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Autore: Roxar    20/07/2012    5 recensioni
Maysilee Donner e la seconda Edizione della Memoria.
È una splendida giornata, ottima perfino, per mandare al martirio due bambini e due bambine.
Maysilee Donner e la sua amicizia con quella che diventerà la signora Everdeen.
«Rilassati, Mani d’Oro, mancano ancora tre ore. Tu, piuttosto, perché non sei in qualche vicolo a sbaciucchiare Mellark?»
Maysilee Donner e una speranza per chi resta.
Finché continua a cantare andrà tutto bene. Finché canta, una piccola parte di Maysilee le sarà accanto.
Questa è la storia di un'amicizia nata in un Prato e finita nel sangue.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Distretto 12, tre ore alla Mietitura.

 

I lunghi capelli biondi le scivolano sulle guance, smossi dalla brezza leggera; l’ampia gonna bianca, che reca un delicato motivo di fiori e foglie intrecciate, fruscia piano sulle sue ginocchia, senza alcun suono.

È una splendida giornata, ottima perfino, per mandare al martirio due bambini e due bambine.

Tra non meno di tre ore le grassocce dita smaltate di Kaily Boss agguanteranno quattro pezzi di carta, quattro condanne a morte.

Maysilee Donner, sedici anni, barrica i pensieri e chiude la mente, lasciando gli occhi sgranati e rivolti al cielo; ne riflettono il colore, l’incredibile lucentezza, perfino gli sbaffi di nuvole che lo sporcano. Il braccio mollemente teso nel vuoto si agita come in preda ad una sbornia, senza rigore, ciondolante; parrebbe un movimento casuale, ma Maysilee sta tracciando i contorni delle nuvole, cercando di associarne la forma ad oggetti a lei noti.

È un buon diversivo, l’aiuta non pensare all’imminente Mietitura e trascina la mente verso lidi più piatti e pacifici.

All’improvviso, però, un’ombra lunga e stretta cala sul suo viso e la sua amica Nim la fissa dall’alto, sovrastandola. Poco dopo, però, è già accomodata sull’erba, accanto a lei.

«Belle mutande, Nim» si complimenta e tira la bocca in un sorrisetto malizioso.

«Tua madre è furiosa, lo sai? È poco carino trascorrere le ultime ore prima della Mietitura in solitaria» le fa notare, ma non c’è schernimento nella sua voce. Si direbbe che Nim sia disinvolta e pragmatica come sempre – come solo essere la figlia di due farmacisti può averla plasmata – ma nei suoi occhi azzurri è presente una cupa ombra di rammarico.

«Rilassati, Mani d’Oro, mancano ancora tre ore. Tu, piuttosto, perché non sei in qualche vicolo a sbaciucchiare Mellark?»

La pelle pallida di Nim si sfuma di un rosa accesso che si spande lungo le guance e sul ponte del naso, propagandosi sin fino alle orecchie.

«Akee non è il mio ragazzo».

«No, giusto, giusto; è quell’altro, com’è che si chiama?, ah, sì, Everdeen» insinua maliziosa, sgomitando all’amica che, irritata, strappa un ciuffo d’erba e glielo soffia sul viso.

«Troy e io siamo solo in affari; lui procura le erbe medicinali e io lo pago, fine della storia» appunta infastidita.

«E dimmi, cara, lo scorti tu nel retrobottega per stivare la merce?»

«Maysilee!» grida sdegnata, scoppiando poi in una risata, strappando un momento di spontaneità dalla cappa di disperazione che grava su di loro e sull’intero distretto.

Se ne restano poi in silenzio, i palmi affondati nell’erba tenera e i nasi all’insù.

«Nim, sento che oggi pescheranno il mio nome».

Nim volta fulminea la testa, così velocemente che la treccia le sferza una guancia.

«Improbabile; altre ragazze hanno molte più nomine di te. Coral, ad esempio, ne ha ben quarantotto e tu ne hai solo, quante?, trenta?»

Maysilee sorride mestamente.

«Quarantuno, Nim. Quarantuno, dannatissime nomine».

«Be’, comunque sia, non prenderanno il tuo nome».

«Supponiamo anche solo per un secondo che non lo facciano, ma se pescassero te? O mia sorella? Come potrei guardarvi andare incontro alla morte?»

