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Autore: Elly    19/07/2012    6 recensioni
Cento buoni motivi a favore della coppia Runami, riuniti in una raccolta di flash fic.
*...aveva i suoi amici, i soldi, un'avventura da vivere e un sogno da realizzare. Tutto era perfetto...o no?*
Genere: Avventura, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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…perché hanno entrambi due angeli custodi che li proteggono.

 

Ciò che Ace proprio non riusciva a spiegarsi, era perché in quel posto ci fosse sempre la nebbia. Non importava dove guardasse, tutto era avvolto da un velo umido che rendeva sfocati i contorni del paesaggio. E, altra cosa che trovava irritante, era l'abitudine di quel luogo di cambiare continuamente; in un momento eri sulla prua di una nave sconosciuta, l'istante successivo eccoti trasportato in un grande campo di girasoli, con una casa dai contorni sfocati all'orizzonte. Non sapeva esattamente da quanto tempo stesse vagando in quel limbo di nebbia ed illusioni, né era conoscenza di ciò che ci si aspettasse da lui. Durante le lunghe serate sotto coperta, quando il vento fuori ululava impazzito e il mare sciabordava violento contro la chiglia della nave, i pirati della ciurma di Barbabianca avevano l'abitudine di raccogliersi intorno ad una manciata di candele e di passare il tempo in compagnia, alternando argomenti seri e scherzosi. Ace amava quei momenti; si appollaiava sulla sedia posta nell'angolo meno illuminato e stava ad osservare, ascoltando le storie, ridendo alle battute e, ogni tanto, perdendosi nei ricordi. L'ultimo discorso che i suoi compagni avevano affrontato, poco prima che Barbanera si rivelasse la carogna che era, era stata la possibilità concreta che la signora in nero facesse loro visita.

 

"I tempi stanno cambiando, nostro padre non è più forte come un tempo ed al Governo c'è fermento. Uno di questi giorni potremmo davvero lasciarci la pelle"

 

"Non mi importa se muoio ma, per l'Abisso, voglio morire in maniera gloriosa in battaglia! Non come un pivello!"

 

"Chissà cosa c'è dopo…"

 

E la discussione su cosa ci fosse una volta esalato l'ultimo respiro prese l'avvio: alcuni, tra cui Marco, sostenevano che morire era un po' come addormentarsi, solo che al risveglio ci si sarebbe ritrovati in un campo immerso nella luce, circondati dalle anime di coloro a cui si era voluto bene. 

 

"E' un po' come tornare a casa"

 

Aveva detto, sorridendo in quel modo sghembo che Ace sapeva riservare ai ricordi che si accompagnavano ad una feroce nostalgia. Alcuni tra i suoi compagni condividevano l'opinione di Marco, ma altri erano più propensi a considerare la morte come una caduta in un baratro buio e quindi, per la miseria, meglio godersi la vita (e portami ancora altra birra!). Lui, seduto come sempre nell'angolo più buio, fu grato di non essere stato interpellato. Non si era mai veramente fatto un'idea su cosa ci fosse dopo la morte: per tutta l'infanzia l'aveva considerata una via di fuga, un modo facile per allontanarsi definitivamente da tutto l'astio, la sofferenza, l'abbandono. Sapeva troppo bene ciò che aveva alle spalle per avere paura di quello che lo avrebbe aspettato se fosse morto. Ogni tanto, quando il dolore era semplicemente troppo, Ace si era ritrovato a pensare alla morte come un'amica a cui chiedere aiuto, una possibilità concreta per fuggire da un mondo che gli andava troppo stretto e che non era pronto ad accoglierlo. Diverse notti, da bambino, si era alzato dal suo letto e aveva guardato verso il ripostiglio dove Dadan teneva le sue armi. Sarebbe stato disperatamente semplice rubarne una e porre fine a tutto quanto, ma qualcosa lo aveva sempre trattenuto. Poi, un giorno umido da star male, era arrivato Rufy con i suoi sette anni di sogni e speranze, e quei pensieri si erano diradati fino a scomparire.  Ripensando a suo fratello, Ace venne preso da una nostalgia feroce; frammenti dello scontro che aveva posto fine alla sua vita (proprio quando aveva capito quanto desiderasse vivere) gli si affacciarono alla soglia della mente, costringendolo a prendersi la testa tra le mani, mentre il grido di suo fratello gli esplodeva nelle orecchie.

