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Autore: Lady Antares Degona Lienan    07/02/2007    8 recensioni
[…] e la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d’un tratto, esplode. […]
Hermione e Draco si scontrano, una notte.
E, d’improvviso, esplodono.

[Fanfic vincitrice del concorso indetto da Kysa, Sawadee, Minami77, Bloodymary, Mirana]
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Nightmares don’t belong to sleepers

Titolo: Nightmares don’t belong to sleepers

Autrice: Mewsana a.k.a. L.A.D.L.

Summary: […] e la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d’un tratto, esplode. […]  (A. Baricco, Oceano Mare)   Hermione e Draco si scontrano, una notte. E, d’improvviso, esplodono.

Pairing: Draco/Hermione

Raiting: PG13

Advises: One-shot, Dial-fic, OOC

Disclaimers: non posseggo e non ho creato Harry Potter, che è un universo frutto della fantasia di J.K.Rowling. Altrimenti Harry sarebbe già morto, e con grandi sofferenze. La ff non è a scopo di lucro.

 

 

 

Nightmares don’t belong to sleepers

Capitolo Unico

Esplosione

 

 

 

Hogwarts era un ricettacolo di pazzi furiosi, di animali, di ladri.

Ma specialmente, prima di ogni cosa, era un grumo indistinto di perdenti: non che Hermione Granger si sentisse proprio abituale di quella categoria, ma a volte vi provava una strana sensazione di appartenenza.

Guardarsi i piedi con la testa oltremodo ripiegata verso il corpo e le labbra tese dalla voglia di piangere.

Come in quel momento.

- Allora, Granger, pensi di ribattere o preferisci rimanere vergognosamente zitta? –

Draco Malfoy era nato ricco e borioso, classe Slytherin fino al midollo. Il prototipo di Salazar Slytherin fatto e finito, solo un po’ più giovane e un po’ meno rincretinito.

Ma, a conti fatti, sempre da quelle parti si girava. Anche adesso che la guardava dalla sua postazione privilegiata, appoggiato ad una colonna di pietra, vicino all’aula di Pozioni, c’era qualcosa di assolutamente superiore nel suo sorriso distorto.

- Pensavo avresti detto qualcosa in più. Perseveri nel tuo silenzio? –

Delle gocce di condensa cadevano ritmicamente vicino al suo piede destro, accumulandosi poi in una piccola pozza fra la crepe del pavimento.

Lei pensò che doveva guardare quelle e solo quelle. Non doveva distrarsi perché altrimenti altre gocce sarebbero cadute e

lei

non poteva permetterselo.

 

- Ti prego vai via. – la sua voce non stava tremando troppo, si disse, come unica concessione al suo orgoglio trafitto da spine.

[dov’è il tuo orgoglio da Grifone, Hermione?]

- Vai via. – un’altra supplica che scivolò sulle sue labbra secche.

Nessuno rispose alle sue richieste.

Quando finalmente lei si decise ad alzare gli occhi, era sola.

 

Rientrando nella Sala Comune aveva scorto con un’occhiata Ron e la sua nuova fiamma di Ravenclaw. Cercò di non pensarci e superò il quadro, velocemente. Un clima estremamente caldo l’accolse, facendola boccheggiare.

- Herm, meno male! –

Harry le si avvicinò. Aveva indosso solo i pantaloni. – Proprio te cercavo, sai, per quel… -

- Scusami Harry ma proprio non posso. – in meno di cinque secondi aveva ripreso il buco del ritratto.

- …incantesimo da annullare. – la voce del moro si perse nel nulla.

Sospirando, meditò di togliersi tutto quello che gli era rimasto.

 

Non aveva potuto farci niente.

Vedere Harry appena dopo essere stata nuovamente maltrattata da Malfoy era qualcosa che superava le sue capacità di sopportazione. Detestava mentire ad Harry.

Detestava mentire a se stessa. Ma non poteva farne a meno.

Dentro di sé la buffa convinzione di essere forte e coraggiosa persisteva, forse sostenuta da ricordi baldanzosi ed ormai vecchi.

Guardo l’orologio. Le due di notte: forse poteva tornare al dormitorio.

Nuovamente l’accolse quella temperatura calda e secca.

E un pensiero le passò per la mente.

[Non ho annullato l’incantesimo del fuoco permanente. Oggi era una giornata calda e io non l’ho bloccato]

Poi un altro pensiero vigliacco, che aveva aspettato giorni per riesplodere dentro la sua testa.

