Crossover
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Autore: Registe    21/07/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 7 - Profumi del passato


Marluxia

Marluxia




La spiaggia era esattamente come Zexion la ricordava.
La sabbia bianca, finissima, di quel tipo che ti penetra fin nei pori della pelle ci vogliono almeno due lavaggi per mandarla via. La riva costellata di alghe, conchiglie e gusci di granchi, qualche medusa morta trasportata pigramente dalla corrente e lasciata al sole a essiccare. Il blu-grigio delle onde che si stendeva ininterrotto fino all'orizzonte, l'odore penetrante del sale, le strida dei gabbiani.
Era in quel luogo senza nome che Zexion aveva visto il mare per la prima volta, tanti anni prima.
“Siamo nel posto giusto?”
Zam Wesell scrutava i dintorni con aria guardinga, ma Zexion sapeva grazie all'olfatto che lì in giro non c'era nessuno. Quel posto era lontano dai centri abitati; quando era bambino vi aveva trascorso innumerevoli pomeriggi a giocare con la sabbia e sguazzare tra le onde, mentre lui leggeva un libro all'ombra dei pini che facevano da contorno alla piccola spiaggia.
Ma non era quello il momento di lasciarsi trascinare dai ricordi.
“Siamo nel mio mondo. Mi dia un po' di tempo per concentrarmi e cercare il palazzo del Grande Satana. E' una reggia volante che si sposta di continuo, forse dovremo fare anche noi un po' di salti a caso prima di trovarlo.”
“Fa' quello che devi. Siamo qui per questo.”
Accertatasi che non c'erano pericoli Zam si appoggiò al tronco di un pino e attese in silenzio. Accanto a lei, Kaspar stava imbambolato con il suo solito sguardo vacuo e assente. Non si sarebbe mosso di lì finché qualcuno non glielo avesse ordinato.
Il fatto che l'Imperatore avesse mandato Zam e Kaspar, i più potenti di tutto l'Impero in campo magico, la diceva lunga su quanto tenesse a quella missione. Zexion li accompagnava per due semplici motivi: perché era l'unico in grado di teletrasportarsi in quel mondo (le Pietre della Sapienza permettevano di raggiungere solamente luoghi già conosciuti), e perché con il suo potere avrebbe individuato facilmente il palazzo del signore dei demoni. Tutto il resto (sfondare, liberare Mistobaan ed eventualmente e se avanzava tempo anche Zachar, fuggire ed annientare eventuali ostacoli sul percorso) era di competenza dei due grossi calibri. Un notevole sollievo per Zexion, che da quando era schiavo dell'Impero aveva sempre detestato con tutto il cuore le missioni sul campo.
Eppure non riusciva a sentirsi tranquillo. Zam poteva anche essere capace di trasformarsi in un drago, ma il Grande Satana di draghi nel suo esercito ne aveva almeno un migliaio. Draghi veri, al comando della creatura più potente e terribile che il suo mondo avesse mai conosciuto: il generale Baran, il Cavaliere del Drago.
Non che all'Imperatore tutto ciò interessasse. “Tornate indietro senza Mistobaan” li aveva avvertiti dall'alto del trono sulla Morte Nera “e giuro che rimpiangerete di non essere stati abbrustoliti dal soffio di un drago.”
Zexion rimase concentrato per diversi minuti nel tentativo di dipanare la massa di odori che permeavano l'aria intorno a lui, ma ben presto fu chiaro che ciò che cercava non si trovava nelle vicinanze. Un concentrato di magia pura come il Baan Palace avrebbe spiccato su qualsiasi altro odore, intenso e asfissiante quasi come la frenesia di Coruscant.
“Come temevo, dobbiamo spostarci” disse infine.
Zam si limitò ad annuire e trasse dalla tasca le Pietre della Sapienza, mentre con l'altra mano tirava Kaspar a sé afferrandolo per un braccio.
“A te.”
Zexion toccò le pietre sul palmo della donna e si concentrò sulla destinazione successiva, un altro luogo di quel pianeta che aveva conosciuto quando era bambino.
Un istante dopo sulla spiaggia non c'era più nessuno.


