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Autore: Hikari93    17/07/2012    7 recensioni
ATTENZIONE: Ho messo l'avviso "What If?" perchè non sapevo che mettere =.="
“Sasuke-kun, ti ho portato da mangiare. Un po’ di frutta ti farà bene.”
Sakura, che conosceva l’ospedale come le sue tasche, che conosceva la sua camera ancora meglio delle sue tasche, entrava senza bussare a volte, quasi se ne dimenticasse.
Erano trascorsi cinque giorni da quando Sasuke si era svegliato, e i dolori ovunque diminuivano pian piano, con le pomate di Sakura che gli rinfrescavano i tagli ancora profondi; e talvolta anche le ferite nel petto parevano meno roventi. Ma a Sasuke importava poco di ciò che sentiva. Il problema consisteva in ciò che non percepiva più, cosa a cui nessuno, come se lo stessero soggiogando, accennava mai.
“Non potrò più camminare.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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A piccoli passi

 
 










 
 

Quando all’ospedale di Konoha, svegliatosi, vide il volto sorridente di Sakura con tanto di lacrime agli occhi, percependone i capelli sul collo sudato, che lo solleticavano, sentì il chiassoso ciarlare di Naruto che si complimentava per il pisolino di una settimana che si era fatto, in barba a tutti quanti com’era suo solito, e percepì i sospiri di sollievo di Kakashi e Tsunade, Sasuke non si mostrò pieno di altro che non fosse il suo vuoto totale, la sua mancanza di ogni cosa che fosse naturalmente indispensabile per un individuo.
Tentò di mettersi almeno seduto, rifiutò con malagrazia l’aiuto di Sakura, scostandone la mano con uno schiaffo deciso, incassò in silenzio gli insulti infantili e sempre uguali – perché ancora li ricordava, ancora ricordava tutto ciò che aveva combinato col Team 7, il suo team – del dobe e si beccò la ramanzina di Tsunade e la predica silenziosa di Kakashi.
“Non sforzarti, Sasuke-kun. Sei ancora debole.” La solita Sakura.
“Lascialo perdere, Sakura-chan. Lo sai che ha la testa più dura del marmo.”
E Sasuke ce l’aveva davvero; neanche quando si accorse – non era stupido, lui, ma solo intontito, e non aveva bisogno di stupide protezioni che gli attutissero il dolore per qualcosa che gravava sulla sua salute – che non riusciva a muovere le gambe, che nemmeno le sentiva… neanche allora afferrò quella mano fatta di raccomandazioni che Sakura le porgeva. E nemmeno si aggrappò a Naruto, che lo avrebbe portato in spalla pure per il resto della sua vita, pur di poterlo riavere lì, con sé, dov’era in quel momento.
Semplicemente, Sasuke non insistette, crogiolandosi nell’idea che potesse essere la stanchezza – ma lui non era stupido, tantomeno si illudeva; lo aveva fatto per troppo, bastava così. E si accasciò contro il cuscino, sprofondando in quella morbidezza eccessiva che lo soffocava.
“Come stai, Sasuke-kun? Non hai detto una parola” obiettò Sakura, vanamente – e lei lo sapeva che il suo sarebbe stato un tentativo inutile, lei lo conosceva bene, Sasuke. Attraverso le notizie che gli altri – quelli che avevano visto in Sasuke sempre il male, mai nulla di buono, nemmeno quella piccola scintilla che si affievoliva sempre più – avevano diffuso, Sakura aveva imparato a conoscerlo a distanza, distinguendo tra il vero – Sasuke, Sasuke-kun… – e il falso – un criminale? No, Sasuke-kun non era solo un criminale.
“Teme, sei diventato muto? Non è che sarebbe poi una cattiva idea, se ci pensiamo, per-“
“Taci dobe” sbottò lui, in un gesto nostalgico che sapeva di passato, di stantio.
“Taci dobe” ripeté Naruto, pensoso, “non male come prima parola. Sei in forma, teme!” E gli assestò una pacca violenta – quella dei grandi shinobi – sulla spalla.
