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Autore: HeYaSpears    25/07/2012    2 recensioni
Santana Lopez vive nel distretto 11.
Brittany Pierce nell'1.
I loro destini si intrecceranno in circostanze piuttosto spiacevoli, dove saranno messe a dura prova.
Cosa succederà?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La vita era piuttosto monotona nel distretto 11. Ma soprattutto non era una vita facile.
Essendo uno dei distretti più poveri dell'intero paese, tutti erano costretti a lavorare nei campi a partire dagli otto anni di età.
A diciannove anni, poi, si poteva decidere se continuare il lavoro nei campi e diventare ufficialmente agricoltore, oppure se intraprendere un altro mestiere.
Di solito erano i genitori a decidere per i propri figli.
Le giornate erano più o meno le stesse per tutti. Bisognava alzarsi alle cinque, recarsi sul proprio posto di lavoro entro le sei e continuare a esercitare la propria attività
fino alle diciannove; l'unica pausa concessa era dalle tredici alle quindici. Persino le donne incinta o madri di neonati erano costrette a lavorare almeno sei ore al giorno.
Solo i bambini e i ragazzi che frequentavano la scuola potevano alzarsi alle sette, seguire le lezioni dalle otto fino alle tredici, dopodiché al termine della pausa anche loro dovevano occuparsi dei campi fino all'ora prestabilita. Alle ventidue le strade dovevano essere completamente vuote.
Chi non rispettava le regole veniva punito dai Pacificatori, che utilizzavano maniere non esattamente gentili: la pena variava dalla fustigazione alla tortura, che in casi estremi poteva portare anche alla morte. 

 
Eravamo come dei robot comandati da esseri superiori che dopo averci sfruttati per bene non aspettavano altro che distruggerci. 
 
Di mattina l'ambiente che andava a crearsi lungo le strade era quasi claustrofobico; gente di tutte le età correva a destra e a manca come una mandria di animali inferociti
per cercare di arrivare in orario alla propria destinazione - si era fortunati se si arrivava a fine giornata con i piedi ancora interi -. 
Ma non quel giorno. 
Scesi velocemente le scale della mia minuscola casa, aprii di scatto la pesante porta d'ingresso sapendo già cosa avrei trovato per le vie del distretto:
il deserto.
Non vi era nemmeno una sola persona ad attraversare quelle strade di solito così piene di movimento. Le persiane dei negozi erano sbarrate, il grande portone dell'unica scuola del distretto bloccato con un pesante lucchetto di metallo e i campi totalmente deserti:
nessuno lavorava durante il giorno della mietitura. 
Si trattava di una questione di rispetto: ogni anno quel giorno segnava la fine - o quantomeno il perenne cambiamento- di due giovani vite, destinate ad essere troncate da dei propri coetanei.
Perché tutto ciò? Perché, secondo il governo di Capitol City, questo sistema serviva a tenere a bada i distretti per evitare che si verificasse una rivolta sanguinosa e violenta come quella che non troppi anni prima aveva sconvolto definitivamente le vite degli abitanti di Panem.
Iniziai a cammminare, poi a correre, mentre i miei piedi cominciavano a sfuggire al controllo della mia mente.
E dopo poco mi ero ritrovata lì, di fronte all'abitazione dell'unica persona che avevo voglia di vedere in quel momento, nonchè mio migliore amico da sempre, Puck.
Come se avesse avvertito la mia presenza, aprì la porta, oltrepassò la soglia e si precipitò verso di me, stringendomi forte.
 "Andrà tutto bene" sussurrò tra i miei capelli.
Mi staccai leggermente da lui per osservarlo in viso: le profonde occhiaie che circondavano i suoi occhi verdi rappresentavano gli evidenti segni di una notte insonne; il labbro tremante mostrava il suo grande timore, che cercava di celare con un sorriso tirato.
Una lacrima silenziosa scivolò sulla mia guancia, mentre un'orribile sensazione di vuoto cominciava a prendere il sopravvento dentro di me. 
Avevo paura. Di perderlo, di perdere qualcuno che amavo. Di perdere me stessa.
Perché al termine degli Hunger Games qualunque persona, viva o morta che fosse, non sarebbe mai stata più la stessa.
Ed era questa la cosa che mi spaventava, anche più della morte: la possibilità di diventare qualcosa che non ero, una pedina del governo, un'assassina.
Forse ero l'unica che si preoccupava di ciò, nel distretto 11; tutti consideravano gli Hunger Games la strada verso una morte certa, dal momento in cui il nostro distretto aveva ottenuto solo cinque vittorie in settantatrè edizioni. 
 