La piazza era silenziosa malgrado la folla assiepata sotto il patibolo. La gente teneva la testa bassa, evitando soprattutto di incrociare lo sguardo dei demoni o di attirare la loro attenzione. I loro volti erano scuri, le bocche serrate in linee di disapprovazione, gli occhi pieni di paura e rassegnazione. Il silenzio era così assoluto che Marluxia riusciva a sentire ogni minimo scricchiolio della piattaforma di legno sotto i suoi piedi.
Era uno spettacolo quasi surreale, inaudito. Marluxia ricordava bene le esecuzioni dei criminali prima dell'avvento della famiglia demoniaca: c'era poca differenza tra quelle e le sagre di paese. La gente si accalcava sotto al patibolo per accaparrarsi un posto in prima fila, c'era chi si arrampicava sui tetti e sui balconi circostanti per avere una visuale migliore, e in mezzo alla folla spettegolante e colorata venditori ambulanti offrivano caldarroste, mele candite e spiedini alla brace. Le occasioni più attese erano i roghi dei miscredenti (che in teoria erano vietati dal Tempio delle Dodici Case, ma nei luoghi più lontani c'era sempre qualche sacerdote minore che si faceva prendere dalla smania di purificare il mondo dal peccato con mezzi non ortodossi, e il popolino lo seguiva volentieri), perché si poteva scommettere su quanto tempo il condannato avrebbe resistito prima di urlare e quanti minuti ci avrebbe messo a morire. Poi generalmente i vincitori delle scommesse offrivano un giro a tutti in taverna e tutto finiva in una colossale ubriacata di gruppo.
Quel giorno non era un rogo ad attendere Marluxia, ma un banale cappio, la morte dei ladri e dei criminali da due soldi. Un tempo, in onore al suo rango, gli avrebbero concesso la decapitazione, ma le sue terre e i suoi castelli erano perduti ormai da molto tempo, e dopo l'avvento dei dominatori demoni nessuno ricordava più il nome del nobile casato dei Dayel. Meno che mai i demoni, per cui tutti gli umani senza distinzione erano criminali da due soldi, feccia del mondo.
Un araldo dalle orecchie a punta si fece avanti sulla piattaforma, sovrastando la folla.“Sudditi del Grande Satana! Siete stati radunati qui per assistere all'esecuzione di un traditore, colpevole di aver complottato contro la famiglia demoniaca e Sua Eccellenza il Grande Satana in persona. Un progetto folle, presuntuoso e irrealizzabile, per cui ora questo umano sconterà davanti a tutti la giusta punizione. Che la sua misera fine serva a tutti voi come monito e lezione per il futuro...”
Mentre la tiritera andava avanti Marluxia provò per l'ennesima volta a disfarsi dei legacci che gli bloccavano i polsi. All'apparenza erano semplici corde di canapa, ma i suoi carcerieri dovevano aver imposto su di esse qualche incantesimo protettivo, perché erano pesanti e inamovibili come catene. Se non fosse riuscito a liberare le mani non avrebbe potuto usare la magia.
Non aveva speranza comunque, di questo si rendeva conto. Forse con i poteri del Castello dell'Oblio sarebbe riuscito a sopraffare i dieci demoni a guardia del patibolo e della piazza, ma così... Ma non voleva morire col cappio al collo come un pezzente qualsiasi. Meglio andarsene combattendo, mostrare a quei luridi demoni che fino alla fine il principe Marluxia si era rifiutato di inchinarsi a loro. Negli ultimi tre anni aveva calpestato la sua dignità in modi che non avrebbe mai ritenuto possibili: insieme ad Axel e Larxen aveva rubato per sopravvivere, dormito sotto i ponti e all'addiaccio, patito le ingiurie del freddo, della fame, della miseria. Non avrebbe sopportato anche quest'ultimo affronto.
Terminato il discorsetto l'araldo fece un cenno a due dei suoi compagni, che presero Marluxia per le braccia e lo trascinarono lentamente ma inesorabilmente verso il cappio sospeso al centro della piattaforma.
