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Autore: Lady Bracknell    30/01/2007    6 recensioni
Quant'è difficile trovare il regalo giusto per una persona che è più di un'amica, una collega, una conoscente... Specialmente se lei non lo sa e tu con questo regalo vuoi farle capire cosa provi...
Prologo a The Werewolf Who Stole Christmas.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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No Time Like the Present

Non so se dovete adorarmi a vita o tirarmi dietro pomodori e verdure.

Ho fatto tutto un po’ in fretta per riuscire a pubblicare oggi come promesso.

È probabile però che giovedì lo posti di nuovo. Ciao.

 

No Time Like the Present.

 

Remus si era appena messo in tasca il regalo per Tonks e deciso di andarsene a dormire quando sentì qualcuno muoversi di sopra. Si accigliò, guardando l’orologio e chiedendosi cosa diavolo uno dei ragazzi – o Molly – ci facesse in piedi a quell’ora. Specialmente dopo una tazza del vino speziato si Sirius, avrebbero dovuto essere tutti fuori gioco per ore.

 

Si alzò, pensando che forse Sirius aveva smaltito in parte la sbornia ed avesse bisogno di assistenza, così andò ad indagare, anche se offrire il suo aiuto ad un Sirius ancora mezzo ubriaco era decisamente l’ultimo dei suoi progetti per quell’ora della notte.

 

Ma invece di Sirius accasciato da qualche parte, che gemeva chiedendo aiuto, Remus trovò Tonks. Era in piedi accanto alla porta d’ingresso, fra le braccia un’enorme scatola traboccante di decorazioni,  il viso contratto in una smorfia, perché ogni volta che posava il piede per terra, le assi del pavimento scricchiolavano terribilmente e la Signora Black inspirò profondamente, preparandosi, dietro le sue tendine parzialmente chiuse.

 

Tonks incrociò il suo sguardo, guardandolo con un misto di gratitudine e imbarazzo, e Remus le sorrise per farle capire che aveva capito la situazione, il suo stomaco che faceva le capriole al pensiero che lei era molto più divertente da aiutare rispetto a suo cugino quando era ubriaco. Arrivò di fronte al ritratto della Signora Black e prese in mano le tendine, pronto, quindi fece un cenno a Tonks perché tornasse indietro dalla parte dove era venuta. Tonks mosse un passo verso la porta, e quando il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi,fece una smorfia nello stesso momento in cui la fece lei.

 

Ma l’invettiva della Signora Black sui mostri mezzosangue e i mutaforma n arrivò mai, e mentre Tonks si spostava di lato, infilando le scale, soppesando attentamente ogni passo e mordendosi leggermente il labbro mentre appoggiava il piede, Remus chiuse meglio le tendine di fronte al ritratto, e quindi seguì Tonks su per le scale.

 

Una volta che furono entrambi salvi in salotto, Tonks diede un profondo sospiro di sollievo.

“Grazie,” disse. “Pensavo – beh, un passo falso e avrei svegliato tutta la casa.”

 

Remus ne dubitava. Il vino speziato di Sirius era abbastanza potente da mandare tutti nel mondo dei sogni per un bel po’.

 

I suoi occhi si soffermarono sul viso di lei, notando le sue festive ciocche rosse che in qualche modo – contro tutte le leggi del buonsenso e della ragione – le stavano bene, ed i suoi occhi scuri ed invitanti che scintillavano più del solito nella penombra della stanza.

“Sei arrivata tardi,” disse Remus, sorridendole, accendendo il fuoco con la bacchetta, mandando ombre danzanti per la stanza, sull’albero di natale e le decorazioni, la luce delle fiamme che faceva scintillare le palle sull’albero e sottolineando la dolcezza dell’espressione di Tonks.

 

Tonks alzò gli occhi al cielo.

“Mmh,” mormorò, “Non l’ho fatto apposta – avrei dovuto finire alle otto in teoria, a c’erano un sacco di cose che andavano finite in modo da poter fare una vacanza come si deve.”

 

Lui mormorò qualcosa in assenso e si chiese se fosse quello il momento per dirle quello che provava – la luce del fuoco ed il Natale imminente erano entrambi ottimi per un’atmosfera romantica – ed il regalo nella sua tasca gli punzecchiava la gamba, cercando di spronarlo affinché glielo desse.

