~ …e va bene così. ~
“I
ciliegi sono bellissimi anche questa notte”
Tenpou
assaporò l’odore dell’aria.
Sì.
Decisamente, sia al compagno che a lui sarebbe
piaciuta ancor di più se non avesse avuto quell’odore di guerra. Quell’odore di
sangue.
Che in gran parte si erano premurati di versare personalmente.
Kenren
si appoggiò anche lui al davanzale, scostandosi un petalo che gli si era
adagiato trai capelli neri. Il vento portava con sé
rabbia, furia, vendetta.
E,
paradossalmente, malinconia.
“Che appaiano belli o no… dipende da come ti senti mentre
li stai guardando”
Il
maresciallo, accanto a lui, alzò lo sguardo verso l’etereo cielo di quel mondo
che si ostinavano ancora a chiamare paradiso.
Se il paradiso era ciò che tutte le credenze popolari del
mondo sottostante gli avevano sempre attribuito, non era posto per loro. Né per nessuno che conoscessero, probabilmente.
Diede
le spalle alla finestra, ritrovandosi a guardare in tal modo, per un momento,
il profilo di Kenren che, le mani in tasca, osservava le chiome rosate dell'albero: simile ad una nevicata fuori stagione, continuava a rilasciare i petali
dei suoi fiori. Quasi volesse sommergere con la sua purezza
lo sporco mondo su cui si ergeva.
Kenren. Il compagno di un’eternità.
Il complice. L’amante, se si voleva
dar credito alle malelingue.
Forse era un bene, che non lo fosse mai stato. Forse. Accanto a sé, nella morte, non avrebbe voluto la
persona che amava.
Ma forse, non poté non notare con un sospiro, sono io che non ho mai capito niente.
Kenren si riscosse, avendo forse avvertito lo sguardo dell’amico. La
sigaretta si mosse tra le sue labbra, in quella leggera movenza che aveva un
che di sensuale e accattivante allo stesso tempo.
Il
sorriso si spense lentamente tra le labbra di Tenpou, mentre anche Kenren poggiava
il bacino all’intelaiatura in legno. Stette immobile,
lo sguardo perso nel vuoto. Forse attendendo che l’altro dicesse qualcosa.
Tenpou
aspirò dalla sigaretta, e, insieme al fumo, un mosaico di ricordi si fece
spazio nel suo essere; un mosaico che scorreva, tranquillo come un ruscello, e
che inondava, impetuoso come un fiume in piena.
“Kenren… ti
ricordi?”
Per
lunghi secondi quello fu l’unico suono che ruppe il
silenzio.
Kenren si sfilò la sigaretta dalle labbra.
“Cosa? La
prima volta che ti ho incontrato?”
“Hm? Quella io non me la ricordo molto bene”
Se la ricordava fin troppo bene, in realtà.
Gli occhi scuri di quel giovanotto irriverente venuto a
conoscere il suo nuovo superiore.
Il momento in cui i loro sguardi si erano incrociati. Lo sguardo
stupito di Kenren quando gli aveva detto di essere lui il maresciallo che cercava.
L’atmosfera
di totale complicità nata e condensatasi in un attimo.
Odore di vita, aveva pensato Tenpou quando gli aveva stretto la mano.
Quest’uomo vuole
sentirsi vivo.
“Be',
ma se non stavi parlando di questo, ti riferisci a quella volta che portasti di
nascosto sulla terra l’intero squadrone per uno yakiniku party?”
“Oh, quella sì che me la ricordo. Non mi sarei mai sognato
che mi avresti davvero fatto pagare per tutto il gruppo. Eravamo
in quindici, non è vero? E non potei nemmeno
far aggiungere il conto del ristorante sulla nota spese. Mi arrabbio ancora, se
ci penso”
Sul
campo di battaglia, Tenpou si comportava in un modo che andava al di là del suo ruolo.
Tenpou
non impartiva ordini.
Tenpou
si gettava a capofitto nello scontro.
I
suoi occhi…
…parevano
dire…
Non mi fido di
nessuno tranne che di me stesso.
Uno
sguardo egoista, fiero…
…spaventosamente
solo.
In quei momenti quasi mi dimenticavo della lotta.
In quei momenti… pensavo soltanto a quanto i suoi
occhi riuscissero a darmi i brividi.
Forse non ho mai capito niente, io.
Ma quel giorno…
…vedendo i suoi capelli sciolti…
…che gli coprivano gli
occhi…
- l’odore di pericolo, l’adrenalina -
…per la prima volta salvai la vita di qualcuno.