Il numero XI deglutì. Il momento era giunto. Fece appello a ogni goccia di magia nel suo sangue per contrastare quella delle corde che lo imprigionavano, disperatamente, mentre il cuore gli martellava all'impazzata nel petto e il cappio si faceva sempre più vicino. Uno dei due demoni lo immobilizzò mentre l'altro gli assicurava la corda al collo; un terzo, poco distante, era pronto a tirare la fune che lo avrebbe issato da terra per lasciarlo soffocare. Era un tipo di impiccagione più crudele di quella in cui ti lasciavano cadere dall'alto o ti levavano di colpo lo sgabello da sotto i piedi: invece di romperti subito l'osso del collo rimanevi a dimenarti per lunghi e orribili minuti fino a che la tua faccia non diventava viola e i tuoi polmoni agonizzavano per la mancanza d'aria. Una morte lenta e dolorosa, indegna di un principe.
L'araldo si fece nuovamente avanti e incitò la folla a inneggiare alla gloria del Grande Satana. Con la corda al collo, Marluxia li fissò con disprezzo: una mandria di pecore che non avevano la forza né il coraggio per ribellarsi a chi li opprimeva.
Io non sono come loro, pensò con rabbia, io non merito di morire come loro. Strinse i denti e attinse alla rabbia dentro di lui, lasciando che lo travolgesse. Ripensò alla sconfitta e alla fuga ingloriosa dal Castello dell'Oblio, alle umiliazioni di quei tre anni di vagabondaggi privi di scopo, alla gioia furente con cui aveva colpito Vexen e Camus nella cella, e lasciò che tutto il suo odio rinvigorisse e accrescesse la sua magia. Le parole dell'araldo e i belati della folla si persero nel rombo sordo che gli faceva pulsare la testa e le orecchie; intorno a lui si materializzò pian piano una cascata di petali, sempre più folti e numerosi, e finalmente percepì il vincolo magico che gli imprigionava i polsi incrinarsi lentamente.
La sua esultanza interiore durò appena un istante: l'araldo aveva finito di arringare la folla. Marluxia sentì il cuore ghiacciarglisi nel petto quando lo vide fare un segnale al demone addetto alla fune.
NO! Mi serve solo un attimo, solo un...
Aprì la bocca per gridare, ma la corda strozzò le sue parole. Sentì i piedi sollevarsi dal terreno e i polmoni contrarsi disperatamente alla ricerca di aria, mentre il cappio gli segava la pelle del collo e gli serrava la gola come una morsa d'acciaio. Oltre il velo di lacrime che gli appannava gli occhi vide l'araldo sorridergli con crudeltà, e capì che aveva percepito subito il suo patetico tentativo di fuga. Annaspò, si contorse e dimenò le gambe mentre sentiva la testa esplodere per il dolore e i pensieri confondersi in un vortice caotico di paura e dolore...
I petali sulla piattaforma appassirono e si ridussero in cenere.
Era finita.
Poi un grido, una luce accecante. Sentì l'araldo abbaiare degli ordini, il tono sorpreso e furente. Per un attimo il suo corpo fu avvolto da una sensazione di calore; sentì la corda sopra la sua testa assottigliarsi e incenerirsi e subito dopo cadde giù, atterrando in ginocchio sulla piattaforma. L'aria tornò di colpo a inondargli i polmoni straziati, pura e meravigliosa come acqua fresca per un viandante del deserto. Tossì e si portò le mani al collo, massaggiandosi la pelle lacerata. Non sapeva come, ma le corde ai polsi erano sparite.
Intorno a lui regnava il caos. La piazza si stava svuotando, la gente correva urlando in tutte le direzioni, calpestandosi a vicenda e rovesciando i banchetti dei venditori, disperdendosi nelle vie circostanti. Incantesimi volavano da una parte e dall'altra, e Marluxia vide uno dei dieci demoni atterrare a pochi passi da lui, stordito e con le vesti semi carbonizzate.
Un solo avversario stava tenendo testa a tutti loro. Il numero XI lo fissò a bocca aperta. Il suo misterioso soccorritore aveva il volto celato dal cappuccio di un lungo mantello marrone che doveva aver visto giorni migliori, ma le sue mani brillavano di una luce calda e accecante, il bagliore intenso della magia. La sua aura sembrava piuttosto potente.
