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Autore: ClaryMorgenstern    23/07/2012    5 recensioni
[Sequel (?) di An Happy ending..maybe.]
Anche con ormai la bellezza di trentotto anni sulle spalle, l’addestramento da cacciatore e gli anni passati, letteralmente, a farsi le ossa gli permettevano di sentirsi come se avesse ancora diciassette anni, nonostante le centinaia di guerre che avevano visto il suo sangue versato sul campo di battaglia.
Nonostante tutto, era ancora in piedi. E lo sarebbe stato ancora molto a lungo.
Ma, Forse, non era solo il suo sangue angelico a mantenerlo giovane.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Happily ever after.


L’uomo scattò, fendendo il nulla con la lama della sua spada angelica.  Anche con ormai la bellezza di trentotto anni sulle spalle, l’addestramento da cacciatore e gli anni passati, letteralmente, a farsi le ossa gli permettevano di sentirsi come se avesse ancora diciassette anni, nonostante le centinaia di guerre che avevano visto il suo sangue versato sul campo di battaglia.
Nonostante tutto, era ancora in piedi. E lo sarebbe stato ancora molto a lungo.
Forse, però, non era solo il suo sangue angelico a mantenerlo giovane. Una bambina entrò nella palestra dove l’uomo si stava sgranchendo i muscoli con lentezza per svegliarli dal sonno. Aveva i capelli rossi, la bambina. Lunghi e stretti in una lunga treccia a spiga di grano. Ma, come quelli della madre, erano troppo ribelli per essere fermati. Aveva, poi, gli occhi dorati come una monete d’oro scintillante, tanto erano grandi. Piccola e esile, il viso era una maschera di serietà, troppa per degli occhi così grandi. Stringeva tra le piccole braccia un grande orsacchiotto marrone di pezza, che le nascondeva buona parte del viso. Jace si mise diritto e le si avvicinò prendendola tra le braccia. «Che c’è, splendore?»
E la serietà del suo viso  cedette quando lui la fece girare in tondo, veloce. «Papà.. Papà!» rise lei. «Fammi fendere!» aveva ancora qualche problema nella pronuncia della S, la piccola.
Jace non demorse e continuò a farla girare in tondo, cominciando, suo malgrado, ad avvertire un piccolo senso di nausea lui stesso. «Solo se mi fai un sorriso, Clare.»
Clare lo fulminò con lo sguardò, ma come la sua mamma quando ci provava assomigliava tremendamente a Church. «Jonathan Lightwood, fammi fendere!»
«Almeno dimmi cosa volevi» disse lui, facendole il muso.
«Ah, già.» gli occhi di Clare si spalancarono. Talmente persa nella sua testa, aveva dimenticato cosa era venuto a dirgli. «Mami ti voleva il fala da pranzo»
Certo. Lui era Jonathan Lightwood, mentre Clary era mami. Era ovvio. Senza farla scendere se la caricò meglio su una spalla. Pesava molto meno di un armamentario di armi da guerra. Se la portò così fino alla sala da pranzo, facendo un ingresso trionfale. Clary stava preparando del caffè, riempendo col suo odore forte tutta la cucina. Jace le si avvicinò con Clare ancora sulle spalle, strappando dalle sue labbra il sapore forte e amaro del caffè. Clare gli tirò i capelli con dolcezza, ricordandogli che era ancora lì. Tendeva a dimenticare parecchie cose quando aveva Clary attorno. Cose come sentire, ascoltare e respirare qualunque cosa che non fosse lei e solo lei.
Negli anni, Clary era cambiata, fisicamente parlando. Le braccia esili si erano irrobustite, forti come acciaio e altrettanto letali. Il viso era bello e giovane, ma segnato da molte cicatrici, che davano a Jace un senso di enorme tristezza e di vibrante orgoglio insieme. Molte rune si andavano intrecciando sulla sua pelle, e molte di esse erano di origine molto recente.
Ma dietro tutti queste piccole sciocchezze, Jace riusciva a vedere ancora la Clary di cui si era innamorato la prima volta. La mondana con le lentiggini e gli occhi che ardevano di orgoglio e coraggio. La follia nel gettarsi in situazioni pericolose senza pensarci due volte, e lo sguardo lontano secoli mentre si perdeva nei suoi pensieri.
