Crossover
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Autore: Kimmy_90    16/07/2012    2 recensioni
[Questa storia è, di fatto, un enorme *Crossover*. I personaggi presenti, in larga parte, sono altrui, salvo pochi originali - e provengono dalle più svariate fonti; posso garantirvi che sono quasi tutti abbastanza “mainstream” da essere noti a chiunque legga. Citarli tutti all'inizio costituirebbe Spoiler, quindi ho preso le mie misure per evitare questo fastidioso inconveniente ed anche dare a Cesare quel che è di Cesare. Look Inside.]
Loro si svegliano, e non sono più loro. Non sono, ma furono, e furono molto, e tanto, e assai di più di quanto mai potranno essere. Loro si svegliano soli, camminano soli, crescono soli – insieme. Loro hanno una storia. Una grande storia, una piccola storia. Sanno che è falsa. Ma sanno anche che è vera.
Essi cadono, e basta.

Lo chiami futuro, lo leggi più presente di quanto possa sembrare, lo scopri più lontano di quanto non ti sia dato pensare. Vi sono due terre, due città, due mondi che si conoscono sì bene e sì male: un pianeta diviso in due, le ali per volare, lo spazio da colonizzare. Da qualche tempo, a turbare le due grandi nazioni, sono giunti i Caduti: coloro che – per diletto, forse – sono stati ribattezzati "Stelle Cadenti", o meglio, gli Infetti.
Un virus che serpeggia fra la gente, la sottrae alla propria vita, la restituisce con altri ricordi, altre convinzioni, un altro passato, sì falso e sì vero – e nuovi dubbi, e nuove idee, e vecchie idee, e vaghe intenzioni.
Nel marasma c'è chi non sa più distinguere il falso dal vero. Nel marasma, il vero ed i falso palleggiano le menti dei Caduti, dei non caduti, finché il dubbio supremo non si fa palese: è vero il vero, o forse è vero il falso? E se fosse vero il falso, dimmi, perché tu menti?
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Film, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DISCLAIMER

Questa è una fan fiction: molti dei personaggi coinvolti non mi appartengono, ma sono proprietà dei rispettivi autori; per una lista dettagliata (verrà via via aggiornata):
[SPOLER, ATTENZIONE, SCONSIGLIATO LEGGERE] LISTA PERSONAGGI ALTRUI /ATTRIBUZIONI



Capitolo 2: Stelle Cadenti.

Inutile epiteto per far sembrare una cosa di fatto terrificante come fosse, invece, quasi epica. No. Epica un cazzo.”
“A cadere ci si fa solo male al culo.



