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Autore: Gojyina    18/07/2012    9 recensioni
Attenzione: "My Love" entra a far parte di una raccolta di OS che hanno come tema i gatti
1° OS: Hanamichi e Kaede si incontrano dal veterinario
2° OS: La vita di Ru&Hana vista attraverso gli occhi di Lucky
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Torno tra voi con una ficcina piccina picciò. Nulla di che.

È solo un ringraziamento a tutti coloro che hanno sempre letto le mie storie.

Ma è soprattutto una fic di SCUSE. Avrete notato che, da un anno, è sparita dal web “Vampire Story” una mia long fiction.

Ebbene, lo scorso anno ho riscritto integralmente la storia e ne ho fatto una original, con una trama più complessa e una particolare attenzione alla cultura nipponica, il tutto con l'aiuto della mia super maxi mega beta Seika.

Questa storia, suddivisa in tre romanzi, sarà pubblicata nei primi mesi del 2013 presso la casa editrice Leucotea, di Sanremo.

Per ragioni contrattuali, ho dovuto togliere in fretta e furia dal web la mia fanfic.

Scusate se non ho potuto avvertire nessuno.

Grazie a tutti voi per il supporto che mi avete sempre dato.

Senza, non avrei mai avuto il coraggio di contattare un editore!

Nella prefazione del romanzo, c'è il mio ringraziamento anche a questo sito, ovviamente, che mi ha dato lo spazio per i miei racconti.

Bacioni e GRAZIE A TUTTI!!!

Viviana


My Love


Kaede soppresse l'ennesimo sbadiglio, camminando lentamente lungo il viale alberato.

Tra le sue braccia teneva stretto a sé il trasportino dal quale provenivano gli incessanti miagolii dei suoi gattini.

Avevano quasi cinque mesi, ma già possedevano un bel carattere.

Detestavano fare i vaccini e non perdevano occasione per farglielo notare.

Capiva perché, i suoi, non li avevano portati a lavoro con loro quella mattina.

Giunti in prossimità dell'edificio, intensificarono le loro proteste.

“Piccoli ma non scemi.” pensò il ragazzo, sorridendo tra sé.

Avevano in qualche modo riconosciuto la palazzina bianco latte ed intuito ciò che li aspettava.

Veterinario, quindi vaccino, quindi puntura.

Salutò educatamente Madoka-san alla reception.

«Ecco le piccole pesti!» sorrise la donna. «Tua madre mi ha detto che hanno fatto a brandelli le tende del soggiorno.»

«Hn.»

«Per fortuna non hanno toccato i tuoi palloni, vero?» scherzò, facendogli l'occhiolino.

Kaede piegò le labbra in un lieve sorriso.

Quella donna lo conosceva bene. Era lì da quando i suoi avevano aperto lo studio, prima ancora che lui nascesse.

Varcò la soglia della sala d'attesa, incurante delle occhiatine delle signore presenti.

Trasalì impercettibilmente, quando si accorse della presenza del Do'hao.

Seduto su una delle morbide poltrone blu che bordavano la stanza, teneva in braccio un enorme gatto nero pece.

Purtroppo, l'unico posto libero era quello accanto a lui.

Sbuffò, andandogli vicino.

I suoi erano i migliori veterinari di Kanagawa, chi possedeva un animale domestico doveva passare da lì per forza.

Curioso che non si fossero mai incontrati prima.

Strano anche che avesse un gatto, si disse, accomodandosi in silenzio al suo fianco.

Con quel suo carattere così allegro ed espansivo, aveva più l'aria di uno che andava d'accordo con i cani.

Hanamichi lo guardò di sfuggita, atteggiando le labbra ad un piccolo broncio.

Rukawa si stupì del suo silenzio. Era certo che lo avrebbe insultato come al solito.

Il rossino continuò ad accarezzare la testa del suo gatto.

Fu allora che Kaede capì: non voleva spaventarlo alzando il tono della voce.

Dalla sua prigione, Lucky riprese a miagolare disperato.

Scuotendo il capo rassegnato, cercò di calmarlo grattandogli la testolina attraverso la grata.

Con la piccola zampina scura lo allontanò, offeso.

