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Autore: Una Certa Ragazza    23/07/2012    6 recensioni
In un mondo in cui basta sembrare una papera per essere una papera (citazione necessaria da un detto inglese), basta una quarantenne nevrotica perchè la tragedia si compia...
EDIT: ho deciso di proseguire questa storia facendola diventare una raccolta. Sarà una trilogia di racconti centrata sul tema della discriminazione. Spero che continuare sia stata una buona scelta!
Genere: Generale, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storiella scritta per passatempo. Mi direte "datti all'ippica", ma non mi piacciono i cavalli XD.





"Il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera signora
vide che cercava lui e si spaventò"

                          "Samarcanda", Roberto Vecchioni




Sandra camminava soddisfatta di sé stessa e del resto del mondo, cosa che non le capitava così spesso.
Guardò l’orologio e rallentò il passo. La conferenza dell’egregio dottor Davidson, professore di antropologia, non sarebbe iniziata che da lì a un’ora, e lei aveva tutto il tempo.
Quando dalla via principale tagliò per un vicolo secondario, però, una vaga sensazione di disagio le accarezzò lo stomaco, come un brivido.
Sarà stato perché dall’assolato viale alberato era passata a quel viottolo squallido, dove gli edifici erano così alti e così vicini da soffocare i raggi solari.