“Non sei solo. Ci
sono io, e ci sono altri tredici uomini”
“Una volta ho
lasciato morire uno dei miei sottoposti”
“E
io oggi ero sul punto di lasciar morire un superiore”
Carne
ai ferri per quindici fu il tuo riscatto, Tenpou.
Ricordi?
Ce la promettesti quando tornammo a casa.
Non
sei solo, Tenpou.
E non lo sarai mai più.
Finché sarò vivo io.
E forse non ho mai capito niente nella mia
vita, io.
Ma almeno questa è una certezza.
“Ma allora si può sapere di cosa stavi parlando?”
“Tu sei un pezzo
grosso, un generale d’armata… perché scendi ancora sul campo di battaglia con i tuoi
uomini?”
“…non credi che sia
divertente?
E tu? Perché uno come te è
diventato soldato?”
“Già, perché…? In
parte perché mi interessa il mondo inferiore. Poi perché odio annoiarmi. E perché a
volte mi sembra che il mio cervello ammuffisca…”
“…e perché vuoi sapere come ci si sente a sentirsi vivi”
Vivi.
Insieme.
Se
mai il Tenkai avesse avuto qualcosa del paradiso,
quella finestra, in quel momento, lo era.
Il loro paradiso.
Null’altro
esisteva, in quel momento, oltre a Kenren, Tenpou, e i loro ricordi.
Né la morte al di fuori di quelle mura.
Né Gojuin, legato nell’altra
stanza.
Né il piccolo Goku svenuto.
Né Konzen, con lui.
…
Né il futuro.
E andava bene così.
Tenpou
assaporò la sigaretta che aveva tra le labbra.
“Quand’è che tu ti
senti veramente vivo?”
“Forse… in quella
frazione di secondo in cui penso a quanto sia buona la sigaretta che sto
fumando?”
“Esatto…”
Kenren gli aveva
sorriso entusiasticamente.
Già. Kenren aveva
quella capacità di essere bambino spontaneo e adulto
malizioso allo stesso tempo.
E aveva un sorriso, ammiccante, sprezzante, sincero o dolce
che fosse, che lo catturava completamente. Così diverso dal suo sempiterno
sorriso di circostanza.
Sì.
Erano vivi.
In
quel momento, nient’altro importava oltre al profumo di ciliegi e di sangue.
Oltre al fumo della sigaretta che lentamente si dissipava
in aria.
Erano
vivi.
E andava bene così.
Cos’abbiamo
capito noi, Tenpou?
Cos’abbiamo mai veramente compreso, oltre a quel senso di vita
che insieme abbiamo trovato?
A
quel senso di vita per cui stiamo paradossalmente
andando a morire?
“Credo
d’averlo dimenticato”
Kenren
sbuffò, divertito, chinando il capo.
…capire
cosa?
…quel
sentimento che li legava?
Forse
non avevano mai capito niente, entrambi.
Ma andava bene così. Forse.
Forse,
semplicemente, non c’era nulla da capire.
“In
realtà… qualsiasi cosa va bene”
Va
bene così.
Cos’altro ci serviva comprendere?
Cos’altro avrebbe dato un senso alla nostra vita, se
non quell’attimo in cui prendevamo la prima boccata da una sigaretta?
Quello in cui il sakè bollente, su cui poco prima era caduto un petalo di
ciliegio, ci riscaldava la gola?
E
quello in cui iniziavamo a distinguere il picchiettare
della pioggia sui vetri?
Forse dare un nome a me e te insieme avrebbe cambiato qualcosa?
“Purché te ne ricordi anche tu… qualunque cosa”
Kenren
sorrise, scostandosi dal davanzale.
Si
chinò sul volto del generale.
In
quel momento erano nel loro paradiso.
Non
vi fu nessun bacio, nemmeno uno sfiorarsi di labbra.
Kenren
appoggiò la fronte su quella dell’amico.
Pelle
tiepida contro pelle tiepida.
Vene
pulsanti.
Il
lieve respiro di entrambi che si confondeva.
“Davvero?”
Tenpou
chiuse gli occhi.
Sì.
Andava bene così.
“Sì.
Davvero”.
Cosa dire?
Erano le due del mattino.
Stavo risfogliando il Gaiden, precisamente il capitolo in cui loro sono lì.
Belli, silenziosi.
Davanti a una
finestra.
I ciliegi in fiore.
Bellissimi anche quella
notte.
Quella notte in cui stavano andando verso
la vita.
O forse verso la morte.
E non ho potuto fare a meno di scrivere.
Non è una storia, forse non è nemmeno un
POV.
Non ha nessuna pretesa.
Ma volevo metterla nero su bianco.
Owari, ~Simona~