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Autore: Nodosenoatriale    17/07/2012    6 recensioni
Erano ormai due anni che Louis pedalava lasciandosi trasportare fino al cimitero, dove ogni marted́ aveva appuntamento con Harry.
Genere: Angst, Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Martedì. Sappiate che questa storia non ha senso, l’ho scritta solo perché non volevo rendere malinconico il capitolo di BRAINSPIN.
Non so se merita la pubblicazione ma El dice di sì e, siccome sostiene di essersi innamorata di questo Louis, gliela dedico. ♥
Potete odiare questa cosa, ve lo concedo, perché l’ho concepita (e per metà scritta) da ubriaca mentre vagavo in bicicletta.
So, enjoy it.


Martedì


Louis Tomlinson era sulla bocca di tutti da un anno a questa parte.
Il suo nome fluiva dalle labbra dei curiosi, scorrendo tra la folla, nei corridoi della Hatfield, infrangendosi contro gli armadietti di latta.
Ogni secondo giorno della settimana, a scuola finita, rotolava giù dalla scale in modo rumoroso, nel vano tentativo di zittire le voci.
Chiavi del garage tra le dita eleganti, graffiate dal manubrio di quella bici rubata, che inforcava ogni martedì come da rituale.
I buchi delle scarpe di tela sui pedali, scivolava in strada sbandando verso la periferia, invadendo le altre corsie, come per provare a se stesso di come fosse ancora in grado di infrangere le regole, nonostante quello che era successo.
Pedalava in piedi perché si rompeva letteralmente il culo sul quel sellino di merda.
Il vento gli scompigliava il ciuffo, di cenere le ciocche divise sulla fronte lucida, la pelle sbucciata contro l’aria sotto la polo rossa.
Gli piaceva valicare i margini della città perché la periferia era in discesa e non doveva faticare poi questo granché per arrivarci.
Muoveva i pedali giusto per svoltare, quelle rare volte in cui non decideva di rischiare, contromano nelle strade a senso unico, con quel tramonto che, tardivo in estate, gli faceva pizzicare gli occhi di vetro.
Tutte le volte combatteva contro l’asfalto sterrato male, per sgommare a ridosso del cancello scuro in ferro battuto.
Harry diceva sempre che le inferriate di quel portone gli sembravano delle liquirizie.
Masticava un chewingum senza sapore, torturandolo tra i denti che, se solo ne avesse avuto voglia, sarebbero potuti essere più bianchi.
Gli piaceva andare laggiù, discendere la strada principale incurante che sarebbe diventata, poi, una salita, perché le cicale erano l’unico inquinamento acustico di cui le sue orecchie, già sanguinanti, si sarebbero potute lamentare.
Sua mamma diceva che Louis le voci le aveva dentro la testa, ma era quasi sicuro che fosse colpa delle bocche che mormoravano appannando i vetri delle macchine, delle finestre, dei suoi occhi.
Abbandonava la bici un po’ dove capitava, scavalcandola, graffiandosi, quasi sempre, perché portava i jeans arrotolati sui polpacci sottili.
Sospirava, sgonfiando il petto, incurvando le spalle sotto un peso che era sicuro di non meritare.
Erano ormai due anni che Louis pedalava lasciandosi trasportare fino al cimitero, dove ogni martedì aveva appuntamento con Harry.
Quel ragazzino riccio lo aveva beccato con l’occhio curioso tra le docce negli spogliatoi e per paradosso gli aveva chiesto di uscire.
Anzi, se la verità vuol essere detta, Harry gli si era avvicinato e gli aveva sputato in faccia un ‘Se vieni al cimitero vicino all’ospedale ti faccio una sega’.
E Louis, che era stanco di consumarsi le mani sul suo cazzo, disse semplicemente ‘Quello in periferia?’
Insomma, finiva tutte le volte a sistemarsi il capelli arruffati all’entrata di quel posto, che di lugubre non aveva proprio nulla.
La prima volta si era trovato seduto sulla tomba di uno sconosciuto, e mentre la mano grande, enorme, di Harry lo avvolgeva completamente continuava a fissare il nome Eleanor Calder inciso sulla lapide di fronte.
Gli aveva soffiato sulle labbra rosse, incurvate appena, per ringraziarlo, dopo che proprio quello, con una malizia accennata ai lati della bocca, gli aveva permesso di venirgli tra le dita sicure.
Si era sentito per la prima volta nel petto quella cosa che tutti sono soliti chiamare cuore, soprattutto quando le fossette di quel Harry Styles si erano increspate sotto i suoi morsi.
Seduto sul bacino di quel ragazzo gli aveva sussurrato sulla bocca mille segreti vergognosi senza far fiatare una parola, gli si era strusciato addosso tenendosi tra i suoi capelli morbidi; non seppe mai se quello sconosciuto, che poi si trasformò nel suo impegno di ogni martedì, fosse venuto nei pantaloni come aveva sospettato.
Era un ragazzo di parola, perché era preciso, Jay, sua mamma, lo diceva sempre, e non gli piaceva far aspettare l’unica persona che avrebbe atteso il suo arrivo all’infinito.
Trovava quel ragazzino, che assurdamente all’anagrafe reputavano più piccolo di lui, seduto su quella tomba di cui non si degnò di conoscere il nome fino a quando non rimase più nessuno che vi ci sedesse sopra, oltre a se stesso.
Harry lo aspettava con gli occhi verdi, fili d’erba in quel prato inglese che li circondava, e delle volte  aveva già i pantaloni slacciati, la cintura sul terriccio abbandonata, quando voleva che Louis si chinasse su di lui per prenderglielo in bocca.