“Naruto!” intervenne subito Sakura, scattando. Gli tirò un orecchio, ripetendo che certe cose in ospedale non andavano fatte, soprattutto con pazienti appena ripresosi. E una, due… Naruto contò ben cinque tirate d’orecchio realizzate a opera d’arte. “E ora fuori, coraggio, è meglio se Sasuke-kun riposi” aggiunse la stessa, diligente, calata perfettamente nei panni della bravissima dottoressa che era diventata. Dottoressa che, però, in quei giorni, aveva avuto un occhio di riguardo per Sasuke, sempre e comunque. Anzi, non aveva avuto occhio che per lui.
Sasuke li guardò allontanarsi, aumentare la distanza tra lui e loro, e quando finalmente la porta si chiuse alle spalle di Kakashi, si sentì nuovamente se stesso, solo con la sua solitudine.
Aveva capito che lui non era fatto per la compagnia; non la amava e – sosteneva – non ne aveva il minimo bisogno. La sua testa era già occupata, piena del disprezzo verso ogni singolo abitante di Konoha – tutti? Proprio tutti, Sasuke? – che, nonostante avesse accantonato la vendetta, ancora non riusciva a considerare innocente. Piena delle urla della gente del suo Clan, piena dei fantasmi del passato che facevano più paura di quei vivi che ancora – sapeva anche questo, lo intuiva – volevano la sua testa come punizione per tutto quello che aveva fatto, nonostante l’aiuto risolutivo nella guerra, a favore dell’Alleanza Shinobi, che lo aveva condotto in quel letto d’ospedale odorante di carne malata – come la sua.
Tentando un’impossibile fuga da sé, Sasuke concentrò la sua attenzione verso le gambe. Semplicemente non le sentì, e se non le avesse viste con i suoi occhi avrebbe creduto che gliele avessero amputate entrambe. Sicuramente Sasuke non aveva dimostrato nella sua, piuf, vita la stessa voglia di proseguire e di andare avanti che aveva caratterizzato ogni respiro di Naruto, né la voglia di migliorare di Sakura. Lui aveva sempre rincorso la morte – la vendetta contro Itachi, ancora la vendetta, stavolta contro un intero villaggio. Non aveva mai dimostrato nulla, apertamente. Sasuke non aveva mai dimostrato agli altri di nutrire il forte desiderio che il cuore si facesse sentire, che cominciasse a battere di nuovo e lo risollevasse dalla condizione di nulla in cui si trovava.
Perché erano passati quasi dieci anni, ed era da quasi dieci anni che il cuore di Sasuke emetteva solamente fitte di dolore, senza mai farsi sentire vivo.
Si era visto arrancare, aggrapparsi agli specchi e scappare e continuare a scappare, in modo da tenersi aggrappato alla vita.
E così come aveva sempre fatto credere che non gli importasse della sua sorte e che non gli dispiacesse rimanere ancora un po’ in bilico tra la morte e il niente, adesso Sasuke non si mostrava sconcertato davanti alla consapevolezza di non poter camminare. Si sentiva troppo rassegnato e stanco in quel momento per credere che fosse una condizione momentanea.
Semplicemente lo accettò; la sua carne lo accettò, eppure d’impulso si avvinghiò al lembo delle lenzuola; d’impulso strinse i denti, assottigliò gli occhi, urlò dentro di sé. D’impulso pensò a quanto, per uno fiero come lui, sarebbe costato dipendere da altro e da altri.
Cercò di consolarsi: in fondo, dove mai sarebbe dovuto andare? Il suo traguardo, quello che si trovava nelle tenebre, quello che lo aveva portato alla disfatta totale era stato raggiunto. Marcire in quel letto o scorrazzare felice per le vie dell’odiata Konoha non avrebbe fatto alcuna differenza.
Eppure… correre tanto cercando di seminare le tenebre e fuggire dalle ombre del suo passato per ritrovarsi bloccato in un letto, legato a qualcosa – lui, lui che non voleva legami – gli sembrava terribilmente… ingiusto. Sbagliato.
L’ennesimo della sua vita, il primo che non fosse dipeso da lui.
O forse no.
 