E negli anni si era innamorato di Clary ancora e ancora. Si era innamorato di lei una seconda volta, quando credeva che fosse sua sorella, e una terza quando aveva deciso che non gliene importava niente. Di nuovo quando si erano sposati, a New York lontani dal Conclave e dalle loro regole. E ancora quando era rimasta incinta la prima volta, mentre si alzava la maglia, scoprendo l’enorme pancione teso davanti allo specchio, guardando il piccolo che cresceva dentro di lei senza poterlo vedere davvero.
Ogni volta che uno dei loro figli veniva al mondo, tra le grida atroci che uscivano dalle sue labbra.
Ogni singolo giorno, vedendola dormire accanto a se, mentre stringeva la carne della sua carne, e mentre le rubava baci al caffè di sfuggita nella cucina.
Sembrava che di lei, non finisse mai di innamorarsi.
«Un uccellino mi ha detto che mi cercavi.» e per enfatizzare scosse la schiena facendo sobbalzare la piccola sulla sua schiena.
Clary scosse i capelli del suddetto uccellino. «Ha appena chiamato Alex.» disse, un sorriso sulle belle labbra rosse. «Arriva stasera da Tokyo.»
Alexander Valentine Lightwood.  Il figlio primogenito di Clarissa e Jace Lightwood.
Probabilmente Jace non avrebbe mai dimenticato il modo in cui Clary gli aveva detto di aspettare Alex. Lei aveva vent’anni, lui ventuno, ed erano sposati da appena qualche mese. Si stavano allenando nella palestra dell’istituto. Clary era in equilibrio sull’altissima trave d’allenamento, mentre Jace la osservava dal basso della sua posizione, aspettando che lei facesse un salto mortale.
Clary prese un bel respiro, chiuse gli occhi, e si lanciò. Lasciandosi cadere e librandosi finalmente come una farfalla delicata posandosi a terra in perfetto equilibrio.
Appena fu a terra, con Jace di fronte, buttò fuori il fiato, aprì gli occhi, e glielo disse.
«Sono incinta»
Quindi si sfilò l’imbracatura, gli voltò le spalle e fece per uscire dalla palestra. Jace si diede tempo due secondi per riconnettere il cervello, poi le corse incontro, circondandola con le braccia e baciandola ovunque le sue labbra riuscivano ad arrivare. Si gettò in ginocchio davanti a lei, posando le labbra sulla pancia ancora troppo piatta, e rimanendo così per un tempo che gli parve infinito.
Dopo fecero l’amore. A lungo, in pace, in armonia.
Clare si mise a strillare, riportando i suoi pensieri alla realtà. Gli tirava i capelli, anche. Clare adorava tirargli i capelli. «Alex torna a casa!» esclamò, tutta contenta. « Magnus sarà tanto contento.»
Jace trotterellò ancora in giro con la piccola tra le braccia. «Il nostro giovincello torna a casa»
Poi, un pensiero lo fulminò all’improvviso. Si voltò verso Clary con lentezza. «Con una ragazza?»
Clary, che lo osservava attenta, dolcezza e divertimento che si mescolavano in quello sguardo di smeraldo. «Non ancora.»
Jace sospirò. «Immagino che prima accadrà.» fece scendere Clare che cominciava ad avere la nausea. Aveva riassunto lo sguardo serio. «Mamma, hai i baffi di latte»
Jace spostò lo sguardo sulle labbra di sua moglie. Il cappuccino appena preso le aveva lasciato uno sbuffo schiumoso appena sopra il labbro. Jace la attrasse a sé, prendendosi anche quel sapore dalle labbra di Clary, così come avrebbe preso qualunque cosa uscita da quelle labbra.
«Ma cercatevi una stanza!»
«Già, ce ne sono tante nell’istituto!»
Jace si staccò malvolentieri da lei, mettendo il broncio. Dopo la nascita di Alexander, non c’era voluto molto perché arrivasse un’altra bella sorpresa. Questa volta doppia.
Harry ed Eric. I gemelli Lightwood, entrambi con capelli biondo-rossicci e occhi  verdi. La corporatura non assomigliava molto né a quella di Clary né a quella di Jace. Anzi, lui sosteneva sempre che assomigliassero ad Alec, ma per la loro maledetta lingua lunga erano molto simili a Magnus.
Sebbene sapessero quanto fosse impossibile, a volte ne erano spaventati.
«Maaaaaaaaamma!» dissero in coro i due demoni biondi, sedendosi a tavola e impugnando le posate come fossero coltelli. Come Clary ci teneva spesso a sottolineare, avevano ereditato da Jace la sua caratteristica faccia tosta, la sua presunzione e la superbia. «Abbiamo fame. Sfamaci!» Come tutti i gemelli, Harry ed Eric avevano l’abitudine di parlare in coro, cosa che mandava Jace leggermente ai matti.