 

"Me l'hai promesso, Ace! Avevi detto che non saresti morto"

 

Sì, glielo aveva promesso, molto tempo prima. Gli aveva detto, con un misto di stizza e determinazione, che non sarebbe morto, perché non avrebbe mai potuto lasciare da solo un fratellino tanto pasticcione. Durante la battaglia, però, quando Akainu si era lanciato verso Rufy deciso a porre fine alla sua vita, Ace non aveva pensato a quella promessa infantile, né alle conseguenze, al dolore, a come l'avrebbero presa i suoi compagni o suo padre. Porsi a scudo del fratello era stato un gesto naturale e spontaneo quanto respirare perché Rufy era stato, fin dal giorno del brindisi, la sua ragione di vita; come poteva permettere che qualcuno gliela portasse via? E ora, dopo tutto il sangue, le lacrime, le sensazioni che si facevano via via più ovattate, Ace si trovava in un luogo che non aveva niente a che fare con le descrizioni dei suoi compagni. Circondato dalla nebbia, vagava preda dei ricordi e dei rimpianti, chiedendosi quando sarebbe finalmente arrivata l'ora della pace. 

 

Sono tanto dannato da non meritare sollievo neanche con la morte?

 

Si domandò, mentre la nebbia si alzava e i contorni del paesaggio cominciavano nuovamente a cambiare. Avrebbe voluto più di qualsiasi altra cosa riuscire a sapere qualcosa del mondo che aveva lasciato, sapere cosa stava facendo Rufy, se stava bene. I ricordi felici della sua vita passata gli scivolavano via dalle dita come sabbia, nonostante cercasse disperatamente di trattenerli, in compenso poteva ripercorrere la propria morte istante per istante, un fotogramma dopo l'altro, e quello su cui si soffermava più spesso era l'espressione di Rufy, il suo dolore così vibrante e palpabile. Non gli avrebbe mai chiesto scusa abbastanza.

 

Perdonami se ti ho fatto soffrire, Rufy; sono stato così vigliacco da preferire la morte all'idea di perderti. 

 

La nebbia tornò a calare e permise ad Ace di vedere il luogo in cui si trovava: una collina che non aveva mai visto, affacciata sul mare, e un campo di mandarini a perdita d'occhio. I piccoli frutti arancioni si stagliavano tra le foglie scure delle piante e il loro profumo per un attimo stordì Ace, che rimase incantato ad osservare la distesa verde ed arancio. Il luogo sembrava più colorato, più vivo rispetto agli altri in cui si era trovato precedentemente. 
Il ragazzo si avvicinò ad una pianta carica di frutti dal profumo inconfondibile, e ne prese in mano uno. Non aveva realmente bisogno di mangiare ma, con il mandarino stretto nel pugno, sentì la bocca inumidirsi; senza darsi la pena di sbucciarlo, lo mise in bocca intero, curioso di sapere se avrebbe sentito qualcosa, come quando era ancora vivo. Non si rese conto di quanto sentisse ferocemente la mancanza di ciò che aveva lasciato finchè il succo dolce del frutto non gli esplose tra le labbra, colandogli sul mento e ricordandogli com'era essere vivo.

 

-Hai scelto quello meno maturo, si vede che non sei un grande esperto-

 

Disse una voce alle spalle del ragazzo, facendolo sobbalzare lievemente. Ace si voltò e si trovò davanti ad una donna che reggeva un grande cesto colmo di mandarini. Aveva i tratti duri di chi ne ha passate tante, ma il sorriso felice che le illuminava il volto indicava che non era arrabbiata per l'intrusione nel suo campo. Era la prima volta che Ace incontrava qualcun altro in quel luogo e ci mise un po' a riordinare i pensieri che gli si affollavano nella testa. Avrebbe voluto porre moltissime domande, e nessuna di queste comprendeva la capacità di distinguere un mandarino maturo da uno acerbo, ma si trattenne. Alla fin fine gli insegnamenti di Makino su come ci si dovesse comportare con un estraneo avevano piantato radici solide in lui. 