 
 
*
 
 
 
“Sasuke-kun, ti ho portato da mangiare. Un po’ di frutta ti farà bene.”
Sakura, che conosceva l’ospedale come le sue tasche, che conosceva la sua camera ancora meglio delle sue tasche, entrava senza bussare a volte, quasi se ne dimenticasse.
Erano trascorsi cinque giorni da quando Sasuke si era svegliato, e i dolori ovunque diminuivano pian piano, con le pomate di Sakura che gli rinfrescavano i tagli ancora profondi; e talvolta anche le ferite nel petto parevano meno roventi. Ma a Sasuke importava poco di ciò che sentiva. Il problema consisteva in ciò che non percepiva più, cosa a cui nessuno, come se lo stessero soggiogando, accennava mai.
“Non potrò più camminare.”
Sakura si lasciò cadere la mela dalle mani, una fetta precipitò al suolo con la stessa intensità cui la vera verità – non quella che si era costruito lui – si sfracellò sulle spalle di Sasuke – perché in fondo si era raccomandato, ma non aveva imparato veramente la lezione: si era illuso di nuovo, aveva pensato… remoto, un angolo lontano, aveva creduto possibile che la sua fosse soltanto una stupida fissa.
Idiota.
Aveva creduto di poter camminare, di poter essere indipendente.
Il viso tirato di Sakura, la sua reazione, i suoi occhi, tutto… a momenti pure la posizione statuaria drammatica che aveva assunto glielo confermavano, schiaffandogli in faccia qualcosa che non avrebbe voluto sapere.
“Mi dispiace, Sasuke-kun, io non…” blaterò, “non sono stata capace di… aiutarti. Nemmeno stavolta, Sasuke-kun.”
Singhiozzava Sakura, e forte. Le spalle si scuotevano tutte, la voce nemmeno le usciva. Soltanto dei deboli scusa mozzati si facevano strada  verso l’orecchio di un attento ascoltatore.
Di lei, Sasuke ricordava perfettamente le lacrime.
Specialmente quelle che erano state versate per lui.
Non le disse di non preoccuparsi, non le disse che andava tutto bene, e nemmeno la discolpò né la incolpò. La lasciò fare, le permise di sfogarsi davanti a lui che, silenzioso, non commentava il dolore e la delusione altrui.
Aveva il suo dolore e la sua delusione su cui rimuginare, tutto il resto era inutile, era un peso.
“Migliorerai, Sasuke-kun, questo puoi farlo” gli disse lei, in un magro tentativo di consolarlo e consolarsi, di tirarsi su di morale. Di dirsi che non era colpa sua.
Sarebbe migliorato, Sasuke, tuttavia la sua sarebbe stata pur sempre una situazione di non ritorno. Era come essere il migliore tra i peggiori, ovvero pur sempre un perdente.
 
 
 
*
 
 
 
“Ti fa male se la muovo così?”
“Se tocco questo punto senti qualcosa?”
“Ce la fai ad alzare la gamba da solo, Sasuke-kun?”
L’odore dell’ospedale era diventato una puzza insostenibile. Nell’aria si sentiva ancora la Quarta Grande Guerra Ninja, sebbene la sua fine fosse giunta già da un po’. Qualcuno era nella sua situazione, qualcuno stava peggio, qualcun altro era proprio passato a miglior vita.
E frattanto che i secondi scorrevano lenti e che quell’odore insistente diventasse l’unico che Sasuke percepisse e potesse mai sperare di ricordare in futuro – lui, lui che viveva un dimensione atemporale poteva parlare di futuro? Lo voleva? –, Sakura si recava da lui ogni giorno a qualunque ora e gli ripeteva quelle stesse domande.
“Ti fa male se la muovo così?”
“No, non la sento” rispondeva secco.
E quando anche Naruto decideva – si impuntava, lo chiedeva per favore – di seguire quella terapia, tifando per lui con enfasi, come se stesse assistendo a una lotta per mangiatori di ramen, il suono della lacrime di Sakura che si lanciavano sul pavimento all’udire di quella risposta veniva coperto dal ridacchiare allegro del dobe.
“Non fa nulla, sarà per domani” li rincuorava il dobe allora, sperando anche per loro che non riuscivano più a farlo.
E Sasuke, nella sua testa, pensò che il domani di Naruto fosse lo stesso domani di Itachi, quello che ancora stava aspettando, ma che non sarebbe mai arrivato.
Perdonami, Sasuke, sarà per la prossima volta.
 
 
 
*
 
 
 
Uno, due, tre, quattro, cinque…
Persino contare fino a cinque diventava difficile lì dentro. Arrivare al numero cinque, dover passare per l’uno, il due, il tre e il quattro… quello era complicato. Era tutto fermo là dentro, non esistevano nemmeno l’uno, il due, il tre, il quattro e il cinque.
“Teme! Come stai oggi?”
Solita atteggiamento irruente – se Naruto avesse continuato ad aprire la porta in quel modo, con quella forza, prima o poi quella sarebbe volata via –, solita domanda di circostanza, solito sorriso di circostanza. Lo stesso Naruto.
Di cui Sasuke non riusciva più a fare… a meno.
Ritornava il tempo, quel puzzo di morte spariva un po’, si diradava un po’. La gamba… anche quella si sentiva di più.
“Teme! Teme, teme, sei diventato pure sordo, adesso?”
“Se la smettessi di urlarmi nell’orecchio, chissà… altrimenti potrei benedire anche il mio udito, dobe.”
La quotidianità, quella stessa che Sasuke pensava che non gli appartenesse più. Naruto – e anche Sakura – gliela stavano portando, gliela avevano inculcata a forza, come si fa come le medicine ai bambini piccoli. E la loro era stata una medicina rifiutata per molto tempo, ma che adesso stava sortendo degli effetti davvero benefici sul suo corpo.
Però Sasuke era Sasuke. Non lo avrebbe mai detto, conscio che Naruto e Sakura se ne erano già resi conto.
 