Clary sospirò, staccandosi definitivamente da Jace e tornando ai fornelli. Maryse aveva passato un’infinità di tempo a insegnarle a cucinare, e ora riusciva a cucinare finalmente una colazione che non si versasse dalla scatola.
Quindi, posò sul tavolo un piatto da portata colmo di pan-cakes al miele per i gemelli-senza-fondo e Jace, e poi posò una tazza bianca colma di latte freddo per Clare, che la mattina non riusciva a prendere nient’altro.
«Allora» disse Eric prendendo una gran boccata di pan-cakes. «Nihon  torna a casa?»
Clary sorrise, prendendo un altro sorso di caffè. «Si, verso le sei dovrebbe aprire un portale.»
 Eric e Harry si guardarono per un lungo istante, una luce strana negl’occhi verdi.  Ingurgitarono in pochi morsi i dolci rimanenti, bevvero una tazza di caffè e schizzarono in piedi. «Noi andiamo..»
«..ad allenarci, vero Harry?»
«Certo Eric! A dopo»
In perfetta sincronia mandarono bacini immaginari alla platea, quindi sparirono oltre la porta.
Jace gettò uno sguardo a Clary al limite tra l’esasperato e l’orgoglioso. «Stanno per combinare un casino, vero?»
Lei sospirò. «Vero.»
«Te l’avevo detto di non bere caffè in gravidanza.»
«Non è il caffè, Jace. Sono i tuoi geni.»
 
Alex arrivò alle sei, preciso come un orologio svizzero. Era stato abituato in quella maniera, così come suo padre. Preciso, chiaro e lineare, letale.
Ma, a differenza dell’educazione di Jace, quella di Alex aveva avuto una significativa differenza.
Jace aveva cresciuto Alex con un amore a dir poco infinito, come aveva fatto e avrebbe continuato a fare per tutti i suoi figli.
Così, quando le porte dell’ascensore si erano aperte e Alex era arrivato, la borsa in spalla e un sorriso sul bel volto giovane, aveva trovato Jace ad aspettarlo proprio davanti alle porte.
Alex aveva fatto qualche passo avanti, mai distogliendo lo sguardo grigio dal padre, aveva fatto cadere la borsa a terra e aveva stretto il padre in un abbraccio caloroso, frettoloso, pieno della mancanza che avevano avvertito in quei mesi di lontananza. Nonostante tutto l’amore che provava per Clary, i suoi figli erano la sua vita. Non si sarebbe mai potuto dire più felice di quando Alex era venuto al mondo, felicità che era andata aumentando insieme a Harry, Eric e Clare. In quel preciso momento avrebbe potuto essere l’uomo più felice del mondo.
 Alex era stato in Giappone tre mesi, per una missione speciale affibbiatagli dallo stupido console in persona. E, dopo averla risolta perfettamente, eccolo che tornava a casa.
«Grazie per la considerazione»
Jace e Alex si divisero e il ragazzo alzò lo sguardo su Clary che lo guardava amorevolmente dal ciglio della porta. Le si avvicinò e la strinse molto forte, sollevandola da terra come se non pesasse niente. «Mi sei mancata, Oka-sama
Quando la rimise giù, Jace vide delle lacrime brillare nello sguardo della sua Clary. «Andiamo, c’è altra gente che vuole vederti.»
Entrando in casa, videro Clare che muoveva qualche timido passo in corridoio, verso di loro. «Alex?»
Il ragazzo guardò la bambina e sembrò che qualcosa si spezzasse al suo interno. Si gettò in ginocchio, spalancando le braccia verso di lei. «Sono a casa, amore mio» Clare non esitò a buttarsi tra le sue braccia, abbandonando, forse per la prima volta da settimane, il suo orsacchiotto di pezza. «Mi sei mancata tanto, piccolina.»
«Anche tu, zuccone.»
Alex rise, rialzandosi. «I gemelli?»
«Con Dominque e Cecily a fare la ronda.»  Rispose a Clary. «A tal proposito..»
