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Autore: AthenaSkorpion    19/07/2012    7 recensioni
Ecco il momento fatidico in cui Paride scelse Afrodite, scatenando la guerra d'Ilio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dunque era così l'Olimpo? Enormi colonne svettavano toccando un cielo che cambiava continuamente colore nei più impensabili moti di cromia, illuminati da uno, due, mille Soli sostituiti subito da altrettante Lune e nuvole che emanavano luce propria sorridendo beate alle divinità che vivevano ai loro piedi. Un enorme Palazzo divino si stendeva per campi disseminati da rigagnoli cristallini, ornati da ninfee galleggianti di tutte le tonalità del rosa. Paride era letteralmente innamorato di quel posto, aveva già dimenticato il motivo per cui era lì.
All'improvviso riapparve Ermes, il dio messaggero che l'aveva convocato in nome del Padre degli Dei, e gli fece cenno di seguirlo. Su una stradina di ciottoli vermigli il dio lo condusse al banchetto, dal quale Teti e Peleo si erano già congedati per la loro prima notte di nozze. Arrivato a destinazione, Ermes soggiunse:- Sono lì, mortale, vai solo, non voglio esserci quando sceglierai.
Detto questo, disparve, lasciando Paride al suo arduo compito. La sua bellezza lo aveva tratto in trappola, costringendolo al giudizio privo di scampo davanti al quale Zeus lo aveva posto. Un pastore come lui cosa poteva saperne, nonostante la propria bellezza fosse invidiata perfino dalle divinità che lo avevano appellato? Fino a due minuti prima pasceva il suo gregge sui colli della sua terra!
Sentì le gambe tremare. Non bisognava essere intelligenti per capire che una situazione del genere non prometteva nulla di buono. Lui non era spavaldo, era un codardo un po' tonto, un uomo come tanti. Fece qualche passo in avanti e, come avesse percorso centinaia di metri, si trovò ai piedi di Zeus. L'unica cosa che il suo cervello gli impose di fare fu di gettarsi a terra in un reverente inchino, che il dio accolse leggermente seccato.
- Mortale, svolgi il tuo dovere e poi vai via. E non proferir mai parola di questo giorno, ché nessun umano possa conoscere questo sacro alloggio.
Con un gesto della mano si grattò la barga lunga e nera e con l'altra gli fece segno di alzarsi e guardare bene le tre dee che richiedevano i suoi servigi. Zeus era sì seccato, aveva lasciato a Paride il malvoluto incarico di scegliere tra la moglie divina, la figlia partorita dal suo cranio e la dea dell'amore. L'umano temeva che gli leggessero il pensiero, ma non riuscì a soffocare una sorta di risentimento verso l'apatia del Padre degli Dei, che per tutta risposta ritornò tra le mura domestiche e lo lasciò solo davanti alla sua scelta. Le dee si guardavano con odio e le Nereidi assistevano alla scena con timore e curiosità nei pressi di uno dei fiumicelli. Sul tavolo ancora apparecchiato, una mela di un oro puro e levigato, perfetto in ogni particolare, perfino nelle venature della foglia attaccata al gambo. Ganimede si ritrasse con l'otre piena di ambrosia e si rifugiò anch'esso nell'abitazione divina, provando tanta pena per Paride, che si sentì solo.
Hera, Athena e Afrodite si alzarono in piedi e si posero a pochi passi dall'umano. Paride tremò e in quel pazzo momento di terrore sembrò udire una risata alle sue spalle, una risata malefica e carica di rancore, una voce femminile che gli fece accapponare la pelle. Le tre dee si scambiarono un'occhiata.
- Mortale, mio fortunato mortale, oggi hai la possibilità, scegliendomi, di ottenere il potere massimo, mai concesso prima ad altro uomo, mai più concesso in futuro. Non rifiutare, sii acuto!-sussurrò Hera senza muovere le labbra.
- Paride, giocondo pastore di infinita bellezza, che a questa bellezza io possa aggiungere una sconfinata sapienza, ché tu possa discernere ogni pensiero umano e ogni legge di nostra madre Gea se tu mi scegliessi! Non dire di no a ciò che in futuro potrebbe salvare la tua vita!-bisbigliò Athena con un luccichio negli occhi.
Afrodite si fece avanti, con passo leggero, si avvicinò al suo orecchio con le carnose labbra rosee e infinitamente attraenti e sussurrò dolcemente:- Mio gentile Paride, la tua bellezza è pari quasi a quella degli Dei, sei giunto qui per noi e te ne sono riconoscente. Sei libero di scegliere le altre, ma sappi che ti riserverò una vita di amore che nessun uomo potrà avere, ad amarti sarà la più bella donna del mondo. Se sceglierai me, il Destino ti porterà da lei e la riconoscerai subito.
Nessuna dea sapeva delle offerte fattegli dalle altre, ma sospettavano dei tranelli e per questo erano agitate e astiose. Afrodite era la più calma.
- Scegli, mortale!-ordinò Hera. Paride toccò l'orecchio cui si era avvicinata Afrodite e ripensò agli incentivi che aveva avuto. Il potere era buona cosa, ma la sapienza poteva portare al potere. Eppure chi, se non una donna splendida, poteva dargli la felicità maggiore e la buona reputazione? Guardò bene le dee, incapace di sapere se sceglierle in base ai doni promessi o alla loro reale bellezza, perché tutte erano di una grazia che sconfinava nell'inverosimile, lancinante quasi.
Fece un piccolo inchino e proferì poche parole.
- Afrodite, sei tu la più bella.
L'urlo delle altre dee fu tale da risvegliare la Moira stessa, che nei dieci anni successivi si saziò grazie alla stupidità infinita di quel povero pastore.
 
Ho preso spunto da “Il giudizio di Paride”, di Darkblue, che mi ha gentilmente concesso l’idea. 
   
 
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