 
 
*
 
 
 
“Ti fa male se la tocco qui?”
“Sì, mi fa male.”
Sakura sgranò gli occhi, non ci credeva nemmeno lei. Non aveva smesso un secondo di pensare a – come curare – Sasuke, a come dovesse diventare per rendersi utile a Sasuke, a come dovesse essere per piacere a Sasuke.
C’era riuscita: il più grande successo della sua vita.
Gli strinse di nuovo il polpaccio, gli tastò il ginocchio. Fece scorrere le dita sulla sua caviglia, sorridendo e piangendo insieme.
“Le senti?”
Le senti le prime lacrime di gioia che mi fai versare dopo tanto tempo? Le senti sulla tua belle, senti il loro infrangersi contro le tue gambe?
Sasuke sentiva.
E piano si accorgeva che anche il cuore gli si risvegliava assieme ai muscoli delle gambe, e il merito era sempre di Sakura – e Naruto.
 
 
 
*
 
 
 
“Alza la gamba, ci riesci?”
Sakura diveniva sempre più speranzosa giorno dopo giorno, sempre più luminosa. Anche se i risultati, alla vigilia del sesto giorno in cui Sasuke le aveva sentite, erano quasi nulli, Sakura non perdeva le speranze. Mai.
Erano in due a sperare, non soltanto Naruto, non più.
“Dai teme, alza quella gamba! Poi… vediamo… Sakura-chan ti darà un bac-“
“Sta’ zitto, baka!” scattò furiosa lei, rimproverando Naruto in modo poco consono a una dottoressa come lei e facendosi sentire, a momenti, persino da Tsunade che si trovava lontana da lì.
Sakura era rossa in volto, e Naruto anche: il pugno violento che l’aveva scaraventato a terra avrebbe marcato la sua guancia, pareva, per mezza eternità.
“Ok” biascicò Naruto, con quel po’ di forze che gli rimanevano, “andremo da Teuchi, semplicemente. E’ da parecchio che non mangi il ramen di Teuchi, vero Sasuke-kun?”
“E’ da parecchio…” confermò in un sussurro appena appena udibile.
Da parecchio che non mangio in compagnia.
“E quindi muoviti a piazzare quella gamba per terra e a camminare, teme.”
Sasuke accennò a un ghigno invisibile a occhio inesperto, portando a galla, con esso, l’antica e sempre nuova rivalità tra lui e Naruto. Era una sfida quella, e lui non l’avrebbe perduta. Non si poteva perdere contro il dobe, a un Uchihaa lui – non era permesso: avrebbe ricominciato a camminare.
“Naruto, adesso basta, su” lo rimbeccò Sakura, bonaria, ancora una volta, “Sasuke-kun sarà stanco e vorrà giustamente riposarsi.” Poi rivolse l’attenzione al suo paziente: “Continuiamo domani, Sasuke-kun?”
Lui non rispose.
Se così voleva Sakura, avrebbero continuato l’indomani, se lo riteneva necessario; del resto era lei l’esperta della situazione. Tuttavia, Sasuke non era certo riconosciuto per il suo carattere mite e accondiscendente, per cui non escludeva la possibilità di potersi esercitare da solo, di fare di testa sua come aveva sempre fatto. Tanto gli bastava sollevare una gamba, niente di più semplice.
“Ah, Sasuke-kun, non pensarci proprio” lo anticipò Sakura, allegra, “è meglio se riposi, non ti affaticare inutilmente. Ci riusciremo… a piccoli passi. Insieme, se vorrai.”
“Va bene, lo terrò a mente.”
E Sakura non riuscì a fare a meno di chiedersi se quella frase fosse riferita allo sforzo che Sasuke non avrebbe dovuto compiere, oppure alla consapevolezza che non fosse da solo, che lei c’era, c’era stata e sempre e sempre ci sarebbe stata per lui.
Come quei muri che non si abbattevano neanche a sfracellarglisi contro.
“E poi c’è una sorpresa per te, domani” aggiunse, prima di salutarlo con un’occhiata intensa e indagatrice – per constatare di avere o meno stimolato la sua curiosità – e con un a malapena accennato buonanotte.
 