Annusò le sbarre in metallo, tentando di infilare la testa in un vano tentativo di fuga.

«Do'hao.» si lasciò sfuggire, guardandolo esasperato.

Hanamichi si voltò d'istinto, per poi accorgersi che stava parlando al piccolo gatto, rimasto incastrato tra due cilindri in metallo.

Sorrise nel notare il nervosismo del cucciolo. Anche la sua Love, da piccola, detestava andare dal dottore.

La gatta si agitò nel suo abbraccio e lui cercò di trattenerla massaggiandole la schiena.

«Sssh... va tutto bene, piccola.» sussurrò con una dolcezza tale da catturare l'attenzione della volpe.

Stentava a riconoscerlo.

Era tranquillo e, nei suoi occhi scuri, poteva leggervi un amore infinito per quell'animale.

L'enorme gatta si allungò verso il trasportino, incurante delle braccia del padrone che tentavano di fermarla.

Con il grande muso, annusò il piccolo Lucky leccandogli il nasino, come a tranquillizzarlo.

Poi adoperò la testa per aiutarlo a liberarsi dalle sbarre.

«Sei una piccola Tensai.» sorrise Hanamichi, grattandole il mento.

«Tsk! Do'hao.» mugugnò la volpe, istintivamente.

«Ehi, tu! È quello scemo del tuo gatto che è rimasto incastrato.»

«È un cucciolo. I cuccioli fanno sciocchezze. Tu che scusa hai?» lo provocò, sollevando un sopracciglio scuro.

«Tsk! Baka!» sibilò, cercando di allontanare la sua gatta da quello stupido volpino. «Vieni qui, Love, quei gatti saranno scemi come il padrone.»

«Se non l'hai contagiata con la tua, di stupidità, i miei gatti non le faranno niente!»

«Baka!»

«Do'hao!»

Mentre i due giocatori litigavano, i cinque gattini avvicinarono i musetti a quell'enorme gatto che cominciò a leccare i loro occhietti.

Pochi istanti ancora e i micini presero a fare le fusa.

Attirati dalle risatine delle signore attorno a loro, i due abbassarono la testa, accorgendosi finalmente della vicinanza dei loro animali.

«Do'hao, quella pantera ha più qualità di te.»

«Taci, idiota. La mia gattina è speciale.» mugugnò, accarezzandole con fierezza la possente schiena.

Guardò incuriosito i gatti del suo acerrimo nemico.

Due grigi, due rossicci e uno nero come la sua Love.

Allungò il dito verso quest'ultimo, che lo annusò incuriosito.

«Quanto hanno?» gli domandò, sorridendo a quel microbo che tentava di morderlo per gioco.

«Quasi cinque mesi.»

Hanamichi increspò la fronte. «Ma... la madre dove...?» chiese confuso.

«Abbandonati.» il rossino si intristì e Kaede cercò di strappargli quella brutta espressione dal viso. «La tua?»

«Venticinque.» replicò, ritrovando il sorriso.

La volpe sollevò un sopracciglio scuro. «Mesi?!»

«Anni.» dichiarò, gonfiando il petto. Rukawa lo guardò stranito. «Lei è stata il regalo di nozze che mio padre fece alla mamma. È sempre stata con me.» si lasciò sfuggire il rossino, grattandole l'orecchio.

Era strano parlare in modo civile con la volpe, ma Love aveva sempre avuto il potere di tranquillizzarlo. Era il suo porto sicuro e adorava parlare di lei.

«Venticinque anni?!» ripeté la volpe, fissando la gatta.

«Già. Adesso devo portarla qui più spesso, per essere certo che stia bene. Vero, principessa?» rise, lasciando che gli leccasse il naso.

Rukawa si ritrovò ad ammirare quell'insolita dolcezza. Gli donava.

Sobbalzò a quella considerazione.

Che ne sapeva, lui, di cosa donasse o no al Do'hao?

Di come fosse la sua vita al di fuori della scuola? Nulla.

Neanche sapeva che avesse un animale.

Osservò Love con attenzione.

Muoveva a fatica le zampe inferiori e il pelo era poco lucido e folto, nonostante questo, non dimostrava affatto la sua età.

Spesso, i suoi, gli avevano detto che gli animali percepivano l'affetto e questo influiva sulla loro salute.

