altra goccia d'acqua e fango. «Pioggia. Stupidissima pioggia», spiegò con un basso ringhio scocciato, frustando l'aria con la coda lunga e sottile. «Noi felini odiamo la pioggia».
    In un primo momento non riuscì a capire il perché, però, nell'osservare i movimenti di Zoro e il suo placido accoccolarsi sul terreno, il modo in cui aveva poggiato le grosse zampe una sopra l'altra e spalancato le fauci per dar vita ad un sonoro sbadiglio, Sanji sentì un brivido lungo la spina dorsale. «Non mi interessa. Cercati un altro posto, questo tronco è mio», borbottò, così da provare al tempo stesso a scacciare quella strana sensazione che si era impossessata di lui. «Non voglio la tua stupida puzza di tigre bagnata in questo posto. E' soffocante».
    Zoro gli lanciò una rapida occhiata, fissandolo con i suoi occhi dorati e predatori. «Nemmeno io sto facendo i salti di gioia per il tuo tanfo pestinenziale, ma non mi sembra che te lo stia facendo pesare», ironizzò, divenendo serio in un lampo qualche istante dopo. «Che cos'hai?» gli chiese, lasciando Sanji spiazzato. E adesso che cosa stava dicendo, quella tigre idiota?
    «Non ho niente, che cosa dovrei avere?» domandò di rimando, e le spalle massicce di Zoro si sollevarono appena.
    «Questo dovresti dirmelo tu», replicò in tono schietto, senza staccargli gli occhi di dosso. «Sei lontano dal branco, solo e bagnato come un cucciolo, rintanato nel tronco di un albero e con un muso lungo che sembra urlare ai quattro venti “La mia vita fa schifo”. Quindi, aye, credo proprio che tu abbia qualcosa, stupida volpe dalla coda a ricciolo».
    Sanji a quelle parole rimase spiazzato, guardando Zoro con gli occhi ingigantiti dalla confusione prima di nascondersi un lato del viso con il dorso di una zampa, abbassando le orecchie con fare afflitto. Quel brutto... idiota. Aveva sempre odiato quella sua perspicacia e quel suo riuscire a leggergli dentro, giacché molto spesso nessuno, nemmeno i componenti del suo stesso branco o Zeff, suo nonno e membro degli anziani, comprendevano appieno le sue emozioni o i sentimenti che lo muovevano e che gli facevano fare determinate cose. Cose che di primo acchito sembravano stupide e per niente degne di nota, ma che per lui significavano più di quanto non volesse ammettere nemmeno a se stesso. Capire dunque che Zoro riusciva laddove molti altri sbagliavano lo lasciava rimescolato dentro e per niente certo di quali fossero realmente i punti significativi della sua vita, come se ciò che aveva fatto fino a quel momento fosse terribilmente sbagliato.
    «È solo che...» decise finalmente di spiegarsi, per quanto avesse ancora la stess espressione che si sarebbe potuta vedere su un cane bastonato. Si era persino attorcigliato la coda intorno alle zampe posteriori e abbandonato quelle anteriori sul terreno smosso e umido, poggiandovi sopra il lungo muso peloso. «Si aspettano troppo da me», borbottò a mezza voce, facendo fremere i baffi in maniera incontrollata. «Vogliono che prenda il comando del branco, però... io non mi sento ancora pronto. Ho ancora troppe cose da vedere, troppe esperienze da fare, e i tuoi racconti su cosa c'è fuori da questo sputo di foresta non aiutano, brutto idiota».
    Zoro, a quelle confessioni, non poté fare a meno di accigliarsi. «Vorresti dire che adesso è colpa mia?»
    «Non voglio dire questo, tigre di merda, ma che con il tuo cianciare mi hai fatto mettere strane idee in testa».
    «Quindi è colpa mia», insistette Zoro con fare sarcastico, rimediandoci una rapida occhiata.
    «Piantala», ringhiò di rimando Sanji. «È già tanto se ti ho risposto e ti ho confessato il mio cruccio, non tirare troppo la corda».
    «Altrimenti che cosa fai?» 
    Sanji gli scoccò un'altra occhiataccia e fece per rispondergli, drizzando immediatamente le orecchie e mezzo busto nel rendersi conto che c'era qualcosa che non quadrava, negli atteggiamenti di quell'idiota. Di solito non perdeva nemmeno un'occasione per prenderlo in giro o punzecchiarlo, magari dandogli qualche zampata sul capo per rompergli le scatole come si conveniva; in quel momento, però, Zoro appariva quasi... fiacco, privo di vita, come se fosse annoiato o addirittura senza la benché minima energia. E così davvero che cosa avesse quando alle narici, fino a quel momento ovattato dal sentore dell'erba e dall'umidità, gli giunse un odore fin troppo inconfondibilie. «Ohi». Annusò bene l'aria intorno a lui, arricciando il naso quando si rese conto che quel profumo che sentiva non proveniva da qualche animale che aveva ucciso per cibarsene, bensì dalla sua stessa pelliccia. «Odori di sangue. Sei ferito?» chiese, ma Zoro, anziché rispondergli, si limitò a sferzare il terreno con la coda per allontanarlo da sé, poggiandosi meglio sul terreno.