“Mostra il tuo volto, vigliacco!” gridò un demone facendo partire una Palla di Fuoco che si infranse senza successo contro lo scudo luminoso attorno al corpo dell'incappucciato. “Sei della Resistenza?! Chi ti ha mandato?!”
L'uomo misterioso non rispose. I demoni avevano il vantaggio del numero, ma Marluxia notò che nessuno di loro cercava di girare attorno all'avversario per colpirlo alle spalle.
Il loro senso dell'onore li porterà alla tomba, pensò con disprezzo. Con estrema lentezza, cercando quanto più possibile di ignorare il dolore lancinante al collo, posò i palmi delle mani a terra e chiamò la sua magia.
Sotto le assi di legno della piattaforma e il lastricato sconnesso della piazza c'era il suolo, la terra ricca e grassa da cui radici, piane e fiori traevano il loro sostentamento. I suoi poteri erano più forti se usati in un ambiente ad essi favorevole, e Marluxia li usò per generare semi di magia che si infiltrarono tra le zolle di terreno e iniziarono a germogliare silenziosamente ma con rapidità devastante.
Nel frattempo i demoni avevano stretto l'incappucciato contro il muro di una casa, e lo circondavano come falchi predatori.
“E' finita, umano. Ti riconosciamo che sei coraggioso per la media della tua razza, ma non hai mai avuto speranza contro di noi. Arrenditi.”
Neanche allora l'incappucciato parlò. Invece fece una cosa che stupì Marluxia a tal punto da fargli perdere per un attimo la concentrazione sull'incantesimo: si sedette a terra a gambe incrociate, le mani giunte come in segno di preghiera.
Questo è fuori di testa...
I demoni lo presero come un segno di resa. “Molto bene” fece quello che sembrava il capo. “Prendetelo.”
A quel punto l'uomo si sollevò in aria.
“Cosa diavolo...?”
Un turbine di luce e di vento circondò la sua figura e il cappuccio gli scivolò all'indietro, rivelando una gran massa di capelli biondi che gli circondò il volto come un'aureola sfolgorante.
Marluxia avvertì qualcosa cambiare nell'aria, una pesantezza strana che lo faceva respirare con difficoltà, come se avesse ancora il cappio legato al collo. Anche i demoni dovettero percepirlo, perché istintivamente fecero qualche passo indietro, schermandosi gli occhi dalla luce intensissima emanata dall'essere misterioso. Chiunque fosse emanava potere e autorità malgrado il mantello stracciato, e aveva in sé una calma quasi soprannaturale, mistica. Marluxia era a bocca aperta.
Assiso su un trono di luce e vento, l'uomo dai capelli biondi mosse impercettibilmente le mani e pronunciò due semplici parole:
“Tenbu Horin!”
Marluxia sentì la testa pulsargli ferocemente, attraversata da scariche di un'energia aliena, vibrazioni profonde che gli scuotevano la mente, mentre la realtà davanti ai suoi occhi fluttuava e si increspava come vista attraverso una barriera d'acqua. Era doloroso, ma nulla in confronto a quello che dovevano provare i demoni: erano caduti in ginocchio portandosi le mani alle tempie e urlavano mentre un'onda di luce li travolgeva inghiottendo la piazza, il patibolo, le strade e le case in un tripudio di bianco accecante.
Quando la luce svanì erano tutti a terra, privi di sensi, forse morti. L'uomo misterioso era di nuovo con i piedi per terra, e si rivolse nella sua direzione. Ora Marluxia riusciva a vederlo bene in volto: era giovane, doveva avere la sua età e forse anche meno, ma il suo volto era serio e austero come quello di un anziano saggio. Teneva gli occhi chiusi.
“Stai bene?” gli chiese, venendogli incontro.
Marluxia fece cenno di sì e si rimise faticosamente in piedi.
“Chi...” le parole gli morirono sulle labbra. Lo vide appena in tempo: uno dei demoni a terra, ancora cosciente, la mano tremante sollevata nell'atto di sprigionare un incantesimo.
“ATTENTO!”