 
 
*
 
 
 
“Accipicchia Sasuke e come ti sei ridotto!”
Naruto guardava con discreto interesse – e con una punta sottilissima di evidente gelosia – la figura bizzarra che aveva detto di chiamarsi Suigetsu Hozuki. Si concedeva una confidenza tale con Sasuke, un tono colloquiale che lui, ai tempi, si era dovuto conquistare con la forza. Sembrava legato a Sasuke, per questo Sakura-chan aveva pensato che fosse meglio, che fosse motivante per il loro migliore amico farglielo incontrare.
C’era anche un’altra figura dall’apparenza innocente e tranquilla al fianco di quel particolare Suigetsu. Era alto, dai capelli arancioni. Sakura-chan l’aveva chiamato Jugo.
Non parlava molto, si limitava a scrutare Sasuke con preoccupazione e ad ascoltarne le parole che, forzatamente, la chiacchiera di Suigetsu faceva venir fuori.
Tutte domande di circostanza, con qualche riferimento ad avvenimenti del passato – tra di loro, per il Team Taka – che Naruto non poteva conoscere. E lo escludeva conseguenzialmente.
“Né, Sakura-chan” borbottò come un bambino piagnucoloso, le mani dietro la testa e il petto in avanti, “il teme non dovrebbe continuare con la terapia?”
Quando lo sentì, Suigetsu si permise di sorridere ampiamente, mostrando la dentatura aguzza.
“E così è questo Naruto Uzumaki” osservò divertito, mantenendo fisso il suo sguardo su Sasuke, “nonché il detentore del titolo onorifico di migliore amico di Sasuke. Di cui, mi pare, sia particolarmente geloso.”
E mentre Suigetsu rideva di gusto, Naruto si infiammava e diventava rosso, cercando di smentire quelle che definiva accuse infondate e sciocche, Sakura si colpiva il volto con una manata sconsolata, e Jugo rimaneva semplicemente indifferente al tutto, Sasuke capì che aveva voglia di tutto tranne che di una litigata tra Naruto e Suigetsu per stabilire chi fosse degno di essere il suo legame più forte.
“Smettetela entrambi” ordinò allora, perentorio. “E adesso ho da fare, grazie della visita” aggiunse rapidamente, facendo capire a Sakura, con lo sguardo, che voleva continuare la sua terapia, e che voleva farlo per bene, senza scocciatori che lo distraessero. E ordinò anche a Naruto di sparire, quando questi simulò una linguaccia poco carina verso Suigetsu per essere stato sgridato e cacciato fuori. Gli toccò lo stesso destino.
Alla fine il silenzio tornò a disperdersi per la stanza fino a sbattere contro le mura, e soltanto Sakura rimase nella stanza con lui.
Cominciarono gli esercizi senza perdere tempo prezioso.
A ogni millimetro in più che la gamba si sollevava dal letto, Sakura esultava.
“Ancora, Sasuke-kun. Provaci ancora” lo esortava entusiasta.
Gli leggeva negli occhi l’immane stanchezza per quel gesto che poteva sembrare semplice, ma allo stesso tempo diveniva forte in lui un nuovo sentimento, quello che Sakura non aveva scorto all’inizio di quella faccenda: la determinazione.
Non ebbe dubbi: Sasuke ce l’avrebbe fatta.
“Sakura.”
Soltanto la sua voce ebbe l’effetto di catapultarla in una dimensione tutta diversa. Si sentì il cuore turbato, desideroso di ricevere un qualcosa. Ma non come ricompensa per quello che stava facendo… lei cercava… voleva…
Oh Sasuke-kun.
“Sakura…”
Sakura si scoprì felice del tono riconoscente di Sasuke.
Sasuke si stava sforzando per ricordare il passato, loro due stavano compiendo un duplice percorso. Sasuke non aveva solo il bisogno di costruirsi quel futuro che lei e Naruto si ostentavano a proporgli senza risultati, ma doveva recuperare le basi per quella costruzione proprio nel passato.
Le fondamenta, quello che loro erano stati.
E quel grazie non detto era il primo passo, e poco importava che Sasuke le fosse grata per via di Suigetsu, che gli aveva fatto rincontrare, o per le sue conoscenze mediche che gli avrebbero permesso di camminare.
Grazie a te, Sasuke-kun.
 
 
 
*
 
 
 
Non avrebbe dovuto permettersi.
Non avrebbe dovuto osare.
Sasuke non era di sua proprietà, probabilmente se la considerava un’amica era già molto.
Sakura non avrebbe dovuto lasciarsi ingannare dalle grida dei suoi vecchi sentimenti – ma sempre presenti, sempre, e sempre nella stessa intensità della prima volta, del primo sussulto del cuore. Avrebbe dovuto ordinare loro di tacere, perché quella era la cosa giusta da fare. Non poteva incendiare un legame che si stava ricucendo a fatica.
Eppure si era permessa di avvicinarselo più del dovuto, di approfittare della sua attenzione smisurata verso la gamba e verso il sollevamento di essa di qualche centimetro in più rispetto al giorno prima, e gli aveva sfiorato velocemente le labbra.
Sasuke non aveva reagito, né aveva evitato quel contatto.
Sakura non si aspettava che le lebbra tanto agognate di Sasuke potessero essere tanto buone e così calde. Non fredde e morte come si era aspettate. Ma calde e vive.
 