Notando l'immenso amore del suo compagno di squadra, concluse che, quel gatto, sarebbe stato di sicuro immortale.

Come se lo avesse percepito, Love si voltò a guardarlo negli occhi.

Non aveva mai incontrato un animale dallo sguardo così umano.

Lo stava valutando.

Kaede non rinunciò alla sfida e, dopo alcuni istanti, la gatta allungò la lingua, leccandogli la mano posata sulla grata del trasportino.

Hanamichi schiuse le labbra, sorpreso da quel gesto di affetto.

Love non dava confidenza a nessuno.

Persino a Yohei, che conosceva da anni, permetteva solo qualche sporadica carezza sulla testa e nulla di più.

Con quella volpaccia, invece...

La porta dello studio si aprì e il dottore Sawaki sorrise alle signore presenti, avvicinandosi con eleganza ai due giocatori.

«Ciao, ragazzi.»

«Dottore, buongiorno.» disse Hanamichi, alzandosi in piedi.

«Ciao, pa'.» mugugnò Kaede.

Il ragazzo sgranò gli occhi, scioccato. «È tuo padre?!»

Conosceva da anni sia il dottore Sawaki che la dottoressa Midori Rukawa, sua moglie e socia dello studio, ma non credeva fosse imparentata con il compagno di squadra.

Rukawa era un cognome abbastanza comune nella prefettura.

«Di che mi stupisco?» si disse, con uno sbuffo divertito. «Una volpe non poteva che avere come genitori due veterinari!»

«Do'hao!» sibilò Kaede, inviperito.

Il dottore inarcò le sopracciglia. «È lui il Do'hao?!» chiese stupito.

«Tensai, prego.» lo corresse il ragazzo, gonfiando il petto.

«Hn...»

«Vieni Hana-chan, fai accomodare la “signorina”.» sorrise l'uomo, grattando la testa di Love. «Allora, Ka-chan? Hai finalmente fatto la conoscenza della nostra Highlander. Venticinque anni. Non riesco ancora a crederci!»

«È la gatta del Tensai. È speciale.» gongolò il rossino, entrando nello studio.

Kaede rimase a guardare la porta bianca.

Conosceva di nome quella famosa gatta, ma non l'aveva subito collegata a Love.

Era un argomento ricorrente tra i suoi, soprattutto negli ultimi anni.

Ma non poteva essere lei.

Non poteva esserlo, perché il proprietario di quella gatta era un ragazzo orfano che viveva a casa della zia.

La madre morta presto e il padre venuto a mancare alcuni anni prima. No, non poteva essere il Do'hao.

Suo padre doveva essersi sbagliato.

“Già. Ma quanti gatti di quell'età vivevano nella prefettura?”



«Che piacevole coincidenza.» squittì Midori, aprendo il frigorifero.

«Hn...»

«E così, il nostro Hana-chan è il famoso Do'hao. Non è un nomignolo molto gentile.» gli fece notare, sedendosi accanto al figlio.

«Hn...»

«Come sta la piccola Love?» chiese al marito.

«Bene. Nonostante l'età avanzata, gode di ottima salute. È una gatta davvero unica.»

«Meno male.» sospirò la donna. «A conti fatti, è l'unica famiglia che è rimasta a quel ragazzo, sua zia passa quasi tutto l'anno all'estero.» rimase alcuni istanti sovrappensiero. «Sai... ho sempre pensato che Love stia vivendo per lui, per non lasciarlo solo. È un pensiero troppo romantico?» chiese, arrossendo imbarazzata.

Rei posò una mano sulla sua. «Assolutamente no. Lo credo anch'io.» lanciò una veloce occhiata al figlio, intento a pugnalare con le bacchette la sua cena. «E così Hana-chan è il Do'hao...» ripeté, lanciando una rapida occhiata alla moglie.

«Hn?» Rukawa sollevò un sopracciglio scuro, sentendosi oggetto dello sguardo gongolante dei suoi genitori.

Che cavolo era preso a quei due?!

«Beh, borbotti sempre il suo nome...» buttò lì il padre.

«Quando siamo venuti a vedere le partite, ho notato che gli hai parlato spesso.» proseguì la donna.