[- Herm, perché non usciamo? –

- Dopo Ron, devo studiare. -]

Harry aveva cercato di farle togliere l’incantesimo.

Ron aveva cercato di coinvolgerla nella loro – supposta – relazione.

E lei, dov’era?

 

Forse per il caldo un conato di vomito le avvolse lo stomaco e la costrinse a scappare nuovamente da quella che lei non considerava più la sua casa.

 

Il silenzio pesante e grave della biblioteca l’accolse nelle sue braccia nel modo che gli era consono – senza dire nulla quando voleva dire molto, troppo – ed Hermione fu grata per quel temporaneo stacco dalla realtà quotidiana.

Ma dopo soli due minuti, per quanto si sforzasse disperatamente di non sentire quel eco pressante che l’assenza di suoni richiamava in lei fu costretta ad alzarsi e a camminare, nel disperato e vano tentativo di distrarsi.

Inutile: la voce chiara e distinta di Draco Malfoy, per quanto sempre monocromatica, le risuonava costantemente in testa con l’accento sgradevole cui lei era solita attribuirle.

Non che avesse mai prestato particolare attenzione al tono di quella voce ma l’aveva subito catalogata, con la solita arroganza che i bambini di 11 anni sono soliti mostrare, raschiante e sgradevole.

Ma era abbastanza intuitivo che, quando si detesta qualcuno, non c’è nulla di più facile che trasformarlo nel mostro cattivo con vizi e difetti. Così i capelli biondi di Malfoy erano ispidi e secchi, i suoi occhi volgare acqua sciacquata, la piega delle sue labbra irrilevante.

Hermione, ogni volta che lo incontrava, non lo osservava veramente: badava all’immagine che la sua stessa mente aveva costruito ad opera d’arte per ingannarla.

Sbatté la testa contro una mensola eccessivamente bassa e questo fu sufficiente per farle riprendere possesso dei suoi pensieri. Toccò la costola di un vecchio libro, saggiandone la consistenza.

Ruvida, la carta si raggrinzì al passaggio delle sue dita e si distese subito dopo, docile e mansueta. La Gryffindor sospirò, avvilita. Prese il libro in mano, quasi crollando sotto il suo peso, e lo fece quindi precipitare su un tavolo lì vicino. La copertina in pelle unta aveva un che di magico, tanto forte era il suo richiamo.

La ragazza scosse la testa.

I libri erano quelli che l’avevano tenuta lontana dai suoi amici e dal suo ragazzo.

Ma la verità, quella che lei credeva di tacere ad Harry, era in realtà molto più misera: i libri, al contrario degli umani, non giudicavano. I libri non deridevano, come era invece uso di Malfoy.

 

- Granger… -

La voce era flautata e calda e Hermione subito si voltò al suo richiamo, abbandonando il libro a stesso, una pagina gialla chiusa fra le dita, come un legame ancora da recidere.

[Se i suoi occhi sono acqua sciacquata, voglio bere quel acqua]

 

I due si fissarono silenziosi per qualche istante, poi lei chiuse frettolosamente il libro, lo ripose sulla mensola e sorpassandolo velocemente, sibilò a mo di saluto – Malfoy. –

- Granger, quanta fretta. – il suo bracco intorno alla vita la trattenne. Contro la sua volontà, ma la trattenne. Lei non si arrischiò ad alzare gli occhi dal livello del suolo, per paura di vedere ancora quel sorriso di scherno che troppo spesso gli solcava le labbra.

Non dopo quel pensiero, non dopo averlo visto, affaticata dal sonno.

Non dopo averlo trovato

[Lui è bello]

attraente, in una qual perversa maniera.

- Scappi dal sonno, Granger? – la voce era tornata stridula, pallida eco di quel richiamo flautato che aveva creduto di udire.

- No. –

Fremito nel suo corpo, come una piccola risata. – Scappi dagli incubi, allora. –

Lei si divincolò dalla sua stretta, schiaffeggiandolo per sbaglio sul labbro. Spalancò gli occhi scuri. – Scusami. –

Passò qualche secondo, un tempo che ad Hermione parve dilatarsi fino a raggiungere l’eternità di un secolo.

Malfoy non diceva nulla. Il braccio gli era scivolato lungo la linea naturale del corpo, il labbro offeso era stato lasciato lì, a penzolare come un moncherino stagnante e i suoi occhi vagavano distrattamente da Hermione alla biblioteca dietro di lei.