 
 
*
 
 
 
Sakura non sapeva come comportarsi adesso.
Avrebbe dovuto scusarsi? Avrebbe dovuto parlarne? O semplicemente tacerne?
Per lui sembrava non essere cambiato nulla, i suoi lineamenti non tradivano mai alcuna emozione, e se lo facevano era lo stesso Sasuke a permetterlo, a voler essere capito.
Sakura non gli rivolgeva che semplici frasi di circostanza – Come stai, Sasuke-kun? Ti fa male la gamba, Sasuke-kun? Posso fare qualcosa per te, Sasuke-kun? Sasuke-kun…? – e Sasuke le rispondeva sempre a monosillabi.
Un botta e risposta che chiudeva sempre la conversazione. Non come Naruto, con lui era diverso. Naruto era più aperto, riusciva a estrarre qualche minima sensazione ed emozione da Sasuke. Naruto parlava, esultava, rideva anche per lui e davanti a lui.
Sakura invece non ne pareva più capace; parlava, esultava e rideva anche per Sasuke, ma dentro di lei.
L’era sempre più difficili rapportarsi con Sasuke, col dubbio di quel bacio nella testa.
 
 
 
*
 
 
 
“Sasuke-kun, ho una bella notizia!”
Si fermò ai piedi del letto per riprendere il fiato. Qualunque dubbio l’avesse sempre bloccata in quei giorni, adesso era svanito. Osservò con i suoi occhi lucidi e allegri il volto costantemente inespressivo di Sasuke.
“Puoi uscire! Tsunade-Sama ha detto che puoi uscire!”
Sembrava più contenta lei di lui.
Sasuke semplicemente chiuse per un secondo gli occhi, a sguardo basso, sotto l’osservazione di una Sakura dubbiosa – non sei felice, Sasuke-kun? –, poi spostò di un poco il lembo del lenzuolo, in un gesto spontaneo e inaspettato.
“Passami le stampelle” le ordinò pacato, e lei obbedì.
Da alcuni giorni a Sasuke era stato permesso l’utilizzo delle stampelle. Se la cavava bene, anche se sulle prime muovere anche soltanto due passi gli risultava difficile – Sakura non avrebbe mai dimenticato quando, d’istinto, aveva afferrato Sasuke che aveva rischiato di cadere e se l’era appoggiato a lei.
“Sasuke-kun… non credo tu possa uscire immediatamente però… forse è meglio se aspetti almeno fino a stasera, fino a quando non ti controllerà Tsunade-Sama…” gli sussurrò rauca, mentre lui già si allontanava. Come si era aspettata: Sasuke non era un tipo paziente.
In risposta soltanto il rumore delle stampelle che si appoggiavano a terra.
“Vuoi… vuoi almeno che ti accompagni?” provò ancora, “fuori non sarà semplice camminare come l-“
“Va bene così.”
Sakura strinse i pugni, tesa. No che non andava bene. Lì fuori c’erano ancora troppe persone che ignoravano la verità su Itachi – e quindi le motivazioni per cui Sasuke si era unito all’Akatsuki – e che quindi ancora lo ritenevano un nukenin – sebbene il suo aiuto in guerra, alla fine, fosse stato fondamentale. Quelli avrebbero potuto… ucciderlo. E lei non voleva perderlo, non di nuovo.
Colmò quei pochi passi che la separavano da lui.
“Vuoi che chieda a Naruto?”
Nessuna risposta, solo altri passi lievemente accennati.
“Non hai chakra, Sasuke, non potresti difenderti!” obbiettò ancora Sakura, davanti alle sue mute proteste e ai suoi non detti lasciami in pace.
Il processo contro Sasuke non era stato ancora ultimato, quindi la sua innocenza o colpevolezza – a seconda dei punti di vista – non era stata ancora chiarita. Ma come prima misura di sicurezza, gli era stato proibito l’utilizzo del chakra, e Sasuke lo sapeva proprio come lo sapeva Sakura.
“Potrebbero ucciderti…” mugolò ancora.
Ancora e ancora.
“Non ho bisogno di nessuno, Sakura” brontolò lui, stufo, “e ora smettila.”
Smettila, smettila… ordini su ordini.
Come ai vecchi tempi.
Ma la situazione era cambiata, lei era cambiata; non glielo avrebbe permesso.
“Fa nulla” gli concesse allora.
Sasuke continuò a camminare piano, cercando via via di aumentare la sua velocità, di migliorarsi, accorgendosi di Sakura che lo seguiva senza l’intenzione di nascondersi più del dovuto.
Non avrebbe ascoltato Sasuke-kun quella volta, ma solo se stessa.
“Finiscila di starmi dietro” si fece sentire dopo un po’, quando ormai erano già all’aperto.
Stavolta fu lei a non rispondere. Semplicemente, non si fermò, sperando di difendere Sasuke dalle occhiatacce degli altri con la sola sua presenza, finché non avessero raggiunto – come Sakura suppose – il quartiere Uchiha.
 