La fortuna poi, quell'anno, non era esattamente a mio favore.
Nella mia famiglia avevamo fissato una regola: il membro più grande che rientrava nell'età in cui poteva essere scelto per partecipare ai Giochi, doveva procurare le tessere per tutta l'unità familiare. Quell'anno toccava a me, ragazzina diciassettene costretta a portare sulle spalle il peso di vedere il suo nome scritto otto volte in più.
Ma con quelle tessere ci procuravamo lo stretto necessario con cui vivere, di certo non avrei potuto non prenderle e lasciarci morire di fame.
Era la prima volta per me, poiché fino all'anno prima era toccato a mio fratello, che aveva ormai compiuto diciannove anni.
Tra gli otto componenti della mia famiglia solo la metà non rientravano nella fascia dai dodici ai diciotto anni, ed erano quindi salvi. Tra questi mia madre, i miei due fratelli più grandi Michael e David e la mia sorella di quattro anni Sarah; io, le mie due sorelle quattordicenni Alice e Mia e la dodicenne Rue eravamo invece a rischio mietitura. 
"Quante volte c'è scritto il tuo nome?" mi chiese Noah, distogliendomi da quel vortice di pensieri. 
"Ventinove..ho dovuto prendere le tessere.. il tuo?" 
"Io le prendo ogni anno, in famiglia siamo sei, quindi.. cinquantuno.." sospirò amaramente mentre il suo sguardo vuoto era fisso su un punto imprecisato davanti a sè.
Lo guardai con la bocca spalancata, cercando poi di ricompormi per mostrarmi forte ai suoi occhi; infondo era più dura per lui che per me.
Cominciammo a camminare senza dire una parola, guardandoci intorno come a voler memorizzare ogni particolare del posto in cui eravamo nati e cresciuti.
A quel punto capii che anche lui aveva il mio stesso brutto presentimento.
Ci fermammo poi davanti ad una recinzione di legno avvolta da un filo elettrificato, che separava il distretto dai boschi. 
Restammo lì per qualche minuto, ad odorare da lontano il profumo della natura e ad osservare i piccoli uccelli che svolazzavano liberi tra i rami degli alberi.
"Ci hai mai pensato? A superare questa recinzione, a scappare?" mi domandò, continuando ad osservare la foresta davanti a noi.
"No, perché so che non è possibile. Sarebbe bello, ma pensarci accrescerebbe solo l'illusione di qualcosa che non succederà mai." risposi, focalizzando la mia attenzione su un nido dove un piccolo passero veniva imboccato dalla madre.
"Io invece ci penso spesso.. Provo a immaginarmi lì fuori, a correre tra gli alberi e a cantare assieme alle ghiandaie imitatrici.. A volte però mi chiedo cosa ci sia al termine dei boschi" continuò Noah, rivolgendo momentaneamente il suo sguardo verso di me.
Quel pensiero cominciò a farsi spazio nella mia testa, e iniziai a mia volta a chiedermi quale mondo ci fosse al di fuori del nostro.
Le mie riflessioni furono interrotte dalla voce di un Pacificatore che annunciava che mancavano meno di due ore all'inizio della mietitura.
"Meglio andare a prepararsi.. a dopo Puck" gli dissi avviandomi velocemente verso casa.
Entrando, notai come la casa fosse silenziosa: ognuno aveva qualcosa da fare, ma nessuno aveva voglia di parlare. Poi dalla porta della cucina spuntò mia madre "Ho preparato qualcosa per te, vieni" mi sussurrò, guidandomi verso la sua stanza.
E sul suo letto trovai, perfettamente lavato e stirato, un bellissimo vestito color lavanda. Restai ad osservarlo per qualche secondo, poi lo presi piano tra le mani, come se avessi paura di sgualcirlo, e sentii il suo profumo: odorava di nuovo. Quasi non riuscii a crederci, era passata un'eternità da quando ero riuscita ad ottenere il privilegio di indossare un abito completamente nuovo.
"E'.. meraviglioso.. grazie" dissi sorridendole sinceramente. Dopo qualche minuto stavo già osservando la mia sagoma allo specchio, incredula di vedere quanto quell'abito mi donasse.
"Aspetta, ti aiuto." si offrì mia madre, aiutandomi a chiudere la lampo. 
"Sei bellissima!" esclamarono in coro Alice e Mia, entrando nella stanza.
"Voi lo siete. E ora sbrigatevi a prepararvi, l'ora è vicina" dissi cercando di mostrare il più convincente dei sorrisi, per poi baciarle dolcemente sulla fronte.