 

Tonks cercava di tenere la scatola in equilibrio fra le braccia, ed il rumore attirò la sua attenzione.

“Oh, lascia che ti aiuti,” disse, prendendo la scatola e togliendogliela dalle mani, posandola sulla credenza. Accennò vagamente alla scatola e incontrò il suo sguardo inarcando un sopracciglio. “Voglia di un po’ di spirito natalizio portatile?” chiese, ridacchiando.

 

“No,” rispose. “Avevo tutta questa roba nel mio appartamento, ma non ci passerò molto tempo nei prossimi giorni, così ho pensato di portarla qui, magari viene usata.”

 

Inarcò entrambe le sopracciglia ed annuì in approvazione, cercando di scacciare dalla mente l’idea ma senza riuscirci, che era tutta una scusa per vederlo. Tonks fece spallucce.

“Ho pensato che a Sirius avrebbe fatto piacere,” disse. “Mettere su le decorazioni natalizie sembra avergli tirato su il morale.”

 

“Mmh,” mormorò lui, guardandola ed incontrando il suo sguardo con un sorriso, che lei ricambiò.

 

“Dov’è lui, in ogni caso?”

 

“Dorme. Noi – ehm – beh, abbiamo fatto un po’ tardi ieri sera, e poi ci ha offerto un po’ di vino speziato che era più alcolico del previsto...”

 

“Oh,” disse Tonks, realizzando con un sorriso. “Quindi questo manda all’aria tutti i miei progetti.”

 

Remus deglutì guardando alternativamente la scatola di decorazioni, poi la sua espressione delusa ed allo stesso tempo stoica quindi di nuovo la scatola. Gli si stava presentando la perfetta occasione per trascorrere del tempo con lei, l’occasione di trovare, forse, il momento giusto per darle il suo regalo, o indirizzarsi lentamente al dirle – o mostrarle quello che provava.

 

Decise di non sprecare quella opportunità, e un proverbio sulla fortuna che aiuta gli audaci gli balenò per la testa.

“Beh, non necessariamente,” disse. “Se ne hai ancora voglia...” indicò la scatola di decorazioni e poi vagamente la stanza. “Sono sempre disponibile a decorare la stanza – a meno che tu non preferisca aspettare?”

 

“No,” rispose Tonks, sorridendo. “Adesso va benissimo.”

 

“Sono d’accordo,” acconsentì, facendo un paio di respiri profondi per cercare di calmare i battiti forsennati del suo cuore.

 

Remus si voltò verso la vasta selezione di decorazioni che Tonks aveva portato, afferrando con nonchalance l’estremità di una striscia di un color rosso acceso e cercando di estrarla dalla scatola. Un po’ di decorazioni, pensò, avrebbero creato la giusta atmosfera. Tenne fra le mani quello che era riuscito a tirare fuori, cercando l’altra estremità della striscia.

 

Ma la decorazione continuava.

 

Tirò più forte, e ne emerse sempre di più, e poi ancora finché non si ammucchiò ai suoi piedi e lui iniziò a domandarsi se non fosse un qualche nuovo tipo di decorazione infinita che lei gli aveva portato per fargli uno scherzo.

“Che cosa...?” domandò, cercando il suo sguardo con quello che sperava sembrasse un cipiglio severo. Tonks ridacchiò dietro le dita.

 

“E’ extra lunga,” disse, “L’ho comprata l’hanno scorso per sistemare tutta la stanza con una sola.”

 

“Oh,” mormorò Remus, continuando a combattere con l’ammasso infinito che gli si stava ammucchiando fra le mani.

 

Alla fine trovò l’altro capo della decorazione e fece un sospiro di sollievo, sospiro che si rivelò essere prematuro, visto che l’estremità era annodata per bene all’estremità di una nuova decorazione, ed altre ancora attorno a questa. Quando diede uno strattone alla striscia rossa, si ritrovò con un altro paio di strisce in mano – una blu con piccole stelline argentate ed un’altra oro splendente – attaccate saldamente alla rossa, e Tonks rise mentre lui tentava di districarle, e quelle gli scivolavano fra le dita, facendone cadere a terra più di quelle che riusciva a tenere in mano e finendo a formare un mucchietto che gli arrivava fino alle ginocchia. Doveva sembrare uno di quegli inetti prestigiatori Babbani, cui non era riuscito uno dei suoi trucchi. Sbuffò divertito, prima di rinunciare e lasciar cadere il tutto per terra in una intricata massa scintillante.