 
 
*
 
 
 
Quando Sasuke consentiva a Naruto e Sakura, che andavano a trovarlo, di entrare in casa sua, non voleva che facessero nulla per intaccare la sua indipendenza.
Se voleva un bicchiere d’acqua – o se Naruto lagnava perché aveva sete – era Sasuke ad alzarsi, a sforzarsi e a prendere il bicchiere e a riempirlo.
Così, col tempo, i due avevano imparato a non contestare neanche quelle sue scelte cocciute che di certo non avrebbero giovato alle sue gambe che avevano comunque bisogno di riposo. Soltanto, Sakura spalancava un po’ in più gli occhi e allargava di poco le braccia, pronta a scattare se mai Sasuke avesse mostrato segni di cedimento; e Naruto fischiettava tranquillo, le braccia forti dietro la testa, braccia che lo avrebbero acciuffato se necessario.
Sasuke non era più da solo, adesso.
 
 
 
*
 
 
 
Col tempo Sasuke aveva preso dimestichezza con le stampelle, quasi fossero le sue vere e uniche gambe.
Col tempo Sakura aveva cominciato a domandarsi perché mai Sasuke non riuscisse a farne più a meno, e aveva studiato, aveva capito.
Aveva capito che Sasuke non avrebbe più potuto camminare da solo.
“Sasuke-kun…” incominciò una volta lei, convintasi dopo un po’ che fosse inutile concedere la verità solamente a se stessa. Perché Sasuke si sarebbe arrabbiato se l’avesse saputo poi, e perché, in fondo, aveva tutto il diritto di esserne a conoscenza.
“Lo so.”
Sakura era stupita di essere ancora un libro così aperto per Sasuke. Eppure… era stata accorta a non farsi sfuggire nulla, si era controllata. L’aveva fatto nella speranza che, poi, Sasuke potesse… riuscisse…
Lui gli mostrava le spalle, e questo ferì ancora di più Sakura.
Si sentiva in colpa. Era lei il medico, lei avrebbe dovuto guarirlo. Avrebbe dovuto imparare a farlo.
“Mi dispiace…” gli sussurrò.
Inutile.
Dopo tutto quel tempo ancora non era riuscita a fare nulla, ancora… ancora era la più inutile, ancora non riusciva a farsi valere e a mostrare quello che aveva imparato. Ancora non poteva servirgli.
“Scusami, Sasuke-kun…”
Sakura alzò di scatto la testa quando sentì il tonfo delle stampelle che cadevano a terra. Subito accorse verso Sasuke, seduto.
“Sasuke-kun, che cos-“
“Non scusarti” le ordinò, categorico.
Sulle prime Sakura non capì cosa intendesse. Non ebbe nemmeno il tempo di soffermarsi troppo su quelle parole, perché tutta se stessa era preoccupata per Sasuke e per quello che voleva fare.
Sasuke si aggrappò al bordo del tavolo e tentò di alzarsi, di vincere qualcosa di imbattibile come la malattia.
D’altronde, da sempre lottava per qualcosa di lontano e complicato.
“Sasuke-kun, st-“
“Se ti scusi, significa che ho già perso. Che abbiamo… già perso.” Non trapelava alcuna emozione dalla sua voce, ma Sakura lo capì.
Abbiamo.
Capì che Sasuke l’aveva accettata, l’aveva inclusa e voluta nella sua vita.
Sakura non se la sentiva di spezzare quelle che si dimostravano come forti speranze spiegandogli che le possibilità che tornasse a essere indipendente – che potesse essere di nuovo uno shinobi – erano davvero poche. Però… lei lo avrebbe appoggiato, come aveva sempre fatto.
E anche in quel momento lo sorresse e lo appoggiò, quando lui rischiò di cadere giù, colto dalla debolezze delle sue gambe.
“Ti aiuto… se vuoi.”
Sasuke non si oppose, anche se non si mostrò troppo entusiasta di dover ricevere un aiuto. Tuttavia allungò un piede nel vuoto davanti a sé, cercò di poggiarlo a terra.
Non si trattava di dipendere da Sakura, quanto di… condividere quella sua situazione.
Una stampella, un semplice oggetto di legno non avrebbe potuto fare come Sakura. Non c’erano emozioni in lui, la gioia di un passo compiuto da solo non poteva essere sentita.
Perché anche un piccolo passo, col tempo, sarebbe stata una grande conquista.
 