 

-No, non lo sono-

 

Ammise dopo un po', sforzandosi di sorridere. Fu un tentativo goffo e la donna se ne accorse. Posata a terra la grande cesta di mandarini, gli offrì un sorriso storto, un po' malandrino. Ace notò che portava abiti sgualciti, macchiati di sangue secco e se ne domandò il motivo. Inconsciamente si portò una mano al petto, dove Akainu lo aveva colpito nel tentativo di raggiungere Rufy. La pelle era intatta e pulita, come se non avesse mai combattuto quella battaglia. La donna intercettò il suo sguardo e parve leggergli nel pensiero. 

 

-Ho scelto io di portare questi abiti. Mi ricordano il motivo per cui sono ancora qui e non ho scelto di andare oltre-

 

Oltre…? 

 

Ace abbassò il capo, chiedendosi se non fosse stato troppo impudente, ma la donna lo guardava con espressione tranquilla e questo lo spinse a dar voce ai suoi dubbi.

 

-Pensavo che fosse…diverso-

 

Questa volta la risata della donna esplose fragorosa.

 

-Lo pensano tutti! Ed è davvero diverso, te lo assicuro, ma solo quando decidi di andare avanti. Io mi chiamo Bellmere-

 

Disse, e gli tese la mano sporca di terra, che Ace si affrettò ad afferrare.

 

-Il mio nome è Ace-

 

-Sì, ragazzo, lo conosco il tuo nome. Ti stavo aspettando, in realtà-

 

Bellmere si sedette su una roccia e si accese una sigaretta, inspirando a lungo il fumo prima di parlare nuovamente. 

 

-Immagino che tu abbia un sacco di domande. Dove siamo, quanto tempo è passato e cose così. Quando sono arrivata qui ho trovato mio padre ad aspettarmi, è stato lui a spiegarmi come funzionano le cose quassù-

 

Bellmere allontanò lo sguardo dall'orizzonte per fissare Ace dritto negli occhi. 

 

-Si può scegliere di andare subito avanti, se si vuole. Oppure si può restare qui, insieme a tutti gli altri che hanno deciso di aspettare-

 

-Aspettare cosa?-

 

-Coloro che ami. Quando si va avanti ogni collegamento con la vita viene reciso: ogni rimpianto, dolore, sofferenza…ma il passaggio ti allontana da chi vuoi bene molto di più di chi sceglie di rimanere qui-

 

Ace rivolse un'occhiata al mare, il cui suono delle onde giungeva fino a lui. Era questo ciò che doveva fare? Scegliere se rimanere sospeso in quel luogo dai confini incerti o andare avanti? La voce della donna interruppe i suoi pensieri.

 

-Se scegli di aspettare non ci sarà sempre la nebbia; quando avrai trovato il tuo luogo tutto si stabilizzerà. Per alcuni versi, avrai davvero l'illusione di essere ancora sulla terra. Io sto aspettando le mie figlie-

 

Disse improvvisamente Bellmere e il suo sorriso, nel ricordare Nami e Nojiko, si addolcì.

 

-La più piccola la conosci anche tu. E' la navigatrice della ciurma di tuo fratello-

 

L'immagine di una ragazzina dai corti capelli rossi e gli atteggiamenti un po' mascolini riempì la mente di Ace, che non poté fare a meno di sorridere. Aveva passato davvero poco tempo con la ciurma del fratellino, ma aveva capito con un'occhiata che erano tutti molto affezionati a Rufy e che sarebbero sempre stati al suo fianco. Se aveva potuto andarsene con un po' più di tranquillità era perché sapeva che Rufy sarebbe stato in buone mani.

 

-E' da tanto che le aspetti?-

 

Domandò Ace, chiedendosi immediatamente se non fosse stato troppo sgarbato.