Marluxia reagì d'istinto: i semi di magia che aveva piantato nel terreno finirono di sbocciare e il lastricato della piazza saltò in aria in mille schegge quando un' immensa radice spuntò dal terreno, avvolgendosi intorno al collo e alle braccia del demone. Quello urlò, ma in un modo o nell'altro riuscì ugualmente a lanciare il suo incantesimo, una nuvola verde scintillante che lo circondò da capo a piedi. Una banale magia di guarigione.
Già, loro non colpiscono alle spalle.
Marluxia non aveva intenzione di essere altrettanto cavalleresco. Strinse le mani a pugno e la radice iniziò a serrarsi attorno al collo del malcapitato.
Inaspettatamente l'uomo biondo lo prese per un braccio, interrompendo la sua concentrazione: “No, non ucciderlo!”
Troppo tardi, pensò Marluxia, ma il demone approfittò dell'attimo di distrazione. Con un urlo sprigionò dal corpo un'aura di fuoco che ridusse la radice gigante in cenere, poi evocò un altro incantesimo di guarigione sui suoi compagni. Tre di loro si rialzarono.
“Maledizione!”
Il biondo avanzò verso di loro: “Fermatevi! Non potete vincere, lo avete visto! Non spargiamo inutilmente altro sangue!”
Quelli non lo ascoltarono e caricarono i loro incantesimi, e Marluxia fece lo stesso. Li investì con una raffica di petali taglienti come rasoi, distraendoli mentre le radici spuntavano nuovamente dal suolo e li afferravano. Schivò con un salto la saetta di fulmini di uno degli avversari, e con la coda dell'occhio vide il primo demone, quello che aveva curato gli altri, che mormorava sottovoce qualche parola mentre le sue mani si illuminavano di blu. Un incantesimo di livello superiore.
La radice scattò e gli si avvinghiò intorno a un braccio. Marluxia strinse i denti e torse il polso, e il demone si mosse come una marionetta legata ai fili: la radice gli spezzò il braccio, rivoltando la mano e il suo stesso incantesimo contro il suo viso. Quando lo lasciò cadere a terra non respirava più, il volto ustionato e irriconoscibile.
Erano tre anni che Marluxia non provava una tale efferata soddisfazione.
Il biondo intanto aveva respinto con l'ennesima ondata di luce gli altri tre avversari. Il numero XI sorrise con crudeltà e fece calare le radici saettanti come altrettante fruste, infierendo senza pietà sui loro corpi straziati.
Questo è per il cappio che mi avete messo intorno al collo, bastardi!
“NO, BASTA!”
Un'onda di luce dissolse le sue radici riducendole in cenere. Il biondo ora era di fronte a lui ora, e anche se continuava a tenere gli occhi chiusi Marluxia aveva l'impressione che potesse vederlo distintamente.
Chi diavolo è questo tizio?!
“Presto ne verranno altri. Andiamocene, forza!”
Non aveva tutti i torti. Marluxia lo seguì correndo attraverso un intrico di vie e viuzze fino ai margini della piccola cittadina di cui la piazza dell'esecuzione era il centro. Non conosceva quel luogo, perciò era totalmente nelle mani del suo salvatore.
Nessuno tentò di fermarli. Pareva che tutti gli abitanti si fossero rifugiati in casa non appena era iniziato il combattimento, e vi sarebbero rimasti tremanti e spaventati fino a che i demoni non li avrebbero stanati per interrogarli sull'accaduto.
L'uomo biondo lo condusse nel folto di un bosco. Trovarono un fiumiciattolo e vi camminarono dentro per diverse miglia, in completo silenzio, l'acqua fangosa che lambiva loro le ginocchia impregnando irrimediabilmente la parte inferiore della tunica di Marluxia. I demoni avevano i loro metodi magici per rintracciare i fuggitivi, ma sempre meglio non trascurare le buone vecchie norme basilari di occultamento delle tracce.
Osarono fermarsi solo dopo alcune ore. Esausto, Marluxia si lasciò scivolare sull'erba appoggiando la schiena al tronco di un albero caduto, mentre il suo compagno si sedeva su una pietra coperta di muschio. Per qualche minuto in quell'angolo di foresta non si udì altro che il suono strascicato dei loro respiri affaticati.
