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Autore: solarial    01/02/2007    8 recensioni
Può una canzone attraverso la sua voce e musica perforare la vostra anima al punto tale da leggere l’angolo più segreto di voi stessi? E se questa canzone fosse la chiave che vi spinge ad aprire quelle porte chiuse? Se vi offrisse la possibilità di liberarvi, di sfogarvi e di perdonarvi? Avreste mai il coraggio di seguire la voce…
[ Seconda classificata al contest di Immaginaria indetto da _Pe_ e Melanto]
Genere: Generale, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Reach out and touch faith

Nota dell’autore: Questa cosa nasce dalla mia prima partecipazione ad un contest indetto da Maki chan che troverete sul forum di EFP o http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=9077

Apro le danze con questa song fic. Perché non prendete parte anche voi?

VIOLATOR

Personal Jesus

Per una notte voleva solo essere libera,

libera di essere se stessa.

A passo svelto, nel buio della notte, ecco che Hinata Hyuuga, erede del clan più prestigioso di tutta Konoha, si apprestava a raggiungere la propria casa. Ormai era vicina, doveva soltanto svoltare la prossima a destra, ed ecco che dinnanzi la sua piccola e minuta figura - troppo piccola per quel mondo- sarebbe spuntata fuori dal nulla, l’imponente dimora degli Hyuuga, conosciuti come i portatori del Byakugan, coloro ai quali è concesso il privilegio di vedere ciò che i normali ninja non vedranno mai.

Soffermatosi un attimo a tracciare con i suoi occhi opalescenti i contorni di quella dimora, non poté evitare di chiedersi come dovesse considerare quel cognome, un miracolo o piuttosto una dannazione?

Di una cosa era sicura: molti parlavano di loro con troppa leggerezza. Aveva più volte ascoltato le parole di quegli stolti che la invidiavano solo per quel cognome. Certo, facile parlare per chi non sapeva cosa davvero significasse vivere costantemente con quel peso. Appartenere alla casata principale, non era solo vivere negli allori, c’era molto di più; oltre c’era quello che gli altri non avrebbero mai immaginato di vivere.

Bisogna sempre vedere l’altra faccia della medaglia, quella era solo una delle maschere che reggeva il clan, ma sotto c’era ben altro. Il fatto stesso che quella imponente casata fosse divisa in due parti, dove la parte cadetta non aveva le stesse opportunità di coloro che come lei vivevano nella casata principale, era allarmante. Servire e sacrificarsi per l’onore degli altri, anche se non si desidera o non è giusto, è shockante.

Attraversato il bellissimo giardino che circoscriveva la dimora, finalmente era giunta in casa. Anche se casa era riduttivo, visto l’imponente palazzo. Non vedeva l’ora di togliersi quell’elegante vestito che le aveva messo parecchio disagio quella sera. Non le piaceva vestire in quel modo, attirava l’attenzione di tutti, non nel modo piacevole, ma in un modo morboso, di scherno. E poi, lei odiava attirare l’attenzione di suo, la rendeva ancora più fragile ed imbarazzata, imbranata; non riusciva a sostenere troppo quegli sguardi. Beh, diciamo che certe risatine e commenti non erano passate inosservate a quelle delicatissime orecchie.

L’importante era che adesso fosse lontana da loro, da quei sorrisi e sguardi tanto composti ed altolocati quanto falsi e maligni.

Aveva aspettato il momento propenso, approfittando del fatto che nessuno badasse a lei, per allontanarsi il più in fretta possibile da lì.

Reach out and touch faith

Non attese molto, sfruttando l’occasione in cui era da sola –che novità- in quella altezzosa dimora, approfittando del fatto che nessuno avrebbe visto né saputo quello che stava per fare, poco elegantemente si slacciò i laccetti che tenevano i sandali legati alla caviglia, e lanciò in aria le scarpe che si posarono distrattamente l’una separata dall’altra sul pavimento della camera.

Finalmente libera da quella tortura, slegò anche i capelli che scivolarono lunghi oltre le spalle, e, passando una mano tra quel colore così simile al petrolio, li liberò completamente da quelle forcine che avevano, per tutta la sera, disturbato la testa.

