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Autore: Sam Vega    18/07/2012    6 recensioni
Annie è tornata dopo cinque anni, ma cosa è successo mentre era a Londra? Breve episodio della sua vita d'oltreoceano ispirata alle note di "Payphone" dei Maroon 5.
Breve prequel a "Never Let Me Go" di LyraWinter
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1081287&i=1
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Alla mia famiglia immaginaria.

Love, Peace e Panda Volanti.

 

 Tagli drastici e cabine telefoniche

  

-Morgan, sei tra noi?

Annie sobbalzò al richiamo di Ethan. Era già la terza volta che il ragazzo cercava di attirare la sua attenzione per coinvolgerla nella conversazione. Non sapeva neppure perché avesse deciso di uscire coi suoi amici quella sera, visto lo stato di agitazione in cui versava quel giorno. E tutto per colpa del suo subconscio che la notte aveva ben deciso di farle rivivere in sogno episodi della sua adolescenza. Inutile dire che in ognuno di loro il coprotagonista era uno ed uno soltanto. Sembrava che nonostante gli oltre cinquemila kilometri e la notevole quantità di acqua che li separava, Brady avesse deciso di non lasciarsi far dimenticare.

-Sì, scusate ragazzi, mi ero solo persa nei pensieri…

-Nulla di nuovo, insomma,- le rispose ridendo Helen.

Annie sorrise, sporgendosi verso gli altri in modo da sentire i discorsi che avvenivano anche dall’altro lato del tavolo. E mentre Ethan e James stavano commentando animatamente l’ultima partita del West Ham, le ragazze erano altrettanto impegnate in un’altra conversazione calcistica. Era, infatti, in corso un dibattito acceso su quale fosse il calciatore più attraente della Premier League. Mentre Helen difendeva a spada tratta Torres e Nathalie dichiarava eterno amore a Giroud, nonostante la sua leggendaria avversione per i francesi, Annie ragionava su come ogni tanto la sua metà americana prendesse il sopravvento su quella inglese, impedendole di capire il fascino di quello sport.
Ad Annie sfuggì dalle labbra uno sbuffo divertito e cinque paia di occhi si girarono verso di lei con aria decisamente poco amichevole.

-Qualcosa da dichiarare, Morgan?

-No, niente,- cercò di discolparsi lei. Quando fu evidente che nessuno al tavolo le aveva creduto, capitolò ed ammise: -Mi dispiace, ma non capirò mai la fissa di voi europei per il soccer…

-È FOOTBALL!- le risposero in coro gli altri quattro, sconcertati da come dopo ben sei mesi di permanenza in Inghilterra non avesse ancora compreso la fondamentale differenza.

-E poi, senti chi parla, miss mi vesto a lutto ogni volta che perdono i Red Sox, il che succede circa ogni settimana- le rimbeccò James.

-Innanzitutto non è vero che mi vesto a lutto! Secondo, prima o poi gli Yankees avranno quello che si merita e i Red Sox rimonteranno la classifica, e terzo, vi costringerò tutti a imparare a giocare a baseball, fosse l’ultima cosa che faccio!

Con un cenno sdegnoso che avrebbe reso sua madre fiera di lei, Annie riappoggiò la schiena sul divanetto, mentre gli altri sghignazzavano tra di loro.
Mentre giocherellava distrattamente, disegnando ghirigori sulla condensa formatasi sulla vetrata alle sue spalle, la sua attenzione fu catturata da un gruppo di ragazzi che erano impegnati in una partita di biliardo sull’altro lato della sala.

In particolare, uno di loro catturò lo sguardo di Annie. Nonostante fosse decisamente più basso e avesse i capelli di qualche tono più chiari, c’era qualcosa di estremamente familiare in quel ragazzo. Come si appoggiava distrattamente alla stecca con un braccio, tenendo l’altra mano nascosta nella tasca posteriore dei jeans mentre attendeva il suo turno, oppure come giocherellava distrattamente con le scanalature decorative del boccale pieno di birra, erano due gesti che aveva visto ripetere in modo inconsapevole centinaia di volte dal suo migliore amico, ed una fitta di nostalgia la colse all’improvviso. Cercando di diradare quel senso di vuoto che si sentiva nel petto, tentò con immane sforzo e scarsi risultati, di seguire di nuovo la conversazione che ora verteva sui vari corsi universitari che stavano seguendo.

Annie colse la palla al balzo, e simulando l’espressione più disperata possibile, esclamò: - Oddio, devo assolutamente scappare, ragazzi! Mi sono scordata che devo consegnare il paper di sociologia entro domani mattina e devo ancora sistemare la bibliografia!
Raccolse il cellulare dal tavolo, finì la sua birra in un sorso e recuperò la borsetta dal divanetto mentre gli altri si scambiavano battute sulla sua proverbiale memoria, a cui lei prontamente rispose con una linguaccia.