“Buondì.”
Buondì, rispose mentalmente lui. Ma non aprì gli occhi.
Continuava a pensare che, in fondo, dormire fosse la cosa migliore da fare. Forse era l'unica che sapeva fare – di sicuro gli riusciva particolarmente bene. Un lontano pensiero gli suggeriva che questa era una strategia sbagliata, considerato che l'ultima volta si era dimostrata più che fallibile.
Ma c'era qualcosa di diverso, qualcosa che lasciava aperto lo spiraglio delle possibilità – ovvero il poter continuare a dormire.
Dicono che chi dorme molto, se non malato fisicamente, è depresso.
Lui non si sentiva depresso, o almeno nulla gli faceva pensare di esserlo. Forse lo era, dato che non ricordava nulla – magari non ricordava di essere depresso –, e, per certi versi, si rendeva conto di sapere molto poco, il che avrebbe effettivamente potuto deprimerlo.
La storia della depressione, però, la sapeva. Un punto in più per... …. per lui.
“Io non penso che tu possa dormire per sempre, ed anzi, da che ne so dovresti essere già ben che sveglio. Sono passati a controllarti meno di cinque minuti fa.”
“In cinque minuti ci si può riaddormentare.” rispose il ragazzo, tradendosi più che consciamente.
“Buondì, dunque.”
“Buondì.”
Ma rimase con gli occhi chiusi. Forse, si disse, era un modo per nascondersi dalla realtà in cui si era ritrovato.
Forse ne sapeva, prima, di queste cose: per questo continuava ad elucubrare in merito. Magari aveva qualcosa a che fare con la psicologia. O con la filosofia. O con entrambe.
O con nessuna, realizzò – aprì gli occhi, turbato da quel suo ultimo pensiero: e se ciò che credeva di sapere, invece, non esisteva? Se erano parole prive di significato, frutto della sua mente? Era quella la sua storia? No, una storia era un susseguirsi di eventi, di cose, di fatti. Queste erano solo piccole luci nel suo universo, bagliori di conoscenza. Reale o fittizia?
“Esiste la psicologia?” domandò, di colpo, in un sol fiato: solo poi levò gli occhi sulla persona lì presente, scoprendo che non era affatto il medico con cui aveva discusso... prima. Non sapeva quantificare quanto prima, ma poco importava.
“Certo, è – diciamo – lo studio della mente umana.” rispose quello, con un sorriso accondiscendente.
Il ragazzo osservò il suo nuovo interlocutore, notando che aveva poco o niente a che vedere con il medico: era grosso, anzitutto, e abbondante di muscoli; leggermente alto, ma non troppo – il medico pareva allampanato, in confronto – : ma, alla fine, il tratto distintivo non poteva che non essere la lunga barba castana contornata da altrettanto lunghi capelli, sconsideratamente folti e voluminosi. La sua voce era bassa e confortante.
“Ed esiste il rugby?” domandò poi il ragazzo, dopo averlo osservato per qualche istante.
L'uomo abbozzò una risata, roboante, che si quietò rapida in un sorriso largo sui denti banchi e dritti.
“Sì, certo. Non sei il primo a darmi del giocatore di rugby. E' bello sapere che tutti si ricordano del rugby – ma no, non gioco a rugby.”
Preso in contropiede, il ragazzo lo osservò muto per qualche altro istante.
“Forse dovresti pensare di iniziare.” concluse.
“Sì, forse dovrei.” annuì l'altro, sedendosi. “Allora, io mi chiamo Sib. Tu?”
“Boh.”
“Seriamente?” fece quello, perplesso.
Evidentemente era un'opzione possibile, per quanto ai limiti, vista l'espressione di Sib. Il ragazzo corresse rapidamente il tiro, spiegando:
“Nel senso che non me lo ricordo.”
“Intendo quello della tua storia.”
“Uh.” mormorò, aggrottando le sopracciglia. “A quanto pare non ho una storia.”
A quanto pare?”