La prima domanda che Marluxia fece non appena ebbe ripreso fiato fu: “Chi sei?”
“Mi chiamo Shaka” rispose l'altro, e il n. XI notò che continuava a tenere gli occhi chiusi. “Sono un sacerdote, e sto cercando la Resistenza. Puoi portarmi da loro?”
Crede che io ne faccia parte... logico, dopotutto stavo per essere giustiziato per complotti contro la famiglia demoniaca...
“E' per questo che mi hai salvato?”
Il biondo scosse la testa: “Ti ho salvato perché eri in pericolo. Troppo a lungo noi religiosi abbiamo chiuso gli occhi di fronte ai soprusi dei demoni, e abbiamo pagato a caro prezzo la nostra debolezza. Ora per quel che mi rimane da vivere desidero agire, fare la differenza.”
“Beh, per quanto riguarda me personalmente la differenza l'hai fatta eccome. Ti ringrazio.”
Stava per aggiungere che lui della Resistenza non aveva mai saputo nulla quando udirono un rumore di rami spezzati e fronde in movimento vicinissimo a loro. Marluxia scattò in piedi in un unico, elegante movimento, tutti i sensi all'erta. In mezzo alla vegetazione aveva poco da temere, e già le forze gli erano in parte tornate: con l'aiuto del misterioso Shaka poteva farcela ad affrontare un altro combattimento. Non lo avrebbero trascinato di nuovo sul patibolo.
Era pronto a fronteggiare drappelli di demoni e un manipolo di creature mostruose, ma dopo tutti quegli anni non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con i due uomini che sbucarono pochi secondi dopo dal sottobosco.


“Shaka …? Sei … sei proprio tu?”
Mu aveva paura persino di respirare, nel timore che la persona davanti a lui fosse solo un’illusione della sua mente stanca e svanisse nella luce al primo respiro. Ma il biondo non sparì. Rimase lì, in piedi davanti a lui, con i suoi occhi che sin da quando erano bambini erano rimasti chiusi e con i capelli ancora scompigliati dalla fuga e dalla battaglia. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che si erano visti? Tre, forse qualcosa in più.
Ma non poteva essere altri che lui perché l’attimo di dopo si strinsero tra le braccia con forza, con il sapore di un abbraccio che aveva quasi dimenticato con lo scorrere del tempo.
“Sì, Mu, sono io. Ma cosa ci fai qui?”
“Gli dèi hanno guidato i miei passi. Ed anche i tuoi”
“Più che di dèi io preferirei parlare di demoni” fece Auron, sbucando da dietro un gigantesco pino. Appoggiò lo spadone sulle spalle e si sistemò gli occhiali, fissando incredulo lui e Shaka ancora abbracciati; poi i suoi occhi scuri si posarono su qualcuno di cui Mu a stento si era accorto dell’esistenza “Padron Marluxia! Che sorpresa vederla … ancora vivo
Di sicuro il n. XI doveva aver visto giorni migliori. Era stanco, spettinato, ed alla vista del mercenario si era alzato in piedi a fatica; il collo aveva un colore tra il rosso ed il viola, segno che la persona che era scampata alla condanna a morte dei demoni era proprio lui. Mu ed Auron avevano raggiunto il villaggio e lo avevano trovato nel più totale scompiglio, e tra le urla delle donne in fuga avevano compreso che vi era stata una mancata impiccagione ed un mago era intervenuto. Un incantatore potente, perché stando alle loro parole aveva sconfitto da solo un drappello di demoni. Non avrebbe mai pensato di trovarsi uno dei loro vecchi aguzzini ed il suo confratello più caro faccia a faccia “Sa una cosa, padron Marluxia? Sono davvero felice che i demoni non l’abbiano appesa per il collo … PERCHE QUELLA E’ UNA SODDISFAZIONE CHE NON LASCEREI A NESSUNO!”
“Non vorrai colpire un fiore!”
“Oh, io di solito i fiori li calpesto con i miei stivali! E sappia che una volta finito con lei penserò anche ai suoi degni compari!”