In realtà il paper era finito da ore, già pronto e stampato sulla scrivania della sua stanza, alla faccia di quei malfidati dei suoi amici. Per quanto adorasse la loro compagnia e le loro battute, quella sera tutto ciò di cui Annie aveva bisogno era di silenzio in cui affogare tra i suoi pensieri. Le prime settimane in Inghilterra erano state terribili. Continuava a essere colta dai sensi di colpa e rimuginava fin troppo sulle sue azioni passate, finendo inevitabilmente per fantasticare su come avrebbero realizzato tutti quei progetti che avevano sognato insieme e ad essere sommersa da scenari ipotetici costruiti su fin troppi se e ma. Poi si erano cominciati a creare i primi legami stretti con i compagni di corso, rendendo la malinconia sempre meno presente nella sua mente e la sua vita aveva cominciato a riempirsi di serate al pub e cene a casa di amici. Per quanto nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Brady, o scalzare Scotty dal trono di re delle stupidaggini, Ethan, James, Helen e Nathalie erano presto diventati un balsamo che leniva la ferita derivante dalla loro mancanza. Ogni tanto però quel senso di assenza tornava a farle visita e tutto ciò che Annie poteva fare era attendere che passasse. Quella sera era uno di quei momenti, e non le sembrava giusto rovinare con il suo umore altalenante la serata agli altri. Inoltre, si sarebbe volentieri risparmiata le domande decisamente invadenti di Nathalie che continuava a sognare di fare da damigella al suo matrimonio con Brady. Il fatto che non lo conoscesse non intaccava in nessun modo i suoi sogni ad occhi aperti.

Nonostante quella fosse, miracolosamente, una serata senza pioggia, il tasso di umidità nell’aria era comunque notevole. Anche i suoi capelli lunghi, lisci di natura, non potevano nulla contro quel clima, ed Annie cercò di limitare i danni ravvivandoli con le dita, specchiandosi sulla vetrina del negozio accanto all’entrata del pub. Mentre si dirigeva verso la fermata del bus per tornare a casa, rovistò nella borsa alla ricerca del suo ipod. Ovviamente, anche la tecnologia aveva deciso di complottare contro di lei quella sera, e la riproduzione casuale aveva ben deciso di farle ascoltare una dietro l’altra “Calico Skies” e “Lullaby”, optando come ciliegina sulla torta per “If you ever come back”. Ringraziando Steve Jobs per la sua profonda ironia, e trattenendosi dallo scagliare quel malefico oggetto il più lontano possibile, Annie lo spense e cercò di concentrarsi solo sul rumore che i suoi stivali producevano sull’asfalto umido del marciapiede, tentando di escludere dalla sua mente tutto ciò che non consistesse in quel ticchettio ritmato. Inevitabilmente, però, i suoi pensieri sfuggirono al suo controllo e si domandò che male le avrebbe fatto risentire la sua voce un’ultima volta. E proprio mentre cercava di dissuadersi dal capitolare, incrociò una cabina telefonica e i suoi piedi si mossero verso l’entrata, come se fossero mossi da un’entità superiore. Cominciò a rovistare nella borsetta alla ricerca di spiccioli, e con foga crescente cominciò ad estrarre tutti quegli oggetti sventurati che si mettevano tra lei ed il suo obiettivo. Con le mani tremanti cominciò a inserire, una dopo l’altra, tutte le monete che era riuscita a recuperare. Ad ogni suono metallico proveniente dalla caduta di una di esse, il suo respiro accelerava, come se avesse bisogno di una quantità maggiore di ossigeno per riuscire a compiere quell’azione all’apparenza così elementare, ma che in realtà la stava rimestando dentro come mai avrebbe pensato fosse possibile.

Quando anche l’ultima moneta capitolò, inghiottita da quella fessura scura, Annie afferrò la cornetta e compose quel numero così familiare, sorprendendosi di come le sue dita seguissero il percorso dettato dalle cifre in modo così fermo. Mentre attendeva che la chiamata varcasse l’oceano distolse lo sguardo dall’apparecchio, dirigendolo al di là della parete di vetro e metallo rosso che la divideva dalla strada. Notò per puro caso un ragazzo fermo sul marciapiede di fronte a lei. I capelli biondi erano all’apparenza spettinati, ma un occhio più esperto poteva senz’altro notare come quello era un effetto voluto, per dare un po’ di spensieratezza a quel viso magro che, probabilmente grazie alla peculiare piega assunta dalle labbra, aveva un’aria decisamente troppo seria, strafottente, l’avrebbe definita qualcuno. Si stringeva nel suo cappotto grigio dal taglio elegante, palese sintomo di come non fosse abituato a tutta quell’umidità. Mentre era impegnata nell’osservarlo distrattamente, il ragazzo voltò con un gesto pigro la testa, e fu lo sguardo, più che l’atteggiamento, le labbra, o i capelli a colpire Annie. Dietro a quegli occhi verdi si nascondeva una scintilla di ironia, come se lui la volesse trattenere solo per sé, rifiutandosi di condividerla con il resto del mondo. Annie vide quegli occhi muoversi rapidamente nella sua direzione, e un sorriso apparve sulle labbra del ragazzo. Annie distolse rapida lo sguardo, dandosi mentalmente della stupida per come si fosse fatta beccare intenta a fissarlo.