«Lo insulto. È diverso.» fece loro notare, incrociando le braccia al petto.

Rei nascose un sorriso. «Ma tu non parli mai. Soprattutto quando giochi.»

A quelle parole, Kaede increspò la fronte.

Era vero.

Non si era mai lasciato coinvolgere da niente e da nessuno.

Soprattutto in campo.

Non esisteva altro se non lui, la palla e il canestro.

Ma, da quando era allo Shohoku, da quando aveva incontrato il Do'hao, ad essere precisi, lui... parlava.

«Qualcuno vuole il dolce?» trillò Midori, sorridendo al marito.



«Milano? E dov'è?» domandò Mito, spegnendo la sigaretta.

«In Italia, ignorante.» sbuffò Hanamichi, scendendo dal muretto che costeggiava il lato destro della palestra.

Si stiracchiò pigramente. «Ho fatto fatica a convincere la zia a partire. Ma è la capitale della moda, per il suo lavoro è fondamentale. Essere scelta dal suo capo per organizzare le sfilate è un premio per il suo duro lavoro. Non volevo esserle di intralcio.»

«Ma se lei resta lì... tu non ti trasferisci, vero?» mugugnò l'amico, nascondendo la sua preoccupazione.

«Certo che no. Miku viaggia in continuazione, perché stavolta dovrebbe essere diverso? Potrei cercarmi un lavoretto part-time per pagarmi luce e gas, così da non esserle di peso.»

«Dubito che te lo lascerà fare. È orgogliosa tanto quanto te.»

«Già!» sorrise lentamente, pensando alla sua zietta.

Nonostante i quarant'anni suonati, Miku era molto giovanile. Non stava quasi mai in Giappone, ma il poco tempo che passavano insieme non sminuiva l'affetto reciproco.

«Vieni a stare da me, mentre lei è via!» propose Mito.

Nell'ultimo anno, Hanamichi era rimasto molto tempo da solo.

«Scherzi, vero? La mia Love è abitudinaria. Vuole la sua stanza, cioè la mia, la sua lettiera, il suo giardino e la sua poltrona. Non posso traslocare da te con mezzo mobilio.» scherzò, dandogli una pacca sulla spalla, ringraziandolo così per quel pensiero gentile.

Prese il borsone da terra quando scorse, in lontananza, Akagi e Kogure con in mano le chiavi della palestra.



Kaede appoggiò la bicicletta vicino al cancello senza perdere il suo broncio contrariato.

Adesso gli toccavano anche le visite a domicilio e a casa del Do'hao, per giunta!

Fu accolto dalle risate degli amici della scimmia, che contribuirono a peggiorare il suo umore.

Seguendole, giunse sul retro di quella villetta, situata a due isolati da casa sua.

«Kitsune?!» Hanamichi lo guardò stranito.

Seduto sul patio, con in braccio la sua pantera nera, non riusciva a dire altro, troppo stupito della sua presenza.

Tsk! Aveva trovato un modo per farlo tacere.

Magari funzionasse anche in allenamento.

Mito, al suo fianco, fece un cenno di saluto al nuovo arrivato.

«Hn. Le vitamine.» mugugnò la volpe, mostrandogli le due scatole che gli aveva affidato sua madre.

Love sollevò la testa dalle ginocchia del padrone e allungò una zampa, per spostare Yohei.

«Qualcuno qui s'è presa una cotta.» sogghignò il ragazzo, lasciando il posto a Kaede. «Accontentala, se non vuoi essere sbranato.» scherzò, sollevando le mani.

«Hn.»

Una volta sedutosi accanto a loro, Love si spostò sulle sue ginocchia, cominciando a soffiare contro il Guntai.

«Ma che ti prende?!» le chiese Hanamichi, stupito dalla sua reazione.

Fino a pochi istanti prima stava sonnecchiando tranquilla e adesso scacciava i suoi amici.

«Al cuor non si comanda!» rise ancora Mito, raggiungendo il cancello insieme agli altri. «Ci vediamo domani!»

Rimasti soli, la volpe riferì il messaggio. «Devi sbriciolare una pillola nel cibo. Ne deve prendere una al giorno.»