Prima che Auron potesse avanzare fu Shaka a pararsi davanti a lui “Fermati! Agli dèi non è caro vedere gli umani versare il loro sangue fra loro”
“Ma io non voglio versare il suo sangue … POSSO STRANGOLARLO SENZA FAR USCIRE NEMMENO UNA GOCCIA! Fatemi solo mettergli le mani addosso e …”
Mu intervenne, non sapendo nemmeno lui perché. Anni prima il suo amico stava per uccidere un Membro dell’Organizzazione, e venendo meno a qualsiasi suo voto lo aveva lasciato fare, spinto dalla furia, dal dolore e dal desiderio di rivalsa su coloro che si erano presi gioco della sua mente. Aveva ripensato a quel gesto diverse volte, e vi aveva trovato del torto “Auron, fermati. Basta così!”
“COOOOSA? Mu, quello è il pezzo di merda che ci ha condizionati!”
“Appunto” Respirò, ma il semplice fatto che il suo confratello fosse lì accanto diede nuova forza alla sua fede “Gli dèi vogliono che noi perdoniamo coloro che ci fanno del male”
“Per me gli dèi possono volere anche che il Grande Satana si metta a ballare nella piazza centrale di Papunika, ma IO non ho intenzione di perdonarlo. E sai come la penso!”
“Noi dobbiamo porgere l’altra guancia, Auron”
“Io al massimo porgo l’altro pugno”
Guardò prima il suo amico, poi Shaka. Quello sorrise ed annuì. Il giovane sacerdote si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stato lontano da casa; la Resistenza ed Auron erano stati come una famiglia, ma quel sorriso di approvazione sincero, forse un po’ complice, era lo stesso con cui era sempre cresciuto. Era quel sorriso che aveva cercato nei suoi confratelli nei momenti di sconforto o di debolezza, quello stesso che la famiglia demoniaca aveva barbaramente spento al Tempio delle Dodici Case pochi giorni prima. Appoggiò la mano sul pugno stretto di Auron, pronto anche ad essere sbalzato via dalla furia del suo amico.
Ma fu l’altro ad abbassare il braccio.
Sbuffò, sibilò qualcosa tra i denti, e pur mantenendo l’occhio fisso sul Membro dell’Organizzazione fece ricadere il braccio sul fianco, ed il sacerdote dai capelli viola tirò un sospiro di sollievo.
“Solo per questa volta, Mu …”
“Sapevo che avresti capito”.
“No, non lo capisco affatto. Non perdonerò mai quel bastardo laggiù ma … so quanto sia importante questo tuo confratello per te”.
Era proprio vero, la sola presenza di Shaka riusciva a compiere dei miracoli. Anche senza l’armatura della Vergine riusciva a mantenere un aspetto sacro ed inviolabile, si trovasse nel tempio più splendente o in una semplice foresta. Anche Mu era stato costretto ad abbandonare la sua armatura dorata, ed osservando l’altro sacerdote si portò la mano al suo vestito semplice, dimesso, così fuori posto su un corpo abituato a portare per intere giornate decine di libbre di metallo: dopo quello che avevano trovato alle Dodici Case Auron non aveva voluto sentir ragioni, e l’aveva costretto a seppellire l’armatura sacra in un luogo sicuro per un po’. I Cavalieri d’Oro non erano più i benvenuti nel loro mondo. Ed a giudicare dalla tunica di Shaka, il suo confratello doveva aver fatto la stessa scelta. Ma scivolando la mano lungo l’abito, trovò i familiari grani dai quali aveva rifiutato di separarsi; fece per prenderli, ma la voce del n. XI attirò l’attenzione di tutti e tre.
“Bene, visto che avete deciso di non uccidermi … cosa di cui sono grato, ve ne assicuro … per quel che mi riguarda leverei il disturbo”
“Non così in fretta!”
“Cosa c’è, mercenario? Mi sembrava di aver capito che non desideri la mia compagnia!”
Prima padron Marluxia se ne andrà e meglio sarà per tutti noi!
Fece di nuovo scivolare il rosario sotto i vestiti e tornò a frapporsi tra i due uomini. Il suo amico gli lanciò l’ennesimo sguardo di disapprovazione della giornata, ma si costrinse ad ignorarlo “Lasciamolo andare, Auron. Non è in condizione di nuocere più a nessuno, ormai”.