 
 
 
*
 
 
 
“Non trattarmi come un bambino, Sakura.”
“Eh?”
Sakura era sbalordita.
Beh… forse era vero che l’impressione che davano in quel momento era proprio la stessa di una madre col suo bambino, visto che Sakura lo attendeva dall’altra parte della stanza con le braccia protese in avanti, ma…
“Non c’è nessuno a guardarci, Sasuke-kun”
Lui sbuffò come faceva in passato, in quel modo infantile e buffo su cui Sakura, da ragazzina, troppo presa a vedere quanto fosse semplicemente bellissimo Sasuke, non si era mai soffermata più del dovuto.
“Non c’entra…”
“Dai, cammina, piuttosto!” lo esortò lei, divertita dalla muta protesta di un Sasuke che pareva non voler avanzare nemmeno un altro mezzo passo. “Dai! Un due, un due, un due…”
“Tsk.”
Borbottava e si lamentava più di un ottantenne, però riprese il loro esercizio.
Erano passati mesi, e qualche piccolo miglioramento c’era stato. Certo, la strada era ancora lunga da percorrere, gli ostacoli sarebbero stati tanti, e forse un vero risultato soddisfacente non ci sarebbe mai stato, alla fine. Forse Sasuke non sarebbe stato più capace di essere un ninja.
“Ecco, bravo Sasuke-kun.”
E per un tipo attivo come Sasuke non era la prospettiva ideale, quella. Non era il futuro desiderato; tuttavia, non c’era stato quasi nulla nella sua vita di quanto aveva sperato e ipotizzato da bambino. Meglio allora concentrarsi solamente sul presente e non su quello chesarebbe potuto succedere.
“Ci sei quasi, forza! Afferra le mie mani, ecco…”
Le prese, le strinse in modo diverso. A Sakura sembrava che lui la stesse guardando anche in un modo diverso.
“Sakura…”
“Ehilà, teme!”
Si girarono entrambi verso la porta quando sentirono la voce di Naruto, che invece di bussare aveva ideato un modo tutto suo per farsi accogliere in casa.
“Teme? Teme, ma non mi senti? Sakura-chan?”
“Non vuoi andare ad aprirgli?” ridacchiò Sakura sottovoce, anche se, a dispetto delle apparenze, era curiosa di sapere cosa avesse voluto dirgli Sasuke, prima.
Cosa, Sasuke-kun?
Era raro che fosse lui a prendere parola per primo.
“Se è proprio necessario” borbottò, girandosi di lato e afferrando le stampelle che Sakura gli aveva allungato. “Arrivo, dobe!”
Sakura sorrise di cuore. Per quanto le ferite degli anni passati lontano da Sasuke fossero ancora vive, era in qualche modo bello poter trascorrere di nuovo quei momenti di sana quotidiana serenità. Normalità.
“Ah, Sakura.”
Drizzò le orecchie, tesa, emozionata.
Sasuke-kun…
“Grazie.”
Sasuke non l’aveva degnata di uno sguardo quando glielo aveva detto, proprio com’era successo in passato. Un po’ scioccamente, Sakura pensò che non fosse esattamente quello ciò che Sasuke avrebbe voluto dirle. Ma chi poteva saperlo, forse era un’illusa e si sbagliava.
Forse.
“Teme! Prima o poi mi lascerai fuori, eh?”
“Evita di venire, allora.”
Sì, forse si stava illudendo ancora una volta, però, chi poteva saperlo. A piccoli passi stavano risolvendo la situazione di Sasuke, stavano cercando di renderla più gradevole.
La stavano condividendo.
E, forse, sempre a piccoli passi, lei avrebbe scoperto la verità, avrebbe ascoltato e accolto le vere parole di Sasuke, capito cosa lui intendesse.
Piano, a piccoli passi.

 
 
















 
Salve! *^*
Sono 5000 parole spaccate! ^-------^
Spero che vi sia piaciuta com’è piaciuta a me scriverla! *^*
Il finale non è negativo, nonostante tutto, come avrete capito. E’ una SasuSaku, anche se potete interpretare il grazie di Sasuke come un semplice e vero grazie.
Spero di non essere stata troppo OOC e di non aver ucciso l’italiano! XD
Grazie per aver letto! Per informazioni o chiarimenti, contattatemi pure! UwU

 
   
 
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