- Malfoy? –

- Mi… -

La Gryffindor alzò gli occhi al cielo. – Ti ho schiaffeggiato Malfoy, oltretutto per sbaglio. Pensi di poter sopravvivere al contatto? –

- Non… perché… -

- Ho sbagliato, volevo solo che ti togliessi di torno. Scusa tanto. – ribadì secca, scostandosi nuovamente da lui. Le pareva un cucciolo, abbandonato lì a farfugliare da solo, una pallida immagine dell’arrogante che lui conosceva.

Quella visione, sebbene si rifiutasse di ammetterlo, l’aveva scossa: qualcosa non combaciava con la sua immagine di Draco Malfoy, che aveva pazientemente costruito in sette anni di soprusi.

Alzò le spalle e si diresse verso l’uscita. Di problemi ne aveva già abbastanza senza accollarsi anche quelli dello Slytherin.

Fu solo quando la porta secondaria le si fu quasi chiusa dietro alle spalle che sentì di nuovo quella voce strana richiamarla, facendola fermare. Gettò un’occhiata dentro al salone principale, un sopracciglio cortesemente inclinato come un invito a proseguire.

- Granger tu… mi hai chiesto scusa. –

Un’altra pausa, tempo che l’eco della frase precedente andasse spegnendosi.

- Perché l’hai fatto? –

 

Di nuovo quegli occhi troppo grigi e quei capelli troppo morbidi.

Hermione gridò e, strattonando la porta con forza per chiuderla, cominciò a correre nel corridoio.

 

Le due e quaranta della notte.

Dopo minuti di corsa sfrenata in cui non sapeva come avesse evitato di essere scoperta dalla gatta di Gazza, la mora trovò il coraggio di fermarsi per riprendere fiato. Il cuore saltellava ancora per il petto con indecorosa autosufficienza, lasciando la povera ragazza inebetita e stranamente confusa.

Senza badare troppo ai convenevoli si lasciò andare contro il muro di pietra. Gemette quando sentì gli spigoli vivi della roccia premerle contro la schiena, ma troppo esausta per fare altro, continuò a scivolare nella sua rovinosa caduta.

Non poteva crederci.

Era corsa via urlando.

Probabilmente il biondastro ne avrebbe tratto materiale sufficiente per tutto il prossimo quadrimestre.

La codarda paura di nuove e sempre più crudeli prese in giro le fece salire le lacrime agli occhi, senza che lei potesse fare nulla per controllarsi.

Il suo orgoglio, rinchiuso in chissà quale gabbia lontana, ruggiva come un micio intirizzito, sempre con minore convinzione.

Non voleva tornare al dormitorio ma aveva bisogno di un posto dove sedersi.

 

Fortuna o sfortuna che fosse, l’arazzo di Barnaba sventolò davanti a lei, mosso da un impercettibile alito di vento. Lei sospirò sollevata: la Stanza delle Necessità.

Si alzò e barcollò fino alla porta.

[E se c’è qualcuno dentro, lo faccio scappare minacciando punizioni. Sono una Caposcuola, dopotutto]

Effettivamente la stanza era occupata.

Ma di certo, quella era l’ultima persona che si aspettava di incontrare.

“Scappi dagli incubi, allora.”

[Sei tu, il mio incubo. Chiudi gli occhi e non aprirli. Sono loro, il mio incubo.]

- Malfoy? –

 

Pareva essersi ripreso dal momentaneo attacco di smarrimento, pensò lei. Per fortuna, si ritrovò a commentare, sempre mentalmente, qualche attimo dopo.

Non credeva che avrebbe retto un istante di più alla visione di Malfoy ridotto ad un fantoccio.

Lui tirò un sorrisino di scherno e mosse la testa a mo di saluto. – Chi si rivede Granger. Non riesci a dormire? Da quel che mi hanno raccontato, Weasel la notte russa parecchio. -

Hermione sentì l’antica collera premerle dentro le vene e colorarle le guance. – Come ti permetti? Io non sono la ragazza di Ronald! –

Il biondo fece spallucce. – Non più, per lo meno. –

Lei sfoderò la bacchetta, puntandola dritta verso la sua testa. Non capiva più niente. Era stanca, infreddolita e estremamente suscettibile. L’ultima di Malfoy, poi, era stata la famosa goccia che faceva traboccare il vaso.