 

-Se ragioniamo in termini di tempo terrestre sì, è un bel po'. Ma qui non esiste il concetto vero e proprio di tempo. Potrei scegliere di chiudere gli occhi adesso, in questo momento, e riaprendoli tra un attimo mi troverei le mie due ragazze che mi corrono incontro, ma preferisco tenerli ben aperti e non perdermi un dettaglio delle loro vite-

 

Ace, a quelle parole, spalancò gli occhi, mentre una nuova, piccola, scintilla di speranza si riaccendeva in lui.

 

-Si può sapere ciò che succede? Si può far sentire che si è ancora…qualcosa, in qualche parte del mondo?-

 

Voleva chiedere scusa a Rufy. Voleva chiedergli scusa mille e mille volte ancora, dirgli che era fiero di lui, che non lo avrebbe mai abbandonato, che lo avrebbe aspettato in quel limbo di nebbia fino all'ultimo dei suoi giorni. 

 

-No ragazzo, lo so quello che pensi. Il tempo sulla terra per noi è finito, non potremo mai più camminare insieme ai vivi. Però possiamo seguirli da qui, questo sì, ed incoraggiarli. Loro sentiranno la nostra presenza, anche se non se ne renderanno conto. Io l'ho fatto, due volte.-

 

Bellmere voltò il viso verso il mare, con lo sguardo improvvisamente perso, alla ricerca delle parole.

 

-Ho incoraggiato mia figlia Nami ad andare avanti, a vivere la sua avventura senza rimpianti e senza mai guardarsi indietro. L'ho spinta via da casa e lei…l'ha sentito. Ha guardato dritto verso di me, stupita, ed ha sorriso. Non poteva fisicamente vedermi, ma sono sicura che sapeva che ero stata io-

 

Ad Ace sarebbe bastato. Voleva vedere il suo fratellino ancora una volta, assicurarsi che stesse bene.  

 

-Come faccio? Come posso fare, me lo puoi spiegare? -

 

Domandò Ace e Bellmere sorrise.

 

-Guarda nel suo cuore. Noi siamo qui, ma abbiamo un collegamento con coloro che sono rimasti. Viviamo nei loro ricordi, nel loro amore, nella loro nostalgia; coloro che ci amano continueranno a calpestare la terra per noi, mentre attendiamo  pazienti che concludano il loro viaggio, per poi andare avanti insieme-

 

Ace chiuse gli occhi e lasciò che l'immagine di suo fratello gli riempisse la mente.

 

Rufy, sei sempre stato più forte e coraggioso di quanto credessi. Ora hai degli amici su cui contare, ce la farai anche senza di me.

 

Improvvisamente Ace sentì il proprio battito sdoppiarsi e si ritrovò a guardare dentro l'anima di suo fratello; ne divenne il respiro, il sangue nelle vene, le lacrime che ancora gli pungevano gli angoli degli occhi. La prima sensazione che lo colpì fu la disperazione; era un sentimento sgradevole, pesante come un macigno, e rendeva ogni respiro una battaglia da cui era difficile uscire vincitori.  Alla disperazione seguirono l'amarezza ed il rimpianto e per ultima arrivò la tristezza e poi, all'improvviso, Ace si ritrovò proiettato alle spalle del fratello e finalmente lo vide, in piedi davanti a sé, intento a scrutare il cappello di paglia che tanto amava, con stretta in mano una vivrecard che Ace non sapeva a chi appartenesse. Ace lo guardò a lungo, desideroso di riempirsi gli occhi di lui, lui che stava bene, che era sopravvissuto nonostante tutto. Avrebbe voluto dirgli tantissime cose, ma sapeva che non ce ne sarebbe stato il tempo, né la possibilità. Si limitò, perciò, ad un unico gesto, sperando che gli arrivasse, sperando che Rufy capisse. Senza perdere ulteriormente tempo in pensieri, Ace allungò una mano e toccò la schiena del fratellino, sentendone il tepore della pelle contro il palmo.