Il rossino annuì, poi tornò a guardare la gatta, che non aveva alcuna intenzione di spostarsi dal suo comodo giaciglio.

«Va bene, va bene! Hai un pessimo gusto in fatto di uomini, sai?»

«Hai una bella gatta.»

«Non sono il padrone, ma una sua proprietà.» sbuffò, guardandola appollaiata sulle ginocchia di Kaede. «Vuoi un'aranciata, Kitsune?» si arrese, rientrando in casa.

Fece accomodare il compagno di squadra sul divano, mentre andava in cucina a cercare da bere.

«Con te, signorina, faremo i conti più tardi!» brontolò all'indirizzo della gatta, che stava facendo spudoratamente le fusa, sotto il tocco leggero di Kaede. «Ti ho viziata troppo.»

Love puntò i suoi penetranti occhi verdi in quelli dell'ospite.

Di nuovo.

Non sapeva bene cosa stesse facendo quell'animale, però era certo che volesse dirgli qualcosa.

Quando il rossino li raggiunse, la trovò a sonnecchiare placidamente sul petto della volpe.

«Negli ultimi tempi dorme molto.» disse a mo' di scuse.

Kaede annuì distrattamente. «È normale.»

«Già.»

Si guardarono di sottecchi, non sapendo cosa dirsi.

Erano abituati ad insultarsi e a fare a botte.

Parlare in modo civile era strano.

Titubanti, parlottarono di basket e delle amichevoli che sarebbero iniziate il mese successivo.

Un'ora dopo, Love si spostò sulla propria poltrona, con un miagolio soddisfatto.

Libero dalla prigionia, Kaede poté finalmente accomiatarsi.

Strano a dirsi, ma un po' gli dispiaceva andare via. La scimmia sembrava dannatamente piccola, in quella grande casa vuota.



Da quel giorno in poi, Hanamichi e Kaede si incontrarono spesso nella sala d'aspetto del veterinario.

La volpe aveva il sospetto che, i suoi, combinassero di proposito le loro visite una dietro l'altra.

La gatta del Do'hao aveva bisogno di accertamenti, data l'età; mentre, le sue piccole pesti, dovevano fare i vaccini.

«Perché non li fate a casa? Sarebbe più comodo, no?» gli chiese il rossino, grattando la testolina di Lucky.

«Hn.» scosse la testa. «Potrebbero non sentirsi più al sicuro. Portandoli qui sanno cosa li aspetta, ma lo associano all'edificio e non ai miei.»

Il rossino scoppiò a ridere. «Che cos'è? Psicologia felina?!»

Rukawa sbuffò, trattenendo un sorriso. «Una specie.»

Love spostò la testa, ricominciando a guardare Kaede.

Non perdeva mai occasione di scrutarlo, alla ricerca di qualcosa di indefinito.

«Ehi? Dove vai?» sussurrò Hanamichi, sentendola muoversi. «Sta buona.»

La gatta non si calmò fino a quando non si fu appollaiata sul trasportino, posato sulle ginocchia di Kaede.

Di nuovo, puntò i suoi occhi smeraldo in quelli del giocatore.

Hanamichi sussultò quando la vide leccargli il naso.

Era un gesto che aveva sempre riservato a lui e a nessun altro.

Mai.

Geloso, atteggiò le labbra ad un broncio che lasciava trasparire tutto il suo disappunto.

«Scimmia, riprenditi questa pantera. Pesa!» brontolò Kaede, accarezzandole la testa scura.

«Vieni qui, cucciola. Le volpi sono antipatiche, l'ho sempre detto, io.»

«Do'hao!»

«Baka!»

La grande gatta cominciò a fare le fusa, sotto la grande mano del rossino.



Una sera di inizio dicembre, Kaede rientrò a casa, accolto dalla voce tesa della madre.

«Forse mi sto agitando troppo.»

«Credo invece che tu abbia ragione. È strano.» Rei scorse suo figlio sulle scale. «Kae? Hai visto Hanamichi, oggi?»

«Hn? No, il Do'hao è assente da due giorni. Credo.» aggiunse in fretta.

Non che lui lo controllasse, ovviamente.

Anzi, senza la scimmia gli allenamenti era decisamente noiosi.

Tranquilli!