Con un movimento fermo del polso spianò l’aria davanti a lei. – Bada, Malfoy, non sono particolarmente incline al riso, questa sera. –

L’altro parve ignorare la bacchetta e i suoi movimenti. Guardava fisso davanti a lui, le spalle cadenti e alcune ciocche davanti agli occhi. – Troppi incubi, per dormire? –

- Non sono affari tuoi. –

- Granger… -

Lei alzò gli occhi, ritirando la bacchetta. – Si. –

- Perché mi hai chiesto scusa, prima? –

- Perché ti avevo colpito. E quando si fa del male ad una persona, di solito si chiede scusa. Nulla a che vedere con te e il tuo modo di comportarti, mi pare. –

Malfoy alzò gli occhi su di lei, di nuovo perso in chissà quale angolo della sua mente. – Però mi hai chiesto scusa. Anche se mi odi.

L’ultima parola le parve risuonare eccessivamente violenta nell’aria, ma dovette ricredersi e pensare al fatto che, effettivamente, era proprio così: Hermione Granger odiava Draco Malfoy.

Non aveva mai avuto motivo d’amarlo, d’altro canto.

- Ti ho chiesto scusa per averti colpito. Non ti ho chiesto scusa per essere una lurida mudblood, o per la Casa a cui appartengo. –

- Mi sembra logico. –

Il silenzio che era solito cadere tra due troppo carichi di pensieri li cullò per qualche istante, caldo.

- Però, Granger, non è che abbia molto senso. –

Hermione sbuffò avvilita, chinando il capo verso il basso. Inarcò un sopracciglio. – Malfoy, dimmi cosa vuoi e sparisci. –

- Voglio capire perché… -

Scosse anche lui la testa.

- Senti Granger, o mi rispondi o te ne vai. Se devi solo fare domande, sparisci!

Lei sentì scioccamente una piccola delusione formarsi in mezzo alla sua gola. Non che ci tenesse particolarmente ad instaurare un legame di amicizia con Malfoy, beninteso, ma quella situazione le era parsa così strana da sembrare quasi divertente, per certi versi.

Ma era chiaro che era solo un’illusione.

Girò nuovamente i tacchi e uscì dalla Stanza.

[La stanza era piena di foto vuote. Perché Malfoy voleva delle foto bianche…?]

Di nuovo l’impulso di correre.

Per la seconda volta in un’ora, la ragazza fuggì via.

Sempre più veloce, sempre più lontano.

 

Quando si decise ad entrare nell’aula di Pozioni erano le tre e venti del mattino e lei era più sveglia di quando aveva cominciato a vagare. Appoggiò tutto il suo peso sul primo bancone alla sua destra, quasi come il corpo non fosse veramente suo, ma solo un addobbo attaccato alla mente.

Poche ore prima aveva riso sfacciatamente di fronte allo scoppio del calderone di Pansy Parkinson e alla sua faccia seminata di grossi bubboni in rapida via d’espansione.

Ma quando poi Theodore Nott aveva gioito dell’esplosione di quello di Neville, lei si era sentita improvvisamente schiacciare dal peso di quella risata. Chissà come si era sentita faccia di Carlino dopo la sua ghignata Gryffindor.

Era stata una risata cattiva.

Esattamente come si sentiva lei ogni qual volta che Malfoy rideva dopo aver sparato l’ennesimo insulto gratuito, pensò lei.

Un secondo dopo si era resa conto del fatto che erano tutti incatenati in un gioco di ruolo più grande di loro, con regole vecchie di anni, dettate da persone lontane e d’immagini sbiadite.

E lei, che ostentava tutto quel bagaglio Gryffindor, si era lasciata trasportare, come una qualsiasi.

Combattersi come cani aizzati da padroni dai visi scuri ed indistinguibili, mordersi alla gola per rancori dettati da parole, scontrarsi per fatti ammuffiti e sepolti nelle memorie.

Uccidersi per delle scelte che loro non avevano mai fatto.

Ecco perché aveva chiesto scusa a Malfoy.

Ecco perché avrebbe continuato a farlo.

Non per il gesto, quanto per il significato che stava dietro di esso.

Scusami, perché non sono io che agisco. Non sono io che ti picchio.

Non sono io.

Sono loro.

 

Mossa da una furia quasi improvvisa e sorda, si alzò di scatto dal bancone e si gettò in avanti.

Doveva tornare alla Stanza delle Necessità. Doveva urlargli quello che aveva pensato.

Quando però aperse la porta, fu costretta a bloccarsi per non scontrarsi contro quel corpo che più di una volta aveva desiderato di vedere dilaniato dalle fauci di un Ippogrifo.

- Malfoy! – urlò sorpresa.