Maysilee ha la disarmante capacità di parlare con estrema scioltezza di argomenti duri e delicati come la morte. Nim, per questo, può solo invidiarla.

«Maysilee, piantala,» sbotta Nim, tirandosi in piedi e afferrandola dalla collottola per far alzare anche lei, «nessuna di noi parteciperà a questi Giochi, hai capito?»

«Nim?»

«Cosa?»

«Sul mio vestito pensavo di appuntare quella spilla che abbiamo fatto insieme da piccole, quella della Ghiandaia Imitatrice, te la ricordi?»

Nim pare ammorbidirsi e i suoi occhi azzurri brillano pericolosamente.

«Certo, May. Ne facemmo due, una per ciascuno» e tira fuori dalla tasca una piccola spilla argentata, che reca l’incisione di una femmina di Mimo racchiusa in un triangolo.

«Sapevo che l’avresti portata» mormora dolcemente prima di afferrare la mano dell’amica, abbandonando quel fazzoletto di terra verde e fiorita che sa bene non rivedrà mai più.

 

 

Piazza del Distretto 12, pochi minuti alla Mietitura.

 

Rilassati. Stai calma. Il tuo è solo uno sciocco presentimento, Nim ha ragione: tante altre ragazze hanno più nomine di te. Rilassati. Rilassati...

Maysilee cerca disperatamente di isolare il proprio udito, chiudendo fuori il brusio rumoreggiante della folla che la circonda. Ma i commenti e i singhiozzi di piccole ragazzine impaurite sono troppo dolorosi per poter essere ignorati. Così come la mano tremante di sua sorella stretta nella sua.

Sfiora distrattamente la spilla appuntata al bavero del bel vestito verde menta e Nim, al suo fianco, si mostra fredda e impassibile. Maysilee la invidia, per questo.
Cresciuta tra malati e moribondi, Nim ha imparato presto a celare ogni emozione, puntando al conforto di chi le moriva accanto. Solo quando era sufficientemente lontana dalla farmacia si permetteva di sfogare la propria isteria, soffocando le urla contro la manica appallottolata della sua giacca.

Istintivamente tende la mano libera e le stringe le dita; sono calde e sudate, tradiscono tutto ciò che il suo viso sta opportunamente celando.

Maysilee schiude le labbra, ma tutte le sue rassicurazioni restano mute quando una scarica elettrostatica segnala che il microfono di Kaily Boss è stato aperto.

Che la Mietitura sta per iniziare.

Il Sindaco prende posto su una piccola piattaforma appositamente allestita e piazza il suo discorso stampato su un leggio. Inizia a raccontare di quanto sia importante questa cinquantesima edizione degli Hunger Games, anche nota come Edizione della Memoria; di come due giovani ragazzi e due giovani ragazze verranno estratte a sorte per portare gloria e fama al Distretto 12; di come le ribellioni non vadano incoraggiate ma, al contrario, soppresse e soprattutto di quanta morte e sofferenza sono capaci, rendendo noto l’imperituro obiettivo dei Giochi: ricordare la rivolta del distretti che culminò nei Giorni Bui, ricordare le ingenti perdite, ricordare che Capitol City può schiacciare i distretti come vermi.

Maysilee smette di ascoltare il sindaco e solleva la testa al cielo: è ancora limpido, ancora lucido, ancora così azzurro da non trovare contrasto nel riflesso dei suoi occhi.

In quel preciso istante, una frotta di Ghiandaie Imitatrici plana sulle loro teste; l’attimo dopo, Kaily sta pronunciando a voce alta e chiara il nome del primo Tributo femmina, il nome di Maysilee Donner.

È l’abbraccio quasi violento di Nim a trascinarla indietro e scaraventarla nella raccapricciante realtà che è adesso la sua vita. O la futura morte.

Sente il proprio collo bagnarsi, intingersi delle lacrime della sua amica e di sua sorella, entrambe premute contro di lei.

Maysilee, al contrario, è curiosamente apatica a ciò che le sta succedendo, alla folla che applaude mestamente, a Kaily che le ordina languidamente di salire sul palco.

È con un sorriso stralunato e confuso che si separa da Nim e sua sorella, è a passo lento e strascicato – quasi ubriaco – che raggiunge il palco.

È quando le osserva dall’alto che avverte come un colpo secco e sordo contro le costole.

Poi, realizza.

 

 

Distretto 12, Palazzo di Giustizia.