“Ne avevo parlato prima – non so quanto prima – con il medico.”
Quale medico?”
Il ragazzo tacque un istante, riconoscendo nel tono una vaga sorpresa. Non stava chiedendo 'chi?', ma piuttosto 'come/perchè diamine tu hai parlato con un medico?' .
Non serviva essere particolarmente lucidi per realizzarlo.
E a dire il vero, ora come ora, il ragazzo si sentiva decisamente poco lucido: i dubbi si susseguivano. Forse non esisteva medico? Se lo era immaginato?
Fantastico, quindi era anche fuori di testa, oltre che depresso. Oppure le due cose andavano di pari passo.
Sib, vedendolo disorientato, giunse in suo soccorso: “Alto, volto irregolare, fronte ampia, burbero, ti ha chiesto della tua storia?”
“Sì.” rispose il ragazzo, in un sospiro di sollievo.
“Ah. Quel medico. Non ti preoccupare, dunque. Andiamo avanti.”
“Cos'ha che non va?” domandò invece l'altro, preoccupato.
“Niente di particolare, puoi stare tranquillo. Semplicemente non è un medico.”
“Perché” – irruppe una voce, roca, dalla porta – “ti ostini a sabotare i miei metodi di comunicazione con i novellini?”
Il ragazzo, sollevando il busto, vide la figura del medico-non-medico avvicinarsi a lui, comparso dal nulla.
“Quindi tu non sei un medico.” fece il giovane, lentamente, quasi volesse convincersi della cosa.
“Non ufficialmente. Diciamo che aiuto.”
“Piantala con questa storia, Serge.” lo ammonì Sib, roteando gli occhi. “Poi si capisce perché i nuovi sono disorientati. Eri appostato? Origliavi?”
Serge rimase lì, in piedi, scrutando i due, senza dar risposta.
“Sì, ovviamente.” si rispose da solo Sib.
Silenzio, ancora.
“Serge, per favore” – un 'per favore' non molto educato – “puoi andartene così posso fare il mio lavoro?”
“Nessuno vieta che io stia qui” ribatté l'altro. “Così possiamo lavorare in due – sinergia, Sib. Vedrai che efficacia.”
“Certo, sinergia, infatti non ti sei nemmeno degnato di darmi il rapporto sulla storia del ragazzo.”
“Il ragazzo non ha una storia.” tagliò corto Serge.
A maggior ragione...” rincarò Sib, i denti stretti in quello che quasi pareva un ringhio.
“Stavo facendo ricerche in merito, per la cronaca. Il mio lavoro. Bastava che aspettassi il rapporto, felix.
Nella vignetta, il ragazzo si era messo maldestramente a sedere, ascoltando interessato lo scambio di battute fra i due. Pro: pareva esserci un'organizzazione, dietro a tutto questo marasma in cui si trovava. Contro: Serge non era un medico.
“Andiamo avanti, allora.” riprese Sib, con l'aria di chi più che un rospo ha ingoiato una vacca, per giunta gravida. “Facciamo questa cosa della sinergia.” Marcò l'ultima parla con palese disappunto incredulo, e si voltò verso il ragazzo. Cercò, dunque, di riprendere con metodo quanto iniziato prima: “Sei senza nome, il che è normale. Di solito estrapoliamo un nuovo nome da quello della tua storia, almeno per iniziare ad avere un riferimento – ma se quanto riferito qui da Serge è vero, sei senza storia, il che ci complica la faccenda.”
“Tutto questo caos per un nome?” domandò il ragazzo, perplesso. “E' solo un nome.”
“E' importante.” rispose Sib, calmo e quasi paterno “Se inizi dal nome hai un punto per costruire chi sei. Se è, diciamo, 'uguale ma diverso' al nome che avevi nella tua storia, ti aiuta a dissociarti da essa in modo meno traumatico.”
“Tanto, poi, nessuno si dissocia dalla sua storia” interruppe Serge. “Pippe mentali che non servono a niente.”
“Grazie, Serge, il tuo contributo è molto sinergico.”
Il ragazzo espirò, confuso, ma determinato a risolvere quanto prima la questione. Non voleva farsi bloccare da un semplice nome. Voleva andare avanti, aveva bisogno di saperne di più: e tutto lasciava intendere che ci sarebbe voluto tempo, un sacco di tempo, che non voleva perdere così scioccamente.