Dopo meno di trenta minuti la mia famiglia al completo era pronta e si avviava lentamente verso la piazza cittadina. Entrammo nel grande semicerchio che questa costituiva, e notai che se prima le strade erano vuote perché la gente era sbarricata in casa, ora lo erano perché ogni singolo abitante del distretto si trovava- certamente non per sua volontà - in quell'ampio spiazzo. 
Dopo poco la folla cominciò a dividersi in vari gruppi, tutti in base all'età dei componenti; questi erano separati dai non partecipanti da un lungo cordone rosso. 
Una volta che tutti si erano sistemati nei rispettivi gruppi, il sindaco salì sul piccolo palcoscenico allestito appositamente per l'occasione, iniziando il solito discorso che si ostinava a propinarci ogni singolo anno. Una volta terminato, apparve sul palco una donna che non avevo mai visto prima: sulla cinquantina, bionda, aria arrogante e con una tuta da ginnastica al posto del vestito che ci si aspetterebbe da una persona del genere.
Doveva essere la nuova accompagnatrice del distretto. 'Beh, sicuramente meglio della tipa dalle parucche colorate e sgargianti, sembrava uscita da un film horror
La donna, di nome Sue Sylvester, si avvicinò alle due bocce contenenti i nomi dei giovani uomini e delle giovani donne del distretto. 
"Ed ora veniamo alla mia parte preferita.. Sto per leggere i nomi dei prossimi coraggiosi partecipanti agli Hunger Games" annunciò sorridendo,
con uno sguardo che poteva definirsi "avido di sangue".
La cosa che mi stupì fu che a differenza della precedente accompagnatrice, Effie, questa si avvicinò prima alla boccia contenente i nomi degli uomini.
"Ho una vera e propria repulsione per il sesso maschile.. Dunque bando alle ciance" disse frugando con la mano nella palla di vetro, per poi cacciarne un sottile foglio bianco.
Passarono degli istanti che sembravano interminabili, cercai tra la folla lo sguardo del mio migliore amico senza però riuscire a trovarlo, quando la voce della Sylvester mi rimbombò nella testa:
"Noah Puckerman".
Quella sensazione di vuoto tornò ad impossessarsi di me, mentre lacrime salate cominciavano a scorrere indisturbate sul mio viso. Poi lo vidi.
Incrociai il suo sguardo per un istante, stupendomi di trovare sul suo volto un'espressione per nulla sorpresa, come se già sapesse che sarebbe toccato a lui.
Tra gli sguardi insistenti dei presenti, Noah salì tremante sul palco, posizionandosi accanto alla Sylvester.
"Vediamo chi farà compagnia a questo inutile essere vivente.." disse acidamente la donna, estraendo dall'altra boccia un minuscolo pezzetto di carta. 
Lo osservò per qualche secondo, rivolgendo momentaneamente lo sguardo verso la folla per poi leggere ad alta voce:

"Santana Lopez."




Angolo dell'autrice
Lo sssso, ci ho messo un'eternità a pubblicare 'sto capitolo noioso e da niente. Perdonatemi ma ho avuto un sacco di cose da fare >.<
Coomuuunque, come avevo detto nelle risposte ad alcune recensioni, il capitolo precedente era cortissimo solo perché era il prologo, ma come vedete questo è mooooolto più lungo v.v
However, non è che mi piaccia tanto come è venuto, e mi dispiace anche di avervi lasciato così anche perché questa volta davvero non so quando riuscirò ad aggiornare :S
Spero comunque che possa essere di vostro gradimento, come sempre consigli/critiche/pareri sono ben accetti :)
Un abbraccio e alla prossima,

HeYaSpears
 

 
  
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