Voleva dire tranquilli.

Adesso che ci pensava, aveva anche saltato l'appuntamento all'ambulatorio.

Midori sembrò leggergli nella mente. «Oggi aveva una visita ma non si è visto. È la prima volta che accade da quando lo conosciamo. Sono preoccupata.»

«Che ne dici se andassimo a trovarlo?» propose il marito. «Non abita molto distante da qui. Ci sentiremmo tutti più tranquilli.»

Suo malgrado, Kaede accompagnò i suoi.

L'agitazione di sua madre era contagiosa, si rese conto, scoprendosi a camminare a passo spedito.

La villetta era avvolta nel silenzio più totale e il cancello era aperto.

Strano.

Davvero strano.

Raggiunto il retro del giardino, trovò Hanamichi, seduto sul patio con la sua adorata gatta tra le braccia.

«Do'hao! Ci hai fatto...!»

«Aspetta.» Rei lo afferrò per un braccio, scrutando con attenzione il ragazzo.

Kaede fece lo stesso e impallidì di colpo.

Il rossino aveva gli occhi persi nel vuoto e Love non aveva sollevato la testa, cercandolo come al solito.

Era morta.

Quella stranissima gatta dagli occhi umani, era immobile tra le braccia del suo adorato padrone.

La testa posata sul braccio destro del giocatore e una zampa che penzolava nel vuoto.

Con cautela, Kaede si sedette al suo fianco.

Non sapeva bene cosa fare, perciò si lasciò guidare dall'istinto.

Gli circondò le spalle con un braccio mentre, con la mano libera, gli sospinse il viso contro la sua spalla.

«Va tutto bene, Do'hao. Non preoccuparti di nulla. Va tutto bene.»

Era proprio sua quella voce così dolce?

Non l'aveva mai sentita prima. Era strana.

Così com'era strana l'immobilità del suo compagno di squadra.

A fatica, i suoi genitori tolsero Love dalle braccia di Hanamichi, permettendo alla volpe di abbracciarlo meglio.

Lo sentì tremare.

«Va tutto bene, Do'hao.» ricominciò a dire, accarezzandogli la schiena.

Hanamichi era freddissimo.

Quando gli parlava sembrava calmarsi.

Perché non provare?

Che avesse conservato la voce per quel momento?

Pensiero non da lui, si rimproverò Kaede. Davvero sciocco.

Lo aiutò ad alzarsi e raggiungere una camera da letto piena di libri e poster.

Non serviva un genio per capire che era la sua.

Si stese sul letto continuando a stringerlo a sé, massaggiandogli le braccia infreddolite.

Era certo che fosse rimasto lì fuori per ore. Giorni, forse.

Non poteva lasciarlo da solo.

Lasciarlo solo.

Increspò la fronte, ricordando sia la teoria di sua madre che lo strambo comportamento di Love.

La gatta gli aveva affidato quel Do'hao. Ecco cosa aveva cercato in lui.

Una conferma.

Nel momento in cui aveva capito di aver compiuto la scelta giusta, si era lasciata finalmente morire.

«Ho ereditato un Do'hao.» pensò interdetto. «Poteva andarmi peggio.» si disse, trattenendo un sorriso, mentre si stendeva sul corpo del compagno.



Hanamichi affondò le iridi nocciola nel soffitto appannato.

Era rimasto solo.

E si sentiva un verme, perché aveva una zia che lo adorava, degli amici leali e la squadra di basket.

Però Love era l'unico legame che gli era rimasto con i suoi genitori e, in quel momento, sentiva di averli realmente persi.

Non era un animale domestico, ma la sua più cara amica e adesso si sentiva completamente vuoto.

Abbandonato.

Kaede sollevò il viso e gli leccò la punta del naso.

Sobbalzò, guardandolo scioccato. «Che... che stai facendo?!» gli chiese allarmato.

«Hn. Sei stato affidato a me, scimmia. E io non manco mai alla mia parola.»

«M-Ma che cosa....?!»

Batté le palpebre, ricordando.

Lo strano comportamento della sua gatta, il suo attaccamento a Kaede.

Come se avesse voluto mostrargli cosa fare in sua assenza.

Ma era una teoria assurda.