“Posso chiamarmi Bianco e la finiamo là?”
“Bianco?” domandò perplesso Sib. Serge, divertito, annuiva.
“Boh. La stanza è bianca, è la prima cosa che mi è venuta in mente. Magari posso chiamarmi Rugby, se Bianco non ti piace. A me non interessa.”
“Pragmatico, il ragazzo” commentò Serge.
“Senti” fece Sib, sospirando pazientemente “non puoi avere un nome così casuale. Voglio dire, alla lunga bisogna anche considerare le implicazioni sociali...”
“Sib, lascialo chiamarsi Rugby. E' fico.”
Sib sfiatò, esausto a causa della compagnia di Serge: portò lo sguardo sul ragazzo, guardandolo dritto negli occhi:
“Vuoi veramente chiamarti Rugby? Ne sei certo?”
Il ragazzo non rispose.
Adesso iniziava ad avere dei dubbi.
“Va bene” ammise infine il giovane “forse è un po' troppo frettolosa, come scelta. Tirata a caso. Ma non ho una storia, quindi non ho bisogno di slegarmi da qualcosa che non ho, no? Non è poi così importante, da quel punto di vista. Forse lo è da, quello che hai detto tuo, il punto di vista sociale. A dire il vero non so quali siano nomi 'socialmente accettabili'. Aiutatemi voi.”
Serge e Sib si guardarono, improvvisamente carichi di una responsabilità più gravosa del solito.
Di norma, l'iter che affrontavano con i nuovi era leggermente diverso: si iniziava convincendoli che no, la loro storia non era vera – compito semplificato dal fatto che lentamente i ricordi in merito si facevano sempre più vaghi. Entro qualche ora si era riusciti a spiegargli in che condizione si trovavano, e che avrebbero dovuto iniziare un percorso di reinserimento nella società piuttosto prolisso. Nella ricerca del nome erano sempre collaborativi e tranquilli – non che il ragazzo si stesse dimostrando poco collaborativo, anzi, ma per allora Serge avrebbe già dovuto dargli una rapida infarinata riguardo la loro infezione, il loro passato ed il loro futuro.
Qui, il disgraziato, continuava a brancolare nel buio: a conti fatti c'era da stupirsi che si fidasse di loro due.
Alcuni tentavano di scappare, all'inizio – più volte Sib le aveva prese (più raramente rese) da qualcuno intento a cercare un'ipotetica libertà. Libertà che non esisteva, a meno di tentare un suicidio. Da quel mondo non si scappava. Dalla realtà non si scappava.
Ma no, il ragazzo, nonostante fosse ancora all'oscuro della questione principale, era più che collaborativo.
Sin troppo collaborativo.
Forse era proprio perché non aveva una storia.
“Sai...” ammise infine Sib “In genere ci limitiamo ad anagrammare il nome della storia finché non ne esce qualcosa che agli altri suona orecchiabile e civile.”
“... ok.” fece il ragazzo, senza tradire alcuna delusione in merito: voleva davvero solo chiudere la faccenda quanto prima – era più che evidente.
“Quindi...” cercò si riprendere Sib, mentre pensava ad una strategia alternativa.
“Anagramma Rugby e Bianco, allora. Tanto fa... le lettere sono solo lettere, alla fine.”
Sib fece per sospirare profondamente, ma Serge lo interruppe prima ancora che potesse finire d'inspirare: “Bair.”
“Bair?” fece il ragazzo
“O, se vuoi complicarti la vita, Bayir.”
“Bayir.” ripetè quello, marcando la 'y' aggiunta. “Bayir. Sì. Ok.”
“Va bene?”
“Bene. Benissimo.”
“Bayir...” sembrò masticare Sib. “Ok...”
“Fatto?” domandò Bayir.
“Fatto.” fece Sib, annuendo perplesso, come fosse deluso dalla semplicità in cui si era risolta la cosa. “Adesso hai un nome.” Ma, in fondo, era solamente un problema in meno.