Lui, come se nulla fosse successo, portò lo sguardo dai banchi a lei, sempre assente. – Granger, diamine… troppi incubi, suppongo. –

Lei storse il naso. Pareva che il biondo avesse un’ossessione per i suoi sogni, in particolar modo per quelli funesti.

- Malfoy, non sei stato tu a prendermi in giro, per tutti questi anni. –

Lui la guardò stralunato. Finalmente pareva prestare attenzione al discorso. – Ah no? –

- No! – disse lei saltellando. – Non capisci, sono loro che ci comandano! È per questo che dovremmo chiedere scusa! Perché non abbiamo abbastanza forza per liberarci da quello che ci è stato costruito intorno.

Lui lasciò che il suo labbro superiore si stringesse in una piccola smorfia. – Io non ti chiederò mai scusa. –

Hermione annuì, apparentemente certa di quel dettaglio. – Questo lo so. Ma io non avrò mai più paura di te, Malfoy, capisci?! Non avrò paura di te perché non è di te, che devo aver paura! –

- Granger… e di chi diamine, allora? –

- Ma di loro! Dei fondatori, di quelli che hanno creato il mondo intorno a noi. Sono solo ricordi, Draco! –

Quel silenzio ormai abituale cadde di nuovo fra di loro. Hermione si lasciò andare contro un banco, sfinita, grondante di sudore per quel pensiero che pareva averla elettrizzata. Sorrise.

- Non mi chiami mai per nome. –

La ragazza boccheggiò.

- Ciò non toglie, Granger, che io ti offenda lo stesso. Forse non sarò io, ma è quello che sono. –

Trattenne il fiato.

- E, in definitiva, non cambia nulla. –

Hermione lo fissò con occhi sgomenti e terrorizzati, boccheggiando affranta. – Io… -

Di nuovo, un senso di terrore la prese.

Hermione fuggì via.

Scappava da un destino che, bene o male, non avrebbe mai rinunciato ad inseguirla.

 

Cinque minuti dopo, abbandonata su una tavolata – forse quella Ravenclaw – della Sala Grande, aveva già trovato un intoppo al pensiero che tanto l’aveva presa in precedenza.

Se era vero che dietro alle manovre meschine di ogni persona stava un’immagine riflessa, un’ideale imposto, che ruolo giocava la mente del singolo? E lei, avrebbe potuto mai passare la vita a perdonare persone che uccidevano, convinta della loro celata buonafede?

No, aveva ragione Malfoy. Ognuno aveva una parte di responsabilità in quello che faceva.

Pensò alle giornate passate nel suo studio, rinchiusa tra muri di carta che l’isolavano dal mondo con la stessa tenacia di quelli di piombo, e che forse erano solo l’ultima definitiva barriera che la sua mente – troppo fragile, troppo emotiva – aveva cercato di porre a difesa dei suoi sentimenti.

Hermione non avrebbe mai voluto avere un ragazzo.

Ma le sue amiche volevano che lei lo avesse.

E così, si era affezionata a Ronald, per poi venir solamente delusa.

Da lui. E da se stessa.

 

La storia era sempre inquietantemente la stessa: lei non voleva, le altre insistevano, lei sbuffava, metteva tutta se stessa nell’impresa e poi ne era inevitabilmente delusa.

Hermione pensava, ma non pensava per sé. Ed era stanca.

Ed era una cosa sciocca, banale, priva di senso. Avrebbe voluto rimanere estranea a quel che faceva ma inevitabilmente non vi riusciva.

Avrebbe voluto non vedere gli occhi di Malfoy così scuri e tristi, quella sera, ma non aveva potuto farne a meno. Non aveva potuto fare a meno di quello sguardo che in un istante aveva saputo identificare come il suo.

 

- Ti ho detto che da piccolo, sognavo il momento dello Smistamento? –

Non disse una parola. Non sapeva quando fosse arrivato. Il ragazzo non la guardava, e avanzava impettito nel corridoio centrale, il naso piantato verso il soffitto coperto di nubi.

- Pensavo: se finisco a Gryffindor tutti mi ameranno, ma mio padre mi odierà. Se invece finisco in quella casa di perdenti con la Sprite, tutti rideranno di me.

Se mi capita di essere un Ravenclaw, mio padre penserà che sono una persona intelligente, ad ogni modo, lo penseranno tutti, e in qualche maniera saprò come conquistare la sua fiducia.

Davanti al tavolo degli insegnanti, lui strinse la mano a pugno e si fermò, immobile.