-Pronto?

In quel preciso istante, Brady rispose. Annie aprì la bocca cercando di proferire parola, ma ogni singola sillaba le si bloccò a metà strada, come se improvvisamente tutte le cellule dei suoi polmoni avessero assunto il peso specifico di mattoni.

-Pronto? C’è nessuno?

Annie si aggrappò all’apparecchio, cercando di recuperare ogni singolo frammento di coraggio in quel marasma di emozioni che risentire quella voce profonda le stava smuovendo dentro.

-Bra…

-Tu tu tu tu

Annie aprì gli occhi che inconsapevolmente aveva serrato, mentre la scritta credito esaurito lampeggiava beffarda sul display. Appoggiò stancamente la fronte contro la parete della cabina, mentre nella sua mente prendeva piede l’idea di come quello fosse un segno inviatole da qualcuno in alto per impedirle di fare un errore. Troppo impegnata ad affogare nel fatalismo,non si accorse di come dal vicolo alle sue spalle fosse apparsa una ragazza che, con passo svelto, aveva raggiunto il ragazzo dal cappotto grigio. Dopo averla abbracciata ed averle posato un braccio intorno alle spalle, si allontanarono, ma non prima che lui si voltasse per sbirciare per un’ultima volta la curiosa ragazza della cabina telefonica.

Dopo aver passato cinque minuti, non uno di più a commiserarsi, Annie si rialzò, e giocherellando con una ciocca, decise che era giunto il momento per un secondo taglio netto. Dopo aver abbandonato quella che per diciannove anni era stata casa sua, avrebbe dovuto definitivamente salutare anche la Annie che tutti a Cape Cod conoscevano, e quale modo migliore se non cominciare da quei capelli che Brady adorava tanto spettinare?

 
NOTE

Questa OS è nata da una promessa fatta tanto, troppo tempo fa e che finalmente, dopo una notte insonne, ho deciso di rispettare.
È una specie di prequel alle vicende di Annie, Brady e Landon di “Never Let Me Go” della splendida LyraWinter. Per chi la volesse leggere, può trovarla qui http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1081287&i=1
L’ispirazione è venuta per caso la prima volta cheho ascoltato la canzone “Payphone” dei Maroon 5. In particolare vi consiglio di ascoltarvi la cover fatta da uno degli innumerevoli uomini della mia vita, alias Tyler Ward. Ci sono vari riferimenti al testo, quindi divertitevi a trovarli :)

Per chi non lo sapesse “Calico Skies” è una canzone di Paul McCartney, “Lullaby” di Billy Joel e “If you ever come back” dei The Script, altro piccolo riferimento a Lyra.

Secondo ed ultimo “per chi non lo sapesse”, soccer è la parola usata negli Stati Uniti e in Canada per indicare il calcio, mentre con football si indica quello che noi chiamiamo football americano, ma azzardatevi a pronunciare soccer in terra d’oltre Manica e potreste ottenere delle ripercussioni assai sgradevoli. Spero di essere riuscita a rendere bene la cosa.

Vorrei prima di tutto ringraziare l’adorabile Mandy Lou, alias Agnes Dayle che è stata mia complice nella “creazione” di questa roba. Anche se cerchi di fare la bulletta, lo so che il tuo cuoricino è formato da dolcissimi confetti rossi, quindi non mi inganni!

Ad Elle, potete pure dare la colpa, perché il suo terrorismo psicologico mi ha costretto per la prima volta a scrivere.

A SidRevo, perché le sue apparizioni stile Madonna di Medjugorie mi illuminano la giornata.

A Emily Alexandre, perché potrebbe aprire uno studio di consulenza psichiatrica con tutte le paturnie che sfogo su di lei, e per avermi ritrascinato di forza nel tunnel di EFP. Se sono qui è solo ed esclusivamente colpa tua, nonnaH!

A Lyra, perché ha creato un personaggio fatto con lo stampino per me. Sappi che ti sei accaparrata il ruolo di damigella d’onore al matrimonio tra me e Scotty. Confidando nel suo buon cuore e sperando che non mi uccida per averle bistrattato i personaggi, e se questa storia riuscirà a strapparle un sorriso, il mio scopo è stato raggiunto.
   
 
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