***



L'aria fredda dell'esterno giungeva a lei in una bava di vento, una vaghissima brezza che si infilava nella mastodontica galleria in cui camminava. Poche centinaia di metri, da percorrere su di un cemento leggermente accidentato, e si sarebbe ritrovata all'aria aperta, circondata dalla vegetazione scheletrica della tundra autunnale.
Che immensa forza, però, trasparivano quegli arbusti rachitici. Il terreno, duro, sembrava essere sterile – eppure no, v'era qualcosa, v'era di che a sufficienza da lasciar vivere quelle piante, insistenti ed ostinate.
La tundra non era affatto sterile, si ripeteva lei – e lo ben sapeva: d'estate, poi, per quei due mesi in cui la tundra viveva, era magia pura.
Sorrise leggermente nel riscoprirsi a rinnovare tal pensiero, mentre copriva gli ultimi metri che la separavano dall'esterno. La giubba che portava, lunga e squadrata, era fatta apposta per uscire all'aperto: Tessera, la città, se ne stava sotto. La gente preferiva non uscire, normalmente.
Questo faceva sì che, in quel che lei riteneva un paradosso, fosse assai più semplice organizzare gli incontri alla luce del sole.
C'era qualcosa di sbagliato, in questa dinamica. Di solito era il contrario. Era sempre stato il contrario.
Tranne che a Tessera, evidentemente.
“Tu pensi troppo.”
Sussultò, colta di sorpresa – tanto da rischiare di perdere la presa sulla sacca che portava con sé –, voltando con uno scatto il capo verso la figura che l'aveva affiancata nel suo incedere. Inspirò profondamente, cercando di calmarsi, dopo averlo riconosciuto.
“La cosa ti dà fastidio?” rispose all'uomo, con un certo astio – un po' forzato.
“Fai interferenza.” si limitò a rispondere quello, il quale, dal passo più lungo, la superò come se nulla fosse.
La ragazza si morse le labbra, infastidita dall'aver concesso così facilmente l'ultima parola all'altro. Ne osservò la schiena per qualche istante, finché non venne, finalmente, investita dalla luce del sole. Si fermò, socchiudendo gli occhi e respirando l'aria gelida dell'esterno.
“Muoviti.” parve ordinarle l'altro, la voce profonda e greve, senza nemmeno degnarsi di voltarsi.
Lei schiuse le palpebre, roteando gli occhi e riprendendo a camminare.
Due anni che lo conosceva, ed ancora lo percepiva come un estraneo più che inquietante: anzitutto perché quello si ostinava a rimanere il più freddo possibile, ed in secondo luogo per quella sua dannata caratteristica, quel suo passo inumanamente felpato ed impossibile da percepire – almeno, per lei. Lo considerava quasi un fantasma, un essere che compariva e scompariva dal nulla e le cui interazioni si limitavano al minimo indispensabile – salvo, come in questo caso, dilettarsi in qualche frecciatina gratuita.
Sospirò, riprendendo a camminare, costringendosi a non accelerare il passo per raggiungerlo.
“Hai sentito quelli dell'Unione?” fece, con un tono sufficientemente alto da farsi sentire, ma non abbastanza da far intendere di voler essere sentita. In pratica, costrinse l'altro a tendere le orecchie.
“No.” rispose quello, con un tempo di reazione sufficientemente lungo da farle capire che la tattica era riuscita.
“Dicono che ne hanno trovato uno nuovo, ma non sono riusciti a prenderlo. ”
“Sono degli idioti.” l'uomo aveva, in minima parte, decelerato. La ragazza riuscì a raggiungerlo: missione compiuta.
Non che lui lo avrebbe mai ammesso. Ma, in fondo, le informazioni gli interessavano, anche se doveva sorbirsi la ragazza come tramite.
“Sta al centro di riabilitazione.”
“Quelli dell'Unione sono dei coglioni. Sarà il quarto, questo mese. Non ne hanno tirato su nemmeno uno, in pratica, quest'anno. – se vanno avanti così, possiamo anche sospendere la collaborazione.”
“Ma bisogna considerare che...”
Quello grugnì, sbuffando. “Lascia perdere.” tagliò.
E il discorso si chiuse, senza un chiaro motivo.
Probabilmente David si era stufato di parlare, nient'altro.
La ragazza sospirò, continuando a pensare mentre camminava di fianco all'altro.
“E' noto che il servizio di 'Consulenza e Sostegno per i Caduti' dell'Unione è molto migliore di quello dell'Alleanza, le statistiche degli ultimi tre anni – ”
Lascia Perdere è troppo complicato da capire, per te?”
“No, ma, David –”
L'uomo grugnì, nuovamente, sopra al suo nome.
La ragazza lo scrutò perplessa, notando il fastidio al riguardo.
“Non eravamo d'accordo di chiamarci con il nostro vero nome?” domandò, lei per prima incapace di capire se la domanda era reale o retorica.
“Lascia Perdere.”
Quella si fermò, definitivamente inacidita: “Possibile che non si riesca a fare un discorso coerente con te?!”
David, dapprima, non rispose, continuando ad avanzare.
L'altra rimase immobile, osservandolo allontanarsi.
“Muoviti.” fece poi l'uomo.
Fu lei, questa volta, ad emettere una specie di grugno.
“Io non...”
“Servizio di Consulenza e Sostegno...” lo sentì mormorare, scettico. “Sono solo accalappiacani.”
“Ma le –“
“Muoviti!” rincarò.
E il discorso, se tal si potesse definire, terminò.