“Lo sai di cosa abbiamo bisogno?” annunciò.

 

“Di una Giratempo così posso tornare all’anno scorso e rimettere via le decorazioni ordinatamente?” suggerì Tonks, e lui rise.

 

“Quella magari potrebbe essere utile,” concordò, cercando di uscire dall’intrico di strisce che si era creato ai suoi piedi con tutta la dignità e delicatezza che gli riuscivano, “Ma io stavo pensando ad una bella tazza di vino speziato. Dovrebbe esserne rimasto.”

 

Inarcò un sopracciglio in attesa di una risposta, Tonks annuì, e dopo essersi districato dai minacciosi tentacoli delle decorazioni, Remus scese di sotto per riempire due tazze di quel vino rosso che profumava di cannella e chiodi di garofano.

 

Ne era rimasto un sacco – pensò che Sirius dovesse aver sopravalutato le capacità di resistenza di ognuno come quelle di se stesso – e scelse una tazza che portava la scritta “tazza bah uhm” per Tonks e per sé prese quella dei Cannoni di Chudley. Non poteva fare a meno di stupirsi di quanto si sentisse stanco poco prima, mentre ora che lei era lì era di nuovo attivo e sveglio.

 

Era un effetto a cui si era abituato – diverse volte dopo una missione che li aveva tenuti fuori fino a sera era riuscita in qualche modo a farlo restare in piedi un’ora in più a parlare, o ridere e persino il semplice darsi la buonanotte a volte richiedeva almeno venti minuti. Era una delle ragioni per cui gli piaceva. Lo faceva sentire – non sapeva nemmeno lui quale fosse la parola giusta.

 

Quando lei era nei paraggi si sentiva eccitato, e nervoso – in effetti lo faceva sentire come tutti quei mesi trascorsi in biblioteca a Hogwarts a scambiarsi occhiate furtive e di desiderio con Olivia Crosby, anche se sperava di cavarsela un po’ meglio con le ragazze rispetto ad allora.

 

Fece una smorfia al pensiero che la scena con le decorazioni di poco prima provava tutto il contrario, ma si consolò pensando poi che Tonks non era il genere di ragazza da usare la sua inettitudine contro di lui.

 

Tornò indietro, porgendo a Tonks la sua tazza e bevendo un sorso di vino. Tonks si portò la tazza alle labbra, bevve un sorso a sua volta e sgranò gli occhi.

“Oh, mio...” disse, la voce leggermente strozzata. “E’ forte ‘sta roba.”

 

“Mmh,” mormorò lui. “Sospetto che più di due tazze potrebbero mandare ko un ippogrifo.”

 

“Questo spiega cosa è successo a Sirius allora,” mormorò, incontrando il suo sguardo con un largo sorriso e soffiando sulla sua tazza.

 

“A dir la verità,” disse Remus, “ E’ riuscito a farne fuori sei prima di ritirarsi.”

 

“Tu a quante sei arrivato?”

 

“Solo una,” rispose, “Ma mi sento un po’ brillo lo stesso, a dire il vero.”

 

Tonks rise.

“Tranquillo,” disse. “Non ti arresterò perché decori in stato di ebbrezza.”

 

“Grazie.”

 

Tonks sorrise e c’era qualcosa di intossicante e timido in quel sorriso.

“Com’è andata a finire poi l’altro giorno?” chiese. “Sei riuscito a trovare qualcosa per tua madre?”

 

“Sì,” rispose Remus, “Lampo d’ispirazione.”

 

“Bene,” mormorò Tonks, bevendo un altro sorso di vino. “Sono felice che tu abbia trovato qualcosa che le piacerà.”

 

“Beh, qualcosa che spero le piacerà.”

 

Tonks inarcò un sopracciglio.

“Solo speri?” disse. “Non è moralmente obbligata ad adorare qualsiasi cosa tu le prenda?”

 

“Sì,” concordò lui, “Ma sarebbe carino se la sua espressione nell’aprire il regalo fosse sincera e non di circostanza.”

 

Lei sorrise.