Non era così sicuro delle sue parole, ma si costrinse a dirle a voce alta, più per rassicurare se stesso che per convincere gli altri due; gli occhi blu del loro antico carceriere continuavano a brillare della loro luce assassina anche dopo la mancata impiccagione, e considerarlo innocuo sarebbe potuto essere un grande sbaglio. Ma qualcuno doveva pur abbassare le armi per primo “Gli dèi lo hanno punito abbastanza. E sono sicuro che la loro giustizia avrà toccato anche gli altri padroni”.
Padron Marluxia sorrise.
“Oh, su questo hai davvero ragione, patetico dolce Mu. Axel e Larxen sono diventati le nuove cavie da laboratorio dei demoni, e per quel che riguarda il vostro tanto amato padron Vexen …” aveva dimenticato quanto fosse inquietante il n. XI “ … sì, credo qualcuno si sia deciso a dargli la punizione che gli spetta. Qualcuno che finalmente si è reso conto di essere stato uno schiavo per troppo tempo e che …”
“CAMUS?”
“Questo sta a voi scoprirlo. Ma credo vi convenga iniziare a correre, perché non penso che sopravvivrà a lungo nel covo del Grande Satana. Sempre che voi siate intenzionati a salvarlo, s’intende!”
Auron sollevò di nuovo la spada e superò Mu con un unico, grande passo “Si spieghi meglio!”
“Non voglio rovinarvi il divertimento”
Il sottobosco si sollevo; le piante ed i rovi vicino a cui il n. XI si era seduto presero vita di colpo, ed i fusti diventarono grandi quanto un loro braccio mentre le foglie nascosero l’uomo dall’abito nero, e il giovane sacerdote era sicuro che una radice della quercia si fosse levata da sola dal terreno per intralciare il soldato vestito di rosso. Auron incespicò ma non cadde, e la lama della Masamune fendette in un solo colpo la vegetazione semovente, distruggendo in un attimo la magia che l’aveva attraversata e trovandosi davanti solo piccole piante martoriate. Ma padron Marluxia era sparito.
Il suo amico si lanciò tra gli alberi, e Mu stava per inseguirlo quando la mano di Shaka trovò la sua “Non lo prenderà. Non qui dentro, almeno”.
Rimasero soli nella radura, ed il sacerdote dai capelli viola respirò a fondo. Mentre le grida di Auron si facevano sempre più lontane ritornò con la memoria alla tragedia di qualche giorno prima, con il Tempio ormai ridotto a delle rovine impotenti. Gli umani del loro mondo non avevano fatto nulla, e da quello che aveva sentito nel corso del viaggio avevano troppa paura dei demoni del Grande Satana anche solo per commentare l’avvenimento. Non vi era stato nessun bando, ma gli occhi infuriati delle creature magiche avevano sancito la legge non scritta che vietava di compiangere i Cavalieri d’Oro, e la gente comune aveva chinato il capo.
Avrebbe dovuto essere felice di rivedere Shaka dopo tanti anni eppure, una volta soli, fu colto da un nodo alla gola e pianse.
C’erano tante cose che doveva chiedergli. Un centinaio, un milione di domande, tutte quelle che si erano accumulate nel corso degli anni in cui si era allontanato dal Tempio per seguire la Resistenza; eppure al posto delle parole uscirono soltanto dei lamenti confusi. Sentì Shaka abbracciarlo una seconda volta e prendere al posto suo il rosario “Gli dèi ci hanno concesso un tempo per tutto, Mu. Dobbiamo trovare Camus, se quello che ha detto quell’uomo è vero”.
Era incredibile come riuscisse a profumare di erbe sacre e d’incenso anche lontano dalla sua Casa “E quando saremo di nuovo tutti e tre insieme, gli dèi ci daranno il giusto tempo per piangere coloro che abbiamo perso. Ma dobbiamo avere fede”.


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Fonte della fanart a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?qh=§ion=&global=1&q=marluxia+arkoniel#/d1a0lmn
  
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