Spesso il riccio si rannicchiava su di lui, e le ombre gettate da quei pezzi di pietra sparsi ovunque si allungavano veloci, marionette del sole che scompariva, inesorabile.
Stavano seduti, entrambi, sul marmo bianco di fronte ad Eleanor Calder, la quale, per inciso, era una a cui la vita non aveva sorriso, ma la morte lo aveva sicuramente fatto visto lo spettacolo che ogni martedì aveva l‘opportunità di godersi.
Starnutiva sempre contro i capelli di Harry, perché i ciuffi castani ribelli gli solleticavano il naso e questo rideva con l’emozione che travolgeva ogni pigmento della sua pelle di porcellana.
Louis sapeva quanto fosse fragile, ma certo non avrebbe immaginato mai che quella testa di ricci morbidi si sarebbe potuta sgonfiare sotto un calcio, come un pallone bucato.
Harry portava sempre un orologio, un accessorio dalla dubbia utilità, visto l’Iphone nero che teneva sempre stretto tra le mani, ma il più grande trovava eccitante l’idea di un oggetto concepito solo per scandire, per ricordare quanti infiniti minuti ci separassero dalla morte.
'Infiniti' per quanto poteva valere questa parola, la cui accezione, Louis, reputava fosse così relativa e vaga da fargli venire le vertigini.
Si faceva largo tra le lapidi calde, arroventate dal sole, e già si figurava le mani dure di Harry sul suo collo, tenaci mentre gli tiravano la testa indietro aggrappandosi ai suoi capelli lisci, solo, per poter far gocciolare la sua voce amara sul collo di Louis.
Camminava, e le scarpe di tela erano biscotti inzuppati nel fango, ma l’elettricità già lo aveva fulminato perché poteva percepire il fiato caldo del riccio dietro le spalle.
Le mani sul cavallo dei suoi pantaloni, esperte, voraci come non dovrebbero essere quelle di un ragazzo dall’involucro immacolato come Harry.
La pancia già gli scottava sulla lapide calda, e le labbra secche quasi sudavano al pensiero del più piccolo contro di lui che gli faceva andare a fuoco il culo, e con esso tutta la carta straccia della sua vita.
Alla fine, Louis che le voci non poteva proprio smettere di sentirle, si sedeva sulla tomba e guardava Eleanor, la salutava, si abbassava la zip e un soffio sottile tra le labbra sincere riempiva il gracidare nell‘aria.
Stridevano gli sguardi di fiele nelle orecchie di Lou, perché avrebbe dovuto impedire a Harry quel giorno di tirarlo a sé dal colletto della maglia, di modellarselo tra le braccia e di violare il loro segreto baciandolo mentre gli occhi sbagliati passavano.
Avrebbe dovuto immaginare che non si può salvare nessuno se non si ha voce, se non ci si può muovere e, mentre in mille modi Harry scompariva sotto il suo sguardo tra la calca di mille cento altri corpi, Louis non ci aveva potuto fare nulla.
Perso in un mare di parole che le persone non avevano il coraggio di dirgli, infilava la mano dentro i propri boxer, denti a solcare le labbra gentili, gocce di ricordi ai lati delle palpebre annoiate.
Louis avrebbe voluto avere gli occhi di vetro condensati, infranti, graffiati per smettere di guardare un mondo fin troppo pieno di posti vuoti di Harry.
Ginocchio piegato, tallone al bordo della superficie rialzata della tomba e l’altra gamba distesa addormentata, Louis impegnava le sue mani perchè non gli rimaneva altro da fare.
Portava un dito dentro la sua bocca, perché le mani di Harry erano sempre lì a giocare che gli ordinavano di succhiare, e il polso veloce anche se il suo tocco non era un paragone fattibile, la fantasia di Louis doveva faticare.
Groppo in gola, quando l’orgasmo arrivava, quando prepotente ricordava che non c’era più nessuno che leccasse lo sperma dalle sue mani, che gli sussurrasse un bacio sulla fronte, che vomitasse un ‘ti amo’ sbucciando un preservativo, che sorridesse come un gatto quando Louis, con voce zuccherata, celava male un gemito.
Ad osservarlo c’era solo Eleanor Calder, e a sua madre diceva che era lei la ragione per cui ogni martedì pedalava fino al cimitero, e non per quel ragazzo che aveva detto a tutti di aver trovato morto ai piedi del cancello di liquirizia.
Quando finiva era d’abitudine voltarsi sempre, perché finalmente la tomba su cui il suo cuore aveva battuto un colpo, per la prima volta, non era più di uno sconosciuto.
Se ne era fregato che quella lapide recitasse il nome di un certo Simon Cowell, Louis ci aveva attaccato una foto di Harry, perchè non gli importava dove lo avessero portato, per lui era lì.
Trovava strano come avesse vissuto più in un luogo di morte, che nei luoghi di vita dei suoi 19 anni.
Non era rimasto che il martedì con il suo tramonto incipiente e le voci che gli ricordavanocome fosse meglio essere bugiardi; con quel Harry Styles per cui Louis non avrebbe smesso mai di pedalare, giù, fin fuori Doncaster, perchè, anche se aveva le vertigini e la nausea a pensarci, lo sapeva che quel ragazzo con i ricci riposati sulla fronte, le fossette impresse a carboncino e la sincerità marchiata nello sguardo lo avrebbe aspettato all'infinito.


  
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