***




Sib fece per uscire dalla stanza, quando Serge lo richiamò:
“Dove stai andando?”
“A fare rapporto – almeno abbiamo un nome.”
Io devo fare rapporto prima di te.”
Tu devi fare il tuo lavoro, prima di fare rapporto.”
Bayir, ormai, aveva capito che c'era una dinamica consolidata nel rapporto tra i due. Una specie di paventato antagonismo – forzato da Serge ed ogni tanto palleggiato da Sib – il quale, se di sicuro divertiva il primo, non si poteva escludere fosse solo una seccatura per il secondo.
Bayir – ormai il ragazzo l'aveva capito – era uno a cui piaceva pensare: al momento, pensava al motivo per cui si era venuta a creare una relazione del genere.
Poi, di colpo, si rese conto che non stava prestando attenzione alle cose importanti. O almeno quelle che sapeva essere importanti: come, ad esempio, capire dove fosse di preciso e cosa stesse succedendo. Non aveva ancora capito dove si trovava, a dirla tutta: di certo c'erano solo i medici (ma non Serge), la psicologia ed il rugby. Quei due potevano essere dei rapitori, ora che ci ragionava sopra: una stanza apparentemente d'ospedale non aveva stretta necessità di esserlo.
L'idea che forse era nei guai gli soggiunse relativamente tardi.
Per l'ennesima volta, sapeva che doveva essere preoccupato. Ma non si preoccupò. E sapeva che il suo non preoccuparsi era sbagliato.
“Allora, prima che tu faccia rapporto, io faccio il mio lavoro, com'è giusto che sia, e io faccio rapporto, com'è giusto che sia.”
“E così io faccio la figura del ritardatario perché tu hai perso tempo a fare non so quali assurde ricerche, o cose del genere – No. Grazie.” Sib espirò, scuotendo il capo sotto la massa di capelli castani. “Perdonaci, Bayir.”
“Sapete” fece il ragazzo “mi domando come mai battibecchiate così tanto.”
I due lo scrutarono, atterriti dalla sua sincera curiosità – no, non ingenua, ma sincera: li osservava con gli occhi di chi scruta interessato l'agire di due macachi.
“Domanda interessante.” fece Serge, dopo un isto di silenzio. “Forse il nostro psicologo di fiducia qui presente potrebbe aiutarci. Allora, Sib?”
Sib sfiatò: “Possiamo smettere di divagare?”
“Da cosa stiamo divagando, di preciso?” chiese Bayir, con un accenno di sorriso in faccia.
“Dallo spiegarti come funziona il tutto. ”
Serge annuì, storcendo le labbra: Bayir lo scrutò perplesso, facendo poi spallucce. “Sto ascoltando.”
“Sib è un ottimo narratore.” proruppe Serge “Sarà divertente ascoltarlo. Io vado.”
Dove?” ringhiò Sib, inacidito, gli occhi sgranati per lo stress che evidentemente si doveva provare nell'essere colleghi di Serge.
L'altro non rispose, ma mosse un paio di passi verso l'uscita. Quando gli fu accanto, posò una mano sulla spalla di Sib: quello sentì tutto il suo peso premergli sul muscolo –Bayir stesso notò l'innaturalità del movimento: l'uomo si stava appoggiando a Sib per compiere il passo successivo.
“A prendere il bastone, tanto per cominciare.”
Il passo successivo, che lo divideva dalla porta, lo compì barcollando.
“Serge...”
Quello lo ignorò, girando la maniglia e infilandosi nella stretta apertura che si era creato – la gamba destra rigida. Bayir lo osservò, le palpebre quasi chiuse per la concentrazione, cercando di estrapolare qualcosa di sensato da quanto stava avvenendo.
Ma, no, aveva bisogno della favola: Sib aveva un volto fra l'iracondo ed il preoccupato – la seconda una sfumatura nuova, nella sua espressione, specie se si considerava chi era la causa di tal preoccupazione.
“Vado a fare il medico.” concluse Serge, fra il secco e l'esultante, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Bayir, che continuava la politica della silente osservazione, attese.
Dopo qualche istante Sib fece un lungo sospiro, talmente prolisso da sgonfiare del tutto i suoi probabilmente enormi polmoni. Le spalle gli si incurvarono a poco a poco, assieme al capo, che andava chinandosi.
Rimase in quella posizione, involuto, per qualche altro momento.
“Va bene...” fece, poi, parlando a sé stesso: inspirò, riacquistando in un sol respiro tutta la sua altezza e possenza, voltandosi verso Bayir. “Scusaci. Non è semplice nemmeno per noi – immagino avrai le idee parecchio confuse.”
Bayir si strinse nelle spalle, sedendo sul letto a gambe incrociate: “Più semplicemente direi che non ne ho.”