«Lenta come al solito, mia cara.» Magnus comparve all’improvviso, seguito da Alec. Anche Alec era invecchiato, in quel lasso di tempo. E la differenza non si manifestava in Magnus, che non sarebbe invecchiato mai. Ma non sembrava importare a nessuno dei due. Dominque e Cecily erano le loro bambine. Dominique era una Shadowhunters di origine francese, con i capelli lunghi e neri e gli occhi verde scuro, rimasta orfana ad appena tre mesi di vita. Alec e Magnus, lì in vacanza, non ci avevano pensato due volte e l’avevano presa con sé che Alec aveva appena ventidue anni. Cecily era arrivata quasi subito dopo. Aveva i capelli castani, riccissimi, una corporatura così esile che a volte avevano paura venisse spazzata via dal vento. Le sue sclere erano nere come l’ebano, e le pupille bianco latte. Era una strega di enorme talento. Legalmente parlando, Magnus era solamente il suo maestro, ma in realtà era la sua bambina.
«Ehy, vecchio!» Abbracciò Magnus, che rispose con un po’ troppa foga. Sorrise ad Alec, che fece appena un cenno con la testa, imbarazzato. «Altro Alexander.»
«Ehy, ma che ci fate tutti accalcati qui in corridoio?» Isabelle spuntò all’improvviso, senza, ovviamente, fargli sapere prima che era tornata in città. A Isabelle piaceva sparire nel vento. «Oh, una festa di bentornato!»
Clary rise. «Era per Alex, in realtà.»
Jace fulminò la sorella con un’occhiataccia. «Perché lui ce l’ha detto, che tornava.»
«Quante storie» borbottò Izzy. «Guardate cosa vi ho portato, invece!» dietro di Izzy, infatti, stava un ragazzo di appena diciassette anni, con i capelli castani e gli occhi scuri. Biologicamente parlando, aveva la loro età.
Clary strillò. «Simon!» e corse ad abbracciare il suo migliore amico. Simon frequentava poco l’istituto. Un po’ perché aveva la sua vita da vampiro da mandare avanti, in un modo o nell’altro, e un po’ perché gli faceva molto strano entrare lì. Il sangue di Jace glielo permetteva senza problemi, ma si sentiva come se non fosse il benvenuto.
Jace aveva, con gli anni, imparato ad apprezzare Simon Lewis. Non che avesse avuto scelta, comunque. Ma non poteva che dirsi sollevato di non averlo sempre intorno.
«Eric, guarda chi c’è!»
«Oh, Siamo tutti insieme appassionatamente!»
I gemelli entrarono con la solita calca, gettandosi anche loro nella festa creatasi in corridoio. Andarono ad abbracciare in simbiosi il fratello, che aveva uno sguardo diffidente, anche mentre li abbracciava con affetto.
Harry ed Eric fecero un gran sorriso al fratello, staccandosi.  «Abbiamo un regalo per te, Nihon
Alex arrossì leggermente. «Devo spaventarmi?»
I gemelli gli gettarono un occhiataccia simmetrica. «Ma sta zitto.» gli disse Harry, prendendolo per il braccio sinistro. «Vieni, fratellone» fece Eric e prese l’altro braccio e incamminandosi per il corridoio.
«Questa non me la voglio proprio perdere!» fece Izzy, correndogli dietro.
Simon sospirò. «E andiamo.»
Li seguirono come l’allegra compagnia che erano, tranne Jace e Clary che rimasero ancora un po’ nel corridoio illuminato dalle stregaluci.  Attesero qualche secondo, e poi sentirono chiaramente le urla di Alex arrivare dritte alle loro orecchie.
Clary sospirò. «Avresti mai immaginato che la nostra vita sarebbe stata così complicata?»
Jace le sorrise, stringendola in un abbraccio e le posò sulla fronte un bacio delicato come un fiocco di neve.
«Avresti mai immaginato che la vita poteva essere così meravigliosa?»


Note dell'autrice:
Oh, già, sono ancora qui. Questa storia avevo in mente di scriverla da un po', ma rimandavo sempre. Oggi l'ho finalmente finita. 
E vi starete chiedendo "Perchè hai il tempo di scrivere questa cosa bruttissima e non di aggiornare Once upon a time? e.e" (Con tanto di sguardo assassino ahah) Quindi approfitto e ve lo spiego qui. 
Il mio amatissimo ('sti cazzi) computer si è preso il dannato virus della finanza (Maledetto! *agita il pugno minacciosamente*) e quindi non ho accesso al capitolo che ho già scritto. Appena lo riavrò, aggiornare sarà la prima cosa che faccio. Promesso.
Quindi, accontentatevi del seguito di "An Happy ending..maybe" che mi è uscito un po' orrendo, ma per il momento va bene così.
Buona notte o buon giorno? E' l'una del mattino, quindi non so regolarmi. 
Nel dubbio vi saluto e basta.
Si spera a presto
Clary (La colossale ritardataria)
  
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