Fece scivolare a terra anche l’abito elegante, restando con la sola leggera sottoveste di seta bianca che le fasciava il corpo come una seconda pelle, aderendo alla perfezione di quel corpo giovane e prosperoso. Non lo tolse da terra, il vestito; preferì lasciarlo lì per il momento.

Portò la sua figura dinanzi il grande specchio per osservarsi. Per essere una diciannovenne non era poi così male, per lo meno, madre natura era stata molto gentile con lei.

“Cosa penserebbe lui se mi vedesse in questo modo? Si accorgerebbe di me?”

Sospirò. In tanti anni, non aveva mai visto in quegli occhi qualcosa di diverso. A dire il vero, aveva incrociato il suo sguardo solo poche volte, alcune delle quali di nascosto, ma il risultato era sempre quello, a causa della sua timidezza e paura non aveva fatto altro che abbassarsi, mostrandosi debole…

Avvicinatasi al letto dopo aver accesso la radio, si sdraiò per rilassarsi un po’, mentre le note di una di quelle musiche lente e malinconiche, si propagavano per tutta la stanza.

Pochi minuti dopo, si apprestò a cambiare le stazioni: non le andava proprio di sentire quella musica, ma sembrava proprio che non ci fosse nemmeno una canzone ad attirare l’attenzione. Era la terza volta che girava le stazioni, ma nulla. Stava per spegnere l’apparecchio, quando l’improvviso disseminarsi di quelle parole, la bloccò.

Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who's there

Santo cielo, quella sembrava proprio una di quelle canzoni proibite che non avrebbe dovuto assolutamente ascoltare, poiché le parole, il ritmo, tutto, avrebbero invalidato la sua persona, perché tutto il rigore e la ragione, in situazioni come quelle, svaniva. Era disumano pensare che un’appartenente alla casata principale si dilettasse ad ascoltare musica come quella; che orrore!!! Questo era ciò che le avevano sempre proferito da piccola: in camera sua non doveva assolutamente volare nessuna nota musicale di quel tipo. L’unica musica accettabile era quella classica e lirica che rigenerava corpo e anima, per il resto tutto vietato.

-Forse dovrei staccare…- stava per farlo, ma si interruppe.

Si alzò dal letto attonita, osservando con occhi straniti quella radio così anonima, ma che in quel momento le sembrava un alieno.

Feeling unknown
And you're all alone
Flesh and bone
By the telephone
Lift up the receiver
I'll make you a believer

Come faceva quel tipo della canzone a sapere che lei si sentiva sola? Perché lo era, e come se lo era. Sapeva perfettamente che non era mai considerata, si sentiva più come un’inutile presenza in mezzo a tutti quei saccenti, che una componente degli Hyuuga, e questo la faceva sentire una sconosciuta.

Poteva fingere con gli altri che non lo fosse, ma con se stessa no, chi meglio di lei sapeva cosa si celava nel suo intimo?

Certo, solitamente era accerchiata da tante persone, questo era vero, la sua dimora non era mai sprovvista di carne umana che vagava qualunque sia la sua funzione o grado, essere sola, completamente sola era un’utopia. Quello di quella sera era solo un caso, la servitù aveva il giorno libero, e il resto di quella grande famiglia era in quel ristorante lussuoso per festeggiare nemmeno lei sapeva benissimo cosa. Quindi era sola, per cui, anche se lasciava che quelle note si espandessero, nessuno avrebbe mai saputo, e poi quella voce, così calda, così seducente, così permissiva, lenta, tranquilla quasi demoniaca, era coinvolgente, era come se il tipo della canzone stesse leggendo dentro di lei.

Take second best
Put me to the test

Senza accorgersi di quello che stava facendo, cominciò a dondolare, a muoversi leggiadra in quello spazio, girando attorno al suo letto. Chiuse gli occhi permettendo a quelle parole di diventare un tutt’uno con se stessa, e, muovendosi al passo di quella musica, si lasciò andare, mentre alzava le braccia in aria, come a cercare qualcosa, come ad afferrare quel qualcosa che la canzone suggeriva. Si muoveva in un misto di sensualità ed eleganza, come se una forza magnetica la attirasse in quei passi, come se stesse intraprendendo una di quelle danze devote a qualcosa. Si sentì estraniata da quel mondo reale; ora era solo per la musica e per le parole. Alzava e riabbassava le braccia, si sfiorava, si contorceva, si muoveva, danzava libera da ogni inibizione, libera da ogni pesantezza: era se stessa, spoglia di qualunque maschera.

