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Autore: Silver Pard    16/07/2012    2 recensioni
Una raccolta di fic semi-dimenticate scritte per il meme di Sherlock, con un numero sproporzionato di cross-over e almeno un cinquanta percento di probabilità di essere completamente crack.
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Raccolta, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NdT: … weeeeeeeiiiiiird.

NdA: … e questo è il mio cervello sul meme di Sherlock.



Prompt: Sherlock is a unicorn. John is a fairy. They’re in love.
(Non c’era nel prompt vero e proprio, ma sempre detto dall’OP (giuro): I would love you forever if you managed to do it seriously. But crack is also awesome :D, e in risposta a una domanda su una fata alla Tinkerbell/Campanellino contro una fata alla Fae: TINKERBELL. OMG TINKERBELL.
A seguire: conigli!



A Very Different Sort of Unicorn ~ Un tipo di unicorno molto diverso






« Ti amo » disse John.

L’unicorno grugnì, scrollando il capo. « Lo so » sbottò, con nella voce qualcosa che somigliava a pazienza irritata. « Lo sanno tutti. La tua specie non può avere per la testa più di un’emozione forte alla volta. »

« No » ribatté John, con scatti indignati delle ali. L’unicorno scosse la testa e la luccicante polvere di fata lo fece starnutire. « Stavolta è diverso. »

« Tutti pensano sempre “stavolta è diverso” quando quel qualcosa riguarda loro » replicò l’unicorno. « Non è mai così. È incredibilmente monotono. »

John si rabbuiò e finse di non averlo sentito.

« Comunque John che razza di nome è per una fata? » chiese pigramente l’unicorno.

John provò a tenersi saldo al suo pensiero, perché era un bel pensiero e andava detto, ma si distraeva facilmente, come tutti quelli della sua specie. « Un ottimo nome » rispose tutto fiero, illuminandosi di rosa per l’orgoglio e il piacere. « Lo sai quanto teniamo ai nostri nomi. Che gli umani a volte cercano di imprigionarci. Devono usare il nostro nome per tenerci, e pensano sempre a cose come “Seme di mostarda” e “Fior di pisello” e “Campanellino,” che sono le cose giuste, e non gli viene mai in mente un “John.” »

« Gli unicorni non hanno nomi » disse l’unicorno, gli occhi indecifrabili.

« Allora come fate a distinguervi? Come fanno tutti gli altri a sapere che tu sei quell’unicorno e non quell’altro? »

« Tu sai chi sono » osservò l’unicorno. « Anche se non ho un nome. »

« È perché ti amo » spiegò John, e tornare all’idea di cui aveva provato a parlare prima gli restituì tutta la tonante emozione che talvolta pareva troppa per il suo minuscolo corpo.

« Vero » concesse l’unicorno.

« Tu sei – permaloso e solitario e irritabile e molto intelligente e non molto saggio » disse John dopo un istante, in un linguaggio umano, perché il linguaggio delle fate teneva conto di chi o di cosa si apostrofasse, e lui non poteva parlare con gli unicorni – figurarsi il suo unicorno – in tutta onestà. Poteva essere sincero, certo – non poteva mentire – ma erano due cose molto diverse. « Ti riconoscerei ovunque, e – e così pure gli altri, immagino. Tu sei un tipo di unicorno molto diverso. »

« Grazie » fu la secca risposta dell’unicorno. « Questo sì che è un complimento. »

« L’avevo pensato » ammise John, dandogli una pacca sul corno, lasciando un’impronta dorata scintillante. « So quanto ti sta antipatico tuo fratello. »

« Gli unicorni di solito sono solitari, sai. Alcuni di noi sono piuttosto selvaggi. »

« Tu sei piuttosto pazzo » disse affettuosamente John, e non accennò a come non era più tanto sicuro di star seguendo la conversazione.

« Sì, suppongo di sì. Fa vedere le cose con grande chiarezza, la follia. Per questo non la si può non apprezzare. » La normalità è così monotona.

« Tu vedi tutto » ribatté John, ed era la verità, ma non tutta la verità, e questo era quanto poteva essere detto nel linguaggio delle fate che suonava come le campane. Ciò che John voleva dire, ma per il quale avrebbe avuto bisogno di una lingua umana, era: “Tu vedi tutto con tale chiarezza che c’è sempre qualcosa che ti sfugge.”

« Siamo solitari, che per noi è molto diverso dal sentirsi soli » spiegò l’unicorno, che poteva stare dietro a una conversazione dai molteplici fili, a differenza di una fata.

John aggrottò la fronte. « Ma tu ti senti solo. »

« Io sono un tipo di unicorno molto diverso. »

« Sì » disse John, e sorrise radioso. Essendo una fata, era molto bravo a carpire la differenza tra ciò che veniva detto e ciò che si intendeva. E quando l’unicorno diceva “io sono un tipo di unicorno molto diverso,” John capiva che ciò che intendeva era “gli altri unicorni non si sentono come me.” « Così come io sono qui. Con te. »

L’altro annuì, e fece un sorriso da unicorno che racchiudeva qualcosa della tenerezza mortale.

Le fate come John, che potevano stare nel palmo di una mano umana, possono avere per la testa solo un’emozione forte alla volta. Quando si arrabbiano, la loro furia non può essere placata se non con la distruzione di ciò che l’ha scatenata. Quando si rattristano, nulla può consolarle se non trovare l’altro estremo, e quando amano-

Ti amo, non disse John, le mani intrecciate alla criniera dell’unicorno. Ti amo tutto il tempo, c’è quando sono felice perché è ciò che mi rende felice, c’è quando sono triste perché mi ferisce a tal punto; ogni emozione che provo si può ricollegare a questo, c’è quando sogno, quando sono sveglio. E tu sei un unicorno.

Gli unicorni non erano come le fate. Gli unicorni non erano come nulla che non fosse un unicorno.

Gli unicorni erano veri immortali e l’Amore era una cosa mortale.

Però.

John guardò l’unicorno, che parlava così svelto e così rapido che nessuno avrebbe mai creduto che gli ci volesse un’eternità per dire tutto quello che voleva dire, e che prendeva nota di ogni cosa con i suoi occhi grigi di metallo, così diversi dagli occhi di ogni altro unicorno.

Ma tu sei un tipo di unicorno molto diverso.
   
 
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