    «Non è niente», borbottò poi, nascondendo in fretta la zampa destra sotto il grosso muso sotto il suo sguardo attento; Sanji non si fece di certo abbindolare, sollevandosi per darsi una spinta sulle zampe posteriori e raggiungero, scansandogli la testa con la propria.
    «Fammi vedere, idiota», rimbeccò, ignorando il basso ringhio proveniente dal fondo della gola di Zoro quando, abbassando il capo, fece guizzare fuori la lingua e cominciò a lappare piano la ferita, sentendo il sapore del sangue nel palato.
    «Ti ho detto che non è niente, lascia stare».
    «E io ti ho detto di farmi vedere».
    Zoro stavolta ringhiò più forte e, con un colpo di coda, si issò sulle zampe e colpì Sanji al petto, atterrandolo con un tonfo soffocato; gli si sistemò sopra e lo osservò da quella posizione, digrignando i denti. «Non farmelo ripetere una terza volta, volpe del cazzo», sbottò, premendo i cuscinetti contro il suo dorso per tenerlo a terra, visto il suo continuo divincolarsi sotto di lui. Difatti provò a voltare il muso da quella posizione, mostrandogli a sua volta le zanne.
    «Si può sapere che diavolo ti prende?! Uno cerca di aiutarti e tu lo tratti così?!» berciò nervoso, accigliandosi quando vide gli occhi dorati di Zoro ingigantirsi dalla confusione fino a socchiudersi appena, come se il loro proprietario si fosse appena reso conto di ciò che aveva fatto; si accasciò poi con tutto il peso addosso a lui, affondando il muso fra i peli del suo dorso, annusando fino in fondo.
    «Scusa», borbottò sottovoce. «Si sta avvicinando la stagione degli amori».
    Oh. Adesso sì che si spiegavano tutti gli strani comportamenti che quello scemo aveva avuto fino a quel momento. Avrebbe dovuto immaginarlo. L'unica cosa che non si spiegava, però, era perché quell'idiota di una tigre si stesse strusciando contro di lui e avesse cominciato a premere in modo inopportuno contro la sua coda con il suo pene. Nay, proprio non si spiegava. «Zoro», sussurrò, sentendo il proprio corpo fremere sconquassato e cedere del tutto a quella frenesia che si provava durante l'accoppiamento. Si sollevò sulle zampe anteriori e mostrò tutto se stesso al compagno, arricciando il naso nell'avvertire la sua lingua ruvida intorno all'anello di muscoli, inumidendolo; sentì poi la sua carne cedere per lasciar spazio al pene della tigre, che cominciò a muoversi dentro di lui fino all'eiaculazione completa di entrambi.
    Sanji aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo e si era concentrato sulla possente presenza di Zoro dietro e dentro di sé, sul suo sommesso ringhiare e i suoi brontolii, sulla consistenza del terreno smosso sotto di lui che aveva artigliato fra le zampe, spalancando le fauci e unendosi al ruggito che scappò dalla gola di Zoro. Il sangue scorreva adesso frenetico nelle sue vene e sentiva ancora nell'aria l'odore dell'accoppiamento, quell'odore che avrebbe dovuto sentire in compagnia di una femmina della sua specie, non con quella tigre che ancora gli stava addosso.
    Avrebbe dovuto capire il guaio in cui si era cacciato e rivoltarsi, magari morderlo a sangue e ringhiargli contro fino a cacciarlo da quel tronco e cercare di non riflettere su quanto era successo, però, nonostante tutto, rimase acquattato sul terreno e non si mosse fino a quando non fu Zoro stesso a spostarsi, sdraiandosi al suo fianco a pancia in giù con un basso grugnito. Stava quasi per chiedersi che cosa gli fosse preso, ma si ritrovò invece ad accigliarsi nel sentire la sua lunga coda sottile attorcigliarsi intorno alla sua, come se volesse esortarlo a farsi più vicino.
    Sanji sorrise e, sollevandosi sulle zampe anteriori, si accoccolò contro di lui e strofinò il viso nella sua pelliccia calda, lasciandosi cullare dal suo respiro e dal battito rassicurante del suo cuore.
  
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