Things on your chest
You need to confess
I will deliver
You know I'm a forgiver

Le cose che aveva dentro, confessarle… oh sì, come desiderava farlo, come desiderava ardentemente confessare quello che teneva dentro. Avrebbe dovuto allungare la mano e afferrare quell’opportunità, fidarsi di quella voce che, quasi implorandola, le diceva di liberarsi. Perché aveva bisogno di confessarsi, di qualcuno che la ascoltasse. Perché lei era stanca di essere vista come colei che non era degna del nome che portava, perché lei era stufa di essere guardata dall’alto in basso, perché lei faceva parte di quella famiglia che egoisticamente la faceva sentire inutile e fuori luogo, perché lei non era inutile, era solo una povera vittima, perché lei voleva solo che tutti si accorgessero del suo vero valore. Ma, in modo particolare, dentro l’animo, in quel posto dimenticato da tutti, tenuto accuratamente in disparte, teneva dentro uno di quei segreti che custodiva con gelosia quasi ossessiva, poiché la profanazione di quello spazio avrebbe reso la sua vita un inferno.

-Perché io…- si bloccò, prima di far uscire fuori quello che teneva segregato dentro. Arrossì, si vergognava, si tormentava, si malediceva, ma non c’erano vie alternative, aveva disperatamente più volte cercato di tenere a freno quel pensiero, di sputarlo via, perché era anormale, era indecente, era incestuoso, ma era inutile, non poteva, non ci riusciva.

I will deliver
You know I'm a forgiver

Quella voce la stava istigando a liberarsi di quel peso, a confessare quella cosa. Doveva farlo? Doveva davvero fidarsi così? Dopotutto era solo una canzone, una di quelle voci come tante altre che intonavano un motivetto. Eppure quel motivetto rappresentava una minaccia ed una speranza per lei. Avrebbe dovuto davvero tramutare in parole quei pensieri? Eppure avrebbe voluto farlo disperatamente, oh sì se lo voleva. Ma sarebbe valsa davvero la pena?

Si sedette sul letto respirando affannosamente. Possibile che in tutti quegli anni non fosse cambiata? Possibile che nutrisse ancora quel terrore nel pensare, ad avere paura nel dire qualcosa, nel temere di essere se stessa?

Negli anni era diventata leggermente più sicura di se stessa, era vero, ma questo non l’aveva poi cambiata più di tanto, visti i risultati.

Ma la cosa più importante, in realtà, non era essere riconosciuta dagli altri. Quella era la scusante e lei lo sapeva benissimo. A dire il vero, negli ultimi quattro anni, o forse cinque, qualcosa in lei era cambiata, aveva cominciato a vedere il mondo sotto una luce diversa. Non sapeva nemmeno lei come era cominciato tutto, ma era come se si fosse improvvisamente svegliata da un letargo e avesse compreso ciò che voleva nella vita.

Il problema era che desiderava qualcosa di proibito. Era proprio caduta dalla padella alla brace.

Someone to hear your prayers

Someone who cares
Someone who's there



Ma perché quella dannata voce non stava in silenzio? Ma quanto cavolo durava quella canzone? Era infinita? Maledizione, aveva davvero bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei e che ascoltasse le sue preghiere.

Certo che se avesse posto fine a quello scempio magari sarebbe stato meglio, eppure c’era una parte di lei che invece la incoraggiava a sentire, a seguire quella voce.

-Che devo fare?-

Reach out and touch faith

Allungare la mano e toccare la fede. Le suggeriva forse di avere fede in lui o in se stessa? Qualunque sarebbe stata la risposta il presupposto era sempre lo stesso: confessare quello che aveva dentro.

I will deliver

-Mi libererai? Se confesso, mi perdonerai?- disse improvvisamente avvertendo un flusso di chakra proveniente dalla porta della sua camera. Sapeva perfettamente a chi appartenesse.

Si alzò dal letto, e, con gli occhi bassi, ed il cuore che aumentava i battiti, si portò davanti la porta, appoggiando la mano su quella superficie, come a toccare, a sfiorare qualcosa, forse il volto della persona che stava dietro, perché non sapeva se sarebbe riuscita a farlo senza quella porta che li separava.