“Questo è vero.” Concesse. “Nessuno vuole finta gratitudine. Ti smonta tutto lo spirito natalizio.”

 

“Esatto.”

 

“Sono certa che le piacerà moltissimo.”

 

“Sembri molto sicura,” commentò, nascondendo un sorriso dietro il bordo della sua tazza mentre bevevo un sorso di vino.

 

“Mmh,” mormorò, “Beh, sembri il genere di persona che riesce sempre a prendere alla gente qualcosa che di sicuro piacerà.”

 

“Sul serio?”

 

“Mmh,” rispose, e lui si chiese se fosse solo il fuoco o se stesse veramente arrossendo. “Comunque,” esordì, mettendo più enfasi nella parola di quanta ne meritasse, “Ci mettiamo al lavoro?”

 

posarono le tazze e si sedettero per terra accanto al mucchietto scintillante di decorazioni che lui aveva così abilmente liberato dalla scatola, concordando entrambi sul fatto che avrebbero dovuto mettersi all’opera fintanto che erano ancora svegli e ragionevolmente sobri.

 

Gli ci volle un po’ per districare le singole strisce – più a lungo, Remus sospettava, di quanto fosse strettamente necessario, perché ogni volta che le loro mani si sfioravano, i loro sguardi si incrociavano ed era come se il mondo avesse smesso di girare. E poi uno di loro si metteva a ridere, o mormorava qualcosa riguardo le decorazioni irritanti o scherzava sul fatto che erano appiccicose e poi continuavano a cercare di districarle finché non succedeva di nuovo.

 

Alla fine però, ognuno di loro ebbe in mano un’estremità della striscia, ma nessuna idea su dove metterla.

“Credo di avere trovato una pecca nel nostro piano,” osservò Remus, alzandosi in piedi e accennando vagamente alla stanza che già traboccava di decorazioni. “L’unica cosa qui dentro che non è appropriatamente festiva siamo noi.”

 

Tonks ridacchiò.

“Beh, a questo si può facilmente rimediare,” disse, e prese la bacchetta, fissandovi l’estremità della striscia che teneva con un incantesimo ed arrotolandola attorno al collo di lui come un boa di piume.

 

Lui inarcò un sopracciglio nella sua direzione e lei sorrise maliziosa.

“Cosa ne pensi?” chiese. “Il rosso è il mio colore?”

 

“Sembri una dama,” rispose, coprendosi la bocca con la mano e ridendo dietro le dita.

 

“Cosa?”

 

“Sai, dalle pantomime,” spiegò, “La mia nonna Gabbana mi ci portava ogni anno – la dama è un tipo che si veste come una donna di mezza età. In genere si prende tutte le battute migliori.”

 

“Oh, lo so chi è una dama,” disse, buttandosi dietro le spalle un capo dello striscione come fosse una balza del vestito. “Ero solo scioccato che tu osassi fare un paragone del genere quando chiaramente non indosso abiti femminili.”

 

Tonks rise di nuovo e poi prese la sua tazza di vino speziato, bevendone un altro po’.

“Ci andavo ogni anno anch’io,” disse Remus, “I miei nonni erano Babbani.”

 

“Oh,” mormorò Tonks, sgranando gli occhi sorpresa. “Non sapevo avessi...”

 

si interruppe, mordendosi il labbro e sorridendogli timidamente. Lui inarcò un sopracciglio.

“L’altro giorno eri sorpresa che io avessi una madre e ora ti stupisci che io abbia dei nonni,” disse, “Penso davvero si arrivato il momento di fare quella discussione sui cavoli e sulle cicogne.”

 

Gli diede un colpetto di avvertimento sulla spalla.

“Smetterai mai di rinfacciarmela?” chiese.

 

“Non in questa vita.” Rispose, prendendo la sua bacchetta e avvolgendo la decorazione blu e argento che Tonks reggeva attorno al collo di lei, mentre la ragazza rideva.

 

“Che ne pensi?” domandò, piegando la testa da un lato e indicando la sciarpa che lui gli aveva procurato e poi quella di lui. “Meglio così?”

 

“E’ indubbiamente festivo,” acconsentì. Tonks giocherellò con la striscia che aveva al collo in modo estremamente adorabile.

 

“Stona un po’ però,” disse pigramente.

 

“Hai ragione.”