 

"Grazie di avermi voluto bene"

 

"Ace, me l'hai promesso, ricordi?"

 

"ACEEE!!"

 

Sapeva che sarebbe stata la prime ed ultima volta. In qualche strano modo, era consapevole che da quel momento in poi si sarebbe seduto in un qualche angolo sperduto di mondo e l'avrebbe aspettato, restando muto spettatore della sua vita. Ma andava bene così, quell'unico momento valeva tutta l'attesa a venire. Senza rimpianti, Ace diede una leggera spinta a Rufy, che incespicò di qualche passo e si guardò indietro, stupito. Poi, nella luce nascente del mattino, tra il pulviscolo dorato che volteggiava nell'aria, accadde. Ace non seppe come, ma si rese conto che Rufy lo stava guardando dritto negli occhi e che, in qualche modo, lo vedeva. E il suo volto triste si aprì in un sorriso, quello allegro, spensierato ed un po' ingenuo, che Ace sapeva essere riservato solo a lui. 

 

Non mollerò, anche se è sempre più difficile.

 

Questo sembrava volergli dire suo fratello ed Ace, guardandolo, sentì montare in lui un'onda di feroce orgoglio. Poteva aspettarlo tranquillo, ora.  

 

Rufy battè più volte le palpebre, osservando il cono di luce in cui era certo di aver intravisto suo fratello; gli mancava enormemente e ogni giorno sentiva il peso della sua assenza, perciò non sarebbe stato strano credere di vederlo in ogni gioco di luce o sentirlo in ogni sibilio del vento, ma qualcosa in fondo al cuore lo rendeva sicuro che l'ombra dietro di lui fosse proprio Ace. E quella mano sulla schiena…

 

Mi manchi, fratellone.

 

***

 

Quando Ace riaprì gli occhi, non si stupì di vedere Bellmere che lo aspettava, intenta a sbucciarsi un mandarino. Il ragazzo aveva nel petto un mare di emozioni contrastanti, ma ciò che lo stupì maggiormente fu l'assoluta mancanza del rimpianto che lo aveva attanagliato fino all'istante prima di rivedere suo fratello. La donna gli si avvicinò guardandolo dritto negli occhi; Ace fu sul punto di ringraziarla per averlo aiutato, ma lei lo precedette.

 

-Grazie, Ace, per quello che tuo fratello ha fatto per mia figlia. Ho avuto paura che fosse destinata a vivere nell'infelicità e nel rancore, ma lui l'ha salvata da Arlong e da se stessa. Ora non mi resta che sperare che lei possa fare lo stesso con tuo fratello-

 

A quelle parole, Ace sorrise. Prese un altro mandarino dalla cesta e cominciò a sbucciarlo lentamente, riflettendo. Dalla prima volta che aveva incontrato la ciurma di Rufy aveva capito che c'era un legame unico che teneva uniti i membri dell'equipaggio, ma che tra Rufy e la navigatrice ci fosse qualcosa di più era abbastanza palese. Il suo stupido fratellino poteva non essersene reso conto, ma ogni volta che guardava quella ragazza gli si illuminavano gli occhi. Improvvisamente si volse verso Bellmere. 

 

-E' per questo che mi hai riconosciuto ed aiutato? Perché siamo, come dire, i due angeli custodi di due ragazzi legati dal destino?-

 

Bellmere sorrise, trattenendo l'ennesima sigaretta tra le labbra.

 

-Perchè siamo i punti di riferimento di due ragazzi che sono diventati l'uno la forza dell'altra. Ce la faranno, insieme-

 

***

 

-Rufy…?-

 

Nami si avvicinò lentamente al capitano che, seduto sulla polena, osservava il cielo con sguardo assorto.

 

-Mmm?-

 

Rispose Rufy, senza voltarsi. Nami si appoggiò al parapetto e si mise anche lei ad osservare la volta celeste, mentre un vento gelido le scompigliava i lunghi capelli rossi. 