- L’unica cosa che riuscivo ad immaginare, nel mio futuro a Slytherin… - si volse e la fissò, gli occhi freddi e impassibili - …era lo sguardo liscio di mio padre che sussurrava “ben fatto”, e nulla di più. Nessuna impresa, nessun divertimento, nessun riscatto. Solo, qualcosa che si sapeva sarebbe successo. –

Hermione deglutì, nervosa.

- E io non volevo essere un progetto. –

La Gryffindor chiuse gli occhi, ancorata saldamente alla panca che le permetteva di non lasciarsi cadere a terra lentamente, come fosse stata senza vita.

Perché raccontare a lei, tutte quelle cose?

Perché mostrarsi così vulnerabile, proprio in quel momento?

- Chiudi gli occhi? Non hai paura degli incubi? –

Sussultò a disagio. Il cielo sopra la sua testa andava schiarendosi, fino a mostrare una luna tonda e immacolata, priva di qualsiasi macchia. Se solo fosse stato più buio, se solo fosse riuscita a non vedere i suoi occhi.

- Non hai degli incubi, Granger? –

Prese fiato annuendo. – Ne ho troppi, Malfoy. –

- Già, anche io. –

- Cosa ti succede, Malfoy? –

Lui sussultò. – La notte non riesco a dormire, così prendo un paio di sonniferi ma… non sempre funzionano. –

Hermione annuì. Ecco perché le sembrava così strano: era semplicemente intontito dalle pastiglie. – Ed è da tanto che non dormi, Malfoy? –

- Abbastanza. –

Le parve di non poter più sostenere quel sottile filo di tensione che si era andato creando fra loro, sempre più forte e pesante. Deglutì. – Però adesso… credo che andrò a letto. –

Draco Malfoy non rispose, di nuovo apparentemente assorto nella contemplazione di chissà quale arazzo sulle mura della Sala. Lei gli diede le spalle e chiuse la porta dietro di . Fu solo quando mise il primo piede sulle scale che la sua voce – di nuovo melodia in quelle note – la fece fermare.

- Granger. –

- Perché mi hai seguita, Malfoy? Vuoi tormentarmi ancora? –

Esitò un secondo, quindi lo vide mordersi le labbra, indeciso. – Volevo sapere se anche i tuoi incubi sono qui, nel mondo reale. –

Hermione trovò finalmente il coraggio per fissarlo negli occhi.

Riconobbe due statuine usurate dal tempo e troppo manipolate dai ricordi – ricordi che non erano loro – per essere capaci di tornare di nuovo alla vita.

- Si. –

Il mago sospirò. - Ogni volta che entro nella Stanza delle Necessità, penso sempre che vorrei trovarvi qualche ricordo felice. Ma le foto sono sempre bianche.

Sguainò la bacchetta e nel farlo alzò le spalle, come avesse appena notato di aver detto qualcosa di personale. – Poi ho capito: non ho ricordi che meritino di essere mostrati. –

Hermione seguì l’arco elegante del suo polso, e con esso anche quello della bacchetta. – Non… Malfoy, tutto questo non ha senso. –

Lui si limitò ad annuire, - Già. – disse. E poi – Oblivium.

L’ultima cosa che la strega vide di stramazzare al suolo come una bambola inerte furono i suoi occhi: quasi piangenti.

E svegli, in cui non si trovava l’ombra di pastiglie per dormire.

 

Quando si svegliò, la mattina dopo, nel suo letto, con le membra indolenzite, notò che c’era ancora troppo caldo.

 

 

Quando alle otto di mattina Draco Malfoy alzò gli occhi dalla sua colazione, gli parve che niente fosse cambiato, dopo quella notte.

Niente che si potesse vedere.

 

Ma gli occhi della Granger, miopi e arrossati, vagavano incerti – troppo incerti, troppo troppo – lungo il perimetro della Sala. Sorrise e quel sorriso si perse forse su un arazzo dietro a Draco, o forse, proprio davanti a lui.

Il biondo pensò che nulla era cambiato, dopo quella notte.

Nulla che si potesse vedere.

 

E il sorriso della Granger si sentiva.

 

 

 

Uscendo dalla Sala Grande, la Gryffindor pensò a quel acqua sciacquata e a quanto potesse apparirle fresca, ora.

Chissà perché, non vedeva l’ora di tornare a dormire.

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi è costata una fatica immonda, devo ammettere. Però ne sono stata ripagata, prima al concorso. Evvai!

   
 
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