Chiuse gli occhi, mentre la porta si apriva lentamente portando dentro un profumo invitante, selvatico, intraprendente, stimolante. Eccolo.

Lui era lì, bellissimo come al solito, con quella sua aria particolare, da bastardo convinto, troppo distante e diverso da lei, Neji Hyuuga, con quegli occhi che sembravano fuochi ardenti alimentati dal suo ego e dal suo carattere, lineamenti duri, era alto, molto alto. Troppo?

Sorrise leggermente, mentre a passo lento si alzava in punta di piedi, e, azzardando a guardarlo negli occhi, impuntandosi di farlo, come a cercare di leggere qualcosa dentro, magari gettarsi all'interno, lo osservò a lungo, aspettando un segnale, aspettando di vedere cosa lui faceva. Ma lui non si mosse, né disse nulla, continuava imperterrito a restare così, immobile, sfidandola con lo sguardo, mantenendo un accennato sorriso chiaramente di derisione, e quella sua perenne aria seria. Forse lui non la considerava ancora degna? Forse lui non credeva che stesse per fare quella cosa?

Non aveva più nulla da perdere lei, dopotutto. Niente, aveva già perso tutto a suo tempo.

-Liberami da questo peso… liberami da te… lasciami…-

Lo baciò, delicatamente, con tremenda dolcezza che sapeva di passione struggente. Tormentò quelle bellissime labbra, con un bacio che sapeva di vittoria, di barriere sradicate, di raggiungimento di qualcosa, di liberazione.

Lui non obbiettò; continuava a fissarla anche durante quel bacio, che, da lento e dolce, si tramutò in qualcosa di più consistente. Per tutta la sua durata non fece intravedere nulla di quello che Hinata si aspettava di vedere, ma non la allontanò, ne mise fine a quella debolezza. Attese.

Quando si interruppero, continuarono ad osservarsi, senza dire nulla, ascoltando le parole di quella canzone, unica testimone del momento. Neji non si era scomposto, non si stava tormentando: era rimasto lo stesso dopo quel bacio.

Bastardo sino all’ultimo…

Vero?

riesci davvero a restare così immobile?

Sei davvero così perfetto?

Fingi?

Getta via quella maschera…

…Non ti appartiene

Bugiardo.

-Non posso liberarti da me, visto che tu sei la prigioniera della mia anima…-

Si era voltato quando le aveva proferito quelle parole, e, mentre Hinata sorrideva libera di un peso, lui se ne andava: entrambi, ripensavano alle ultime parole di una canzone, che frullavano nella testa.

You know I'm a forgiver

THE END

Precisazioni: E’ un AU, mi sono chiesta -cosa avrebbe fatto Hinata se nel silenzio della sua stanza fosse stata influenzata da una canzone? E se questa fosse l’ancora di salvezza e la sua liberazione?- Ed ecco il risultato, se volete farmi sapere quello che pensate ve ne sarò grata. Hinata forse è leggermente OOC ma non la definirei proprio OOC, cioè per me non lo è, forse darà quell’effetto perché ascolta quella musica, (che caso eh?) o perché è lei che fa la sua prima mossa e non attende il cugino, ma io credo che una persona per quanto timida possa essere, se spinta dalla passione non capisce nulla, e la razionalità passa in secondo piano, persino la timidezza XD Fatemi sapere!

Ringraziamenti:

Grazie a Melantò che mi ha coinvolto e mi ha fatto scoprire questo contest, se non la legge la uccido >.<. (Non vedo l’ora di leggere la tua su questo fandom uhuhuhuhu)

Grazie a Izumi che con pazienza e sincerità mi ha aiutato facendomi sapere cosa ne pensava dandomi una mano a migliorare!

Nota dell’autore2: Non so se avete fatto caso, ma ho cercato di non essere ripetitiva e soprattutto di rendere i periodi più corti ma maggiormente incisivi.

Credit:

-La canzone facente parte dell’album Violator del 1989 usata per la prima song fic è Personal Jesus, traccia terza, che appartiene ai Depeche Mode e solo loro detengono i diritti.

-I personaggi di Naruto non mi appartengono, ma sono di proprietà esclusiva del suo creatore, Masashi Kishimoto. La fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per il piacere di farlo e di allietare un po’ le vostre giornate, per tanto intesa.

Solarial

   
 
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