Erano stati chiamati Stelle Cadenti.
Un nome su cui Sib aveva qualcosa da ridire, sebbene il commento al riguardo fu fatto a voce molto bassa, parlando praticamente fa sé e sé.
La teoria, al momento, sosteneva che fossero stati infettati da un virus – ignote le modalità del contagio – che scombinava le loro menti procurandogli un'amnesia, per quanto se ne sapeva, irreversibile: in compenso forniva loro un set di ricordi nuovo di zecca, tendenzialmente sconclusionato ed inverosimile. Come gli aveva detto Serge, era normale trovarli in stato confusionale o svenuti, per strada, sistematicamente nudi. Come piovuti dal cielo, figli di un altro mondo, convinti di vivere in una realtà diversa – ma non troppo – dalla loro.
Un problema che per Bayir non sussisteva, dato che di realtà alternative a cui fare riferimento non ne aveva affatto. Tutte le stelle cadenti, o i caduti, erano stati qualcuno, qualcosa – spesso pure abbastanza importante, da che ne dicevano.
Bayir ascoltava, mentre nel sottofondo della sua mente continuava a ronzare uno scetticismo inascoltato: era vero? Non era vero? Poteva fidarsi? Il ragazzo zittiva – anzi, ignorava – la pseudocoscienza, assorbendo come una spugna.
Perché, si chiedeva ogni tanto, dovrei credere a Sib? Perché gli sto credendo?
Dovrei essere diffidente, andava, lentamente, ripetendosi.
Dovrei essere molto diffidente.
Ma, nonostante questi pensieri, avido di informazioni, ascoltava.
E credeva.
Cos'altro poteva fare, in fondo? Qualche certezza, fosse anche quella di non essere nessuno in un mondo di ignoti, doveva averla. Doveva assorbirla. Voleva una base.
Ascoltava.
Riservandosi la possibilità di rinnegare tutto, un giorno – ma no, non ora.