Che brutto posto, quel buco dimenticato da Dio e dall’amministrazione comunale, e dire che era a pochi passi dal centro!
Incespicò per evitare una chiazza di una sostanza sospetta – non aveva intenzione di sporcarsi quelle scarpe così eleganti – e successe così. Lo vide.
Era un marocchino o forse un libico o un sudafricano, insomma un negro, e aveva un abito sgargiante arancione e giallo, che spiccava contro i muri grigiastri così tanto da far male agli occhi.
Sandra si bloccò, finse di cercare qualcosa nella borsa e gli lanciò un’occhiata di sottecchi.
In quel momento ebbe la consapevolezza che la stava seguendo.
Il panico le chiuse la gola.
Si voltò e ricominciò a camminare, cercando di calmarsi.
"Ti perdi in un bicchier d’acqua", le avrebbe detto Andrea. "Ti perdi in un bicchier d’acqua", glielo diceva sempre.
Quello lì faceva solo due passi, non era mica un reato. Perché avrebbe dovuto seguire proprio lei, e in pieno giorno, per giunta?
Una serie di situazioni e scenari possibili, mai visti ma dedotti dai titoli del TG, si fecero largo a gomitate nella sua mente.
Oh, sì, di motivi ce n’erano eccome.
"Marocchino accoltella donna quarantenne", già poteva vedere la notizia campeggiare sulla prima pagina di tutti i giornali, e se fosse successo qualcosa di abbastanza strano – se quello dietro di lei fosse stato un serial killer, ad esempio – avrebbero parlato di lei anche in qualche speciale TV in cui la gente si parlava addosso anche se non c’era niente di cui parlare.
E il presentatore avrebbe cercato di calmare le acque, mentre qualcuno di destra avrebbe detto che bisognava rimandare tutti gli immigrati a casa e qualcuno di sinistra avrebbe replicato non c’era alcuna prova che gli immigrati delinquessero più degli altri. Tutti e tre avrebbero detto queste cose perché avevano una parte da recitare, e lei sarebbe diventata un problema tutto sommato marginale, un pezzo di carne congelato in un frigo e allo stesso tempo un numero di pratica schedato in qualche ufficio.
"Ti perdi in un bicchier d’acqua, Sandra. E hai sempre paura di tutto."
Andrea avrebbe pianto, se lei fosse morta o se fosse stata aggredita, e magari anche se fosse andata a finire bene avrebbe capito i rischi che correva lei, una buona volta. Così avrebbe smesso di ricordarle in continuazione quanto fosse sciocca.
Mentre immaginava con dovizia di particolari tutto quello che poteva succederle, Sandra teneva le orecchie ben tese.
Sentiva il passo misurato dell’uomo accompagnarla. Non era così difficile, perché lì c’erano solo loro due.
Metteva i piedi dove li aveva messi lei, la sua presenza la stava comprimendo su sé stessa. Doveva andarsene da lì.
Per fortuna la fine del vicolo era a pochi passi e lì cominciava un’altra strada molto più frequentata.
Sandra accolse con sollievo l’ondata di sole che le si riversò sul viso e la gente con il suo vociare, anche se c'era una bolgia incredibile, perchè era sabato e per qualche ragione c'era pure la banda.
Si fece strada tra la folla come un pesce che sguazza nel mare e, anche se si voltò un paio di volte, dopo un primo guizzo di vestito arancione a poca distanza da lei non lo vide più.
Un centinaio di metri più avanti più avanti la calca cominciò a diradarsi.
Lei allegra, quasi euforica, si voltò come per dire "te l’ho fatta" e se lo vide spuntare fuori dalle ultime propaggini della folla che si allontanava in direzione opposta.
Impallidì.
Si guardò attorno, morsicata da un’impotenza che la teneva rigida al centro del marciapiede, poi si costrinse a riprendere il cammino a passi lunghi e ben distesi.
Sentiva il cuore batterle nelle orecchie, sordo e affannato.
Doveva correre, doveva entrare in un bar, chiamare un taxi e farsi portare a casa.
Ma camminò, ancora e ancora.
Ora che la sua meta le appariva assurdamente priva di significato doveva arrivarci per forza e continuare a camminare.
C’era un senso di ineluttabilità in questo. Lasciarsi scivolare testardamente verso qualcosa che la terrorizzava, come un bambino che si graffia le mani lasciandosi cadere da un albero.
Non era sicura nemmeno lei di quello che poteva e non poteva fare, qualsiasi cosa sarebbe risultata sciocca comunque. Andrea ne avrebbe riso, quando glielo avrebbe raccontato a casa, e lei stava per avere una mezza nevrosi.
Quando se ne rese conto si ritrasse bruscamente dal baratro, cercò di calmare l’ansia.
Pensò alla conferenza. Doveva ridare valore alla conferenza, se voleva mettere a posto le sue fantasie e arrivarci con i nervi intatti.
Pensò all’egregio professor Davidson, dottore in antropologia, che si diceva fosse un vero genio nel suo campo, venuto dal nulla, per di più.
Una sua amica che sapeva bene l’inglese aveva già assistito ad una sua conferenza a New York e le aveva raccontato che era venuto con un vestito talmente particolare, così strano...
Questo però la fece concentrare nuovamente sull’uomo in arancione e si voltò ancora una volta.
Lui era sempre lì, paziente. Non aveva allungato il passo, al contrario di lei, eppure era sempre lì dietro.
Senza più riuscire a trattenere le lacrime e la paura, Sandra si mise a correre.
Svoltò nella via successiva che il suo volto era ormai ridotto ad una maschera di terrore e matita liquefatta.
«Aiuto!» gridò con voce strozzata alle persone che la guardavano un po’sorprese e un po’preoccupate.
«Aiuto! Quel negro...! È dietro l’angolo, aiutatemi, aiutatemi, vi prego!» inciampò, cadde a terra ma sì rialzò.
Bastò questo perché la gente, che nel frattempo si era di nuovo trasformata in folla benché il suo numero non fosse aumentato, reagisse quando comparve l’uomo in arancione.
Aveva sentito le grida e si era messo a correre anche lui.
Nessuno si chiese perché stesse correndo verso Sandra e non per scappare.
Un giovane lo afferrò per la collottola e gli tirò un pugno, mentre l’amico che era con lui lo colpiva allo stomaco.
Gli astanti si trasformarono in una massa confusa e urlante, arrivarono altre persone, altre grida.
«Che succede?
«Quello stronzo di un negro stava aggredendo la signora.»
E giù botte, perché ognuno voleva avere tra le mani il maledetto assassino stupratore scippatore o chissà cosa, visto che nessuno era esattamente sicuro di che cosa fosse.
Quando si ritrassero tutti assieme, come per un muto accordo, il vestito da arancione era diventato rosso scarlatto. Ci fu un trasalimento collettivo. Qualcuno imprecò.
«È morto?» un tale riuscì a fare la domanda che nessuno era riuscito a formulare.
Sandra non sentì la risposta.
Si accorse a malapena di chi si chinava per dare un’occhiata al malcapitato. Aveva preso il portafoglio che era caduto per terra all’uomo e lo aveva aperto, lasciando andare un sospiro che forse era un singhiozzo.
Certo, quell’uomo doveva fare la sua stessa strada per forza.
Era l’egregio dottor Davidson, professore di antropologia. Nazionalità: sudafricana.

   
 
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