 

Con riluttanza, si liberarono entrambi delle decorazioni e, accordandosi silenziosamente, si scambiarono, in modo da aggiungere quella rossa all’albero e la blu al caminetto.

“Allora, quel era il tuo preferito?” chiese Tonks e Remus la guardò con espressione interrogativa. “Nelle pantomime.” Spiegò.

 

“Cenerentola.” Rispose, chiedendosi se non fosse una cosa strana da ammettere, “Anche se confesso di aver sempre desiderato mandar fuori a calci il Principe Azzurro e fare il tifo per la sorellastra.”

 

Tonks rise.

“Cosa c’è?” domandò Remus. Per non pensare al rossore che gli stava imporporando le guance, concentrò la sua attenzione sulla decorazione del caminetto. “La sorellastra e Cenerentola sono una combinazione molto migliore di lei e il Principe Azzurro – voglio dire, l’unica cosa che il Principe effettivamente conosce di lei è che ha i piedi piccoli. Non è una buona base per una relazione duratura.”

 

“Suppongo che facessi il tifo anche per Aladdin e il Genio allora?” chiese lei, la sua voce che vibrava divertita.

 

Remus le lanciò uno sguardo oltre la spalla con un sopracciglio inarcato.

“A dire la verità mi è sempre piaciuto pensare che il Genio avesse un debole per Trilli.” La corresse, ricacciando indietro una risata.

 

“Sul serio?”

 

“Oh, sì,” rispose, voltandosi di nuovo verso il caminetto e sistemando invano le decorazioni.

 

La risatina di Tonks fu quasi – ma non del tutto – smorzata dal fruscio della sua striscia rossa, mentre lei ruotava attorno all’albero, posizionandola.

“Qual era il tuo preferito, invece?”

 

“Dick Whittington,” disse.

 

Aprì la bocca per dire che anche a lui quell personaggio era sempre piaciuto un sacco, ma non ne ebbe la possibilità.

“E preferirei che tu non rovinassi i miei ricordi di bambina insinuando che Dick aveva un debole per il suo gatto,” lo ammonì.

 

Si portò la mano al petto, fingendosi offeso e lei rise.

“Non stavo assolutamente insinuando niente del genere,” disse, “La cosa è già di per sé chiaramente evidente...”

 

Tonks alzò gli occhi al cielo, ma ridacchiò comunque, terminando di sistemare la sua decorazione con una piroetta. Lo aiutò a coprire la piccola libreria nell’albero con la striscia dorata, ed alla fine Remus si appoggiò alla credenza, osservando la loro opera. Tonks lo raggiunse, dandogli un colpetto sul fianco con il suo.

“Che ne pensi?” le domandò.

 

“Penso che stava meglio su di te che non fa sull’albero,” commentò, accennando alla striscia rossa che scintillava fra i rami dell’abete.

 

“Pensi davvero?” chiese, voltandosi leggermente verso di lei.

 

“Mmh,” mormorò, “Ti stava bene.”

 

I loro sguardi si incontrarono.

 

Lei si morse il labbro.

 

Il respiro di lui si fece più pesante.

 

Erano molto vicini – più vicini di quanto stessero due amici, ed entrambi lo sapevano.

 

Alla luce del fuoco, con tutto il scintillio delle decorazioni attorno a loro, Tonks appariva decisamente attraente, e lui seppe che era quella, la perfetta occasione per baciarla. Lei gli sorrise, e nel suo sguardo gli sembrò di cogliere qualcosa che sembrava attesa, e deglutì.

 

Il cuore gli batteva forte – ma da un angolino remoto, non richiesti, i dubbi cominciarono ad assalirlo.

 

E se quello che credeva di aver visto nei suoi occhi non era affatto speranzosa attesa? E se era soltanto uno scintillio amichevole, accentuato dall’alcool? E se il bagliore delle decorazioni lo stava traendo in inganno, facendogli vedere quello che voleva vedere, invece di quello che effettivamente c’era?

 

Un peso gli calò sul cuore. Non aveva cero record stellari in questo genere di cose – in effetti, pensò che per trovare un uomo con meno esperienza romantica di lui bisognasse tornare indietro all’antica Roma.

 

Ma il modo in cui lo stava guardando...

 

Quello che gli serviva era una ragione per baciarla.