“Ora come ora ti ritrovi al Servizio di Consulenza e Sostegno per i caduti dell'Unione.” la voce di Sib era profonda e confortevole. Parlava con un tono sì serio, ma anche sconsideratamente dolce. Lo si guardava in volto, se ne scrutava la massa muscolare, e tutto lasciava intendere un enorme contraddizione. Una contraddizione confortante, in fondo: sembrava che quel molosso fosse lì, paterno, pronto a proteggerti. Non era male, come idea.
“Ah, già.” fece poi l'uomo, come se avesse dimenticato un punto fondamentale “Il mondo – che, per la cronaca, è circa sferico – ma a ben pensarci anche su questo in pochi hanno avuto da ridire – dicevo, il mondo, ora come ora, è diviso in due grandi paesi: l'Unione, il nostro e l'Alleanza. Negli ultimi decenni le cose vanno relativamente bene, a parte qualche screzio. Non sono due imperi in guerra, tanto per intendersi. Non ora.”
“Quelli dell'Alleanza come sono?” domandò il ragazzo, inclinando il capo, le mani poggiate sulle caviglie.
“Come noi. Più o meno. Devi avere pazienza, ci sono alcune cose fondamentali che devi sapere – e che si è constatato la maggior parte dei caduti non sa – e sono parecchie. Resterai al centro di riabilitazione – cioè, qui – per un po'.”
“Quanto po'?”
Sib si strinse nelle spalle. “Dipende da come reagisci. Alcuni escono in due settimane, altri in sei mesi.”
Il ragazzo parve sospirare, nascondendo una vaga rassegnazione.
“Domande?”
Bayir levò un sopracciglio, scrutando Sib: “Troppe.”
L'uomo inclinò il capo, meditabondo. “Ho ancora una ventina di minuti per te – poi devo andare. Prova.”
“Andare a fare cosa?”
“Non intendevo questo genere di domande.
“Ah. Scusa – non volevo impicciarmi.”
Sib si trattenne dal ridacchiare per l'ingenuità di Bayir: il ragazzo lo vide compiere un paio di sussulti, risate smorzate che si erano trasformate in un paio di profondi singhiozzi ed un sorriso sul volto.
“Ci sono tanti Caduti?”
“Abbastanza.”
“Quanti, nel centro?”
“Credo che avrai cinque o sei compagni 'di studi' . ”
“Non mi paiono tanti – a meno che … quanti abitanti ci sono nel mondo?”
“Una decina di miliardi.”
Bayir sapeva decisamente fare i conti – quando si rese conto di tale abilità, se ne compiaque tanto da lasciarsi scappare un gaudente sorriso.
“Considerato il tempo medio di permanenza e anche ammettendo che la gente 'cada' da un centinaio di anni, a occhio è comunque impossibile raggiungere anche solo l'un per mille della popolazione – non mi paiono tanti.”
Sib sorrise, vedendolo, entusiasticamente, prodigarsi in tentativi di statistica.
“Hai ragione, ma è abbastanza da poter creare un problema.”
Il ragazzo storse le labbra, dovendo riconoscere che l'altro aveva ragione.
Rimase in silenzio, mentre le domande gli si affollavano in mente: chi era Sib, anzi tutto? E chi era Serge? Serge lo incuriosiva di più, considerata la pantomima a cui aveva assistito.
Quello che proprio non gli interessava era chi era lui, Bayir. Quello non lo scalfiva.
Meglio così, si disse.
Ma una domanda più insistente delle altre sgomitò nella sua testa: “Ma noi non siamo veramente Caduti, direi. No? Voglio dire... la gente normale è come noi?”
“Oh, sì, certo –” Sib rispose frettolosamente, temendo il seguito.
Bayir tacque ancora un istante, e poi continuò:
“Quindi, se l'idea è che siamo affetti da amnesia, prima dovevamo essere qualcun altro – sbaglio?”
Sib sospirò. “Così pare.”
“Quindi immagino che famiglia, o amici, o conoscenti – qualcuno... noi abbiamo qualcuno, no?”
L'ultimo sospiro di Sib fece intendere quanto poderosa fosse la capienza dei suoi polmoni.
“Ecco – questo è un punto leggermente delicato.” fece poi, con il tono di chi sta camminando sulle uova. Cercava disperatamente le parole per riuscire a dare una risposta che non fosse esattamente una risposta piena – troppo lungo da spiegare, uno dei problemi principali era educarli a gestire quel particolare aspetto della loro esistenza – ma che fosse abbastanza soddisfacente da non fargli scatenare la tipica valanga di domande che affligge il Caduto in tal situazione.
“Abbi pazienza, Bayir... ti verrà spiegato.” non era una risposta molto confacente, si rese conto, man mano che andava pronunciando le parole che la componevano.
“Quindi non c'è nessuno.” concluse il ragazzo. “Com'è possibile? E' legato al virus? La gente muore? Magari tu e Serge siete vaccinati?”
Sib si alzò, rendendosi conto di non essere in grado di sostenere oltre la conversazione.
“Non è quello il punto... diciamo che – mh – diciamo che non è semplice riconoscere un Caduto.” sbuffò. “Ti prego, fai tesoro di questa piccola informazione ed abbi pazienza.”
Bayir scrutò l'uomo, resosi conto di quanto l'aveva messo in difficoltà.
E poi c'era sempre la vocina, in fondo: chissà, si ripeteva.
Chissà se è vero.
La porta si aprì – uno spiraglio da cui comparì prima un bastone, e poi la testa di Serge.
“Scusate se interrompo –” proruppe, in un tono ben lungi dall'esser di scuse “ – siete arrivati alla parte dei Caduti, sì?”
Sib assottigliò le palpebre tanto da non aver quasi più luce ad incontrar le sue pupille.
“No, gli ho esposto un trattato di fisica che spiega in modo ragionevole e incontrovertibile perché il cielo è blu durante il giorno.”
“Ah. Ah. Divertente.” Serge voltò lo sguardo verso Bayir, fissandolo. “Devo solo dire una cosa a Bayir, che dico sempre a tutti.”
“... prego.” rassegnato era un eufemismo, per Sib.
“Ricorda: a cadere ci si fa solo che male culo.”
La porta si chiuse.
Bayir decise che non valeva la pena di essere confuso già ora, altrimenti avrebbe passato la sua vita in stato confusionale. Registrò, e lasciò correre.
Sib sospirò.




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[NDA]

Buonsalve. Spero che quanti non hanno letto lo spoiler (spero che non leggiate lo spoiler =P) abbiano inquadrato qualche piggì. Vabbé, dai, uno è facile. Ad ogni modo, come promesso, la storia di ognuno verrà fuori comunque a seguire.

Enjoy.

   
 
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