 

Nim non si premura nemmeno di chiudersi la porta alle spalle. Corre a rotta di collo verso Maysilee, tenendola stretta.

Ha gli occhi rossi e gonfi, ma non piange più; Maysilee può solo esserle infinitamente grata.

«Nim, Nim, ascoltami» sussurra piano, senza trovare la forza di staccarsi da lei, godendosi quello che sa essere il suo ultimo abbraccio.

Maysilee ha sempre avuto un'invidiabile perspicacia e intuizione, sente che non tornerà a casa. Non viva, almeno.

«Prenditi cura della mia famiglia, bada a mia sorella».

«Lo farò» giura prontamente e la stringe più forte.

Vorrebbe dirle così tante altre cose, strapparle altre promesse, ma la voce viene a mancarle e si crogiola in un disperato silenzio. Chiude gli occhi e le sembra che siano passati appena una manciata di minuti quando i Pacificatori bussano alla porta, comunicandole che è ora di partire.

«Nim, nonostante tifi per lui, Mellark non è quello giusto per te; spero che Everdeen sappia renderti felice. In caso contrario, il mio spirito lo perseguiterà finché vive».

Nim trova il coraggio, la forza, di piegare le labbra in un sorriso tremulo.

«Cerca di vincere, May».

«Buona fortuna per l’avvenire, Nim. Ti voglio bene».

Distretto 12, nove giorni dopo la conclusione degli Hunger Games.

Le erbe nel mortaio sono ridotte ad una polvere verde foglia, finissima, che emana un vago sentore di clorofilla. Il pestello, sebbene non ve ne sia più alcuna necessità, continua a premere contro la poltiglia, immediatamente prima che la ciotola venga scaraventata contro la parete opposta, frantumandosi.

Le lacrime ne hanno guastato il contenuto, Nim dovrà riprodurre la mistura ancora una volta.

Pensava che incanalare tutte le proprie emozioni nel lavoro potesse aiutarla se non a dimenticare, almeno a respirare; invece, il ricordo di Maysilee è pressante, violento, ritmico, come quel pestello macchiato di verde che ancora stringe tra le dita.

In un atto di preservazione personale, Nim prese la decisione di non guardare nemmeno per un minuto quell’orrenda edizione degli Hunger Games; ha appreso della morte di Maysilee tramite sua madre, che è piombata in camera sua e le ha accarezzato i capelli, senza proferire una singola parola. Il dolore nei suoi occhi era sufficientemente eloquente.

Da quel giorno Nim ha deciso di barricare la mente e lasciarsi cadere in uno stato di meccanica inerzia, eseguendo le piccole azioni quotidiane come tanti input automatici inviati dal suo cervello: svegliarsi, mangiare, lavorare, andare a dormire.

Le lacrime, però, spesso l’hanno costretta a riaffiorare in superficie, demolendo le sue deboli barriere. Ha tenuto il ritmo del proprio, intimo dolore per qualche giorno, poi se ne è sentita soffocare. L’unico modo per non cedere era concentrare tutte le energie in qualcosa di diverso, di alternativo, di impegnativo. Ha iniziato a trascorrere molte ore nella farmacia dei suoi genitori, ha imparato a preparare intrugli laboriosi e complicatissimi, ha letto svariati libri sulla composizione di medicine, unguenti e infusi, ha perfino appreso le prime manovre di rianimazione da applicare su un cuore fermo. Curiosamente, anche la sua vita sentimentale l’ha tenuta impegnata. Ha accettato di buon grado la compagnia di Akee, ha stretto amicizia con il cacciatore, Troy Everdeen, mentre barattava cibo in cambio di cure mediche.

Rapportarsi con Troy è stato più difficile; ricorda ancora quando, nel Palazzo di Giustizia, Maysilee le disse che lui era quello giusto per lei. Ha cercato dapprima di incoraggiare questa previsione, ma dopo pochi scambi di battute ha convenuto con se stessa che non doveva provare a Maysilee d’aver avuto ragione; Troy è davvero quello giusto per lei.

Lo stesso Troy che spettinato e sporco di carbone entra di soppiatto nel laboratorio, muovendosi con cautela, come Nim immagina faccia durante una battuta di caccia.

«Cosa fai?»