«Do'hao, adesso sono io il tuo Love. Dormi.»

«Kitsune, non dire scemenze! Lo sai che vuol dire?» sbraitò il rossino, sopraffatto dagli ultimi avvenimenti. «Love significa...»

«Lo so benissimo. E ora taci. Ho sonno.» mugugnò, posando la testa sulla sua spalla.

Imbarazzatissimo, Hanamichi non seppe dove posare le mani.

Cominciò col materasso, per poi allungare titubante un braccio e adagiarlo sulla schiena di Kaede.

Dopo le prime carezze incerte, sembrò abituarsi a quel contatto.

Provò quindi a sollevare la mano libera, affondandola tra i capelli scuri del compagno di squadra.

Neri.

Neri e serici.

Come quelli della sua Love.

Diventare l'eredità di una gatta.

Davvero, non lo credeva possibile.

Eppure, gli sembrò quasi palese l'intento della sua cara amica.

Love.

Kitsune era diventato il suo love.

Amore.

Non avrebbe mai funzionato.



«Kitsune? Stanno finendo i croccantini!» urlò Hanamichi, dalla cucina.

«Hn?! Di già? I tuoi gatti diventeranno obesi!» brontolò la volpe, scendendo le scale.

«Perché diventano i miei gatti, quando fanno qualcosa di fastidioso?» indagò il rossino, sedendosi sul divano.

«Perché sei un Do'hao.» fu l'ovvia risposta del compagno, che cominciò ad armeggiare col telecomando.

Stava per iniziare l'N.B.A.

Hanamichi borbottò un paio di insulti, mentre si chinava ad accarezzare la testolina del piccolo Lucky.

Piccolo, mica tanto. Pensò guardandolo con attenzione.

Aveva più di un anno.

Ormai, lui e i suoi fratellini, riuscivano a salire e scendere da qualsiasi superficie, letto compreso, tanto da essere diventato una loro proprietà.

Gli sorrise, la mente persa nel ricordo di un altro felino dalla chioma scura.

Love.

«Hn...»

Kaede posò una mano sulla sua guancia. Con il pollice, spazzò via le silenziose lacrime che gli rigavano il viso.

«Sto bene, volpe.» lo rassicurò con un sorriso.

L'altro annuì, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Vivevano nella casa della zia da quasi sei mesi e, con loro sommo sconcerto, la cosa stava funzionando alla grande.

Al videotelefono, zia Miku aveva dato la sua benedizione, più che lieta nel sapere l'adorato nipote in compagnia.

Per quanto riguarda i suoi, non aspettavano altro.

Era più che certo che avessero compreso i suoi sentimenti, molto prima di lui.

Nonostante ciò, il suo Do'hao ancora soffriva per la perdita della sua amata gatta, ma Kaede trovava sempre il modo di stargli vicino e distrarlo, se necessario.

Lucky si arrampicò sul divano per poi appallottolarsi sulle gambe del rossino, mentre i fratelli giocavano sul tappeto, rincorrendo un topolino di plastica.

Kaede sorrise nel ricordare una citazione di Lillian Moore, letta alcuni mesi prima.

«Quando i verdi occhi di un gatto scrutano dentro di voi, potete essere certi che, qualunque cosa intendano dirvi, è la verità.»

Aveva ragione.

Era pienamente felice, adesso, e lo doveva alla gatta più speciale che avesse mai incontrato.

A dirla tutta, anche lui come gatto in seconda non era affatto male.

Come il suo Do'hao gli faceva spesso notare, come gli ronfava addosso lui, non lo faceva nessuno.

Hanamichi gli accarezzò la testa, guardando attentamente la partita.

Era bravo anche a fare le fusa, pensò la volpe alzando il volume della televisione.

O a leccare, sogghignò, immaginando il viso imbarazzato del suo ragazzo, se avesse osato pronunciare quell'affermazione ad alta voce.

«Kitsune? Quel tuo sorrisino è a dir poco inquietante. A che stai pensando?»

«Che sono il gatto numero uno di tutto il Giappone.» dichiarò serio, mentre il rossino scoppiava in una fragorosa risata.


I cani ci insegnano ad amare; i gatti ci insegnano a vivere. M. Malloy


FINE

   
 
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