 

-Sono quasi le undici e mezza, a breve cominceremo i festeggiamenti. Sanji è già pronto con le bottiglie ed alla fine le tue lamentele lo hanno convinto  a preparare uno spuntino extra-

 

Disse la ragazza in tono leggero, sorridendo. Rufy si voltò verso di lei, ma Nami non poté coglierne lo sguardo a causa dell'ombra proiettata dall'inseparabile cappello.  Tra loro ci fu un momento di silenzio, poi Rufy affermò, con voce incerta:

 

-Tra meno di due ore sarà il compleanno di Ace-

 

Nami rimase interdetta ad osservare iol capitano; era la prima volta che Rufy affrontava l'argomento Ace, che era diventato un argomento tabù tra la ciurma. Rufy non aveva mai voluto raccontare ciò che era successo quel maledetto giorno a Marine Ford e loro avevano deciso di non domandarglielo, per evitare di riaprire ferite faticosamente cicatrizzate. 

 

-Rufy…-

 

Cominciò Nami lentamente, ma non terminò la frase che si ritrovò stretta in un abbraccio, con la testa di Rufy affondata tra il collo e la clavicola. Incerta sul da farsi, la navigatrice circondò Rufy con le braccia e lo tenne stretto a sé, in silenzio, cercando di trasmettergli tutto l'affetto e la rassicurazione di cui era capace. 

 

-Sai, prima di ricongiungerci c'è stato un momento in cui mi è sembrato di vederlo. Ho sentito la sua mano sulla schiena-

 

Spiegò Rufy con voce improvvisamente infantile, cercando di rendere Nami partecipe di quel momento. La navigatrice, a quelle parole, si irrigidì; lei aveva già vissuto una situazione simile quindi sapeva benissimo ciò che stava cercando di spiegarle Rufy; la sensazione di essere osservati e poi quella leggera pressione sulla schiena che sbilancia in avanti, verso il futuro. Bellmere le mancava ancora moltissimo, ogni singolo giorno, ma la disperazione si era piano piano trasformata in una malinconia leggera, accompagnata dalla certezza che lei sarebbe stata sempre al fianco suo e di Nojiko.

 

-Era lui, Rufy-

 

Disse Nami con voce sicura, allontanando da sé il capitano e guardandolo dritto negli occhi. Lui ricambiò lo sguardo e sorrise, annuendo. Rimasero qualche secondo in silenzio a guardarsi, poi Rufy esclamò, registrando solo in quel momento ciò che la sua navigatrice gli aveva detto quando era arrivata sul ponte:

 

-Ma davvero Sanji mi ha preparato uno spuntino extra?-

 

Da qualche parte, in un luogo lontano, Ace rideva.

 

NDA

Allora: vi avevo mai detto che non avrei più continuato? ù_ù Ovviamente no, anche se il periodo di silenzio che c'è stato può avervi indotti a pensarlo. Vi annuncio che la raccolta continuerà, perché se si intitola "Cento buoni motivi" c'è un motivo! Il ritardo è imputato a tante cause, tra cui: 

 

-temporaneo allontanamento da One Piece a causa della completa delusione che si è rivelata la saga degli uomini pesce;

-la mia laurea (ce l'ho fattaaaa :D);

-la convivenza (ebbene sì :D);

 

Ho la bruttissima sensazione di essere tremendamente arrugginita nello scrivere, vi basti sapere che questa one shot l'ho riscritta e corretta qualcosa tipo sei volte. E ancora non sono soddisfatta. Volevo rendere al meglio la similitudine che ho trovato tra la storia di Nami e Rufy: se conoscete la sigla "We fight together" saprete che c'è una scena super commovente in cui Ace appare dietro al fratello e lo incoraggia ad andare avanti spingendolo dolcemente sulla schiena; ebbene, la stessa scena si è già presentata quando Nami, prima di lasciare definitivamente Coco village, è stata spinta fuori da casa da Bellmere. Se non sono coincidenze queste…spero di tornare presto in forma con lo scrivere! Un bacio a tutte/i!

 

ps. Non so voi, ma a me Ace continua a mancare tantissimo ç_ç

 

 

   
 
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