Con estrema lentezza, afferra un lembo del proprio grembiule e lo tampona sulle guance; non ha paura che altri possano vedere le sue lacrime, non ha paura delle proprie debolezze che, nel volere così ostinatamente non celarle, la rendono incommensurabilmente forte.

«Cercavo di preparare un’erba medicinale contro il mal di stomaco» non prova vergogna per la propria voce impastata di saliva e pianto.

No, non prova vergogna e le va bene così, purché nessuno faccia domande.

«Il muro ha il mal di stomaco?» domanda quasi dolcemente, additando con il pollice il muro alla sua destra, imbrattato. Nim non se ne rende conto subito, ma solo quando avverte le proprie labbra arcuate all’insù, in un sorriso involontario.

«Capita. Sei qui per fare affari?»

La parvenza di sorriso che era sulle labbra di Troy scivola via e i suoi occhi grigi si fanno cupi come un cielo temporalesco.

«No. È solo che... Loro vogliono vederti».

«Loro?»

«I Donner».

Lo stupore si palesa sul viso di lei, nei suoi occhi azzurri spalancati, nella bocca schiusa in un cerchio di incredulità. Poi, il panico striscia subdolo dentro di lei e il battito del cuore le riempie le orecchie, le soffoca la gola.

Non è pronta ad affrontare i volti affranti dei familiari di Maysilee, non è pronta a rimettere piede in quella casa che conosce bene almeno quanto la propria, non è pronta ad incrociare lo sguardo con vecchi oggetti appartenuti a lei.

Per questo non crede a se stessa quando si sente pronunciare con voce chiara e ferma: «D’accordo».

Prato del Distretto 12, due mesi dopo la conclusione degli Hunger Games.

Il canarino ruota ritmicamente la testa, assecondando i versi melodici del proprio cinguettio.

Poi si interrompe, fissando intensamente i due ragazzi distesi tra l’erba e tra i fiori.

Nim volta la testa.

«Canta ancora» sussurra piano; ci sono cose che non vuole render note, ci sono cose che necessitano di essere dette a mezza voce.

Ci sono persone buone e laboriose come Troy che hanno il diritto di godere di ogni piccolo momento di pace e sonno.

Il canarino, intelligente come chi lo possedeva, riprende a cinguettare piano, replicando ai richiami lontani degli uccelli nel bosco, oltre la recinzione ronzante.

Nim non ha ancora dato un nome all’animale e forse non lo farà mai. Quel piccolo uccello giallo come il sole è l’unica prova vivente che attesta la sua profonda amicizia con Maysilee. Talvolta si è sorpresa a fissarlo e ha quasi avuto la sensazione di scorgere la stessa Maysilee in quegli occhi così scuri ma così espressivi.

I suoi genitori glielo hanno regalato dieci giorni dopo la conclusione dei Giochi, sostenendo che dovevano adempiere ad uno degli ultimi desideri della loro ragazza.

Quella stessa sera, piegata sulla gabbia, Nim ha pianto ogni lacrima che ha ricacciato indietro per tutto quel tempo; perfino il canarino appariva mesto, sconsolato. Poi ha deciso che l’avrebbe tenuto con sé, l’avrebbe curato con le stesse amorevoli cure che era solita impiegare la sua amica, che avrebbe preservato quel piccolo, giallo dono di Maysilee.

Nim è convinta che dietro quel regalo ci sia stato un messaggio ben preciso. Nel loro distretto quegli uccelli vengono impiegati nelle miniere; cantano ininterrottamente per tutto il tempo e solo quando si zittiscono anticipano la catastrofe.

È questo il senso di quel piccolo animale rinchiuso in gabbia: finché continua a cantare andrà tutto bene. Finché canta, una piccola parte di Maysilee le sarà accanto.

Nim non ha colto immediatamente il significato di quel regalo cinguettante; l’ha capito dopo molti giorni, quando l’animale fischiava forte mentre lei piangeva, in una sorta di rumorosa rassicurazione.

Finché canta, andrà tutto bene.

Troy si agita al suo fianco; il respiro si fa veloce e superficiale, precedendo le palpebre che si sollevano e che rivelano i suoi occhi grigi ottenebrati dagli strascichi del sonno.

Sorride pigramente e le bacia la guancia, tenendola stretta in vita; Nim chiude gli occhi e respira piano.

Il canarino, al loro fianco, cinguetta piano.

Andrà tutto bene.

   
 
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