 

Una ragione diversa dal semplice fatto che desiderava farlo.

 

Una ragione diversa dal pensiero che forse lei voleva che lui lo facesse.

 

Una ragione diversa dal fatto che l’idea di baciarla era così spesso nei suoi pensieri ultimamente che difficilmente riusciva a pensare ad altro.

 

Quello di cui aveva bisogno, pensò, era l’aiuto della tradizione: aveva bisogno del vischio.

 

E in quel caso, se avesse avuto torto, lei avrebbe pensato che stava solo rispettando le tradizioni – o che aveva bevuto troppo vino speziato – e non ce l’avrebbe avuta con lui. E se non si era sbagliato e lei ricambiava i suoi sentimenti – le sue ginocchia cedettero leggermente al pensiero – avrebbe approfittato dell’occasione e lui avrebbe saputo, allora, quello che lei provava.

 

Il vischio era assolutamente la soluzione.

 

La casa era piena di quella roba, e tuttavia sapeva – visto che la maggior parte l’aveva evocata lui – che non ce n’era da nessuna parte, vicino al posto dove stavano loro.

 

Pensò, momentaneamente, di tentare a condurla verso l’entrata, dove ne aveva collocato un bel cespuglio, ma una soluzione molto più semplice al suo problema gli si presentò istantaneamente.

 

Con molta attenzione, prese la bacchetta, e mentre sosteneva il suo sguardo per distrarla, evocò un mazzetto di vischio proprio sopra le loro teste.

 

Guarda su, guarda su, pensò.

 

Tonks non distolse lo sguardo dal suo.

 

Maledizione, pensò.

 

Gli istanti passavano. Sperò di nuovo silenziosamente che lei guardasse in alto, arrivò persino a far frusciare leggermente il mazzetto con un movimento impercettibile della bacchetta. Ma i suoi grandi occhi scuri rimanevano fissi sui suoi – cosa che in altre circostanze avrebbe fatto sì che nel suo stomaco avesse piantato le tende una colonia di farfalle, ma adesso era solo tremendamente deluso.

 

Alla fine Tonks si schiarì la gola.

 

“Beh,” disse, con quella che lui volle credere fosse allegria forzata. “Si sta facendo tardi.”

 

Remus si diede mentalmente dello stupido. Si era lasciato sfuggire l’occasione perfetta.

“Mmh,” mormorò lui, pensando che era una risposta tremendamente inadeguata e che non risolveva la sua stupidità. Non era nemmeno una parola.

 

“Buonanotte allora,” disse lei.

 

“Ok,” rispose. E infine, sentendo come se le dovesse qualcosa aggiunse, “E’ stato bello.”

 

Stava ancora sperando con tutto se stesso che alzasse lo sguardo e vedesse il vischio.

 

Ma non lo fece. Gli fece solo un sorriso che mandò sottosopra il suo stomaco e mormorò qualcosa in risposta.

“Buonanotte,” disse dolcemente e lui le rispose con ancora più dolcezza.

 

E quando sparì oltre la porta, Remus sbatté la testa contro la porta con un leggero ‘tunk’ e poi un altro paio di volte, che tanto non guastava.

 

Idiota.

 

Prese mentalmente nota di stare più attento alle dimensioni del vischio in futuro.

 

Sospirò e raccolse le tazze, portandole in cucina per lavarle.

 

Le lavò senza porre attenzione a quello che faceva, perso in un sogno ad occhi aperti su Tonks, il vischio e su quanto era bella alla luce del fuoco, dopodiché se ne andò a letto.

 

Sfiorò il regalo che aveva in tasca.

 

I regali di Natale erano sempre stati un’ impresa per lui, ma questo era stato il più difficile di tutti, perché non gli era mai importato così tanto che il suo regalo piacesse.

 

Cercò di non essere troppo deluso per il fatto di non aver fatto progressi con Tonks quella sera. Dopo tutto, mancavano ancora un paio di giorni a Natale,e quello significava, sperava, un mare di occasioni di trovare il momento perfetto per darle il suo regalo, il momento perfetto per farle capire – implicitamente, ma senza lasciarle dubbi – che anche se non aveva incartato il suo cuore e l’aveva messo sotto l’albero, il suo cuore era sempre lì che la aspettava.

 

  
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